AfricaLand Storie e Culture africane inaugura il
2020 con un
#focus sul
Continente nero : quali sfide sono più urgenti per l'
#Africa in questo nuovo anno e nei prossimi anni? Un articolo del
World Politics Review, negli ultimi giorni del
2019, pone l'accento su un punto molto importante : tra
80 anni l'
Africa ospiterà un terzo degli abitanti del mondo. Per questo deve investire su
scuola,
agricoltura e apertura delle
forntiere.
Se questa previsione è confermata da tutti gli analisti (e non solo loro) esiste un altro tema che non raccoglie l'attenzione internazionale dovuta : il futuro dell'occupazione dell'
Africa.
In questo primo
#focus del nuovo anno,
AfricaLand Storie e Culture africane intende mettere a disposizione dei lettori una prima 'lettura' delle sfide (epocali) per tutti i popoli
africani e l'intero continente.
Prima di addentraci nell'
approfondimento consentitici ancora di augurarvi buon anno e felice
2020.
(Bob Fabiani)
Una speranza dall'Africa*
"Se il
cambiamento climatico è la prima preoccupazione a livello globale, qual'è la seconda? Forse non c'è niente che si avvicina. Ma le questioni ritenute più pressanti - come le sorti dell'egemonia
statunitense, la
Brexit, la relativa tenuta dell'
Unione europea e le tante incertezze legate all'ascesa della
Cina - sono quasi irrilevanti rispetto a un tema che riceve molta meno attenzione internazionale : il futuro dell'occupazione in
Africa, dove sono in corso
cambiamenti demografici senza precedenti. In base alle stime attuali, la popolazione
africana, che ora ammonta a circa un
miliardo e duecento milioni, a metà secolo arriverà a
due miliardi e mezzo, più della
Cina e dell'
India messe insieme. Fare ulteriori previsioni è difficile, ma secondo le stime dell'
ONU nel
2100 l'
Africa potrebbe arrivare a
quattro miliardi di abitanti o più, vale a dire più di un terzo della popolazione mondiale.
Questi dati provocano da una parte allarmismo e
razzismo, dall'altra disinteresse e noncuranza : tutte cose che il pianeta non può permettersi. Il destino demografico dell'
Africa e il suo sviluppo economico, infatti, avranno conseguenze su quasi tutti gli aspetti della vita quotidiana che le persone vicine e lontane danno oggi per scontati.
Sarà colpita in particolare l'
Europa, che per ragioni storiche è molto più legata all'
Africa di quanto pensi la maggioranza degli
europei, e si trova proprio alle porte del continente. Ma con l'aumento della nuova
diaspora africana, ogni regione del mondo sarà toccata. Pensate a
Israele, che ha provato a convincere migliaia di
migran ti africani a lasciare il paese offrendogli biglietti aerei e
3.500 dollari. O all'
America Latina, che sorprendentemente è diventata una rotta
migratoria per gli
africani che sperano di raggiungere gli
Stati Uniti. O alla lontana
Cina, dove una comunità di centinaia di migliaia di
africani, ritenuta la più numerosa dell'
Asia, si è insediata nella città di
Guangzhou. Oppure pensate agli
Stati Uniti, dove già vive una delle più grandi
diaspore africane del mondo, a causa della loro storia di
schiavitu (e che su queste pagine abbiamo raccontato in un
reprotage in
cinque puntate intitolate
"1619, 400 Anni dopo l'inizio della schiavitù", n.d.t) e dei flussi
migratori più recenti. Tutti questi paesi diventeranno la destinazione di un numero crescente di
migranti africani in cerca di una nuova vita.
La posta in gioco
L'aumento esponenziale della popolazione in
Africa porterà senza dubbio molti a lanciare
appelli allarmisti su come limitare il boom demografico. Ma gli
africani non devono accettare la tesi secondo cui sono un problema per il resto del mondo, sopratutto perché in passato la
tratta degli
schiavi sottrasse al continente milioni dei suoi abitanti fisicamente più abili per soddisfare i bisogni di altri paesi. Gli
africani sono una risorsa, come tutti gli esseri umani.
Oggi l'
Europa sta già affrontando delle sfide demografiche complesse e diametralmente opposte a quelle dell'
Africa.
La crisi
europea è legata al
calo delle
nascite - tra le più basse del mondo - e all'invecchiamento della popolazione (emblematica la situazione dell'
Italia n.d.t). Questo declino demografico ha già portato a una carenza di forza lavoro e ad altre difficoltà economiche.
Integrazione positiva
Per contrastare l'attuale ondata di
populismo xenofobo, i leader
europei devono trovare il coraggio di occuparsi dell'
immigrazione in modo molto più costruttivo. Dato che in un modo o nell'altro i
migranti africani arriveranno in
Europa, l'atteggiamento più intelligente è una forma di opportunismo illuminato che punti ad aumentare in modo graduale i livelli d'
immigrazione e ad accogliere sempre più manodopera e talenti
africani nella forza lavoro
europea. Per riuscirci, i governi e la società civile dovranno impegnarsi per sensibilizzare i cittadini
europei sulla posta in gioco e presentare l'integrazione non solo come inevitabile, ma anche come positiva.
Tutto questo riporta al tema del
lavoro, per ovvie ragioni. In
Europa, in
Nordamerica e in altri paesi non ci sono abbastanza posti di lavoro per venire incontro alle esigenze di una popolazione
africana in costante crescita. L'occupazione è la sfida più urgente per l'
Africa, ma il resto del mondo la ignora. Anzi gli osservatori e i politici in
Europa e negli
Stati Uniti si sono irritati per i dati sull'avanzata
economica della
Cina in
Africa o, più recentemente, su quella della
Russia, cosa ancora più ridicola dato il peso della sua
economia.
Alcuni esperti sono arrivati a dire che la
Cina sta
industrializzando l'
Africa.
Questa è una bugia, e anche pericolosa, perché lascia spazio a fantasie sui problemi del continente, e impedisce di mettere a fuoco sfide che sono difficili e imminenti. La
Cina rappresenta, suo malgrado, un ostacolo allom sviluppo
industriale dell'
Africa : avendo intrapreso questo processo decenni fa, ora domina la maggior parte dei settori in cui economie appena
industrializzate, come quelle
africane, cercano di farsi strada.
Le
economie africane che vogliono seguire l'esempio della
Cina, quindi, si trovano ad affrontare delle sfide che non hanno precedenti nella storia. Se a queste se ne somma un'altra, e cioé la frammentazione del continente in
54 stati, per lo più di piccole dimensioni e spesso svantaggiati dalla mancanza di uno sbocco sul mare, la prospettiva di un'industrializzazione profonda o di vasta scala diventa ancora più improbabile.
Le soluzioni pratiche per l'
Africa sono tre. Innanzitutto l'
agricoltura, e non l'
industria, è fondamentale per fornire posti di lavoro alle centinaia di milioni di
africani che verranno. In molti stati
africani, più del
50 per cento della forza lavoro è impiegata nel settore
agricolo; in stati come il
Burundi e il
Burkina Faso, addirittura dell'
80 per cento. Eppure, secondo il
Forum economico mondiale, l'
Africa è il continente con l'
agricoltura meno produttive e allo stesso tempo la più alta percentuale di terra fertile non sfruttata.
Ogni coefficiente di questa equazione deve cambiare con l'aiuto di tutti i grandi partner internazionali. L'
agricultura può diventare una fonte di
ricchezza decisamente maggiore per l'
Africa e per i suoi abitanti, in grado di dargli speranza e motivi per restare dove sono.
"La scommessa migliore oer il continente è modernizzare l'
agricultura", spiega
W.Gyude Moore, ex ministro dei lavori pubblici della
Liberia e ora rappresentante del
Center for global development, negli
Stati Uniti. "Un settore agricolo solido che avii uno scambio con altri comparti dell'
economia è la base da cui partire per intraprendere un percorso d'
industrializzazione sostenibile. Fornirà
sicurezza alimentare e miglioreerà la bilancia dei pagamenti, facendo diminuire le
importazioni di prodotti
alimentari".
Il secondo pilastro è l'
istruzione. Anche in questo caso, ogni autoproclamato pertner internazionale dovrebbe raddoppiare i suoi investimenti, anche per salvaguardare i propri interessi. Una migliore
istruzione in
Africa - dall'
alfabetizzazione universale alla
scolarizzazione femminile, fino alla formazione professionale e all'
istruzione superiore - contribuirà a modernizzare il continente, far aumentare i redditi e incoraggiare le persone a restare nel luogo dove sono nate, aumentando il loro benessere. Ma dato che un'
emigrazione di gran lunga più ampia di quella attuale è inevitabile, l'
istruzione contribuirà anche a migliorare le competenze delle persone che lasceranno il continente, mettendole nelle condizioni di dare un contributo ovunque andranno.
Anche se la cosa non è sufficientemente riconosciuta, negli
Stati Uniti già ora gli
africani hanno il livello d'
istruzione più alto di tutti gli altri gruppi di
immigrati.
Infine l'
Africa e i suoi partner stranieri devono impegnarsi molto di più a rimuovere le barriere che ancora ostacolano il movimento di persone, merci e capitali tra i molti mercati interni, piccoli e divisi.
Su questo fronte ci sono state novità incoraggianti con il lancio a luglio del
Trattato di libero commercio continentale africano (Afcfta), un accordo finalizzato alla creazione di un'aerea di libero scambio a partire da quest'anno. Tuttavia, il suo potenziale è già minacciato dalla riluttanza di alcune delle
economie più grandi dell'
Africa, come la
Nigeria, a rispettare i termini dell'accordo.
Un'esperienza utile
L'
Europa, che alla conferenza di
Berlino del
1884-1885 tracciò in modo arbitrario i confini che dividono gran parte dell'
Africa, dovrebbe essere la prima ad aiutare il continente a rendere più rapide ed efficaci
riforme economiche di questo tipo. La sua esperienza nell'espandere il commercio a livello continentale e nel creare legami economici, culminata con la formazione dell'
Unione europea, la rende un alleato particolarmente appropriato.
L'
immigrazione politica e la volontà economica dell'
Europa di creare nuovi legami con il continente
africano - basati sulla consapevolezza del loro destino comune - si sono affievoliti dalla
guerra fredda. Se l'
Europa non riuscirà a coinvolgere l'
Africa per favorire un cambiamento prima che la spinta demografica diventi travolgente, potrà solo incolpare se stessa".
(Fonte:worldpolitcsreview)
Bob Fabiani
*Howard French è un giornalista statunitense, a lungo corrispondente del New York Times in Africa e in Cina.