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giovedì 30 aprile 2020

Il Ciad abolisce la pena di morte durante la pandemia Covid-19










Mentre l'Africa è alle prese con la pandemia da coronavirus e i contagi hanno appena superato i 36,460 casi e 1,581 decessi arriva una buona notizia.

Il Ciad ha deciso di abolire definitivamente la pena di morte: è il modo migliore per affrontare questa drammatica crisi sanitaria. Il piccolo paese africano situato nel Sahel è uno dei più poveri dell'intero continente e spesso, in passato, non sempre ha rispettato i diritti umani. Ma con questa decisione storica, le autorità, hanno deciso di voltare pagina.
(Fonte.:amnesty)
Bob Fabiani
Link
-www.amnesty.it 

mercoledì 29 aprile 2020

Covid-19 Africa, il Continente supera i 34 mila contagi






Uno studio di iDE ricercatori del Ceinge sul gene Tmprss2, responsabile dell'entrata del virus Sars-Cov2 nelle cellule, ha evidenziato che esiste una predisposizione genetica nella possibilità di contrarre e sviluppare il virus nelle popolazioni di Africa, Europa e Paesi latini.

Sono oltre 10 mila casi in più di Covid-19 registrati nel weekend in Africa. Solo nelle ultime 24 ore il bilancio è salito  di oltre 4 mila, per un complessivo 34,610 in 52 paesi. I decessi sono 1,517.

-Covid-19 Africa: i dati aggiornati al 29 aprile (piattaforma dell'Unione Africana - AU)

La situazione paese per paese:

Egitto 5.042 Sudafrica 4.996 Marocco 4.246 Algeria 3.649 Camerun 1.705 Ghana 1.671 Nigeria 1.337 Guinea 1.240 Costa d'Avorio 1.164 Gibuti 1.072 Tunisia 967 Senegal 823 Niger 709 Burkina Faso 638 Somalia 528 RDC 491 Mali 424 Kenya 374 Mauritius 334 Sudan 318 Guinea Equatoriale 315 Tanzania 300 Maldive 245 Gabon 238 Ruanda 212 Congo 207 Liberia 141 Madagascar 128 Etiopia 126 Capo Verde 114 Sierra Leone 104 Togo 99 Zambia 95 Uganda 79 Mozambico 76 Guinea Bissau 73 Eswatini 73 Benin 64 Libia 61 Ciad 52 Rep.Centrafricana 50 Eritrea 39 Malawi 36 Sud Sudan 34 Zimbabwe 32 Angola 27 Botswana 23 Namibia 16 Burundi 15 Sao Tomé & Principe 11 Seychelles 11 Gambia 10 Mauritania 7 Sahara Occidentale 6


-Cancellare i debiti dell'Africa 






Il terremoto planetario innescato dal Covid-19 rischia di colpire sopratutto i più deboli e indifesi. Vale per gli esseri umani, per le aziende e anche per gli stati. Con 34,610 casi registrati al 29 aprile, l'Africa rappresenta per il momento solo una piccola parte dei 2 milioni di malati in tutto il mondo. Tuttavia i danni del virus nei paesi poveri rischiano di essere considerevoli.
La Banca mondiale prevede "un trauma devastante". Venti milioni di africani rischiano di perdere il lavoro, con conseguenze potenzialmente esplosive  in termini di di instabilità politica, carestie es emigrazione. Negli stati del continente l'impatto della pandemia è aggravato dal crollo del prezzo delle materie prime (come abbiamo scritto nei giorni scorsi su questo blog) e della debolezza delle valute, che aumenta il peso del debito pubblico.
A fronte di questa situazione non si comprende del tutto a fondo, il clamoroso voltafaccia dei leader del paesi ricchi sull'iniziale lancio di un appello  - il 13 aprile scorso - del presidente francese Emmanuel Macron  per la cancellazione del debito dei paesi africani, una proposta che ormai da 30 anni è sul tavolo dei creditori occidentali.
Il giorno successivo il G7 ha deciso di esonerare dal rimborso del debito per quest'anno 76 paesi poveri, tra cui 40 stati dell'Africa subsahariana.
Questo primo passo è dunque naufragato visto che i leader dei paesi poveri hanno deciso solo per la "concessione della sospensione temporanea" del debito dell'Africa e, valido solo per i prossimi 6 mesi. Questa iniziativa è stata siglata dal G20 e la Cina.
Il continente rischia la catastrofe nelle prossime 4 settimane mentre il picco previsto per giugno potrebbe causare milioni di decessi: l'unica strada per evitare il disastro sociale sarebbe quello di accettare una realtà di cui tutti hanno preso finalmente coscienza: bisogna cancellare il debito dell'Africa.
Anche perché la situazione che si prospetta all'orizzonte è quella delle rivolte sociali dopo che molti paesi (in tutto sono dieci; n.d.t), per far rispettare il distanziamento sociale, hanno deciso di mettere in campo il coprifuoco notturno sopratutto nelle bidonville e nelle township delle megalopoli africane: le forze dell'ordine stanno adottando il pugno di ferro contro milioni di disperati per evitare l'assalto ai negozi e ai supermercati nel tentativo di reperire cibo da mettere sotto i denti.
(fonte.:au.int;focusonafrica;lemonde)
Bob Fabiani
Link
-www.au.int
-www.focusonafrica.it
-www.lemonde.fr 

  

martedì 28 aprile 2020

Le maledizioni del Mozambico (Gas, Covid-19,Jihad)










Questa è una storia africana infarcita di sfruttamento delle risorse e delle materie prime che non si fermano neanche al tempo del coronavirus.
Quello che sta accadendo in Mozambico è emblematico: nel nord l'epidemia non ferma gli impianti di estrazione del gas né l'aumento esponenziale dei conflitti armati della jihad con centinaia di morti.
Sono gli ingredienti di questa storia e sono anche le maledizioni attuali che affliggono il Mozambico.

Entriamo negli ingranaggi di questa storia.


-Gas, Covid-19 e jihad tre maledizioni per il Mozambico

La pandemia Covid-19 sta costringendo buona parte della popolazione mondiale a restare a casa, mentre decine di milioni di persone si sono ritrovate senza lavoro da un giorno all'altro. Eppure, nel Nord del Mozambico, l'industria del gas non sembra intenzionata a fermarsi.

La compagnia petrolifera francese Total non si è bloccata neppure dopo che, a inizio di aprile, si è registrata la conferma di un caso di coronavirus tra il suo staff.

Com'era prevedibile.

Il contagio si è diffuso, tanto da trasformare i suoi impianti in veri e propri focolai, con circa la metà dei casi confermati nel paese (in totale 76, dato aggiornato al 28 aprile). Solo a quel punto, quando era già troppo tardi, Total ha deciso di rudurre le attività, senza peraltro chiudere tutto.
Da quando nel 2010 l'americana Anadarko e l'italiana Eni hanno annunciato la scoperta di enormi giacimenti di gas nel Nord del paese, il Mozambico si è trasformato in una delle principali frontiere estrattive. Attualmente, tre dei maggiori progetti di gas naturale liquefatto al mondo sono in fase di realizzazione nella provincia di Cabo Delgado, con un investimento complessivo che arriverebbe a superare i 50 miliardi di dollari. Due di questi, Coral South e Rovuma LNG, vedono Eni tra le dirette interessate.
Progetti come questi richiedono la manodopera di migliaia di lavoratori, i quali vivono assembrati in accampamenti collocati a ridosso di comunità rurali. Il rischio di contagio è altissimo sia per gli uni che per altre. Con un sistema sanitario inadeguato a far fronte a una emergenza di tali proporzioni e la difficoltà oggettiva di rispettare le norme di distanziamento sociale da parte di famiglie numerose che vivono in pochi metri quadri, la miscela è altamente esplosiva.
Ma se non è la tutela della salute a rallentare l'industria del gas, lo è certamente la crisi del petrolio. Diverse compagnie, incluse l'Eni, hanno recentemente rivisto al ribasso le stime degli investimenti futuri, tagliandole del 20-30%, a seconda dei casi. Uno dei progetti più ambiziosi, l'impianto di liquefazione Rovuma LNG, controllato da una joint-venture tra Exxon, Eni e la compagnia di stato cinese, sembrerebbe tra quelli più a rischio. Fonti interne di Exxon riportano che la compagnia americana voglia rimandare la decisione finale sull'investimento, prevista inizialmente nei prossimi mesi. L'impatto sarebbe rovinoso per l'intera industria del gas mozambicana.
Chi finora ha pagato il prezzo più alto sono però le comunità della provincia di Cabo Delgado. Quelle scoperte che avrebbero dovuto portare benessere e ricchezza, si sono trasformate, come spesso accade, in una vera e propria maledizione.
Molte famiglie sono già state costrette ad abbandonare la propria terra per far spazio alle operazioni e tante altre altre dovranno farlo, per un totale di circa 1.500 famiglie, in base alle stime delle stesse compagnie. Saranno poi oltre 3 mila i pescatori che perderanno accesso alle loro zone di pesca, ormai diventate l'habitat di enormi impianti galleggianti da decine di tonnellate.
I piani di ricollocamento e le compensazioni promesse sembrano aver scontentato tutti. A diverse famiglie sono state assegnati pezzi di terra già occupati da altre comunità, causando dei conflitti. Pochi però ne vogliono parlare, per paura che gli venga tolto anche quel poco che sono riusciti ad ottenere. Negli scorsi anni, diversi giornalisti locali che si sono occupati della questione sono state arrestati.
Poi c'è l'aumento esponenziale dei conflitti armati. Dal 2017, gli attacchi da parte dei gruppi islamisti hanno causato la morte di 700 persone e più di 100 mila rifugiati interni. Ciò ha innescato una reazione a catena che ha portato a una totale militarizzazione dell'area, su esplicita richiesta dalle compagnie petrolifere che vi operano.
A fianco dell'esercito locale sono schierati circa 200 mercenari russi della compagnia Wagner (la stessa già presente in Repubblica Centroafricana n.d.t), alla quale è andato un appalto per la fornitura di servizi di sicurezza nella regione.

La sicurezza di chi?

Certamente non quella delle comunità, che si ritrovano ora impossibilitate a lavorare nei campi poiché ogni spostamento rischia di essere fatale. Di fatto, queste famiglie sono schiacciate dalle trivelle da un lato e dalle milizie dall'altro. Il rischio è quello di centinaia di persone costrette alla fame.
L'ultima mattanza risale a qualche giorno fa, quando i miliziani di al-Shabab hanno massacrato 52 persone nel villaggio di Xitaxi, poco distante dai giacimenti. Sorprendentemente, gli impianti sembrano essere immuni da questa violenza.





-La zona rossa di Cabo Delgado








Il rientro dal Sudafrica (il paese africano più colpito dalla pandemia) di circa 20 mila lavoratori migranti crea preoccupazioni sanitarie nelle province meridionali del Mozambico e nella capitale Maputo.
Tuttavia, resta il fatto che la maggior parte dei 76 casi di Covid-19 confermati nel paese si registrano nell'estrema provincia settentrionale di Cabo Delgado, dove le popolazioni ancora in difficoltà per gli effetti del Ciclone Kenneth di un anno fa si trovano ora strette tra l'impatto crescente degli impianti di estrazione del gas e la violenza di matrice jihadista.
L'ultimo episodio di sangue, all'inizio della scorsa settimana, ha colpito il distretto di Muidumbe e in particolare quattro villaggi da cui venivano le vittime, 52 ragazzi che secondo le autorità e i media locali sarebbero stati uccisi per essersi rifiutati di unirsi ai miliziani. Il gruppo armato in questione, che esordì nel 2017 con uno spettacolare assalto alla città di Mocimboa da Praia, al centro della zona interessata dal boom estrattivista, è noto come al Shabab ma non avrebbe legami diretti con l'omonima guerriglia islamista somala, di fede qaedista (Al Qaeda).
Le ultime conclusioni a cui è giunto il Consiglio nazionale di difesa e sicurezza (Cnds) puntano il dito contro lo Stato islamico dell'Africa Centrale (Iscap) organizzazione affiliata a Daesh (Isis come viene chiamato in occidente) che ha rivendicato per la prima volta un'azione in territorio mozambicano nel maggio dell'anno scorso ed è tornata nei giorni scorsi a intestarsi l'abbattimento di un elicottero dell'esercito mozambicano. L'obiettivo del gruppo sarebbe quello di fare proseliti e intensificare gli attacchi con il fine di creare nella zona di confine con la Tanzania un califfato islamico.
Oltre a centinaia di vittime, in questi due anni le violenze hanno provocato anche migliaia di sfollati, intensificando gli spostamenti di civili verso Pemba e altre località più a Sud. Sui battelli che collegano Pemba e Palma e all'isola di Ibo sarebbero state uccise inoltre 14 persone in tre diversi episodi. In questo caso la Resistenza nazionale del Mozambico (Renamo), ex guerriglia anti marxista e principale opposizione nel paese, accusa l'esercito.
(Fonte.: re:common; jeuneafrique;ilmanifesto)
Bob Fabiani
Link
-www.jeuneafrique.com
-www.ilmanifesto.it      

lunedì 27 aprile 2020

L'egoismo dei paesi ricchi condanno l'Africa a piani strutturali 'lacrima e sangue' a causa della pandemia






Che fine hanno fatto i buoni propositi dei leader dei paesi più ricchi di aiutare l'Africa al tempo del Covid-19 e di cancellare i debiti del Continente?
Erano parole al vento. Macron aveva parlato di cancellazione per aiutare gli Stati africani deboli ad affrontare l'emergenza, come del resto chiedono Ong e associazioni. Probabilmente erano solo buone intenzione che non si sono tradotte in pratica, sopratutto con la marcia indietro dell'inquilino dell'Eliseo, si è capito che non ci sarà nessuna cancellazione: "Solo una sospensione".

-Dati allarmanti

In Africa il virus è arrivato in 54 paesi praticamente l'intero continente: l'ultimo dato, aggiornato al 27 aprile 2020 parla di 31,000 casi di contagio mentre i decessi sono 1,400. I paesi più colpiti sono Sudafrica, Egitto, Marocco, Algeria, Camerun e Ghana seguite da Nigeria, Costa d'Avorio e Gibuti. Tuttavia, la situazione è allarmante con il picco previsto per giugno, i governi sono impegnati a trovare un modo per farsi carico dei malati.
Sullo sfondo però si addensano nuvole grige: per molte nazioni africane si preparano anni di piani strutturali "lacrime e sangue".

-L'Africa in crisi e la pandemia del debito con i paesi forti

Nel "discorso ai francesi" del 13 aprile, Emmanuel Macron ha pronunciato questa frase "Dobbiamo aiutare i nostri vicini d'Africa sul piano economico cancellando in modo massiccio i loro debiti". Poi, in un'intervista alla radio Rfi, ha fatto marcia indietro e parlato solo di moratoria: "Il G20 deve agire a favore di una moratoria di debiti dell'Africa - ha detto Macron -. Moratoria che, per la prima volta, implichi anche i membri del club di Parigi, la Cina, la Russia, le economie del Golfo e i principali donatori multilaterali".
Il presidente francese non è stato il primo a sollevare la questione del debito dei paesi in via di sviluppo. Nelle ultime settimane ha anzi rappresentato una delle principali preoccupazioni per gli Stati interessati, gli economisti e le Ong, per il Fondo monetario internazionale (Fmi) e la Banca mondiale. Più di 200 organizzazioni nel mondo hanno chiesto di "cancellare tutti i pagamenti del debito estero nel 2020" per aiutare i paesi in via di sviluppo nella crisi del Covid-19.

In Africa il virus è stato identificato in 54 paesi su 55 e la sfida è immensa. Molti di questi paesi sono già economicamente in crisi, poiché risentono degli effetti del calo dei prezzi e del volume delle esportazioni di materie prime. Il prezzo del cacao è sceso del 12% quello del cotone del 22%, quello del rame del 21%.
Il crollo dei prezzi del petrolio, più del 50%, è un grave colpo per i paesi produttori. Le risorse legate al turismo precipitano. Il continente subisce anche i danni dei flussi in uscita di capitali. I numeri sono senza precedenti: gli investitori hanno già ritirato 83 miliardi di dollari dai paesi emergenti per riportarli nei paesi ricchi. "Questa pandemia avrà ripercussioni economiche notevoli in Africa subsahariana", prevede il Fmi. Stando ai calcoli della società di consulenza strategica americana McKinsey, la crescita del Pil del continente potrebbe perdere da 3 a 8 punti percentuali.
Secondo la Commissione dell'Unione Africana (AU), circa 20 milioni di posti di lavoro sono a rischio. Per mitigare lo shock, la Nigeria e l'Etiopia hanno iniettato denaro nelle loro economie. Altri paesi, come il Burkina Faso e la Costa d'Avorio, hanno rinviato gli oneri fiscali delle imprese. La Tunisia ha sospeso il pagamento dei crediti bancari per le famiglie più modeste e creato un fondo di sostegno alle aziende. Ma il margine di manovra per alcuni paesi è minimo. Il Benin ha già comunicato di non avere le risorse per gestire un lockdown né il dopo crisi. "Non avendo la sovranità monetaria, molti stati africani non possono scavare nel loro deficit come fanno i paesi ricchi - osserva l'economista senegalese Ndongo Samba Sylla - Devono quindi rivedere il proprio bilancio e sperare nei prestiti della comunità internazionale". Di qui i numerosi appelli a sospendere i pagamenti ai creditori. E' l'opzioni "più immediata per permettere ai paesi africani di conservare loquidità", ha detto Tim Jones della British Jubilee Debt Campaign. Il debito incide pesantemente sui bilanci nazionali: negli ultimi anni diversi paesi hanno contratto debiti importanti, e a volte in modo incauto, in particolare emettendo degli "eurobond". Il debito in Africa subsahariana è passato da 236 miliardi di dollari nel 2008 a 583 miliardi nel 2018, secondo la Banca mondiale. Il debito pubblico medio è cresciuto dal 40% al 59% del Pil. Per alcuni Stati i pagamenti a servizio del debito rappresentano più del 25% dei rispettivi introiti (42% per l'Angola, 39,1% per il Ghana).
La grande maggioranza dei paesi spende più per il debito che per la sanità. Il Camerun, per esempio, spende il 23,8% delle sue entrate a servizio del debito e 6,9% per la sanità, secondo Jubilee Debt Campaign. Quest'anno il continente dovrebbe pagare 44 miliardi di dollari di interessi ai suoi creditori esteri. "I partner per lo sviluppo dovranno prendere in considerazione un alleggerimento del debito e una sospensione dei pagamenti degli interessi su un periodo da due a tre anni", hanno affermato i ministri delle finanze africani, per i quali serve un piano di rilancio da 100 miliardi di euro, di cui 44 miliardi per la riduzione del debito. Il loro appello è sostenuto dalla Conferenza delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo (Unctad) che chiede "il gelo immediato dei pagamenti del debito sovrano" dei paesi in via di sviluppo.
"La cancellazione del debito senza condizioni sarebbe la soluzione ideale. Ma i creditori si opporranno", afferma Ndongo Samba Sylla.

Il debito dell'Africa è attualmente detenuto per circa il 35% da istituzioni multilaterali come il Fmi, per il 20% dalla Cina e per il 32% da privati, tra cui banche, società di commercio di materie prime e società di gestione degli attivi. Nel 2018, il 55% dei pagamenti di interessi esterni era dovuto a creditori privati, il 28% ai bilaterali e il 17% ai multilaterali, secondo lo Jubilee Debt Compaign. Negli anni '90 e 2000 la situazione era diversa, poiché il debito era principalmente pubblico e dovuto ai paesi occidentali e alle istituzioni finanziarie internazionali. "Date le difficoltà dei paesi  più avanzati e del profilo diverso dei creditori degli ultimi 10 anni, è improbabile che i creditori privati rinuncino a recuperare i loro crediti. La priorità degli occidentali  - analizza l'economista camerunense Eugène Nyambal, ex dirigente del Fmi - è proteggere le loro istituzioni finanziarie, i loro mercati finanziari, il settore privato".
La cancellazione del debito appare appare difficile da realizzare per la Banca Mondiale, che ha accesso ai mercati finanziari. Ecco perché la moratoria sul pagamento del debito pubblico estero appare a questo stadio la soluzione più probabile. I paesi del G20 potrebbero annunciare un accordo in questo senso nelle prossime ore (l'accordo "per una sospensione temporanea dei pagamenti a servizio del debito per i paesi più poveri", è stato del resto siglato il 15 aprile scorso dai ministri delle finanze del G20, a cui ha aderito il Club di Parigi. Il G20 ha invitato a partecipare a questa operazione anche altri creditori privati. Lo stop dei pagamenti inizierà il primo maggio e riguarda 76 paesi, di cui 40 dell'Africa subsaharia, n.d.t).





Non essendo disposti a cancellare i debiti, il Fmi e la Banca mondiale hanno scelto la stessa soluzione e lanciato un appello il 25 marzo a "tutti i creditori bilaterali ufficiali di sospendere i rimborsi del debito reclamati" ai paesi a basso reddito "che chiedono una proroga". Il Fmi ha potenziato un fondo fiduciario che dovrebbe consentire agli Stati più poveri di rimborsare parte dei loro debiti. Un fondo che non è costituito a partire dal suo capitale, ma è alimentato dai doni dei paesi ricchi. Il denaro che il Fmi ha raccolto negli ultimi giorni per alimentare quel fondo gli ha permesso di annunciare il 13 aprile, in pompa magna, la concessione a 25 paesi, di cui 19 africani, di uno sgravio del debito per 6 mesi per un totale di 215 milioni di dollari. Una misura che di fatto non gli costa nulla e che è stata ritenuta insufficiente dalle Ong e dagli economisti. "Il Fmi ha riserve per 27 miliardi di dollari e 135 miliardi di dollari in oro. Può permettersi di annullare altri debiti ed è il momento di farlo", ha insistito la Jubilee Debt Compaign.

Per compilare la lista dei 25 paesi beneficiari, il Fmi si è basato esclusivamente sul reddito lordo pro capite e non sulla vulnerabilità del debito, né sull'esposizione a shock esogeni come il calo dei prezzi delle materie prime. D'altro canto le istituzioni finanziarie internazionali spalancano le porte a nuovi prestiti. Il Fmi ha messo a disposizione 50 miliardi di dollari per i paesi a basso reddito e paesi emergenti. Da qualche giorno ha moltiplicato le erogazioni: ha già concesso  prestiti a Gabon, Ghana, Madagascar, Ruanda, Senegal, Tunisia, Togo. I beneficiari sono tenuti a attuare delle riforme per "favorire la ripresa", ha avvertito la Banca mondiale, confermando la sua vocazione liberale. "Il Fmi e la Banca mondiale stanno aumentando il volume del debito", denuncia Eugène Nyambal. Ciò non deve sorprendere: "Prima della crisi finanziaria del 2008, che ha contribuito a ripristinare la salute finanziaria del Fmi, l'istituzione ha vissuto una crisi senza precedenti quando i paesi emergenti, invece di rivolgersi a lei, hanno contratto prestiti sui mercati finanziari. Ne era seguita una perdita di profitti importante per il Fmi, che fu costretto a licenziare un centinaio di persone. Da allora, il Fondo monetario internazionale ha modificato i suoi strumenti per massimizzare il suo volume di prestiti, anche tra i paesi più poveri. E' pronto a qualsiasi mossa pur di garantirsi un volume di crediti sufficienti ad assicurarsi, con gli interessi, benefici tali da coprire le sue spese di funzionamento per i prossimi vent'anni".
L'economista confronta l'ammontare della cancellazione del debito annunciata il 13 aprile dal Fmi per 25 paesi, cioè 215 milioni di dollari (8,6 milioni in media a paese), con quello del "credito d'emergenza" concesso lo stesso giorno al Senegal, 442 milioni di dollari che vanno incrementare il debito già elevato del paese. Nyambal teme che la priorità attuale, quella di ridurre il debito dei paesi poveri, venga occultata da questo tipo di annunci clamorosi.
Per molti paesi africani e non solo si prepara dunque un futuro di debiti e di piani strutturati lacrime e sangue. Eppure un'alternativa per evitare loro di scavare ancora di più il debito e di ritrovarsi ancora più prigionieri del Fmi esiste: riorganizzare la spesa pubblica e il portafoglio dei debiti già esistenti con i principali finanziatori, per poter riorientare i crediti sulla priorità attuale, la lotta contro il Covid-19.
(Fonte.:mediapart)
Bob Fabiani
Link
-www.mediapart.fr      

domenica 26 aprile 2020

Cinismo, dilettantismo e disprezzo della vita altrui dei leader sovranisti al tempo del #Coronavirus






Raramente la storia del cosiddetto mondo civilizzato ha portato alla ribalta personaggi del tutto inadeguati a ricoprire il "ponte di comando" dei loro paesi. Da qualche anno a questa parte, con la crisi irreversibile della qualità della democrazia, hanno raggiunto il Potere dei veri e propri dilettanti. Personaggi da "circo", "macchiette" che si sono ritrovati, dall'oggi al domani, in ruoli delicati. Alcuni di questi pseudo-leader si sono ritrovati a guidare addirittura superpotenze come gli Stati Uniti oppure, in America Latina, il più grande paese del Sud: il Brasile.

Mentre il mondo alle prese con la più grande crisi sanitaria - il Covid-19 - questi leader sembrano non capire mai quando sarebbe il caso di non cadere nella tentazione a sparare panzane sempre più eclatanti magari scritte (come nel caso di #TheDonald via Twitter almeno fino all'inizio della pandemia dato che per il tycoon; è troppo irresistibile non partecipare al "rito della conferenza stampa" quotidiana) oppure, in diretta televisiva; almeno non in un momento così drammatico.

Il virus ha preso di contropiede tutti i grandi paesi nessuno escluso. Nel caso poi, dei sovranisti, gli americani e i brasiliani (ma al gioco al massacro non sono esenti altri popoli sparsi nel globo terrestre...dall'Europa passando per l'Africa; n.d.t) hanno dovuto anche subire il "teatrino del negazionismo".

Quando il Covid-19 aveva iniziato a colpire altri paesi (oltre la Cina dove tutto è iniziato) questi leader che racchiudono in essi un misto di cinismo, dilettantismo e disprezzo verso la vita altrui erano impegnati - praticamente su tutto l'arco delle ventiquattro ore - a urlare il dissenso e a negare l'esistenza della gravità del coronavirus.

"Cosa volete che sia, sarà una semplice influenza".

Questa dichiarazione sia Trump sia Bolsonaro l'avevano scelta come un vero tratto di distinzione verso i loro colleghi europei che avevano già iniziato a fare i conti con l'epidemia.
Un paio di mesi dopo, sia gli USA che il Brasile risultano duramente colpiti dal virus. Gli Stati Uniti sono addirittura i più contagiati - l'ultimo bollettino aggiornato al 26 aprile parla di 925.551 casi - con migliaia di decessi e, il Brasile, dal canto suo, è il gigante sudamericano più duramente colpito dal Covid-19 con 57.382 casi di contagi e decessi in aumento.

Da cosa deriva questo disprezzo che questi leader non si sforzano neanche di nascondere agli occhi dei loro connazionali?

Non può essere certamente un caso e neppure si può credere che i Trump, i Bolsonaro, gli Orban e i Johnson (tralasciando naturalmente altri sovranisti-razzisti minori ma altrettanto disumani come nel caso dell'Italia, dei Paesi Bassi etc.) siano mal consigliati. Questi pseudo-leader non accettano né consigli e neppure qualcuno che prova a farli ragionare. Nel momento in cui sono contraddetti oppure ripresi dai collaboratori dei loro esecutivi, passano alle "vie di fatto": rimuovendo chi si permette di criticarli. Trump da quando è diventato presidente degli Stati Uniti ha fatto e disfatto, almeno una ventina di volte la sua amministrazione e Bolsonaro, nelle ultime settimane, ha cacciato due ministri (sanità e giustizia; n.d.t) e il direttore della Polizia Federale.

Quello che preoccupa - in tutto il mondo compresa l'Africa - è la strada intrapresa da governi e capi di Stato a causa della pandemia: nella lotta al contrasto al virus è iniziata una sfrenata rincorsa all'uso dello Stato d'emergenza  - ufficialmente - a scopo sanitario ma, nella realtà, i leader sembrano orientati a ridurre le libertà personali dei cittadini. Il dramma è che questo virus, di cui gli scienziati poco sanno (almeno fino a questo momento); si combatte con il distanziamento sociale e il lockdown: da un giorno all'altro, l'intero globo e i cittadini che lo abitano sono stati costretti a stare chiusi in casa e, oltretutto, il coronavirus ha fatto emergere il dramma del disastro dello smantellamento del sistema sanitario pubblico (Europa) mentre, condanna senza appello gli Stati Uniti che si sono sempre votati alla sanità privata.

Ma non tutti hanno la possibilità di avere un tetto sopra la testa. Non tutti hanno la possibilità di poter far fronte al sostentamento personale e delle loro famiglie, in America come in Africa, in Asia come in Europa e in America Latina.

Un dramma nel dramma.

Eppure questi leader assolutamente impreparati a un scenario così estremo non hanno lo straccio di una strategia.

Negli ultimi giorni, Trump ha superato se stesso nello scempio delle sue uscite grottesche, in un tragico gioco urlato, in quello che è il suo sport preferito: "spararla sempre più grossa".  Il presidente degli Stati Uniti con oltre 29mila decessi se ne è uscito con questa soluzione: "Mettevi sotto la luce solare oppure iniettatevi disinfettante nel corpo". E poi ha concluso "Il disinfettante fa sparire il virus in un minuto. C'è un modo in cui possiamo farne iniezioni nel corpo".

Il giorno seguente, scienziati, medici e virologi  statunitensi sono dovuti intervenire con appelli e comunicati allarmati, per far capire agli americani di "non fare assolutamente ciò che ha detto il presidente".

Qualche giorno prima, smanioso di riaprire le attività - anche per la spaventosa cifra di nuovi disoccupati che hanno toccato quote mai raggiunte prima -, Trump si è messo alla testa di coloro che sono scesi in strada per protestare contro il distanziamento sociale. In realtà, lo stesso #TheDonald è ossessionato dalla paura di perdere le elezioni del prossimo novembre. Senza neanche avere la certezza che si possano fare realmente, dal momento che, gli stessi scienziati americani hanno già lanciato l'allarme per la "seconda ondata di contagi" a partire da ottobre; il tycoon è già lanciato nella campagna elettorale e quindi, da qui, nasce il ragionamento di "riaprire tutto a ogni costo bisogna far ripartire l'economia". Invece di chiedere scusa agli americani per il suo modo discutibile di affrontare la pandemia, continua nel sua opera di distruzione.

Il suo omologo brasiliano più o meno si è distinto con le stesse dichiarazioni: "Quale virus e pandemia è una banale influenza", qualche giorno prima della clamorosa uscita del "dottor Donald Trump" , Bolsonaro ha addirittura invocato il golpe per far tornare i brasiliani al lavoro.

Questo è il tenore dei leader che si ritrovano a gestire una crisi globale e non sanno trovare soluzioni.

Ma in Africa non sono certo da meno, pur con alcuni decisivi distinguo: il continente non possiede risorse e strutture ospedaliere tali da poter contenere il dilagare del virus: tuttavia, in paesi come Kenya, Nigeria e Sudafrica si sono già registrati gravi abusi di potere da parte delle forze dell'ordine. Il problema più grande è che nelle megalopoli africane è praticamente impossibile far rispettare il distanziamento sociale e, spesso e volentieri, gli agenti e i militari usano la forza contro i cittadini e si temono anche rivolte sociali.
(Fonte.:nyt;theatlantic;jeuneafrique)
Bob Fabiani
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-www.nytimes.com
-www.theatlantic.com
-www.jeuneafrique.com
  




sabato 25 aprile 2020

News For Africa n°10 (il Continente informa)






Consueto appuntamento con le "notizie" della settimana dal Continente, in questo numero:


  • Somalia, Jihad africana a congresso
  • Senegal, il Franco africano non brucia più
  • La Regina Nina
  • Africa, tensioni con la Cina
  • Sudafrica, in difesa dei cittadini
  • Angola, addio a Sarah Maldoror "pioniera" del cinema panafricano
  • Coronavirus, raggiunti oltre 28 mila contagi nel Continente
  • Tunisia, poteri speciali per due mesi
  • Libia, la pandemia non ferma la guerra civile tra al Sarraj e Haftar





-Somalia, Jihad africana a congresso



Cinque giorni di seminari con centinaia di "saggi" in una sala finemente ornata, barbe rosse per l'henné, copricapi tribali, risoluzioni in 15 punti e pure una fatwa.
Appuntamento senza precedenti per Al Shabaab, il gruppo islamista della Somalia affiliato ad Al Qaeda. Il convegno, intitolato "Forum concultivo sulla jihad in Africa orientale", è stato occasione per il fare il punto sulle "difficoltà dei musulmani sul terreno politico, economico, sanitario e dell'istruzione".
In primo piano la denuncia delle elezioni previste in Somalia a dicembre, le prime a suffraggio universale (non più decise dunque dagli anziani capi dei clan), definite una farsa voluta dai "crociati" stranieri e dal governo "collaborazionista" di Mogadiscio.
La fatwa è diretta contro gli invasori dell'Etiopia e del Kenya, parte di una missione di peacekeeping dell'Unione Africana (AU), e pure contro gli americani: quest'anno i raid USA con droni hanno già colpito più di 30 volta, causando secondo Amnesty anche una ventina di vittime civili.
La radio somala Garowe ha definito il Forum una scommessa propagandistica in un periodo difficile per i ribelli. Non solo per la perdita di Janaale, città strategica del Sud, ma anche per gli scontri interni. Ahmed Omar, capo di Al-Shabaab, ha espulso due comandanti non in linea sugli attentati a Mogadiscio. Uno degli ultimi, a dicembre, ha causato 90 morti.
(fonte.:jeuneafrique;amnesty)

-Senegal, il Franco Africano non brucia più






Il franco-beninese Kémi Séba, oppositore della dipendenza da Parigi della valuta del franco africano è atteso lunedì in tribunale a Dakar per rispondere del gesto di tre estati fa, quando bruciò pubblicamente una banconota da 5 mila franchi Cfa.
Il franco africano quest'anno cambierà nome e sarà meno dipendente da Parigi.
(fonte.:afp)


-La Regina Nera

Nina Simone diceva di essere la reincarnazione di una regina nubiana. Non era difficile crederle. In "Fodder on My Wings" (1982) c'è la narrazione della solitudine del suo esilio a Parigi.
Si tratta di un Album raro, ora ristampato dalla Verve - storica etichetta jazz - con all'interno una nuova cover.
(fonte.:nytimes)


-Africa, tensioni con la Cina







La pandemia mette a dura prova i rapporti tra Cina e Africa. I tentativi di Pechino di ampliare la sua influenza nel continente inviando medici e mascherine si sono scontrati con i recenti episodi di razzismo contro gli africani in Cina.
Le immagini di nigeriani sfrattati e lasciati in mezzo alla strada a Guangzhou perché non rispettavano l'isolamento hanno turbato i leader africani che per una volta, sottolinea East African, hanno fatto fronte comune, rompendo una tradizione basata sugli accordi bilaterali. Hanno inoltre convocato gli ambasciatori cinesi e inviato una lettera di protesta attraverso l'Unione Africana (AU).
"E' finita la luna di miele tra Cina e Africa. E la solidarietà interafricana potrebbe diventare un problema per Pechino".
(fonte.:eastafrican)




-Sudafrica, in difesa dei cittadini






"Siamo un gruppo di giornalisti di tutto il continente africano. Non sappiamo eseguire test clinici né attaccare un respiratore. Ma abbiamo un compito importante: tenervi informati. E controllare l'operato dei nostri leader", si legge nell'editoriale di The Continent, una nuova pubblicazione legata al settimanale sudafricano Mail & Guardian, pensata per essere letta sui telefonini e condivisa su Whatsapp e Facebook.
"Mai come in questo momento c'è bisogno di un'informazione accurata e approfondita e costante. Le società sono minacciate sotto vari aspetti: il virus cambierà i nostri stili di vita e i governi stanno prendendo decisioni che avranno effetti sulle generazioni future". Il 21 aprile, nel presentare il suo rapporto annuale, l'ong Reporters sans frontières ha sottolineato che la pandemia mette ancora più a rischio la libertà di stampa, e che alcuni regimi hanno approfittato della situazione per rafforzare il controllo sui mezzi d'informazione. Anche il democratico Sudafrica, per contrastare la disinformazione, punisce la diffusione di notizie false sul Covid-19. Ma la scelta è stata criticata perché potrebbe indebolire la libertà d'espressione.
(fonte.:thecontinent)


-Angola, addio a Sarah Madoror la "pioniera" del cinema Panafricano

Si è spenta il 13 aprile 2020 a Parigi, Sarah Madoror, la "guerriera con la macchina da presa, pioniera del cinema Panafricano, narratrice, unica, dell'indipendenza. Vittima della drammatica epidemia da Covid-19 era solita dire: "Le donne africane devono essere presenti ovunque, nelle immagini, dietro alla macchina da presa, in sala di montaggio, in ognuno dei passaggi che determinano la produzione di un film. Devono essere le sole a parlare dei loro problemi".
Aveva dedicato tutta la vita al suo cinema infarcito di immagini e lotta al colonialismo.
Era nata nel 1929 a Condom, in Francia, da madre francese e padre della Guadalupe. Nel 1956 fonda Les Griots, la prima compagnia teatrale in Francia di attori africani e afro-caraibici. Qualche anno più tardi - era il 1966 - si ritrova sul set di "La battaglia di Algeri", come assistente di Gillo Pontecorvo.
Tre anni dopo, nel 1969 realizza il corto "Monangambée". Ma la data storica è quella del 1972: gira "Sambizanga", il suo esordio e il primo film diretto da una donna africana che segna l'inizio della storia del cinema angolano. Ha firmato film e documentari tra Capo Verde la Guinea, la Francia e si è cimentata a dirigere lavori dedicati a ritratti di artisti - come quello dedicato a Léon Gontran Damas sulla memoria caraibica, le estetiche, la militanza, a Aimé Césaire, Assia Djebar, René Depestre, Louis Aragon, Toto Bissainthe, Archie Sheep - e a schierarsi contro l'intolleranza e i pregiudizi.
Nel 1981 "Un dessert pour Costance" narra le esistenze dei lavoratori africani emigrati: aveva la convinzione e la meravigliosa utopia che il cinema può contribuire a cambiare il mondo. Combattiva fino all'ultimo - come solo le donne africane sanno essere -, con lo sguardo fermo sotto la chioma di ricci ancora crespi ancorché bianchi di un candore assoluto. Come diceva di lei Aimé Césaire nelle paroile che le aveva dedicato  - e che le figlie hanno pubblicato nell'annuncio della sua morte: "A Sarah Maldo' che con la macchina da presa in mano lottava contro l'oppressione, l'alienazione, e sfidava la stupidità umana".
(fonte.:liberation)


Coronavirus, in Africa i contagi sono oltre 28 mila





Mentre l'OMS è impegnata nella ricerca, a livello globale della messa a punto di un vaccino per sconfiggere il Covid-19, in Africa l'epidemia avanza spedita. Il dato ufficiale di oggi, 15 aprile 2020 parla di oltre 28 mila contagi: 28,994 - scrive nel report l'Unione Africana mentre i decessi sono 1,331.
La situazione negli stati africani è la seguente:
Sudafrica 4.220 Egitto 4.092 Marocco 3.692 Algeria 3.127 Camerun 1.430 Ghana 1.279 Nigeria 1.095 Costa d'Avorio 1.007 Gibuti 999 Guinea 954 Tunisia 918 Niger 681 Burkina Faso 616 Senegal 545 RDC 394 Kenya 336 Mauritius 331 Somalia 328 Mali 309 Tanzania 284 Congo 186 Sudan 174 Gabon 167 Ruanda 154 Madagascar 122 Etiopia 117 Liberia 117 Maldive 116 Togo 90 Capo Verde 88 Guinea Equatoriale 84 Zambia 84 Sierra Leone 82 Uganda 74 Mozambico 65 Libia 60 Benin 54 Guinea Bissau 50 Ciad 40 Eritrea 39 Eswatini 36 Malawi 33 Zimbabwe 29 Angola 25 Botswana 22 Namibia 16 Rep.Centrafricana 16 Burundi 12 Seychelles 11 Gambia 10 Sao Tomé&Principe 8 Mauritania 7 Sahara Occidentale 6 Sud Sudan
(fonte.:au.int)


-Tunisia, poteri speciali per due mesi




Il governo di Elyes Fakhfakh godrà di poteri speciali fino a giugno. Dopo un braccio di ferro con il premier, l'Assemblea dei rappresentanti del popolo ha infatti dato il via libera all'applicazione dell'articolo 70 della Costituzione, che permette all'esecutivo di emanare decreti legge per un massimo di due mesi e in virtù di una situazione di urgenza (come quella della crisi sanitaria globale attuale).
(fonte.:jeuneafrique)


-Libia, la pandemia da Covid-19 non ferma la guerra civile tra al Sarraj e Haftar






La Libia nelle ultime ore ha raggiunto i 60 casi di coronavirus, come emerge dai dato forniti dal Centro nazionale per il controllo delle malattie. Tuttavia, a preoccupare è la situazione di conflitto che non retrocede neppure dinanzi alla pandemia.
In Libia la tregua non c'è mai stata, come evidenzia l'inviata delle Nazioni Unite, l'americana Stephanie Williams: "Non la si può davvero definire una tregua, né un cessate il fuoco", ha detto ai giornalisti via web. Dall'accordo negoziato a metà gennaio fra il governo di Tripoli guidato da al Sarraj e le forze avverse del generale Haftar, ci sono state 850 violazioni, 70 nell'ultima settimana. In questo contesto il coronavirus non ha fatto alcuna differenza, ha aggiunto la Wlliams, definendo "molto, molto preoccupanti" le notizie sul presunto uso di armi chimiche e denunciando la continua violazione da parte di alcuni paesi all'embargo sulle armi.
La battaglia da alcuni giorni si è spostata a Tarhuna: l'emittente Libya al-Ahrar, vicina al governo di accordo nazionale di Sarraj, sostiene che Haftar ha tentato di avanzare, ma è stato respinto.
(fonte.:lemonde)
Bob Fabiani
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-https://africalandilmionuovoblog.blogspot.com/news-for-africa       


        

venerdì 24 aprile 2020

La strategia dell'OMS per fermare il Covid-19 in Africa






L'Africa si prepara a "scenari in linea con altri continenti": è questa la preoccupazione più urgente sui tavoli di tutti i governi africani. A fronte di economie informali - come del resto sono quelle del continente - le persone escono di casa per sopravvivere. Lo spiega Ahmed Ogwel Ouma, vice-direttore del Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie (Africa-Cdc), illustrando la strategia con cui l'OMS spera di fermare la diffusione del coronavirus: "Il primo obiettivo è fare più test".

Intanto, è iniziato un forte dibattito tra i governi per capire quali misure possano essere efficaci, senza favorire le tensioni sociali.

"L'Africa potrebbe essere il prossimo epicentro dell'epidemia di coronavirus  - avverte l'Organizzazione mondiale della sanità in un report redatto sabato scorso - . Nei prossimi sei mesi ci potrebbero oltre 10 milioni di contagiati e potrebbero morire, secondo le stime, 300mila persone con altri 30 milioni di africani a rischio povertà per la crisi economica".

In dieci giorni il numero dei contagiati è passato da 10 a 26mila persone, con poco più di 1.200 decessi e oltre 7mila guariti.


-L'avvertimento OMS

L'Organizzazione mondiale della sanità ha lanciato l'avvertimento: il Covid-19 potrebbe avere un impatto "devastante" sull'Africa.

"La pandemia - spiega Ahmed Ogwel Ouma (Africa-Cdc, organismo preposto dall'OMS al contrasto del virus nel continente africano) - si espande gradualmente e in maniera irregolare da un paese all'altro, ma molto più lentamente che in Europa, negli Stati Uniti o in Cina. La trasmissione del virus è stata più veloce in paesi come Egitto, Marocco, Algeria e Tunisia, a causa della vicinanza e dei maggiori contatti con il continente europeo. Meno colpiti, a eccezione del Sudafrica, e i paesi dell'Africa centrale e meridionale. Tuttavia, però, alcuni dati risultano falsati a causa del numero di test ancora sufficienti, sopratutto nella fascia sub-sahariana. In questo momento però possiamo ancora contenere il contagio, grazie alle misure prese dai diversi paesi".


-La preoccupazione dei virologi

Secondo numerosi virologi si teme un tasso di mortalità maggiore del 10%, anche se attualmente le stime indicano una percentuale più bassa.

"Il fattore che determina questa situazione è legata sopratutto alle numerose differenze all'interno dei 55 paesi del continente. Si può, però, affermare che in molti paesi abbiamo avuto pochi contagi e siamo riusciti a contenere anche i decessi, mentre in altri, dove la pandemia ha avuto un impatto simile all'Europa, i decessi sono in media con le stime dei virologi. Stiamo supportando tutti i paesi nell'aumentare le capacità di fare tamponi e di adottare tutte le misure di contrasto - dall'uso di mascherine, al distanziamento sociale fino all'utilizzo del lockdown  - anche se ci stiamo preparando a scenari peggiori, in linea comunque con gli altri continenti. In base alle nostre ricerche possiamo affermare che non ci risulta una maggiore resistenza della popolazione africana al virus o una minore incidenza legata all'età anagrafica, visto che abbiamo avuto numerosi contagi e decessi di persone di ogni età, in tutto il continente".


-Previsione del picco dell'epidemia secondo il Cdc

"Non è possibile prevederlo, ma le prossime 4 settimane saranno fondamentali per comprendere meglio l'andamento dell'epidemia, che attualmente è costante. Quello che stiamo cercando di fare con tutti i mezzi di contrasto è, infatti, evitare un aumento esponenziale dei contagi, più difficili da gestire e con una maggiore incidenza di decessi, cercando al contrario di mantenere una "curva piatta" o un "andamento controllato" del contagio. La nostra principale strategia riguarda l'aumento progressivo di test per avere una maggiore tracciabilità. Prevediamo di fare 1 milione di test nelle prossime 4 settimane e oltre 10 milioni nei prossimi 6 mesi in tutti i paesi del continente. Questo è l'unico strumento, con i mezzi che abbiamo, per contrastare il contagio".

-Coordinamento panafricano dei ministri della sanità africani con OMS e Cdc per la gestione della pandemia

"Esiste una reale strategia di contrasto al virus e grazie alla nostra supervisione è stata creata una task-force medico-scientifica di ricerca. La strategia si articola in queste 4 fasi: coordinamento, collaborazione, cooperazione e comunicazione tra i diversi stati. Il comune coordinamento è servito anche a sopperire alla carenza globale dei dispositivi di protezione o cura (mascherine, respiratori) in maniera da rendere i vari paesi maggiormente autonomi. La migliore maniera di sostenerli è stata quella di fornire loro il know-how per ottenere tutto il materiale medico e di protezione che serviva, garantendo un certo livello di qualità. Le nostre ricerche, invece, puntano a valutare alcune medicine che possano alleviare gli effetti del virus, ma sopratutto alla produzione di test che siano rapidi e con risultati certi".

-Il grande problema del distanziamento sociale nelle megalopoli come Lagos o il Cairo

"Il lockdown risulta difficile da applicare in molte realtà del nostro continente, proprio perché esiste un'economia "informale" e le persone escono per la necessità di guadagnarsi da vivere, per mangiare. C'è un forte dibattito tra i diversi governi proprio per comprendere quali misure possano essere efficaci, senza favorire o aumentare le tensioni sociali. Abbiamo consigliato di utilizzare un giusto mix tra tutte le misure di contrasto, anche se la migliore strategia per favorire la ripresa delle attività economiche e isolare più rapidamente le persone contagiate è quella dell'uso massiccio di test. Già nelle prossime settimane proveremo ad adottarla nei paesi, circa una trentina, che hanno avuto pochi casi, in modo da capire se è questa la via per evitare che la pandemia si diffonda maggiormente in Africa".
(Fonte.:ilmanifesto)
Bob Fabiani
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-www.ilmanifesto.it  


giovedì 23 aprile 2020

L'ONU lancia l'allarme:"In Africa si rischia la catastrofe e il 'post-epidemia' causerà carestie bibliche"









Mentre la pandemia in Africa i contagi raggiungono i 25,320 e, i decessi 1,255 l'ONU torna a lanciare un monito che fa tremare i polsi di tutti i governi africani dal momento che il picco del Covid-19 è previsto nel mese di giugno: "nel continente si rischia la catastrofe" prevedendo 3 milioni di morti.


-Post- epidemia: "Carestie bibliche"

Il mondo è a rischio di carestie diffuse "di proporzioni bibliche causate dalla pandemia". A lanciare l'allarme è l'Organizzazione delle Nazioni Unite.
David Beasley, capo del World Food Programme (Wfp), ha chiesto a tutti i paesi di prendere misure urgenti per evitare una catastrofe.

Il rapporto ONU stima che il numero di persone che soffrono la fame potrebbe passare da 15 milioni a oltre 250 milioni.
Quelli più a rischio sono nei 10 paesi colpiti da conflitti, crisi economiche e cambiamenti climatici: Yemen, Repubblica Democratica del Congo, Afghanistan, Venezuela, Etiopia, Sud Sudan, Siria, Nigeria e Haiti.

Nel Sudan meridionale, il 61% della popolazione è stata colpita dalla crisi alimentare lo scorso anno e anche prima del colpo di pandemia, in Africa orientale e in Asia meridionale si stavano già affrontando gravi carenze alimentari.

Come se tutto questo non bastasse, nel Corno d'Africa e nel Medio Oriente, milioni di persone devono anche fare i conti con la drammatica invasione di locuste che rischia di ridurre alla fame altri milioni di persone, conclude l'ONU.
(Fonte.:un.org;lapresse)
Bob Fabiani
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-https://www.un.org
-www.lapresse.it

mercoledì 22 aprile 2020

L'Africa schiacciata dalla pandemia e dal "contagio cinese"






Nel giorno in cui si celebra il 50° anniversario della Giornata mondiale della Terra, l'Africa, si interroga quale futuro avrà di fronte dopo la drammatica epidemia da coronavirus.
La situazione è in continuo e costante peggioramento: i casi di contagio sono arrivati a 24,137 e i decessi 1,171. Il continente rischia di pagare un conto molto salato. Nel 2019 il numero delle persone uscite dalla povertà era aumentato: l'epidemia rischia di vanificare tutto.
Come se tutto questo non bastasse, Pechino - il principale partner commerciale - sta annullando gli ordini delle materie prime. In tutta l'Africa iniziano a scarseggiare i prodotti "made in China" che sostengono il piccolo ma fondamentale commercio locale in Kenya, Nigeria e nel resto del continente.


-Emergenza africana*

Come dappertutto, più o meno nelle ultime tre settimane in molte capitali africane è emersa una tendenza comune.
Chi aveva prenotato viaggi, per lavoro o per svago annulla i voli; le aziende chiedono ai lavoratori di rimanere a casa e, in alcuni casi, riducono i contratti di lavoro.

E' in atto una crisi sanitaria globale, che in apparenza ha colpito meno l'Africa meno che la Cina e i Paesi del Nord, si sta trasformando per questo continente e per molte altre nazioni a medio e basso reddito in una crisi sociale ed economica.

L'economia africana è stata "contagiata".

La perdita di reddito, causata da una pandemia come quella del Covid-19, può tradursi rapidamente in picchi di povertà, in cibo carente per i bambini, in un limitato accesso a servizi fondamentali per l'esistenza, come l'assistenza sanitaria, l'acqua e la casa.
Sul versante della domanda, le conseguenze più immediate per l'Africa, in seguito all'impatto economico del Covid-19, riguardano il commercio. Ne ha subito risentito la domanda delle materie prime africane. Gli importatori cinesi stanno annullando gli ordinativi in seguito alla chiusura dei porti e in conseguenza della riduzione dei consumi in Cina. Oltre tre quarti delle esportazioni africane verso la Cina e verso il resto del mondo riguardano le risorse naturali: qualsiasi riduzione della si ripercuote sulle economie di gran parte del continente, dal momento che la principale fonte di valuta estera di alcuni paesi è costituita dalle loro esportazioni verso la Cina. Stati come l'Angola, la Repubblica Democratica del Congo, lo Zambia, lo Zimbabwe, la Nigeria e il Ghana sono significativamente messi a rischio del crollo delle esportazioni di materie prime industriali, come il petrolio, il ferro e il rame. I detentori di questi prodotti sono costretti a venderli altrove a un prezzo scontato. Adesso che il Covid-19 si è diffuso anche nei Paesi del nord, in particolare bloccando quelli europei - che per l'Africa sono partner commerciali essenziali -, gli Stati africani hanno subito un secondo contraccolpo.

Sul versante dell'offerta, un rapido sguardo alle importazioni africane rivela che i macchinari industriali, le manifatture e i mezzi di trasporto rappresentano oltre il 50% del fabbisogno combinato dell'Africa. Attualmente le importazioni dall'estero costituiscono più della metà del volume totale delle importazioni nei Paesi africani: i fornitori più importanti sono in Europa (35%), in Cina (16%) e nel resto dell'Asia, in particolare l'India (14%). Ne consegue che il lockdown causato dal Covid-19 porterà a una diminuzione della disponibilità di manufatti importati in Africa non soltanto dalla Cina, ma anche dall'Asia e dall'Europa. Sul versante della domanda, le esportazioni africane verso l'Europa si sono ridotte.
Lo Standard Newspaper, un quotidiano del Kenya, ha riferito che al 12 marzo le vendite di prodotti dal Kenya hanno subito una pesante battuta d'arresto dopo le improvvise cancellazioni dei voli: una di queste ha lasciato marcire dieci tonnellate di fiori.  Il giornale informava che quella singola spedizione valeva circa 12 milioni di scellini kenioti (120.000 dollari americani). Per il Kenya, dopo le rimesse in denaro, i fiori sono la più grande fonte di valuta estera, con un introito, lo scorso anno, di oltre 120 miliardi di scellini (1,2 miliardi di dollari).

In Africa l'impatto globale del virus si risolve in un contraccolpo diretto sulle economie locali, ovvero su quel bacino di microimprese che ne costituisce la componente più ampia, popolarmente nota come "settore informale". Le merci importate dalla Cina e rivendute da piccoli dettaglianti dominano i mercati informali africani. Nel continente, questo genere di attività è una fonte di sostentamento per molti.
Molti commercianti sono preoccupati del fatto che i prodotti provenienti dalla Cina, che già scarseggiano, presto si esauriranno completamente. "Potremmo riuscire a reperire le nostre forniture da altri paesi, per esempio da Dubai", ha detto Catherine Wachira, imprenditore di Nairobi. Ma alcuni prodotti non si possono trovare a prezzi ragionevoli né a Dubai né altrove.
L'imprenditrice di Nairobi va in Cina più volte all'anno per comprare apparecchi elettronici, cosmetici e prodotti di bellezza per capelli. Ora questo non è più possibile. "A Nairobi e in diverse città africane, le scorte di alcuni prodotti provenienti dalla Cina, compresi i generi alimentari, sono già state decimate, facendo lievitare i prezzi", ha affermato Waweru, presidente della Nairobi Traders Association. Scarseggiano sempre di più i prodotti elettronici. "E' molto difficile rimpiazzare i cinesi", ha osservato un imprenditore locale. Le piccole imprese nigeriane sono a loro volta tra le più colpite. Si dice che nessun paese africano consumi tante merci cinesi quanto la Nigeria.
Ma non è la sola, per esempio, anche dallo Zimbabwe arrivano racconti e testimonianze simili.

Le ripercussioni più gravi  - come detto - riguardano l'economia informale, che è la principale fonte di sostentamento per la maggior parte degli africani. Finora le analisi si sono per lo più concentrate sull'impatto della crisi sull'economia tradizionale: compagnie aeree, commercio, infrastrutture, energia, assicurazioni, industrie e così via. Ma in Africa l'economia informale è un enorme serbatoio di reddito. L'Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) stima nella percentuale del 41% del Pil la dimensione media dell'economia sommersa nell'Africa subsahariana. Essa va da meno del 30% in Sudafrica fino al 60% in Nigeria, Tanzania e Zimbabwe. Dà lavoro a moltissime persone. Rappresenta circa i tre quarti dell'occupazione non agricola e circa il 72% dell'occupazione totale subsahariana.

Questa situazione sta aggravando il problema della povertà in Africa. Oggi un africano su tre, cioè 422 milioni di persone, vive sotto la soglia globale di povertà. Desta preoccupazione anche il rischio che l'impatto economico di Covid-19 possa rapidamente invertire il corso dei progressi compiuti negli ultimi 10 anni nella lotta alla riduzione della povertà. Secondo  le proiezioni del World Data Lab, alla fine del 2019 il numero degli africani uscito dalla povertà estrema era cresciuto. Tuttavia il ritmo di questa tendenza era stato ritenuto ancora minimo. Le previsioni dicevano che sarebbe aumentato, ma con la crisi attuale la tendenza dovrebbe ridursi ulteriormente, se non invertirsi. Che cosa dovrebbero fare i paesi africani pere ridurre l'impatto economico del Covid-19? In primo luogo, affrontare la pandemia. Contenere la malattia è il primo passo per mitigarne non soltanto le conseguenze sulla salute, ma anche i riflessi economici. Le popolazioni devono essere sensibilizzate sul da farsi. Le immagini televisive del presidente Kagame che mostra come disinfettarsi le mani ne sono un ottimo esempio. Il fatto che la diffusione del virus in Africa sia ritardata e più lenta che altrove è una benedizione di cui i governanti africani dovrebbero approfittare. E' un dato positivo che la Banca mondiale abbia già messo a disposizione circa 12 miliardi di dollari, e che il Fondo monetario internazionale abbia stanziato un prestito di 50 miliardi. In secondo luogo, si dovrebbe rafforzare la rete del welfare. Pertanto i governi devono assicurarsi di approntare una rete di sicurezza economica: trasferimenti diretti di denaro, malattia retribuita, copertura sanitaria agevolata. E devono aggiungervi adeguati supporti per aiutare a sopravvivere i più vulnerabili e le piccole imprese messe in ginocchio dalla carenza di forniture provenienti dalla Cina. In terzo luogo, va promossa la raccolta dei dati. C'è chi ha suggerito di organizzare una raccolta di dati essenziali, come venne fatto durante l'epidemia di Ebola del 2014-15. In Sierra Leone e in Liberia i ricercatori utilizzarono inchieste telefoniche per raccogliere in tempo reale informazioni riguardanti le ripercussioni della malattia. Sarà possibile aiutare i più vulnerabili soltanto se l'acquisizione dei dati necessari riuscirà a quantificare attendibilmente gli effetti della pandemia.
*Charlie Chilufya è un padre gesuita zambiano membro della conferenza gesuita africana.
(Fonte.:civiltacattolica; standardmedia)
Bob Fabiani
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-www.civiltacattolica.it
-www.standardmedia.co.ke     

martedì 21 aprile 2020

Dossier Covid-19: Come sarà il 'dopo-pandemia'?







La pandemia di Covid-19 ha trasformato il mondo. Passeggiare con un amico è ormai impensabile tanto quanto rispettare le regole di bilancio europeo: il banale diventa l'eccezione; l'inimmaginabile, il quotidiano.
Mentre alcuni colgono l'occasione per fare dei buoni affari, altri si chiedono: salvare delle vite umane è un buon motivo per mettere a rischio il libero scambio?
Una domanda straziante aleggia nei pronto soccorso come nei salotti: il virus sarebbe stato altrettanto letale se le politiche di austerity non avessero smantellato la sanità pubblica?

Sono solo alcuni dei quesiti che milioni di cittadini  - in tutto il mondo - si pongono nelle lunghe giornate di confinamento sociale.

AfricaLand Storie e Culture africane continua le pubblicazioni sul coronavirus oggi, poniamo l'accento e la riflessione sul "dopo": che cosa dobbiamo aspettarci? Che cosa accadrà alle nostre vite? Quale democrazia verrà fuori dopo il lockdown e la drammatica crisi sanitaria globale?
(Bob Fabiani)


-Dossier Covid-19, E la vita cambiò*

Questo blog da alcune settimane sta cercando di allargare quanto più possibile la discussione e la riflessione che, una pandemia mondiale come quella che ha investito tutto il mondo e tutte le contrade, finanche la più sperduta; è necessario fare.
Proseguendo in questa direzione oggi ci concentriamo sulle cose da fare "fin da subito".

Quando questa tragedia sarà finita, ricomincerà tutto come prima? Per 30 anni, ogni crisi ha alimentato l'irragionevole speranza di un ritorno alla ragione, di una presa di coscienza, di una battuta d'arresto.  Abbiamo immaginato il rallentamento e poi l'inversione di una dinamica socio-politica di cui tutti avrebbero finalmente compreso le impasse  e le minacce (1).
Il crollo delle borse del 1987 avrebbe dovuto contenere il boom delle privatizzazioni; le crisi finanziarie del 1997 e del 2007-2008 avrebbero dovuto mettere in questione la globalizzazione felice.
Non è andata così.

Gli attacchi dell'11 settembre 2001 hanno a loro volta suscitato delle riflessioni critiche sulle hybris statunitense e delle domande sconsolate come "Perché ci odiano?". Neanche questo è durato. Il movimento delle idee, anche quando va nella giusta direzione, non è mai abbastanza forte da innescare un grande cambiamento. Devono entrare in gioco anche le mani. Ed è meglio allora non dipendere dai governanti responsabili della catastrofe, anche se questi piromani sanno come civettare e come fingere di essere cambiati per salvare il salvabile. Sopratutto quando è in gioco la loro stessa vita, oltre alla nostra.

La maggior parte di noi non ha vissuto direttamente guerre, colpi di stato militari o coprifuoco. Alla fine di marzo, però, quasi 3 miliardi di persone erano già confinate, spesso in condizioni estremamente difficili; per la maggior parte non si trattava di scrittori che guardavano la camelia in fiore fuori della loro casa di campagna.
Qualunque cosa accada nelle prossime settimane, la crisi del coronavirus sarà stata la prima angoscia planetaria della nostra vita: una cosa del genere non si dimentica. I politici sono costretti a tenere conto, almeno in parte.

L'Unione Europea ha appena annunciato la "sospensione generale" delle sue regole di bilancio; il presidente Emmanuel Macron sta rinviando una riforma delle pensioni che avrebbero penalizzato il personale ospedaliero; il Congresso degli Stati Uniti ha votato l'invio di un assegno alla maggior parte dei cittadini statunitensi e, in Italia, pur tra enormi difficoltà, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e l'esecutivo da lui guidato, a più riprese, hanno cercato di immettere denaro fresco per far fronte alla crisi sanitaria che poi si è trasformata in crisi economica.
Ma già poco più di un decennio fa, per salvare il loro sistema in difficoltà, i liberisti avevano acconsentito a un significativo aumento del debito, a uno stimolo fiscale, alla nazionalizzazione delle banche e al parziale ripristino del controllo sul capitale. Poi l'austerity ha permesso loro di riprendersi ciò che avevano lasciato andare nel salvataggio planetario.
E anche di fare qualche "passo avanti": i dipendenti, con l'aumento della precarietà, hanno lavorato di più e più a lungo; gli "investitori" e i redditieri hanno pagato meno tasse. A pagare il prezzo più alto per questa inversione di tendenza sono stati i greci, che in difficoltà finanziarie e a corto di farmaci, hanno visto il ritorno nei loro ospedali pubblici di malattie che pensavano scomparse per sempre.

Quello che all'inizio sembra far sperare in una conversione sulla via di Damasco può sfociare in una "strategia dello shock".
Nel 2001, subito dopo l'attacco al World Trade Center, la consigliera di un ministro britannico aveva scritto agli alti funzionari del suo ministero: "Questo è un ottimo momento per attuare tutte le misure di cui abbiamo bisogno senza dare nell'occhio".
In quel momento non stava pensando necessariamente alle continue restrizioni delle libertà civili che sarebbero state imposte con il pretesto della lotta al terrorismo o alla guerra in Iraq e agli innumerevoli disastri che questa decisione angloamericana avrebbe provocato. Ma una ventina di anni dopo, non bisogna essere un poeta o un profeta per immaginare la "strategia dello shock" che sta prendendo forma.

Corollario dello "stare a casa" e del "mantenere le distanze", la nostra vita sociale nel suo insieme rischia di essere sconvolta dalla digitalizzazione accelerata delle nostre società. L'emergenza sanitaria renderà ancora più pressante, o del tutto sorpassata, la questione se sia ancora possibile vivere senza internet(2).
Tutti devono già portare con sé dei documenti d'identità; presto un cellulare non solo sarà utile, ma sarà anche necessario a fini di controllo. E poiché le monete e le banconote sono una potenziale fonte di contaminazione, le carte di debito e di credito, divenute ormai una garanzia di salute pubblica, permetteranno che ogni acquisto sia repertoriato, registrato e archiviato.
"Credito sociale" cinese o "capitalismo della sorveglianza", la perdita epocale del diritto inalienabile di non lasciare traccia del proprio passaggio quando non si infrange alcuna legge si insedia nella nostra mente e nella nostra vita senza incontrare alcuna reazione se non uno stordimento da adolescenti immaturi. Prima del coronavirus era già diventato impossibile prendere un treno senza dichiarare il proprio stato civile; utilizzare il proprio conto bancario online comportava la comunicazione del proprio numero di cellulare; andare a fare una passeggiata implicava essere filmati da qualche telecamera. Con la crisi sanitaria è stato fatto un nuovo passo avanti. A Parigi, dei droni sorvegliano le zone rese inaccessibili; in Corea del Sud, dei sensori allertano le autorità quando la temperatura di un abitante rappresenta un pericolo per la comunità; in Polonia, gli abitanti devono scegliere tra l'installazione sul proprio cellulare di un'applicazione in grado di verificare il loro confinamento e delle visite senza preavviso della polizia presso il loro domicilio (3). In Italia, il governo ha deciso di utilizzare un'app chiamata "Immuni" che servirà nella cosiddetta "fase 2" - quella della cosiddetta "ripartenza" e servirà a tracciare i cittadini se saranno stati a contatto con un potenziale "portatore del virus".
In tempi di catastrofe, simili dispositivi di sorveglianza sono molto popolari. Ma sopravvivono alle condizioni che li hanno generati.

Anche gli sconvolgimenti economici che si delineano all'orizzonte stanno consolidando un mondo dalle libertà sempre più limitate: dall'Africa passando per il Vecchio Continente fino all'America Latina senza tralasciare gli Stati Uniti e il resto del mondo.
Non disponendo di un servizio di consegna a domicilio e non potendo vendere contenuti virtuali, ovunque milioni di negozi di alimentari, bar, cinema e librerie hanno chiuso per evitare la contaminazione. Quando la crisi sarà passata, quanti di loro riapriranno? E in quali condizioni? Al contrario, gli affari andranno ancora più a gonfie vele per i giganti della distribuzione come Amazon, che sta per creare centinaia di migliaia di posti di lavoro da corrieri e magazzinieri, o Walmart, che ha annunciato l'assunzione di altri "150.000" "associati". E chi meglio di loro conosce i nostri gusti e le nostre scelte? In questo senso, la crisi del coronavirus potrebbe costituire una prova generale che prefigura la dissoluzione degli ultimi focolai di resistenza al capitalismo digitale e all'avvento di una società senza contatto (4).

A meno che... A meno che delle voci, dei gesti, dei partiti, dei popoli, degli Stati non disturbino questo scenario scritto in anticipo. Si sente spesso dire: "La politica non mi riguarda". Ma cosa accadrà quando sarà chiaro a tutti che sono state delle decisioni politiche a costringere i medici a scegliere quali pazienti salvare e quali dover sacrificare?
E' quanto sta accadendo in questi giorni.
Il problema è ancora più evidente nei paesi dell'Europa centrale, dei Balcani e dell'Africa, che da anni vedono il loro personale sanitario migrare verso regioni meno rischiose o verso posti di lavoro più redditizi. Anche in questo caso, non si trattava di scelte dettate da leggi di natura. Oggi, senza dubbio, lo si comprende meglio. Il confinamento è anche un momento in cui ciascuno può fermarsi a riflettere...

Con l'intenzione di agire. Fin da subito. Perché, contrariamente a quanto ha suggerito il presidente francese, non si tratta più di "mettere in discussione il modello di sviluppo che il nostro mondo ha seguito per decenni". La risposta è nota: dobbiamo trasformarlo. Fin da subito. E siccome "delegare agli altri la nostra protezione è una follia", smettiamo di subire delle dipendenze strategiche per preservare un "mercato libero non falsato".
Macron ha annunciato "decisioni di rottura". Ma non prenderà mai quelle giuste. Non solo la sospensione temporanea, ma la denuncia definitiva dei trattati europei e degli accordi di libero scambio che hanno sacrificato le sovranità nazionali ed eretto la concorrenza a valore assoluto.

Fin da subito.

Tutti ormai sanno quanto costa affidare a delle categorie logistiche sparse per il mondo e prive di scorte di magazzino il compito di fornire a un paese in difficoltà milioni di mascherine sanitarie e di prodotti farmaceutici da cui dipende la vita dei pazienti, del personale ospedaliero, dei corrieri, dei cassieri. Tutti conoscono anche il prezzo che il pianeta sta pagando per le deforestazioni, le delocalizzazioni, l'accumulo di rifiuti, la mobilità permanente - Parigi accoglie 38 milioni di turisti ogni anno, vale a dire più di diciassette volte la sua popolazione, e se ne compiace...

Ormai protezionismo, ecologia, giustizia sociale e salute vanno di pari passo e possono costituire gli elementi chiave di una coalizione politica anticapitalista abbastanza potente da imporre, fin da subito, un programma di rottura.
*Serge Halmi, presidente, direttore pubblicazione e di redazione de Le Monde diplomatique

Note

(1) Si legga Sege Halimi, "Il naufragio dei dogmi liberali" e Frédéric London, "Il giorno in cui Wall Street diventò socialista", Le Monde diplomatique/il manifesto, rispettivamente ottobre 1988 e ottobre 2008.

(2) Si legga Julien Byrgo, "Peut-on encore sans Internet?", Le Monde diplomatique, agosto 2020.

(3) Cfr. Samuel Kahn, "Les Polonais en quarantaine doivent se prendre en selfie pour prouver qu'ils sont chez eux", Le Figaro, 24 marzo 2020.

(4) Craig Timberg, Drew Harwell, Laura Reiley e Abha Bhattarai, "The new coronavirus economy: A gigantic experiment reshaping how we work and live", The Washington Post, 22 marzo 2020. Si legga anche Eric Klinenberg, "Facebook contro i luoghi pubblici", Le Monde diplomatique/il manifesto, aprile 2019.

(Fonte.:monde-diplomatique)
Bob Fabiani
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-www.monde-diplomatique.fr
   

   
   

lunedì 20 aprile 2020

#DossierCovid19: L'Africa tra rivolte sociali e speranza di un farmaco anti-coronavirus







Il Dossier-Covid 19 di AfricaLand Storie e Culture africane oggi si occupa di due notizie molto differenti tra loro: la grave crisi sanitaria globale sta mettendo in ginocchio l'intero continente. In Sudafrica, Nigeria e Kenya  - ma il discorso vale per molti altri paesi africani - si sono registrati gravi problemi di ordine pubblico a causa della corsa al cibo. Ovunque le forze dell'ordine sono intervenute energicamente.

La situazione sta diventando esplosiva in tutta l'Africa.

Oggi però arriva anche una buona notizia : il Madagascar ha lanciato un farmaco anti-coronavirus testato con successo dall'IMRA (Istituto Malgascio di Ricerca Applicata).


-Tensioni sociali






Negli ultimi giorni a causa del lockdown si sono registrate le rivolte delle bidonville e delle township in Nigeria, Kenya e Sudafrica.
La cittadinanza è allo stremo e le proteste sono divampate anche per la repressione delle forze dell'ordine che hanno causato 18 decessi in Nigeria e almeno 12 persone in Kenya.
I problemi sono scoppiati durante la distribuzione delle derrate. Come se tutto questo non bastasse, i prezzi sono schizzati alle stelle, i nigeriani e i keniani devono anche fare i conti con la mancanza dell'acqua, sopratutto nelle zone rurali. Nelle megalopoli  viene distribuita in secchi di plastica con prezzi insostenibili.

Conseguenze al tempo del Covid-19: il continente si avvia verso un futuro di rivolte sociali e crisi economica senza precedenti mentre, sullo sfondo, si fa minaccioso il virus dal momento che gli esperti prevedono che il picco, in Africa, è previsto per giugno.

In Sudafrica, il paese africano più colpito dalla pandemia, il governo sta cercando disperatamente di trovare alloggi alternativi alle township: qui il distanziamento sociale è impossibile ma, i sudafricani che le abitano non vogliono sapere di abbandonarle.
A seguito di questa situazione, a Soweto, Alexandra e tutte le altre dislocate nelle altre grandi città sudafricane, si registrano scontri brutali con la polizia.
Il lockdown è difficile da mettere in pratica e, le rivolte sociali stanno ormai dilagando in tutta la "Nazione Arcobaleno".

-Madagascar e la speranza CVO*

Il Madagascar ha lanciato questo lunedì 21/04 un rimedio tradizionale migliorato: "Covid Organics" sia preventivo che curativo a seguito del lavoro scientifico dei ricercatori malgasci del "Malagasy Institute of Applied Research", composto da piante medicinali di Artemisia e Malgascio, lo ha annunciato in diretta TV, il Presidente della Repubblica del Madagascar, Andry Rajoelina.

Il Madagascar produce la più grande quantità  e la migliore qualità di Artemisia annua in Africa. Questa pianta è già utilizzata nella lotta contro la malaria e la febbre.
Il professore Albert Rakoto Ratsimamanga, fondatore dell'IMRA, è stato il primo a studiarlo sul territorio della Grande Isola.

Nell'ultimo discorso il presidente Rajoelina ha annunciato che il blocco sociale a causa del coronavirus nelle tre principali città del Madagascar sarà progressivamente revocato da questo lunedì dopo che un "rimedio" a base di erbe malgasce contro il virus è stato testato con successo.

-Conferenza sul Covid Organics di IMRA 

La presentazione ufficiale del farmaco CVO - Covid Organics, si è svolta presso Avarabohitra Itaosy.
La direzione generale di IMRA ha informato di aver prodotto una cinquantina di prodotti a base di piante medicinali secondo le procedure della medicina tradizionale malgascia, associata alla scienza moderna e accessibile alla maggior parte dei malgasci.
Imra ha prodotto fin qui 350 pubblicazioni sulle riviste scientifiche specializzate.

A seguito della proposta del presidente della Repubblica per una ricerca approfondita sulla Artemisia, l'IMRA (Istituto Malgascio di Ricerca Applicata) ha trovato la formula esatta per il contrasto del coronavirus.
Si tratta di un medicinale a base di Artemisia e di altre erbe locali: il farmaco è già in fase di test in pazienti-Covid 19.
Il Covid Organics sarà usato a scopo  preventivo ma la sua efficacia è stata dimostra anche nelle terapie curative, ha affermato il dottor. Charles Andrianjara. Il farmaco verrà fornito in bottiglie da 33 cl e bottiglie da 1 litro, tisana e decotto.
*si ringrazia Marco Sassi del VIM - Volontari Italiani per il Madagascar



-Coronavirus Africa Update (bollettino del 20 aprile 2020)







L'Africa in questo lunedì 20 aprile fa registrare 21,633 contagi mentre i decessi sono 1,076.

Ecco la situazione dei contagi nei paesi africani:

Sudafrica 3.158 Egitto 3.032 Marocco 2.820 Algeria 2.629 Camerun 1.017 Tunisia 866 Ghana 834 Costa d'Avorio 801 Gibuti 732 Niger 639 Burkina Faso 565 Nigeria 542 Guinea 518 Senegal 367 RDC 332 Mauritius 328 Kenya 270 Mali 216 Tanzania 170 Ruanda 147 Congo 143 Somalia 135 Madagascar 121 Gabon 109 Etiopia 108 Togo 84 Guinea Equatoriale 79 Sudan 66 Capo Verde 61 Zambia 61 Uganda 55 Maldive 52 Libia 49 Guinea Bissau 46 Eritrea 39 Benin 35 Ciad 33 Sierra Leone 30 Zimbabwe 25 Angola 24 Eswatini 22 Botswana 20 Malawi 17 Namibia 16 Rep.Centrafricana 12 Seychelles 11 Gambia 9 Mauritania 7 Sahara Occidentale 6 Burundi 5 Sao Tomé&Principe 4 Sud Sudan 4

(Fonte.:jeuneafrique)
Bob Fabiani
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-www.jeuneafrique.com