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domenica 31 marzo 2019

Mali, il massacro di #Ogossagu è un atto di 'pulizia etnica'






Il presidente del Mali, Ibrahim Boubacar Keita, ha decretato tre giorni di lutto nazionale  - entrato in vigore nella giornata di venerdì #29M -in onore delle 160 vittime dell'attacco al villaggio di Ogossagu del #23M.

"Un lutto nazionale di tre giorni, a partire, sarà osservato in tutto il territorio nazionale in omaggio delle vittime dell'attacco perpetrato il 23 marzo contro la popolazione del villaggio di Ogossagu", nel centro del Mali, spiega il decreto firmato dal presidente Keita.


L'omicidio, che ha colpito un villaggio #Fulani nel distretto di Bankass vicino al confine con il Burkina Faso, è il più sanguinoso del Mali dall'inizio della crisi, datata 2012, in ragione di essa, l'allora presidente della Repubblica francese, il socialista François Hollande decise di inviare i soldati francesi nell'ex-colonia.





"La giustizia sarà fatta", ha promesso il presidente maliano, lunedì #25M, mentre si trovava sulla scena della tragedia per presenziare alla cerimonia  (dolorosa) di sepeolturra delle vittime.


Due indagini distinte

Intanto sono partite le indagini sul massacro. Sono due e non sono coordinate tra loro: una, è portata avanti dal governo maliano, l'altra, invece, è a guida del Minusma.


Sospetti arrestati

Una prima reazione da parte delle autorità maliane, ha portato all'arresto di 5 aggressori, lo rende noto il procuratore di Mopti, Maouloud Al Najim, confermata anche da Boubacar Sidiki Samake, il procuratore del centro legale specializzata nella lotta contro il terrorismo, a Bamako.

Il bilancio definitivo del massacro parla di oltre 160 morti, compresi donne e bambini.

Non vi è dubbio che la mattanza di Ogossagu è "un atto di pulizia etnica". Il massacro di sabato #23M è l'ultima azione ostile  - in ordine di tempo  -  contro la comunità Fulani. E' la lunga scia che disegna un conflitto intercomunitario che dal Marzo 2018 ha prodotto l'uccisione di 600 persone e migliaia di sfollati, costretti a lasciare la regione di Mopti.


Le amare parole di Ali Nouhou Diallo

Il patriarca della comunità Fulani, Ali Nouhou Diallo, 80 anni, è una voce carismatica e molto seguita: dopo il drammatico massacro che ha sconvolto tutttto il Mali, ha preso la parola. Ecco il suo lucido ragionamento: "Quello che questa tragedia ci dice  - spiega ai reporter di Afp e di Jeune afrique - è un messaggio chiaro, incontrovertibile: dopo la "pulizia etnica" potremmo ritrovarci nel bel mezzo di una guerra civile".
(Fonte.:afp;jeuneafrique)
Bob Fabiani
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-www.afp.fr;
-www.jeuneafrique.com

sabato 30 marzo 2019

Algeria, folla oceanica in strada per chiedere le dimissioni di Boutefluka (e del Regime)








Per il sesto venerdì consecutivo, in Algeriacontinuano le imponenti manifestazioni di piazza in molte città algerine. Dallo scorso #22F, la società civile, gli studenti, avvocati, giornalisti, le donne alegerine le proteste sono indirizzate verso la figura del presidente-padrone Bouteflika che, in quella data, aveva annunciato di volersi ricandidare per un quinto mandato. La forte opposizione del popolo algerino costrinse poi il vecchio e malato presidente, a rinunciare al suo progetto ma questo, non poteva soddisfare la #RivoluzioneAlgerina.

Il presidente-padrone Bouteflika rinunciò alla candidatura ma, nella stessa occasione, decise, di imperio, di rinviare (a data da destinarsi) le elezioni presidenziali inizialmente previste per il 19 aprile.

Un mese dopo l'inizio delle proteste oltre che contro il vecchio presidente-padrone, Bouteflika e il suo Clan, ora, anche contro il Capo di stato maggiore dell'Esercito, che, la scorsa settimana aveva proposto il ricorso alla Costituzione per estromettere l'anziano e malato presidente colpito da ischemia celebrare, finito sulla sedia a rotelle e non più in grado di governare per 'incapacità'.






Il timore dei manifestanti è che l'esercito si sia messo in combutta con il 'Clan del presidente' per aggirare la protesta popolare e mantenere il potere.


Slogan

Durante le manifestazioni di ieri 29 marzo lo slogan più gettonato e scandito dai manifestanti, è stato: "Bouteflika te ne andrai, porta Gaid Salah con te".


Manifestazioni e bandiera algerina

Tutte le manifestazioni di protesta sono caratterizzate dai colori della bandiera nazionale (verde e bianca e con la stella rossa e dalla mezzaluna) e dal coro della canzone "Liberty" del rapper algerino Soolking.
(Fonte.:mondeafrique;jeuneafrique)
Bob Fabiani
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-www.lemonde.fr/afrique;
-www.jeuneafrique.com
  
  

venerdì 29 marzo 2019

Le minacce che incombono sul #Mozambico dopo il #CycloneIdai








Il ministero della sanità mozambicano lo ha confermato: il 27 marzo a Beira sono stati registrati i primi casi di colera.

"Il ciclone ha distrutto la rete idrica e le persone sono costrette  a bere acqua da pozzi contaminati o addirittura l'acqua stagnante ai lati delle strade. Nelle strutture sanitarie supportate da Medici senza frontiere sono arrivati centinaia di pazienti colpiti da diarrea acquosa acuta in pochi giorni", lo scrive in un comunicato la stessa Ong.





A due settimane dal passaggio del ciclone Idai (che ha raggiunto anche lo Zimbabwe, mentre il Malawi  è stato colpito da piogge torrenziali che hanno causato vaste alluvioni) i morti accertati in Mozambico sono 468, ma il bilancio finale sarà sicuramente più alto e impossibile da definire con esattezza: centinaia di persone sono disperse ma sopratutto non tutta la popolazione è registrata all'anagrafe. Per molti non sarà quindi neanche possibile rientrare ufficialmente nel numero di vittime.

Il ciclone è arrivato nella notte tra il 14 e 15 marzo: non era imprevisto, le autorità avevano avvisato la popolazione del pericolo imminente. Solo che avevano consigliato di restare in casa. Quando il vento a 230 chilometri orari ha cominciato a spazzare via tutto, le case non sono servite a nulla.

"La tempesta è durata 20 ore: i motori dei condizionatori sono stati  strappati via dai muri e scaraventati sui tetti delle case vicine, nessuna porta o finestra ha resistito alla violenza dell'uragano. Le lamiere dei tetti sono entrate come lame volanti nelle case, abbiamo usato i materassi come scudi per non essere colpiti da oggetti  e vetri delle finestre. Le piogge torrenziali non si fermano e se continueranno anche nei prossimi giorni, i fiumi strariperanno ancora", racconta un volontario dell'associazione Esmabana.

Beira


Nella quarta città del Mozambico, Beira, la vita ricomincia seppure lentamente e tra grandi pericoli costituiti dall'epidemie di colera, malaria e tifo.



Le acque si ritirano e la città non è più isolata.  Manca tutto ma la priorità ora sono le medicine che mancano mettendo ulteriormente a rischio dei malati con patologie croniche.






 Se da un lato, eventi come questi non possono essere direttamente legati alla "questione dei cambiamenti climatici" è però certo, come scrive Simon Allison su Mail&Guardian "su un punto la scienza non ha dubbi, e cioè che in un mondo più caldo i cicloni saranno più pericolosi. Dato che prendono la loro energia dagli oceani, più questi diventano caldi e lo scioglimento delle calotte polarti, inoltre s'innalzerà livello dei mari. Il Mozambico è un paese particolarmente vulnerabile perché si trova sull'Oceano Indiano, le cui acque sono già calde, e ha una lunga fascia costiera.
Tutte queste  condizioni hanno reso Idai particolarmente letale. Il pianeta si riscalda e se i governi continueranno a non prendere sul serio il problema del cambiamento climatico, eventi devastanti come questo saranno la norma".
(Fonte.:mail&guardian;internazionale)
Bob Fabiani
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-https://mg.co.za/cyclone-idai;
-https://www.internazionale.it


giovedì 28 marzo 2019

Il Regno Unito restituisce all'#Ethiopia i capelli del #NegusTewodrosII (150 anni dopo)






Uno degli argomenti più forti (e contesi ... per decenni se non di più) è sempre il patrimonio storico (e culturale) africano. Questo tema è stato da sempre menzionato e rivendicato dai grandi patrioti africani che, a turno, in differenti toni, hanno sempre rivendicato la restituzione da parte dei coloni.
Tuttavia, quando si parla di patrimonio africano, non si fa riferimento solo alle opere d'arte.

Ora, si apprende per esempio che due ciocche di capelli imperiali appertenuti a Tewodros II, saranno restituiti all'Etiopia.

La drammatica storia della colonizzazione in Africa, ha visto, nel corso degli eventi, vari comportamenti razzisti (da perte dei bianchi). E' risaputo che i coloni del diciannovesimo secolo, non hanno disdegnato a fare razzie di trofei macabri: in questo senso, fece epoca il trofeo del teschio umano di Lusinga che, nel 1884 fu deportato dal Congo al Belgio.

Qualche anno prima, nel 1868, durante la battaglia di Maqdala (Etiopia), i soldati britannici, in una disgustosa azione di sfregio razzista, si divertirono a tagliare i capelli dell'riope Tewodros II, l'imperatore suicidatosi il 13 aprile - di quello stesso anno - a seguito di quella drammatica battaglia.






Suicidio di un imperatore

Nell'aprile 1868, l'imperatore Tewodros II d'Etiopia si suicidò con una pistola che gli era stata data dalla regina Vittoria, così che non dovette arrendersi all'invasore.





150 Anni dopo


Il National Army Museum nel Regno Unito, ha accordato di far tornare una ciocca di capelli appartenuti all'imperatore Tewodros II.







Ci sono voluti 150 anni ai colonizzatori del Regno Unito per restituire il "bottino di guerra" ma alla fine, finalmente, i capelli rasta del grande imperatore etiope sono tirnati ad Addis Abeba accolti da grandi feste e commozione del popolo etiope.
(Fonte.:jeuneafrique)
Bob Fabiani
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-www.jeuneafrique.com

mercoledì 27 marzo 2019

Zimbabwe, nella valle della morte, distrutta e isdolata dal Ciclone Idai









Nella città di Chimanimani, nella parte orientale del paese, gli abitanti continuano, due settimane dopo il passaggio del #CycloneIdai, a scoprire i corpi portati via dal fango o schiacciati dalle rocce. Uno dei momenti più signoificativi della corsa contro il tempo per salvare  il salvabile dopo la furia del ciclone tropicale, il più letale in Africa negli ultimi decenni; è racchiusa nel rituale del "restituire" dignità ai corpi senza vita.
Se queste manovre sono rivolte a un piccolo corpo, la scena è ancora più straziante.

E' uno dei tanti momenti dolorosi del "dopo-ciclone" che, ha severamente colpito lo Zimbabwe.







Proprio in questa sontuosa valle, la furia della natura, scatenata dai cambiamenti climatici, sempre più drammatici ed estremi anche qui in Africa, ha distrutto centinaia di case. Le stime della catastrofe qui in Zimbabwe sono leggermente inferiori al Mozambico ma, tuttavia drammatica.

In tutto il paese, le autorità locali parlano di centinaia di persone uccise dall'acqua, dal fango e dal vento e, i dispersi sarebbero circa 200 e, tra questi mancano all'appello 30 scolari di Chimanimani.



In fretta e in furia sono state preparate dozzine di tombe per accogliere le vittime di Idai, sono contrassegnate da semplici pietre. Le autorità hanno deciso di estendere il cimitero riservato agli "eroi" - i combattenti della guerra di liberazione dello Zimbabwe -, si procede nel silenzio straziante dal dolore sordo, di chi ha perso tutto ma, più di tutto gli affetti di una vita e, in molti casi l'intera famiglia: sono le "manovre" della sepoltura.

Spostandosi nel quartiere Ngangu, dove una frana di fango ha spazzato via case, macchine e persone, i sopravvissuti cercano nella terra, aiutandosi con i bastoni, nel tentativo di procedere alla ricerca di vittime.





Desolazione, incredulità, disperazione sono ben scolpite nei volti di chi si è salvato dalla catastrofe e ora, inizia l'impari lotta per uscire, il prima possibile dall'inferno. Hanno bisogno di tutto ma, l'urgenza primaria è il cibo: una condizione questa ben conosciuta dai popoli africani abituati come sono, a passare di tragedia in tragedia e, di catastrofe in catastrofe.

Domani è un altro giorno per lo Zimbabwe mentre torna a splendere il sole, in lontananza voci ridenti di bambini.
(Fonte.:jeuneafrique)
Bob Fabiani
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-www.jeuneafrique.com       

martedì 26 marzo 2019

#AfricaCeoForum2019: A grandi passi verso il "Mercato comune africano"








La mancanza di infrastrutture, il necessario coinvolgimento del settore privato, sono queste led sfide lanciate al summit in via di svolgimento a Kigali, in Rwanda.

La sfida è lanciata. Definitivamente. In questo 2019, si è stabilizzata ma, tuttavia, ci sono alcune zone d'ombra da abbattere definitivamente: lo avevamo già scritto nel nostro precedente post quando, avevamo lanciato l'importante appuntamento di Kigali.
L'Africa, non deve commettere l'errore (grave) dell'Europa: ossia favorire la libera circolazione delle merci ma non quella delle persone.

A Kigali sono emersi - durante la prima giornata di incontri e dibattiti - gli ostacoli sostanziali alla libera circolazione delle persone in tutto il Continente Nero.

Autorevoli personalità del calibro di Paul Kagame, Carlos Lopes e Naguib Sawiris, hanno sottolineato come, il mercato comune africano "sia ormai una realtà".


La cronaca del primo giorno di #ACF2019


All'apertura dei lavori il presidente ruandese, Paul Kagame spiega: "Un anno fa, 44 paesi hanno annunciato la loro intenzione di formare insieme la 'Zona Economica del Libero Scambio Continentale (ZLEC), e da allotra, 21 stati l'hanno ratificata, ma molto resta da fare".





Questo, è stato il messaggio d'apertura di #ACF2019 che, ha preso il via ieri, 25 marzo, nella capitale ruandese.

Chi e che cosa ostacola l'integrazione africana?

A sentire il discorso di Paul Kagame non ci sono dubbi: l'ostacolo più grande sul percorso che dovrebbe portare all'integrazione africana è la Politica.
Il presidente ruandese ha preso di petto una delle "crisi in atto" in giro per l'Africa, una di quelle che ha la capacità di togliere il velo a un nervo scoperto sia alla diplomazia sia alla geopolitica: ossia, le attuali tensioni tra il suo paese e l'Uganda, che hanno un impatto negativo sul commercio regionale senza tralasciare le economie dei due stati.

"Confini africani ereditate dalla colonizzazione, sono artificiali, dobbiamo lavorare tutti insieme  per superarli", spiega il presidente etiope Sahle-Work Zewde, tra l'altro, l'Etiopia - come vi avevamo informato nei giorni scorsi - è il 21° paese a ratificare il cosiddetto acvcordo ZLEC.

Dubbi e criticità

E' confermata invece la tentazione nigeriana di non adire a questo patto: il nigeriano Abdulsamad Rabiu, capo del gruppo  BUA, ha affermato che il suo paese ha bisogno di tempo per far parte della zona di libero scambio, sfruttando il fatto che, questo genere di accordi sono molto difficili da portare a compimento in Africa.
Tuttavia, ha lasciato intendere che la Nigeria, alla fine della giorstra, su ordine di Buhari finirà per aderirvi più per necessità che non per convinzione. Non sono passati inosservati, i continui richiami del mondo degli affari nigeriani neoi confronti di Buhari, il presidente da poco riconfermato alla presidenza nigeriana dopo una tornata elettorale disastrosa, al limite della convalida visto i casi di violenze (con morti) in alcuni stati e la presenza di molti minori, regolarmente in fila davanti alle urne, a votare come se ne avessero reali facoltà.

Il presidente esecutivo del gruppo BUA ha puntato dritto su un problema per nulla secondario, anzi, del tutto cruciale per il futuro prossimo del continente e, non potrà essere a lungo lasciato in stand-by dai leader africani: "La prima necessità è sopratutto la libera circolazione degli africani nel continente, che è ben lungi dall'essere una realtà, poiché oggi solo il Ruanda e le Seicelle applicano questo principio".
(Fonte.:jeuneafrique;theafricaceofirum)
Bob Fabiani
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lunedì 25 marzo 2019

Se l'Africa impone la "Democratura" per risolvere le sfide delle elezioni democratiche. Il "#CasoCongo"





Dopo le elezioni nella Repubblica Democratica del Congo, svoltesi con due anni di ritardo, ha avuto un epilogo del tutto particolare che, a ben vedere, non ha riscontri e nessun rapporto con la realtà delle urne.
Questo epilogo - scrive il giornalista di Le Monde diplomatique, François Misser - ha prvocato in Africa nuove pericolose divisioni e, da sole illustrano le trasformazioni politiche in atto nel Continente Nero.
(Bob Fabiani)


-Congo, la politica del fatto compiuto. (Ripercussioni regionali di un voto contestato)*


"Per una volta, la manipolazione delle elezioni generali tenutesi il 30 dicembre 2018 nella Repubblica democratica del Congo (Rdc) ha determinato una spaccatura in Africa: da un lato chi voleva far prevalere la verità delle urne; dall'altro chi - in primo luogo il Sudafrica - privilegiava la decisione "sovrana" del paese.
Una divisione inedita che rivela i nuovi rapporti di forza nel continente e il dibattito che lo attraversa.

L'annuncio dei risultati provvisori da parte della Commissione elettorale nazionale indipendente (Ceni) il 10 gennaio ha suscitato immediatamente polemiche. Dopo aver chiesto il riconteggio dei voti, l'Unione africana ha dovuto accettare la decisione del Consiglio costituzionale, il 20 gennaio 2019.  A sorpresa,  in questo scrutinio uninominale a un turno,  è stato  proclamato vincitore con il 38,57%  dei  voti  Félix Tshisekedi,  candidato della coalizione  Cap pour  le  changementh  (Cach), davanti  al candidato  dell'altra  coalizione  di opposizione,  Lamuka  ("Svegliatevi"),  Martin Fayulu (34,8%)  e  al delfino  del presidente  uscente  Joseph Kabila, Emmanuel Ramazani Shadary (23,84%).

Eppure, non sembrerebbero esserci dubbi.  In un rapporto pubblicato il 18 gennaio,  l'informatissima e autorevole  Conferenza episcopale nazionale dei vescovi congolesi (Cenco) (1)  dava conto  di un risultato molto diverso:  Fayulu con il 62,11%,  Tshisekedi  con il 16,93 e  infine Ramazani  Shadary con il 16,88%.  Il metodo  utilizzato  per  questo  conteggio  è stato  testato in Ghana (2011 e 2016) , in Nigeria (2011 e 2015), in Tunisia (2014), e in Burkina Faso e Costa D'Avorio nel 2015.



Accordo  improbabile





Il risultato ufficiale è stato in effetti negoziato all'ultimo momento fra Kabila e Tshisekedi. Messo davanti al fallimento del suo candidato, Kabila ha preferito trovare un accordo con il secondo arrivato, concedendogli la poltrona presidenziale, mentre le elezioni legislative, organizzate contestualmente e convalidate dalla Ceni, davano ai sostenitori del presidente uscente una comoda maggioranza di oltre 300 deputati su 500.


Tshisekedi, meno brillante e carismatico del padre Etienne, figura della vita politica congolese morto nel 2017, sembrava più malleabile del candidato primo arrivato.  Privo di risorse finanziarie o di particolari titoli di studio, aveva cercato più volte di avvicinarsi allo schieramento di Kabila. Al contrario, Fayulu, ex dirigente di Exxon Mobil, carriera politica priva di compromessi - né con il regime di Joseph Mobutu (che regnò nel paese dal 1965 al 1997) né con la dinastia dei Kabila -, sembrava non controllabile. Il sostegno accordatogli da due personalità molto popolari, l'exgovernatore del Katanga Moise Katumbi e l'ex vicepresidente Jean-Pierre Bemba, accresceva la sua capacità di nuocere al potere. Così, la scelta da parte di quest'ultimo si è rapidamente imposta.


Fatto nuovo in un continente dove le autorità stendono spesso un velo pietoso sulle manipolazioni elettorali (2), quest'improbabile accordo è stato accolto da una cautela inaspettata. Fra le autorità congolesi, le organizzazioni continentali e alcune  potenze regionali come il Sudafrica si è avviato un dibattito a distanza sull'atteggiamento da adottare. In questo dialogo interafricano, le critiche sulle cifre ufficiali espresse dal ministro francese degli affari esteri, Jean-Yves Le Drian, sono rapidamente passate in secondo piano.




Dopo la pubblicazione dei risultati provvisori, il 10 gennaio, il capo dello stato zambiano Edgar Lungu, presidente della Comunità di sviluppo dell'Africa australe (Cdaa) - di cui fa parte la Rdc -, ha evocato pubblicamente "seri dubbi"  spiegando: "Il nuovo conteggio sarebbe in grado di rassicurare al tempo stesso vincitori e perdenti". Denis Sassou Nguesso, leader del Congo Brazzaville e presidente della Conferenza internazionale sulla regione dei Grandi laghi (Cirgl) - della quale fa parte anche la Rdc-, ha consigliato a Konshasa di "prevedere un nuovo conteggio per garantire la trasparenza dei risultati". Dal canto suo, l'Unione africana ha espresso le proprie riserve e annunciato l'intenzione di mandare a Kinshasa, il 21 gennaio, una delegazione guidata dal suo presidente, il capo di stato del Ruanda Paul Kagame.


In questo concerto di razioni scettiche, un'unica voce dissonante, ma di peso: quella del vicepresidente sudafricano Cyril Ramaposa, che si è subito congratulato con i congolesi per aver garantito un processo elettorale pacifico, "senza ingerenze né impressioni".  Il 14 gennaio, il ministro sudafricano delle relazioni internazionali e della cooperazione, Lindiwe Sisulu, chiedeva alla "comunità internazionale" di "rispettare i processi interni legali". Il 20 gennaio, alla vigilia dell'annunciata visita di una delegazione dell'Unione africana, la Corte costituzionale congolose fischiava la fine della partitaproclamando la vittoria definitiva di Tshisekedi. Dopo il Sudafrica, tutti i paesi africani hanno riconosciuto il nuovo capo di Stato della Rdc.


Questa vittoria del fatto compiuto, certo scioccante dal punto di vista dei valori democratici, si spiega con la storia movimentata e dolorosa della Rdc. Il paese non ha conosciuto alcuna alternanza democratica a partire dall'indipendenza, nel 1960, un anno prima dell'assassinio del primo ministro Patrice Lumumba da parte dei servizi belgi.



Secondo la Costituzione, Kabila - al potere dal 2001 - avrebbe dovuto lasciare il potere nel dicembre 2016, ma le presidenziali sono state rimandate per due anni, ufficialmente per "problemi logistici" (3). In questo contesto, lo svolgimento, pur contestabile, delle elezioni può accolto con sollievo... in attesa di qualcosa di meglio.


Alla fine la preoccupazione di salvaguardare la stabilità della Rdc è stata più importante del rispetto dell'imperativo democratico. Questo paese, per le sue dimensioni e la sua posizione al centro del continente, ha per tutta l'Africa un'importanza cruciale, accresciuta dalla vastità delle sue risorse. Ha le più importanti riserve idriche del continente e il maggiore potenziale idroelettrico, è il primo produttore mondiale di cobalto, un grande produttore di rame, potrebbe diventare "l'Arabia saudita del litio", il metallo indispensabile nella produzione delle batterie per le automobili elettriche. Ma questo gigante economico reca ancora le ferite dei due conflitti che l'hanno devastato fra il 1996 e il 2002 e che sono stati definiti "guerre mondiali africane" poiché hanno coinvolto Stati vicini (in particolare Ruanda, Uganda, Angola) ma anche più lontani (Namibia, Ciad e Zimbabwe).



I paesi limitrofi continuano a temere che un ulteriore deterioramento della sicurezza e della situazione umanitaria nella Rdc possa provocare un afflusso di rifugiati. Timori non infondati. Nelle province del Kivu, l'instabilità provocata da una miriade di gruppi armati, nazionali e stranieri, ma anche da elementi indisciplinati delle Forze armate della Repubblica democratica del Congo (Fardc), è tale che le operazioni elettorali non hanno potuto svolgersi dappertuttto. Nelle circoscrizioni di Beni e Butembo, nel Nord Kivu, semplicemente i seggi non sono stati aperti. Nel Sud Kivu, i ribelli burundesi delle Forze nazionali  di liberazione (Fnl) affrontano di tanto in tanto l'esercito di Bujumbura. Gli operatori umanitari stimano il numero degli sfollati interni in oltre 4,5 milioni, 1,3 dei quali nella sola regione Grande Kasai, al centro del paese, dove dal 2016 gli scontri con le Farc hanno provocato 3.000 morti. Alcune centinaia di migliaia di abitanti del Kasai sono fuggiti verso l'Angola, dove le concessioni diamantifere delle province di Luanda Norte e Luanda Sul sono state invase dai garimpeiros (cercatori clandestini di pietre preziose) congolesi.  Luanda, invocando il diritto a proteggere le proprie risorse minerarie, ha esplose fra settembre e dicembre 2018 oltre 400mila persone, in maggioranza congolesi, nel corso di un'operazione chiamata "Transparencia".


Tshisekedi, appartiene all'etnia dei Luba del Kasai, suscita nel paese la speranza di una soluzione pacifica di questa crisi. Alla fine di gennaio, meno di una settimana dopo il giuramento del nuovo presidente, circa 600 miliziani, riconoscibili per le bandane rosse, hanno deposto le armi: fucili AK47, fucili da caccia, machete, bastoni, frecce e perfino feticci e amuleti.




Il Congo Brazaville, venti volte meno popolato della Rdc che conta 80 milioni di abitanti, scruta ansiosamente la situazione sull'altra sponda del fiume Congo, temendo di essere sommerso da un'ondata di rifugiati. La volontà di gestire i flussi migratori si è già tradotta nell'espulsione brutale di oltre 179.000 cittadini della Rdc in situazione illegale, con l'operazione "Mbata ya bakolo" ("Schiaffo dei fratelli maggiori"), nel 2014 (4). Un'altra grave crisi si è verificata a metà dicembre 2018 con gli scontri di Yumbi, nella provincia del Mai-Ndombe, dove le operazioni elettorali sono state ugualmente sospese. Almeno 890 abitanti sarebbero stati uccisi e 16.000 persone si sono rifugiate nel Congo Brazzaville, secondo l'Alto Commissariato per i rifugiati dell'Organizzazione della Nazioni unite (Onu). La stessa preoccupazione di prevenire un esodo della Rdc si manifesta in Ruanda, che alla fine di dicembre 2018 secondo le stime ospitava già oltre 79.000 rifugiati congolesi, arrivati in successive ondate (5).





In questa complessa partita dai tanti giocatori, il Sudafrica fa la propria parte. Convalidando il processo elettorale congolose, riafferma il proprio attaccamento al principio di sovranità degli Stati e a una diplomazia ostile all'ingerenza e all'imperialismo.
Eletto come membro non permanente del Consiglio di sicurezza dell'Onu per il 2019-2020, in nome del principio di non ingerenza ha contribuito a sabotare la riunione organizzata dalla Francia il 4 gennaio sulle elezioni nella Rdc, impedendo l'adozione di un comunicato comune. Pretoria ha ricevuto il sostegno degli altri due membri africani dell'istanza onusiana: Costa d'Avorio e Guinea equatoriale.



Il Sudafrica protegge la propria posizione


L'atteggiamento non è privo di una dose di cinismo. L'accordo con Tshisekedi, in effetti, mantiene l'influenza di Kabila nel paese. Per otto anni, il presidente congolese uscente è stato un partner accomodante per il Sudafrica. Nel 2013, un trattato internazionale ha attribuito alla compagnia sudafricana di elettricità Eskom oltre 2.500 megawatt provenienti dalla futura diga Inga III (6), ovvero più di metà della sua potenza. Kabila ha assegnato permessi petroliferi senza appalto a diverse società sudafricane.
Una di queste ha ottenuto concessioni nel dipartimento della Cuvette, a ridosso del parco nazionale della Salonga. Il Sudafrica, secondo fornitore commerciale della Rdc dopo la Cina, protegge la propria posizione. La quasi titalità del rame e del cobalto congolese transita ancora per i porti sudafricani, malgrado la crescente concorrenza dei corridoi di Benguela, in Angola, e di Walvis Bay, in Namibia.


Per l'Unione africana, gli sviluppi del feuilleton congolese sono incontestabilmente un affronto. Nel 2002, quando succede all'Organizzazione per l'unità africana (Oua) creata nel 1963, l'Ua precisa che "elezioni trasparenti e credibili sono un elemento chiave per garantire il diritto fondamentale e universale alla governance partecipativa e democratica (7)". L'Unione prevede anche missioni di osservazione incaricate di valutare l'indipendenza delle commissioni elettorali nazionali, il regolare svolgimento del voto e l'uso dei fondi pubblici.  Comunque, in pratica, in gran parte delle situazioni si preferisce affidare il ruolo alleorganizzazioni sub-regionali.


Il coinvolgimento dell'Unione africana nelle elezioni congolesi è dunque un tentativo inedito (ma fallito) di risoluzione di una crisi. Certo, gioca un ruolo la personalità del suo presidenteuscente, Paul Kagame. Il capo di Stato ruandese rimprovera a Kabila di accogliere ribelli hutu sul proprio territorio. E' certamente per ingraziarselo che Kinshasa ha consegnato a Kigali il colonello Ignace Nkaka, portavoce delle Forze democratiche di liberazione del Ruanda (Fdlr), e il luogotenente Théophile Abega, capo dell'intelligence militare dell'organizzazione ribelle, arrestati il 15 dicembre dall'esercito congolese a Bunagana (Nord Kivu).

In Africa e altrove, tutti accettano la vittoria di un candidato che forsde non ha ottenuto più del 17% dei voti.
Ma la popolazione congolese accetterà quello che Fayulu ha chiamato 'golpe elettorale' ?"

*François Misser, giornalista

**Questo intervento è apparso su le colonne de Le Monde diplomatique, Marzo 2019


Note

(1)  Si legga "La chiesa congolese contro Kabila",  Le Monde diplomatique, aprile 2018.

(2)  Si legga Tierno Monénembo, "In Africa, il ritorno del presidente a vita",  Le Monde diplomatique, dicembre 2015.

(3)  Si legga Sabine Cessou, "Repubblica democratica del Congo, transizione ad alto rischio", Le Monde diplomatique, dicembre 2016.

(4)  "République du Congo. Les expulsions collectives de ressortissants de la Rdc pourraient constituer des crimes contre l'humanité" (Repubblica del Congo. Le espulsioni collettive dei cittadini della Rdc potrebbero costituire crimini contro l'umanità), Amnesty International, Londra, 2 luglio 2015.

(5)  "Refugees and  asylum seekers from DRC", Alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, http://data2.unhcr.org

(6)  Cfr. La Saga d'Inga. L'histoire des barrages du fieve Congo, L'Harmattan-Musée royal de l'Afrique centrale, coll."Cahiers africains", Parigi-Tervuren (Belgio), 2013.

(7) Déclaration sur les principes régissant lesé lections démocratiques en Afrique, Oua/Ua, Durban, 8 luglio 2002.

(Fonte.:monde-diplomatique)
Bob Fabiani
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-www.monde-diplomatique.fr  


 




 
    

domenica 24 marzo 2019

Mali sotto shock per il massacro civili Pell a #Ogossagu - FOTO DEL GIORNO







Almeno 134 persone, tra cui donne e bambini, sono state massacrate in un villaggio Fulani nel centro del paese africano. Il governo ha deciso di rimuovere immediatamente diversi alti ufficiali dell'esercito e di sciogliere la milizia Dogon Dan na Amassagou, accusata di aver guidato l'attacco, il più letale dall'inizio della crisi in Mali nel 2012.

E' stato un massacro orrendo quello di sabato mattina (23 marzo n.d.t) contro gli ex combattenti Pell.
Nonostante non ci siano rivendicazioni i rappresentanti di questa comunità non hanno dubbi: i responsabili del massacro sono i miliziani di Dan na Amassagou ("cacciatori che hanno fiducia in Dio", in lingua Dogon) una milizia che era alleata del governo maliano.

Ora appare chiaro che il Mali si trovi sempre più invischiato nella spirale del terrorismo non solo quello di matrice islamista e, in questo pantano sia sempre più invischiata la Francia.

Non può passare troppo sotto silenzio che questo attacco si è verificato in piena visita del consiglio di sicurezza ONU in Mali e Burkina Faso.
(Fonte.:jeuneafrique;lemondeafrique)
Bob Fabiani
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-www.jeuneafrique.com;
-https://www.lemonde.fr/afrique;
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sabato 23 marzo 2019

FOTO DEL GIORNO - La sopravvivenza di #Beira (#Mozambique)








A 6 giorni dal catastrofico ciclone tropicale denominato #Idai che ha raso al suolo al 90% la città portuale di #Beira, la quarta del #Mozambico con oltre 500mila abitanti; si continua a lottare per sopravvivere.

Ci si difende come si può dopo aver perso tutto come la donna della foto del giorno di oggi, di AfricaLand Storie e Culture africane,  che desolatamente, con i suoi bambini osserva il disastro causato dalla furia della natura.
(Fonte.:africalandilmionuovoblog)
Bob Fabiani
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https://africalandilmionuovoblog.blogspot.com 

venerdì 22 marzo 2019

Le sfide dell'integrazione africana all'#AfricaCeoForum2019. Quali prospettive?








Il 25 e 26 marzo a Kigali, 1.600 delegati politici provenienti da 70 paesi si incontreranno in occasione della 7° edizione dell'Africa Ceo Forum per accelerare il progetto dell'integrazione africana.

Nel 2018, 49 Stati africani hanno creato una zona di libero scambio per favorire lo sviluppo interno del Continente, mettendo in campo la possibilità che, l'Africa non dipenda più dall'esportazione dei prodotti sopratutto dall'Unione europea.

Tuttavia, l'ambizioso prodotto ha dovuto fare i conti con numerose barriere normative e logistiche ostacolano l'unificazione economica del Continente. Un anno dopo però l'integrazione africana, vuole passare dalle parole ai fatti.

Il punto di partenza è sempre Kwame Nkrumah, il padre del #Panafricanismo e, a proposito di questo tema scrise nel 1963 nel suo fondamentale libro L'Africa deve unirsi : "L'unificazione totale dell'economia africana su scala continentale è l'unico modo possibile per avere un livello simile a quello dei paesi più industrializzati".

Partendo dunque da questo insegnamento fondamentale e decisivo, lo scorso 21 marzo 2018, la prima pietra dell'"edificio dell'integrazione africana" divenne realtà a Kigali, capitale del Ruanda, dopo la firma di 49 paesi: si dava dunque il via all'"accordo che istituisce la zona di libero scambio continentale" conosciuta come CFTA.

L'ambizioso, rivoluzionario progetto era scritto in 80 pagine dove si metteva per iscritto, l'idea dell'organizzazione  della più grande zona di libero scambio, unico nel suo genere al mondo, con una popolazione di 1,2 miliardi di persone e un PIL di circa 3 trilioni di dollari.


Sfida dell'Africa unita

La sfida consiste nel fornire alle imprese l'accordo a mercati di dimensioni molto più grandi e superare così, la frammentazione degli stati, creata ad arte dalle potenze colonialiste, in modo che possano favorire lo sviluppo e la ricchezza per 20 o 30milioni di persone.
In questo modo si favorirebbe l'impiego sul mercato del lavoro per milioni di giovani africani.

Uno degli obiettivi più prestigiosi è quello di arrivare, nel giro di soli 10 anni al commercio totale del Continente, partendo dall'attuale 15% di scambi intra-africani e portarlo al 25% in tutta l'Africa.

In questo modo l'Africa si proteggerebbe dagli schock esterni dovuti alla volatilità dei prezzi delle materie prime, ai sobbalzi delle condizioni economiche globali o gli imprevisti cambiamenti nei tassi di scambi.

Come si arriverà a raggiungere l'obiettivo?

C'è una sola strada: gli africani devono poter acquistare e vendere a costi contenuti con gli stati confinanti. Il lavoro da fare è davvero enorme. Bisognerà eliminare, massicciamente i dazi doganali (mentre, ironia della sorte, nel cosiddetto mondo civilizzato dei paesi più industrializzati, qualche '"solone suprermatista-sovranista" che occupa poltrone governative, sogna di ripristinarli...), alleggerendo procedure amministrative e la realizzazione di infrastrutture elettriche, stradali, ferrovie, aeree, digitali e finanziarie sicure, conveniente ed economiche.

Un anno dopo, il summit può ripartire da una buona notizia: questo progetto sta iniziando a funzionare in molte delle otto Comunità Economiche Regionali (REC) fiorito nel Continente.

A che punto siamo un anno dopo la storica firma dell'"Accordo di Kigali"?

L'articolo 23 dell'accordo afferma che può entrare in vigore "dopo il deposito del 22°esimo strumento di ratifica". All'appello mancano le firme di tre paesi per dare vita allo Zlec. Il commissario dell'UA - Unione Africana - , Albert Muchanga, che si occupa per conto dell'Unione del commercio e l'industria, spera che l'accordo sarà attuato nel Luglio 2019.

Eppure non tutti i grandi Stati africani sono convinti di fare questa scelta che, evidentemente non potrà essere abbandonata a cuor leggero: è il caso della Nigeria: "La Nigeria è cauta sulla regola del consenso che prevale in ZLEC; non vuole sottostare alla mercé dei piccoli paesi".

Ma la Nigeria non è un caso isolato, su questa stessa lunghezza d'onda si schierano altri due importanti Stati africani come l'Egitto e il Sudafrica che, a loro volta non vedono di buon occhio il CFTA. Invece l'Etiopia, si è mossa in controtendenza a questi due grandi paesi, attraverso il Parlamento etiope, a soli quattro giorni dall'inizio dei lavori dell'Africa Ceo Forum 2019, il 21 marzo, ha deciso di aderire all'accordo di libero scambio dell'Africa continentale (CFTA).


Conclusioni

Questi sforzi però necessitano anche di raggiungere un altro importantissimo traguardo: tutti gli africani sognano di abbattere le barriere dei passaporti regionali sognando, da molti anni che si arrivi finalmente al "passaporto unico" che valga per tutta l'Africa. Il Continente Nero per altro, ha davanti a se l'esempio europeo dove l'integrazione è stata pensata soloe soltanto per le merci e non per le persone oppure limitato a soli 28 paesi.

Se l'Africa e i suoi leader riusciranno a procedere sulle due strade parallele allora, nel giro di qualche decennio davvero il Continente Nero potrà essere in grado di guardare il resto del mondo dall'alto verso il basso.
(Fonte.:theafricaceoforum;jeuneafrique)
Bob Fabiani
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-https://www.theafricaceoforum.com/en;
-www.jeuneafrique.com   
  

giovedì 21 marzo 2019

Il Massacro di Sharpeville







Sudafrica, 21 Marzo 1961: era il periodo di massima intensità delle proteste popolari contro la politica dell'Apartheid messa in atto dal National Party.

Durante una pacifica manifestazione a Sharpeville, la polizia sudafricana razzista aprì (senza pietà) il fuoco sulla folla, causando una strage.

Un massacro che appenna divenne di dominio pubblico generò lo sdegno e le proteste internazionali in Europa e negli Stati Uniti (sebbene alla Casa Bianca fossero molto vicini alle politiche razziste di Pretoria, al pari di Israele).

Morirono in 69 e numerosi furono i feriti.


-La manifestazione







La manifestazione di Sharpeville era stata organizzata dal Pan Africanist Congress (PAC) per protestare contro il decreto governativo dello Urban Areas Act, informalmente chiamato pass law ("legge del lasciapassare").
Questa legge prevedeva che i cittadini sudafricani neri, dovessero esibire uno speciale permesso se fossero stati fermati dalla polizia in un'area riservata ai bianchi. I lasciapassare venivano concessi solo ai neri che avevano un impiego regolare nell'area in questione.

Erano le 13,30 circa del 21 Marzo 1961, una folla pacifica di manifestanti arriva a Sharpeville per gridare la voce contraria alla decisioni razziste del governo sudafricano (appannaggio dei banchi) ma, all'improvviso si trova in mezzo alla furia assassina della polizia che diede il via al massacro e alla mattanza senza un motivo plausibile.
Gli agenti si giustificarono per il loro comportamento cruento e assassino adducendo che la folla andava dispersa visto che vi erano per la strada circa 7mila persone.





Il 21 marzo 2005, l'ONU in ricordo del massacro  dichiara la "Giornata internazionale per l'eliminazione della discriminazione razziale" : nella giornata odierna, il Sudafrica intero è tornato a Shaperville per rendere onore a quanti caddero sul terreno e consentirono, comn il loro sacrificio che, una nuova generazione di sudafricani neri potessero vivire liberi dal cappio stretto e odioso dell'Apartheid.

Quando Nelson Mandela divenne il primo presidente nero del Sudafrica libero venne proprio qui, a Sharpeville per dare forma alla Costituzione sudafricana e che poneva fine agli odii e a quel periodo buio e drammatico della storia dell'Africa intera e del Sudafrica in particolare.


-Nelson Mandela speech




"To deny people their human rights is to challange their very humanity: Negare alle persone i loro diritti umani è sfidare la loro stessa umanità".
(Fonte.:mail&guardian)
Bob Fabiani
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mercoledì 20 marzo 2019

FOTO DEL GIORNO - La grande solidarietà africana dopo #CycloneIdai





Dopo la tragedia causata dalla furia del #CycloneIdai, questa donna - che abbiamo scelto come foto del giorno - , non avendo i soldi sufficienti per viaggiare, si è massa in viaggio, marciando, alla maniera delle #donneafricane, coprendo il trattoche va da #Mbare alle #Highlands,  per donare un sacco di utensili di cucina; al punto di ritrovo lanciato dall'appello Chimanimani, in #Zimbabwe.

Nel volto di questa straordinaria donna africana c'è tutto: la solidarietà umana di chi, seppur povero, nel momento del dramma e della catastrofe, non esita a mettere a disposizione di chi è più sfortunato, quel poco che possiede; la sofferenza personale per aver camminato per chilometri e chilometri, senza sosta per poter essere presente al "punto-raccolta" dove, l'intera comunita zimbabweiana hanno risposto con slancio alla "gara di solidarietà e, infine, la dignità regale delle donne (straordinare) del Continente Nero.
(Fonte.:africalandilmionuovoblog)
Bob Fabiani
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martedì 19 marzo 2019

Quella catastrofe del #CycloneIdai nel #Mozambique, ignorata dal resto del mondo







Era stato annunciato come un ciclone tropicale tra i più potenti e distruttivi che l'Africa potesse incrociare sul suo suolo. E così è stato.
Il ciclone Idai, è stato di gran lunga il più letale dell'Africa negli ultimi decenni: eppure, nel resto del mondo è stato quasi del tutto ignorato.





Le notizie che arrivano da #Beira - da fonte governative - parlano di una catastrofe: la furia del ciclone tropocale ha distrutto il 90% della città e, si tene che abbia causato la morte di un migliaio di persone.




Da fonti provenienti dalla Croce Rossa si apprende che il bilancio è catastrofico. La città di #Beira, la quarta del Mozambico con oltre 500mila abitanti è stata rasa al suolo per il 90%.

Telecomunicazioni, eletricità e infrastrutture (porto, strade e aeroporto) sono fuori uso rendendola inaccessibile.

La situazione è talmente disperata che l'India ha deciso di inviare tre navi militari (INS Sujatha, INS Shawdul e INS Sarathi) nella città portuale di #Beira in Mozambico per fornire assistenza umanitaria immediata e soccorso (caso calamità HADR) alla popolazione mozambicana duramente colpita dal ciclone tropicale.




Le navi indiane erano dirette in Sudafrica ma le autorità del grande paese asiatico hanno deciso di dirottarle alla città mozambicana.

Il Ciclone Indai ha causato disastri catastrofici anche in Zimbabwe e Malawi: ma un bilancio definitivo della tragedia non è ancora possibile farlo: c'è il rischio, come per #Beira che i decessi possano essere a migliaia.
Quel che è certo è che, anche in Zimbabwe la furia del ciclone tropicale ha distrutto case, strade e sconvolto per sempre la vita di migliaia di persone.






I cambiamenti climatici stanno sconvolgendo il continente: tra avanzamento del deserto e inquinamento di ogni genere, l'Africa sta cambiando volto, nei mesi scorsi, gli scienziati avevano lanciato l'allarme a causa di questi fenomini, che l'uomo subdolamnte chiama "calamità naturali" avevano già decretato la morte dei meravigliosi alberi africani, i baobab, alberi secolari che sono la storia africana e, oltretutto, i cambiamenti climatici saranno la cuasa primaria delle prossime migrazioni dato che, come vediamo in questi giorni con il #CycloneIdai sempre più persone sono costrette a diventare ancora più povere del giorno prima di queste calamità.

Ma l'uomo sembra non preoccuparsene più di tanto e, il Pianeta Terra continuando di questo passo rischia l'implosione.

La scomparsa.
(Fonte.:allafrica;theheraldzimbabwe)
Bob Fabiani
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-https://allafrica.com/mozambique;
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lunedì 18 marzo 2019

#AfricaClmateWeek2019








A partire da oggi, oltre 2.500 delegati si sono riuniti ad Accra, in Ghana, per l'annuale appuntamento che prende il nome di #AfricaClimateWeek.
Ministri, responsabili delle politiche  e parti interessate, non appartenenti ad alcun partito stanno discutendo su come procedere al #ClimateChange anche perché, la stessa Africa sta pagando un contributo molto grande ai disastri prodotti dai sconvogimenti climatici.



L'ultima dimostrazione in tal senso, è stato il #CycloneIdai che in tre giorni, la furia della natura ha prodotto distruzioni, dispersi e decessi.

Ma la data odierna è importante anche per un'altra ragione: oggi #18M si celebra la "Giornata del riciclo globale".

Il tempo per agire, per fare la "cosa giusta" è adesso, non è più possibile rinviare oppure, continuare sul trend di questi ultimi decenni, la posta in gioco è talmente grande che, esiste la concreta possibilità che tutto resti come è adesso, la terra è destinata a morire di inquinamento.

Senza contare che il clima impazzito è portatore di tragedie umane che colpiscono, con severità massima proprio quella parte di mondo dove le persone, i popoli soffrono di più per la povertà.





"La fame è sentita dallo schiavo come dal re" .


Questa frase racchiude bene tutto il dramma che un continente come l'#Africa è costretto a subire e dato che gli scienziati, hanno fatto presente che al Pianeta restano poco meno di una dozzina di anni per invertire il trend che porta alla catastfofe globale.




Attraverso il #ClimateAction deve tuttavia favorire una soluzione alle sfide socio-economiche che costringa l'#Africa a restare l'"immondezza del mondo", e, al tempo stesso al Continente sommerso dalla plastica.
(Fonte.:allafrica;heraldzimbabwe;lexpressmada;jeuneafrique)
Bob Fabiani
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domenica 17 marzo 2019

FOTO DEL GIORNO - #CycloneIdai




Il Ciclone Idai sta imperversando sull'Africa Australe in questo fine settimana. Al suo passaggio ha lasciato distruzione, morte e dispersi tra il Madagascar, il Malawi, il Mozambico e lo Zimbabwe.
Il bilancio, del tutto provvisorio, visto le enormi difficoltà di raggiungere tutte le zone colpite da questo ciclone tropicale - come potete vedere dalla foto del giorno che pubblichiamo  oggi - è già drammatico: 150 morti almeno 100 dispersi ma le autorità non confermano e non smentiscono queste cifre.
Al momento, i danni maggiore sembrano essersi verificati tra Mozambico e Zimbabwe ma non è da escludere che anche il Madagascar abbia subito pesanti danni. Una delle città più colpite in Mozambico è Beira dove i danni risultano essere ingenti come, in molte zone, villaggi e città dello Zimbabwe.
Dal Madagascar non filtrano notizie ufficiali ma il timore che le piogge torrenziali di questi giorni abbiano fatto altro vittime e costretto i malgasci a vivere per le strade dal momento che, le loro umili case siano state travolte dalla furia dei venti e dell'acqua, non sono da escludere del tutto.

Il Ciclone Idai dimostra ancora una volta quanto i cambiamenti climatici stiano martoriando l'Africa e, proprio di questo specifico problema, ossia l'imperversare dello sconvolgimento climatico, inciderà sempre più sulle prossime, venture migrazioni; sarà oggetto di studio nel summit "Africa Climate week".
(Fonte.:africalandilmionuovoblog)
Bob Fabiani
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sabato 16 marzo 2019

Storia di #NadeemRashid, il musulmano che sfida lo stragista suprematista bianco in #NewZealand - FOTO DEL GIORNO





Questo è Nadeem Rashid. 

Certamente questo nome non vi dice granché ma siamo sicuri che quando avrete letto il post di oggi di AfricaLand Storie e Culture africane, non solo ricorderete il suo nome ma, in qualche modo, questa storia; una storia drammatica al culmine di una giornata assurda, di lutto, vi resterà tra le corde della vostra anima.

Una giornata nera: 15 marzo 2019.

A metà della sparatoria in Nuova Zelanda, mentre a dozzine intorno a lui stavano morendo sotto i colpi micidiali del trrrorista-razzista-stragista che odia tutti, nessuno escluso: dai mulatti ai neri, dai migranti ai rifugiati, senza naturalmente tralasciare i musulmani, Nadeem Rashid, in una frazione di secondo decide di cambiare il 'disegno stragista' di Brenton Tarrant.

Con determinazione e volontà ferrea, Rashid ha indirizzato su di lui la cieca volontà assassina del suprematista bianco, terrorista e fanatico dell'estrema destra. In questo modo, Rashid, ha tentato tutto quello che era possibile fare per farlo smettere di sparare all'impazzata.

Lui e suo figlio sono morti.

Alcune persone ricorderanno il terrorista, stragista, suprematista bianco, il razzista che esce di casa per mettere in pratica la "strage dell'odio" - come abbiamo titolato ieri - con l'intento di scaricare tutto il suo armamentario contro persone inermi, intenti a pregare nelle moschee di #Christchurch; migranti, neri e musulmani: molti ricorderanno l'estremista di destra, fanatico di Trump, Brenton Tarrant.

Questo blog AfricaLand Storie e Culture africane invece invita i lettori virtuali di queste pagine a ricordare Nadeem Rashidinstend e la sua grande prova di coraggio che, con il suo gesto straordinario ha salvato molte persone e reso il bliancio - seppure drammatico - più contenuto.
(Fonte.:africalandilmioblog)
Bob Fabiani
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venerdì 15 marzo 2019

La strage dell'odio #Christchurch - FOTO DEL GIORNO







Un disgustoso attacco alimentato da odio razziale del suprematista bianco e razzista, terrorista fanatico dell'estrema destra, ha causato una strage in due moschee in #NewZealand, Brenton Tarrant : la  FOTO DEL GIORNO  di Africaland Storie e Culture africane rende omaggio a tutte le vittime innocenti di questo assurdo atto terroristico a #Christchurch.

Il bilancio di questa vile strage è pesante: ci sono 49 morti e 48 feriti, molti versano in condizioni gravi; secondo le autorità neozelandesi durante una conferenza stampa, confermano lo stato detentivo di tre terroristi.

Nella notte italiana, la Arden, primo ministro donna della #NewZealand, ha rilasciato parole precise che, un premier deve rilasciare nel momento più buio.
La Arden ha detto che tra le vittime ci sono rifugiati e migranti.

"Loro hanno scelto la Nuova Zelanda come la loro casa. Loro sono noi, le persone che hanno compiuto questo atto di violenza non lo sono. Non c'è spazio per loro in Nuova Zelanda".
(Fonte.:africalandilmionuovoblog)
Bob Fabiani
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giovedì 14 marzo 2019

#FridaysForFuture - FOTO DEL GIORNO




Il tempo è adesso, non si può restare indifferenti neanche per un secondo in più ... è stato questo lo spirito che animato la protesta della giovane svedese Greta Thunberg e, dal suo attivismo, ha preso forma il #FridaysForFuture che, domani, #15M vedrà gli studenti di tutta Europa ma anche del resto del Mondo - Africa compresa - scendere in piazza per la marcia globale sul clima.

"Difendiamo la Terra dai Grandi che la distruggono", questo il messaggio che vogliono inviare gli studenti domani quando, scenderanno per la strada, inondando le piazze comprese quelle italiane.

AfricaLand Storie e Culture africane dedica la FOTO DEL GIORNO a questa lotta necessaria se, vogliamo difendere il pianeta dal disastro totale e aderisce al "Fridays for Future".
(Fonte.:africalandilmionuovoblog)
Bob Fabiani
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