TAG - AfricaLand Storie e Culture africane

AFRICA - Anc - DIASPORA - Segregazione razziale - - DIRITTI UMANI - migrazioni - TORTURE - RAZZISMO - Lotte anti-Apartheid - AFRIKANER - Afroamerican - LIBIA - lager libici - Libertà - Rwanda - genocidio rwandese - Namibia - genocidio dimenticato - Donald Trump - trumpismo - NELSON MANDELA - APARTHEID - SUD AFRICA - THOMAS SANKARA - Burkina Faso - rivoluzione burkinabé - STEVE BIKO - MARTIN LUTHER KING - i have a dream - slavers 2017-2018 - schiavitù - SCRITTORI D'AFRICA - Negritudine - PANAFRICANISMO - AFROBEAT - FELA KUTI - NIGERIA - BLACK MUSIC - BLACK POWER - BLACK LIVES MATTER - SELMA - Burundi - referendum costituzionale - Pierre Nkurunziza - presidente onnipotente - Madagascar - Place du 13 Mai - Antananarivo - Madagascar crisis - Tana Riot -Free Wael Abbas - Egitto- Piazza Tahir- Rivoluzione2011- Al Sisi - Italia - Esecutivo Giallo-Verde - osservatorio-permanente - Storie-di-Senza-Diritti-Umani - Barack Obama - Obama Years- Dakar2021 - World Water Forum - ChinAfrica - Brics - ambiente - Climate Change - FOTO DEL GIORNO - REGGAE -#mdg2018 - #MadagascarDecide - 'AL DI LA' DI OGNI RAGIONEVOLE DUBBIO' - IL ROMANZO - #GiletsJaunes - Afroitalian - Walter Rodney - Brexit - Coronavirus - #LEDITORIALE - News For Africa - I Can't Breathe - #USA2020

domenica 29 ottobre 2017

Retrospettiva e riflessioni dopo i recenti attentati in Somalia


 



Quattordici giorni dopo la mattanza più cruenta mai registratisi nel martoriato paese africano, la Somalia, causa un attacco terrorista che ha lasciato sul selciato oltre 358 morti e 228 feriti oltre, a 56 dispersi, a Mogadiscio ieri, è stato un altro sabato drammatico.
La strage di ieri - sabato 28 ottobre 2017 - seppure più contenuto nel numero di vittime innocenti, ha fatto registrare l'immediata copertura degli organi di informazione italiani.  Come mai questa clamorosa diversità nel coprire una notizia decisamente drammatica, proprio su quel fronte - del terrorismo di matrice islamista -  che, quando, colpisce e miete vittime nel cosiddetto "primo mondo"  raccoglie grande copertura mediatica e, quando invece fa altrettanto, non viene minimamente preso in considerazione e, non da oggi e, non solo per i drammatici fatti di Mogadiscio (la capitale) della Somalia?

La domanda di fondo dunque è : perché questa disparità nel "coprire" una notizia (molto rilevante dal punto di vista giornalistico) internazionale? Semplicissimo.  Nel drammatico attentato di ieri in Somalia si è verificato uno di quei spunti che, da questa parte del Pianeta - il civilissimo e modernissimo occidente - ha consentito di modificare il modo di "coprire la notizia". A Mogadiscio ieri i miliziani jihadisti di Al Shabaab (in lingua somala che corrisponde all'italiano "i Ragazzi" e in arabo "Hizb al-Shabab, Partito della Gioventù), hanno prontamente rivendicato la nuova strage e, di conseguenza, i media italiani hanno potuto riportare la notizia senza per questo dover entrare nel merito di ciò che si cela dietro la strage del 14 ottobre 2017 - che può benissimo essere classificata come un vero e proprio genocidio di cittadini somali - e, più in generale in Somalia. 

L'avevamo già scritto alla nascita di questo blog : AfricaLand - Storie e Culture africane nasceva dall'esigenza di poter scrivere quotidianamente di Africa e, in questo senso allargare la lente di approfondimento e di ingrandimento in modo del tutto diverso, andando a recuperare, la lezione della controinformazione, strumento utile per tentare di inquadrare i fatti ben oltre la cronaca o ancor di più, secondo la "lettura che ne dà il Potere, qualunque sia il governo che lo detiene".

Gli attentati di ieri sono andati in scena con modalità che potremmo definire "classico" (almeno per ciò che concerne l'Africa e il Continente nero n.d.r), usando l'autobomba fatta esplodere nella capitale somala davanti a un hotel causando 25 morti e oltre 30 feriti. L'hotel in questione è il Nasa-Hablod e, i jihadisti e miliziani di Al Shabaab lo hanno preso di mira perché frequentato da politici e alti militari (anche internazionali) e, da ultimo, lo hanno scelto perché si trova a pochi passi dalla sede dell'ex parlamento somalo. 

Questo ci consente di inquadrare meglio "il campo" come se dovessimo orientarci sul posto e volessimo condurre (alla vecchia maniera) una vera e propria "indagine giornalistica", ossia un reportage a 360° gradi, senza tralasciare nulla di quello che avremmo trovato se ci fossimo spinti nell'inferno della capitale somala.

Arrivati a questo punto della nostra retrospettiva (e prima di addentrarci nell'analisi vera e propria) possiamo tracciare un bilancio di quello che abbiamo appreso fino a questo punto del percorso. Gli elementi in nostro possesso sono dunque questi : ieri in Somalia è stato un altro "Sabato di sangue" stavolta, a differenza della precedente mattanza, quella del 14 ottobre scorso, abbiamo anche la rivendicazione dei miliziani di Al Shabaab. 

Cosa ci manca per mettere insieme tutti i puzzle di questa drammatica storia africana, una storia somala?

Quello che dobbiamo scoprire e quindi tentare anche di interpretare (senza demagogia e partigianeria) è : la condotta (e la strategia) dell'offensiva dietro le "nuove stragi" di Al Shabaab. Esiste un punto di partenza che ci aiuta a capire meglio la condotta dei miliziani : quale ragione induce i jihadisti sunniti a non rivendicare la più grande strage portata in porto, a fronte invece di quella da rivendicare, pur avendo centrato dimensioni molto più contenute da far sembrare la scelta dei terroristi come un clamoroso autogol?
Non sorprenda questa decisione e questa condotta.
E' bene fare un po' di ordine prima sulla storia di questa organizzazione terroristica e poi allargare il campo alla situazione della Somalia, tanto più che questo discorso che andremo ad affrontare per il paese somalo può essere facilmente allargato al resto dell'Africa. 

Procediamo con ordine e partiamo inevitabilmente dall'organizzazione terroristica Al Shabaab. Si tratta di un gruppo terroristico di matrice islamista attivo in Somalia a partire dal 2006. Il gruppo nacque in seguito alla sconfitta dell'Unione delle Corti Islamiche (UCI) ad opera del Governo Federale di Transizione (GFT) e dei suoi sostenitori, in primo luogo i militari dell'Etiopia, durante la guerra civile in Somalia. Ma come vedremo non sono gli unici. L'altro aspetto fondamentale da tenere a mente è che siamo di fronte a una cellula di Al Qaeda, riconosciuta dall'organizzazione fondata da Osama Bin Laden a partire dal 2012. 

Questo aspetto è decisivo e ci rimanda al punto centrale di tutta questa vicenda che, nessun organo d'informazione (a parte quelli di controinformazione) riportano e, dimenticano un po' troppo spesso.
Ricordo perfettamente le mie ricerche - indispensabili per il romanzo che stavo scrivendo nel 2015 e che presto verrà pubblicato. In quel romanzo stavo ricostruendo proprio la cosiddetta "questione interna all'Islam" di cui mai si tiene né il punto di partenza né quello di approdo. Il mio prossimo romanzo è una storia che abbraccia Parigi e il Madagascar (l'ex colonia francese n.d.r) ed è una storia che ricostruisce (in parallelo) i guasti di questi tempi moderni dove, sia nei paesi cosiddetti "moderni e civilizzati" sperimentano (come quelli del cosiddetto "Terzo mondo" e dell'Africa in particolare) la "perdita dei diritti fondamentali" in nome e per conto dell'austerità. 
Era questa la base di partenza da cui ero partito: mettere in parallelo la "crisi di democrazia" che sempre più spesso viene sacrificata in nome del cosiddetto "pareggio di bilancio" rincorso a tutti i costi in Francia come in Madagascar e nel resto del mondo. Inevitabilmente ci si trova di fronte, a un contesto in cui, i diritti fondamentali (e con essi sopratutto quelli sociali) diventano un pallido ricordo per tutti. Accade in Francia ma accade anche negli Stati Uniti e, questa situazione somiglia sempre più a quei continenti in cui, i popoli (in Africa ma anche in America Latina senza tralasciare l'Asia n.d.r) di quella parte di mondo, sono condannati a non vederli mai applicati.
Mano a mano che procedevo nel mio lavoro, e nelle mie ricerche che mi portarono inevitabilmente ad occuparmi della "questioni delle questioni" ossia, il problema - ma sarebbe meglio definirla tragedia - dei migranti che dall'Africa (ma anche da altri terreni dove impazzano le guerre imperialiste come in Siria, Iraq, Afghanistan e quella dello Yemen che, geograficamente non dista poi molto dalla stessa Somalia e, in qualche modo lega il destino sia dei somali sia degli yemeniti come vedremo n.d.r) arrivano a bussare alla porta della ricca Europa; la mie ricerche andarono a sfociare sulla "questione della guerra interna all'Islam" dato che, quelli erano i giorni degli attacchi a Parigi e, chiamavano inevitabilmente in causa i musulmani. 

Ma le apparenze non sono mai quelle che appaiono a una vista superficiale di quanti si accingono a studiare una determinata situazione e un determinato "fatto". 

A partire dall'estate 2015 appariva chiaro che l'Europa, i vari stati membri dell'UE non potessero essere così impavidi di cedere alle pressioni delle destre xenofobe che, nel frattempo rialzavano la testa e la voce fino a spingersi a rendere "esecutiva" l'occupazione delle "agende politiche dei vari governi europei" nella fobia di far crescere un sentimento razzista nei confronti dei migranti da respingere senza tanti complimenti.
Nel frattempo che questa diventava l'attualità (del tutto inaccettabile) della civilissima Europa le mie ricerche mi condussero nel "cuore del problema". Di pari passo alle voci sempre più sguaiate e stonate dei "tromboni" anti-migranti che, nell'occasione tornavano a riproporre concetti e parole d'ordine degne delle dittature fasciste e naziste degli anni '20 e '30 del Novecento gli studi e i documenti che mi accingevo a studiare mi proponevano un quadro d'insieme del tutto diverso dal "mantra" che ogni giorno, ora dopo ora, i canali di "all news" - senza distinzione tra Stati Uniti, Europa, compresa l'Italia - riversavano e portavano nelle case di quanti seguivano le televisioni e i telegiornali (diciamo in forma classica, ossia, di quella parte della popolazione che non si informa quotidianamente né via web né legge un quotidiano e meno che mai, può accedere a siti d'informazioni non convenzionali, ma che tuttavia esistono).

I lettori mi perdoneranno se qui riporto, per questo specifico tema un punto decisivo: qui si annida - a mio avviso - l'inizio di tutti i problemi di questa epoca che vorrebbe essere moderna ma, in realtà si riscopre vecchissima se, come, si assiste ormai quotidianamente, l'informazione che viene irradiata e propagata presenta gravi falle, anzi siamo di fronte all'imperversare di una "informazione drogata, falsa" e clamorosamente coincidente con le destre razziste, xenofobe che hanno a cuore il solo odio nei confronti delle minoranze etniche. 

Italia compresa : e per questa ragione se ci si vuole informare si deve inevitabilmente orientare la nostra attenzione verso le testate giornalistiche internazionali sia europee sia americane (ma stando bene attenti e avendo bene a mente che non ci si può accontentare della prima e unica tesi sempre e comunque coincidente con il "pensiero unico di Regime").

Mentre il mio lavoro sul romanzo si andava sviluppando tra Parigi e Antananarivo (la capitale malgascia del Madagascar) incrociai le ricerche sul "mondo del jihadismo islamista" - quello che nel vecchio continente i paladini delle destre estreme si sforzavano a descrivere "Islam radicale" che, naturalmente, nell'Islam vero, nell'Islam autentico non trova né basi né ha motivo di esistere - e di conseguenza, posai le mie attenzioni su un articolo del New Yorker in cui si ricostruiva la "vera posta in gioco"  insita nella galassia dell'Islam sia in Africa sia in Medio Oriente. Secondo la ricostruzione del New Yorker era in atto una guerra per prendere il comando e il sopravvento e, se questa era la situazione, l'aggravarsi degli attacchi terroristi sia in Europa, Africa sia l'Asia e lo stesso Medio Oriente vedeva contrapposti le due anime del jihadismo. Da una parte Daesh ( meglio conosciuto in occidente come Isis o Stato Islamico) e Al Qaeda. 

Ecco un altro aspetto decisivo : era in atto (senza esclusione di colpi) una serie di azioni terroristiche per prendere la leadership all'interno della galassia jihadista di cui, l'Africa è (da sempre) il primo e più drammatico avamposto come del resto, il Medio Oriente. E se ci si sofferma su questo aspetto ossia, la contrapposizione tra Daesh e Al Qaeda, si deve tornare a un documento scottante, scritto di suo pugno da Osama Bin Laden, dal rifugio in Pakistan laddove, gli Stati Uniti arrivarono a stanarlo e a ucciderlo sotto la regia della Casa Bianca guidata dal primo presidente afroamericano della storia degli Stati Uniti, Barack Obama. 

-Il testamento di Osama Bin Laden 

Le linee guida per altro ben illustrate nell'articolo a firma del New Yorker risultarono preziose per la "mia storia" del tutto funzionale al mio romanzo. E tornano del tutto fondamentali anche per la situazione della Somalia. 
Il testamento di Bin Laden richiamava all'"unità del jihadismo" in chiave e nella visione di Al Qaeda che, in qualche modo richiamava tutti i miliziani a mettere al centro della questione il "bene primario"  - così lasciò scritto Osama Bin Laden - per "portare il supporto necessario" ai cittadini sia in Africa sia in Medio Oriente. Era il richiamo al riconoscimento dei "diritti sociali"  di milioni di persone che, secondo quello che lasciò scritto Osama Bin Laden, doveva portare Al Qaeda a farsi carico delle istanze in tema di diritto al lavoro, al riconoscimento della libertà di voto, e addirittura del supporto al diritto alla salute. Con questa "svolta sociale" ebbe subito un risultato diretto: era Al Qaeda a riprendere il sopravvento per la leadership della galassia jihadista a danno di Daesh. Non è un caso se alcune organizzazioni tra le più spietate in Africa come appunto Al Shabaab (Somalia, Kenya) e Boko Haram (Nigeria, Niger, Mali, Camerun, Senegal), si sono affrettate a chiedere "ospitalità e affiliazione" alla casa madre, Al Qaeda. 
Questa svolta solo sognata da Osama Bin Laden (perché avvenuta dopo la sua morte) era stata pianificata dal fondatore dell'organizzazione facendo perno su un aspetto non del tutto secondario e, che ritroviamo anche nelle spinte decisioniste dei miliziani somali: battersi contro l'oppressione di quanti, in nome del colonialismo e del nuovo imperialismo che, in nome del petrolio e delle materie prime arrivano qui, sopratutto in Africa, comportandosi come se fosse tutto dovuto alle potenze colonialiste, le stesse di sempre.

-Somalia, trent'anni di guerra senza quartiere

Inquadrata la situazione e scoperto le motivazioni per cui Al Shabaab è confluita in Al Qaeda e appurato il fatto che l'organizzazione fondata da Osama Bin Laden ha tracciato (prima di essere giustiziato dalle squadre speciali americane n.d.r) la strada per occupare un vuoto anche delle istituzioni e, con questo mettere in risalto anche le connivenze, la corruzione dei governi africani sempre troppo collaborativi con le multinazionali che per esempio, qui in Africa, hanno sostituito (in tutto) le potenze coloniali nell'annettersi tutte le preziose materie prime che mancano in Europa e nel resto dell'occidente. A questo punto, della nostra indagine possiamo dedicarci alla Somalia. 
Quando nel mese di febbraio 2017, fu eletto il nuovo presidente Mohamed Abdullahi Mohamed, detto Farmajo, si pensava che la Somalia finalmente avesse imboccato un periodo di grandi svolte che aiutasse il paese africano a superare il perenne stato affossato dalla lunga guerra durata più di 30 anni. Il problema maggiore è che questo governo e questo presidente, è riconosciuto solo a livello internazionale, in una sorte che accomuna la situazione somala a quella della Libia, un altro stato africano fallito, inesistente. Lo stesso presidente, è un ex rifugiato politico negli Stati Uniti ed è letteralmente inviso ai miliziani jihadisti somali che, con i continui attentati riaffermano il governo di Mogadiscio è strutturalmente fragile e corrotto, inevitabilmente indebolito da incessanti lotte interne: non passa certo sotto silenzio, alcune dimissioni eccellenti nel governo, non più tardi del 9 ottobre quindi qualche giorno prima della drammatica mattanza - la più grande strage in Somalia con 358 morti - e, si tratta di dimissioni che hanno investito il ministro della difesa, Abdirashid Abdullahi Mohamed e, il capo delle forze armate, il generale Mohamed Ahmed Jimale che, seppure non hanno motivato il gesto eclatante, hanno però sottolineato la denuncia del fallimento del nuovo presidente somalo. 

Tuttavia, va da sé che questa serie di attentati ravvicinati e cruenti mostrano una serie di complicità sfruttate ad arte dai miliziani di Al Shabaab ed è altrettanto certo che queste complicità sono sia di matrice interna e portano molto lontano da Mogadiscio. 
Chi appoggia i miliziani jiahdisti?
Rispondere a questa domanda non è troppo difficile. Per una serie di ragioni. Intanto l'attentato del 14 ottobre è avvenuto dove c'era la sede della Croce rossa, l'immancabile hotel e una serie di piccoli negozi e, quello di ieri 28 ottobre invece è avvenuto a quattro passi da un altro hotel, il Nasa-Hablod che dista pochi passi dall'ex parlamento somalo. 
La forza brutale e a tutto campo spiega anche molte cose e, involontariamente ci dice che l'appoggio decisivo di cui nutrono i miliziani islamisti di Al Shabaab conducono direttamente alla solita Arabia Saudita e agli stessi Emirati arabi ecco perché la situazione somala è strettamente collegata alla situazione disperata dello Yemen anche vicino geograficamente, sono due teatri della stessa medaglia e riconducono a quella "guerra civile" di cui aveva parlato e scritto anche Osama Bin Laden e che, in nome di una divisione tra Islam sunnita e Islam sciita sta letteralmente spargendo sangue e odio in Medio Oriente sia in Africa. E sullo sfondo, questa serie di attentati cruenti nascondono anche l'invisibile rivalità che vedete su posizioni contrapposti il Qatar e l'onnipresente Arabia Saudita che sfrutta anche la nuova posizione (una vera mina vagante) dell'America di Trump sempre più impegnato a distruggere i lasciti di Obama e quindi, il famoso storico accordo sul nucleare con l'Iran. 
E se questo è quanto più vero la Somalia si ritrova a pagare anche la vendetta di Riyadh. Di cosa si tratta? Rispondere correttamente a questo quesito ci riporta al 2016 quando, la stessa Somalia aveva sostenuto l'Arabia Saudita nella guerra contro gli houthi in Yemen in cambio, aveva ottenuto da Riyadh la somma di 50 milioni di dollari. Ora che la Somalia non è entrata nell'alleanza anti-Qatar il paese africano scopre che l'aspetta l'inferno interno nello scacchiere che si gioca sulla pelle dei somali ma ha interessi molto distanti da Mogadiscio. 
Ma non c'è solo l'Arabia Saudita in questa storia. Per esempio, diventa decisiva la casella occupata dagli Emirati arabi. Nel tempo gli Emirati avevano sempre avuto una base strategica sulla spiaggia di Mogadiscio ma, non erano molto accettati né apprezzati dalla popolazione e, forse, prendendo la palla al balzo, ora hanno optato per altri porti quelli di Berbera (Somaliland) e un'altra a Bosaso (Puntland). 
In questo vuoto lasciato dagli Emirati si sono inseriti la Turchia del "Sultano del Bosforo", quell'Erdogan che ha schierato la Turchia a supporto del Qatar portandosi dietro anche la Somalia (a suon di investimenti promessi e stanziati). Detto e fatto. Non più tardi del 30 settembre 2017, il paese turco ha aperto la più grande base militare d'oltremare con un costo di 50 milioni. Questo cambia le carte in tavola perché la Turchia nella base ha stabilito tre scuole militari distribuite su 400 ettari e dove, potranno essere addestrati 10 mila soldati somali. Ma questa è solo una fase. La Turchia è presente in Somalia già dal 2010 costruendo scuole ed ospedali.
Non poche voci nelle ore immediate del dopo-attentato vedono come possibile obiettivo questa mega base turca ma per un qualche motivo, i miliziani hanno dovuto desistere e ripiegare nella mattanza del centro di Mogadiscio. 
E' dunque questo il motivo per cui Al Shabaab non ha rivendicato l'attentato spettacolare (dal punto di vista dei miliziani jihadisti n.d.r)?
Si deve dare credito a queste voci che per altro sono state alimentate in ambienti ai massimi livelli delle forze armate somale ma, sullo sfondo c'è anche dell'altro.
Tre giorni prima della grande mattanza, a Mogadiscio era andato in scena l'incontro (ai massimi livelli) di esponenti del Comando delle forze Usa in Africa (Africom) con lo stesso presidente somalo. Voci incontrollate hanno sparso la notizia del disimpegno ormai deciso da Trump ma non ci sono riscontri anche perché, gli americani da queste parti, hanno una serie di presidi (non ufficiali, nel senso che non sono dichiarati) e, per esempio in Somalia sembrerebbe situato a Balid Dogle base sfruttata e usata per la "guerra non dichiarata" i miliziani jihadisti di Al Shabaab. 

-Conclusioni

Non si può scartare nessuna di queste piste anche se, al momento, la più accredita vede la Somalia vittima designata nel durissimo scontro (senza risparmio) tra Qatar e Arabia Saudita. 
(Fonte.:jeuneafrique;bbc;lemonde;guardian;aljazeera;nytimes;newyorker)
Bob Fabiani
Link
-www.jeuneafrique.com;
-www.bbcafrica.com;
-www.lemondeafrique.fr;
-www.theguardian.uk;
-www.aljazeera.com;
-wwwnytimes.com;
-www.newyorker.com 
  

         
       
    

sabato 28 ottobre 2017

Le principali caratteristiche delle tradizioni orali africane (Part 4)





Quarta parte della ricostruzione della Storia delle Letterature d'Africa : oggi ci soffermiamo sulle caratteristiche principali esistenti nelle tradizioni orali in tutta l'Africa. 

Le tradizioni orali hanno una connotazione evidentemente molto diversa da quelle della scrittura, possiedono cioè delle caratteristiche particolari che si possono riassumere in quattro punti :


  1. Memoria (memoria individuale e memoria collettiva)
  2. Relazione biunivoca con l'ambeinte
  3. Dinamicità
  4. Teatralità 


Il primo fattore da considerare, quello della memoria, è chiaramente di grande importanza : essa costituisce infatti il supporto cognitivo attraverso cui l'oralità diventa tradizione, consolidandosi e trasmettendosi nel  tempo e nello spazio.  In particolare, la memoria individuale consente ai grandi conoscitori della tradizione nei contesti africani (i Griot) di apprendere e sviluppare la loro arte. 
A questo scopo, vengono sviluppate particolari tecniche mnemoniche per poter attingere a un repertorio il più vasto possibile, in modo da poter operare all'occorrenza  anche in situazioni fra le più disparate.
Una tradizione orale non è mai solipistica, non c'è una caratteristica elitaria, tutti sono potenzialmente coinvolti e in alcuni casi, addirittura incoraggiati a farlo.

La memoria collettiva, invece, serve ai membri stessi di una determinata cultura per sentirsene parte a tutti gli effetti e per poter cambiare o modificare alcuni aspetti in base alle necessità della contingenza (e che proprio per questa ragione non possono mai essere stabiliti a priori, ossia a tavolino); in secondo luogo svolge la funzione di verifica costante di una determinata tradizione ed è quindi molto importante per comprendere meglio l'evoluzione e lo sviluppo di un sistema culturale e poter fondare (su di esso) le proprie argomentazioni che, tuttavia devono basarsi su una realtà molto concreta.

Sta anche in questo passaggio del tutto centrale (e imprescindibile) la forza, la magia di questi riti antichissimi - che sono le tradizioni orali - arrivati e custoditi anche ai giorni nostri a rendere unica l'arte della tradizione orale in Africa. 

Un altro aspetto di vitale importanza è costituito dalla relazione con l'ambiente che, in nome di questo, permette alla tradizione di vivere, di diffondersi e di permanere in un certo ambito culturale; è una relazione biunivoca poiché così come gli individui sono chiamati a contribuire alla tradizione arricchendone i sensi e i significati e selezionandone gli aspetti che meglio corrispondono alla contemporaneità, allo stesso modo la tradizione esiste per confermare a determinati modelli i comportamenti individuali e collettivi di una determinata società.

Il tempo è fluido nella tradizione orale, il sapere in questa modalità ha un aspetto più ciclico che cumulativo. La dinamicità non sta solo nello spostamento materiale da una zona all'altra, fattore comunque di grande rilevanza, considerando la mobilità che caratterizza i Griot, ad esempio; ma c'è anche una componente dinamica rispetto ai contenuti e alle dorme della tradizione che variano grazie agli apporti degli individui e in relazione al tempo.
E' a fronte di questo che la conoscenza di un mito o di un fatto particolare della storia sia molto approfondita, è evidente che non la si potrà memorizzare parola per parola; meno evidente è invece la tendenza in molti contesti africani a sviluppare variazioni e alterazioni della stessa tradizione senza perdere l'unità e il senso di coerenza.
(Fonte.:reuvenoire;chimurenga;presenceafricaine)
Bob Fabiani
Link
-www.reuvenoire.com;
-www.chimurenga.co.za;
-www.presenceafricaine.com
     

venerdì 27 ottobre 2017

Funzioni generali dell'oralità in Africa subsahariana (Pt.:3)


 





La letteratura orale (espressione introdotta da Sébillot, un etnologo e ricercatore bretone, nel 1881), include l'insieme di enunciati metaforici o narrativi che vengono eseguiti davanti a un pubblico e trasmessi attraverso la memoria; ovviamente s'includevano diverse forme narrative che possono essere i racconti, le favole, i miti, le poesie i proverbi in cui vengono formalizzate le caratteristiche principali dei modelli di comportamento e di vita sociale.
Attraverso il linguaggio metaforico, è possibile ridefinire e continuamente il modello di riferimento e dunque risolvere conflitti individuali e collettivi all'interno della società.
Tuttavia, la letteratura orale esprime una delle sue funzioni più importanti ed efficaci con la musica che per l'Africa è stata ed è una forma d'arte imprescindibile. Proprio nell'ambito musicale, ad esempio, la tradizione orale ha costituito un fondamentale sostegno e stimolo non solo per la funzione di trasmissione ma per l'attribuzione di dinamismo e per lo sviluppo della tipica capacità d'improvvisazione.
La musica africana ha uno stretto legame con la tradizione orale; con caratteristiche e fenomeni differenti anche il cinema africano presenta una relazione biunivoca fortissima con l'oralità. 
(Fonte.:reuvenoire;chimurenga;presenceafricaine)
Bob Fabiani
Link
-www.reuvenoire.com;
-www.chimurenga.co.za;
-www.presenceafricaine.com


giovedì 26 ottobre 2017

Tradizione orale africana (Pt.:2)

 




Nella seconda parte dello speciale dedicato alla Storia delle Letterature dell'Africa nera (subsahariana) continua il nostro viaggio all'interno della tradizione orale africana. In questa seconda puntata entreremo nel vivo di ciò che rappresenta (e ha rappresentato) per tutti i popoli d'Africa questo immenso "archivio" - per usare la stessa espressione di uno dei più famosi intellettuali africani, il maliano Amadou Hampaté Ba - il quale ha sempre sostenuto che le "tradizioni orali sono gli archivi letterari, storici e scientifici dell'Africa". 

La  letteratura orale africana è ancora poco studiata, sia per le difficoltà obiettive ( lingua, non appartenenza degli osservatori alle collettività interessate), sia perché è difficile distinguere fra ciò che è arte e ciò che non è arte all'interno della tradizione orale, anche per l'eurocentrica renitenza ad abbandonare il mondo della tradizione scritta, con i suoi canoni e le sue regole, per affacciarsi al variegato, ignoto cosmo della letteratura orale dell'Africa. 

Tuttavia esiste una precisa fase storica in cui tutto questo cambia in modo radicale. A partire dalla fine della seconda guerra mondiale e più ancora dopo le indipendenze nazionali, il quadro delle culture africane e dei loro modi espressivi muta molto rapidamente, anzi, in molti casi, il cambiamento è vertiginoso. Inoltre il materiale raccolto dagli antropologi è stato sino a tempi recenti catalogato come etnologico, e pertanto collocato in una categoria a sé stante, fuori dalla storia come pure dalla letteratura vera e propria.

Lo studio della tradizione letteraria orale africana da parte di europei è iniziato con Fables sénégalaises dans l'oulof ( Favole senegalesi in area wolof, 1828) di J.-F. Roger, ma questo non è stato che un inizio (del tutto blando). Soltanto più tardi gli studi sarebbero diventati rigorosi quando, nella metà del XIX secolo vennero avviati definitivamente pur mantenendo come finalità quella dell'evangelizzazione (una delle tante facce del colonialismo in Africa n.d.r). Tra le prime raccolte si possono ricordare African Native Literature (Letteratura indigena africana, 1854) a cura di S.W.Koelle al pari di un altro volume intitolato Reynard the fox in South Africa (Rnard la volpe in Sud Africa, 1864) di W.H.I.Bleek,  dal taglio comparativistico.
Nursery tales, Traditions, and Histories of the Zulus (Racconti per bambini, tradizioni e storie degli Zulu, 1891) è un'altra di queste raccolte (le prime che fecero conoscere la tradizione orale africana a decine di migliaia di chilometri di distanza), una raccolta scritta dal vescovo H. Callawey ma, esiste un altro volume che, per primo ha avuto l'intuizione di allargare l'orizzonte visivo sulla tradizione orale africana. Si tratta di una raccolta in lingua tedesca Geshichten und lieder der afrikaner ( Storie e canzoni degli africani, 1891) un lavoro firmato da A.Seidel. 
Sulla falsa riga di questo lavoro, alcuni anni più tardi apparve Folk-Tales of Angola (Racconti popolari dell'Angola, 1894) nel quale H.Chatelein sosteneva che il materiale africano era "un ramo di un solo albero universale". 

Si trattò di una prima ammissione che poneva non solo i popoli africani e, quindi di conseguenza il Continente nero su un piano di pari dignità al cospetto delle altre culture e arti ma, nello specifico questa dichiarazione metteva all'angolo tutte le storture, e gli istinti razzisti di quanti pensavano che l'Africa non fosse in grado di reclamare, pretendere quel rispetto che quei colonialisti erano pronti a riconoscere alle altre culture del mondo sopratutto quelle "civilizzate e bianche". 

A cavallo tra i secoli XIX e XX, si moltiplicarono gli studi tedeschi sulle lingue bantu delle aree allora colonizzate dalla Germania. Al celebre Der schwarze dekameron (Il Decamerone nero, 1910) di L.Frobenius, raccolta di narrative che destò vivissimo interesse non solo in Germania ma un po' ovunque nel Vecchio continente, seguirono i dodici volumi di Atlantis: Volksmarchen und volsdichtungen afrikas (Atlantis: racconti e poesie popolari africane, 1921-1928). 



 -La tradizione orale africana


La tradizione orale è un insieme di saperi  che presentano una modalità di trasmissione diretta, senza l'uso di supporti scritti.
Questo genere di sapere si traduce in molte forme differenti di narrazione e performance ed è particolarmente diffusa tra le popolazioni dell'Africa subsahariana, tanto da riferirsi ad esse come a "Civiltà della parola". 
Il veicolo di comunicazione è dunque interamente ed esclusivamente dato dalla voce. I saperi relativi alla tradizione orale africana possono appartenere ad ambiti molto diversi: possono esserci tradizioni orali storiche, mitologiche, musicali, religiose, politiche oppure giuridiche letterarie. 
E' a ragione di questi ambiti così diversi che il famoso intellettuale, scrittore, filosofo e antropologo originario del Mali Amadou Hampaté Ba (1900-1991) sostiene che "le tradizioni orali sono gli archivi letterari, storici e scientifici dell'Africa". 
(Fonte.:reuvenoire;chimurenga;presenceafricaine)
Bob Fabiani
Link
-www.reuvenoire.com;
-www.chimurenga.co.za;
-www.presenceafricaine.com

   

mercoledì 25 ottobre 2017

Storia delle Letterature dell'Africa nera (subshariana). La Tradizione orale. Pt.:1





Inizia oggi sulle  virtuali di questo blog una serie di pubblicazioni dedicate alla Storia delle Letterature dell'Africa nera (subsahriana) : si tratta di una serie di "puntate" che prendono il via dalla Tradizione orale africana; di gran lunga la più importante e che si perde nella "notte dei tempi".
Questa serie di  speciali non vuole certo essere né definitiva né la più esaustiva ricostruzione della Storia della Letteratura africana ma, diventa necessaria se  - come è nelle corde di questo blog - si vuole "parlare, scrivere, narrare" regolarmente di Africa in modo differente (dall'uso corrente) in occidente e, in particolar modo in Italia. 
A nostro giudizio, non si può parlare né di scrittori africani né tanto meno di scrittrici africane se prima non si tenta una ricostruzione (parziale quanto si vuole) dell'arte e della scrittura nel Continente nero.  Del resto in Africa la tradizione orale non è stata mai abbandonata tutt'altro, al massimo si può parlare di integrazione tra la tradizione orale (millenaria) e quella scritta che prese piede in Africa dopo l'alfabetizzazione del XX secolo. 
Non si tratta evidentemente solo di pura e semplice precisazione ma questa situazione non può essere lasciata a margine altrimenti, non sarebbe poi possibile presentare tutta una serie di grandi Romanzieri d'Africa che oggi, ai giorni nostri conquistano sempre più una maggiore considerazione presso i lettori.
Ma non si tratta solo di questo. In realtà, uno degli obiettivi dichiarati di questo blog è anche spezzare, infrangere, azzerare "certi luoghi comuni" legati all'Africa. Le cose non stanno come le hanno sempre descritte le varie colonizzazioni dei bianchi che si sono spinti da queste latitudini con la supponenza - e diciamolo pure - con quell'arroganza - spesso del tutto ingiustificata - che per secoli, ha veicolato come nulla la cultura africana e di conseguenza la Storia dell'Africa volutamente fatta passare come "inizio" soltanto a partire dalla presenza dei bianchi che, in quell'occasione si arrogavano anche il diritto di aver "scoperto nuovi popoli e nuovi stati" .

La realtà era (ed è) ben differente da queste "narrazioni di parte" che rasentano posizioni razziste utili quando si trattò di ridurre in schiavitù gli africani (intesi come esseri inferiori rispetto ai bianchi esploratori al soldo delle Potenze colonialiste n.d.r).

Iniziamo questo affascinante viaggio e prendiamo coscienza che, in tema di letteratura - se l'oggetto è l'Africa - il primo passo, la nostra prima meta è immergerci nella magia, nel mistero affascinante della tradizione orale.   



La tradizione orale africana (prima parte) 

La letteratura tradizionale dell'Africa nera (subsahariana) è tutta orale. 
Essa continua ancora al giorno d'oggi, seppure riveduta e corretta - in qualche modo ridotta e mutata - dopo l'inizio dell'alfabetizzazione avvenuta nel XX secolo e il diffondersi della " pratica" alla letteratura scritta.
La tradizione orale, affidata alle lingue autoctone,  è ricca e multiforme e possiede generi propri all'interno delle varie lingue e culture. Tuttavia questo, non ha impedito a studiosi come R. Finnegan  di tracciare una tipologia, applicabile a tutta l'Africa nera (subsahariana), secondo cui, le partecipazioni principali sono costituite dalla poesia (panegirica, lirica, elegiaca, liturgica e religiosa, di guerra e di caccia, politica, per bambini), dalla prosa (racconto e favola, proverbi, indovinelli, oratoria e preghiera) e da alcune forme speciali, come il teatro e la lingua del tamburo. 
Contrariamente a quanto si credeva un tempo, si è scoperto che nella tradizione orale africana i generi preminenti non sono quelli in prosa (racconto, favola ecc.), bensì quelli in poesia, spesso legati alla musica e alla danza. 
Un testo appartenente alla tradizione orale, ossia tramandato a memoria e trasmessa a voce, è tanto meno suscettibile di libere variazioni del contenuto quanto più è importante; e la sua popolarità è legata alla sua trasmissione. L'arte sta quindi nella versione che il singolo esecutore sa dare rispetto agli stereotipi tradizionali. La performance è insieme l'aspetto creativo della letteratura orale e il suo momento sociale : poiché non esiste di fatto uno stereotipo che sia avulso dalle esecuzioni che ne possono dare gli interpreti individuali.
Tutta la letteratura orale nasce dal sociale e nel sociale e implica necessariamente una diretta interazione fra artista e pubblico, senza la quale il momento espressivo non può aver luogo.

In base a questa condizione del tutto particolare che l'Africa sa offrire ci pone di fronte a una netta discontinuità di quei stereotipi di cui ha parlato R. Finnegan; stereotipi che ci indicano una verità incontrovertibile. Non si tratta quindi di un'arte composta e consumata in tranquilla solitudine, bensì un'arte essenzialmente pubblica, collettiva, e funzionale pur con significative eccezioni, la diffusione della scrittura e delle lingue europee da un lato, e dei mass media dall'altro, ha profondamente intaccato l'uso delle letterature orale, mentre il mutamento dei modi di produzione, il frantumarsi delle stretture familiari e comunitarie tradizionali, l'urbanizzazione, hanno contribuito a cambiare le condizioni di vita delle popolazioni per le quali l'espressione letteraria orale si inquadrava in luoghi e momenti rituali in cui assumeva un preciso e riconosciuto significato collettivo. 
L'antico senso della tradizione letteraria orale è chiaramente presente e in gran parte della letteratura scritta africana contemporanea, anche se di lingua europea, e in più casi la pressione interna di questa tradizione, l'urgenza della sua funzione rituale e sociale, ha fatto sì che alcuni scrittori, che pure avevano cominciato a scrivere in inglese e francese, siano poi passati alla propria lingua madre, come è avvenuto al romanziere kenyota Ngugi, o al poeta ugandese p'Bitek. 
La linea dell'espressione letteraria orale si è creata sbocchi di prepotente fioritura nel teatro (Soyinka), nella poesia lirica, elegiaca, politica, oppure nell'oratoria; e rifluisce sotterranea nel genere letterario scritto che oggi è il più importante nell'Africa, ossia il romanzo (basti pensare a Tutola, Ekwensi, Achebe solo per citarne alcuni seppure tra i più importanti amati in Africa come altrove).
(Fonte.:reuvenoire;chimurenga;presenceafricaine)
Bob Fabiani
Link
-www.reuvenoire.com;
-www.chimurenga.co.za;
-www.presenceafricaine.com   

martedì 24 ottobre 2017

Storia dell'Africa, il Regno di Kerma (Seconda parte)





Il Regno di Kerma (il più antico conosciuto della zona di Kush) fu uno stato nubiano esistito tra il 2500 a.C. e il 1520 a.C. il suo centro fu appunto la città di Kerma il cui momento di maggiore splendore coincise con il medio Regno egizio (si tratta di quella fase della storia egizia che si colloca tra il 2055 a.C. e il 1790 a.C. e corrisponde a una ripresa dello stato unitario dopo la fase di frammentazione del potere seguita al crollo dell'antico Regno Egizio n.d.r) anche se la civiltà nubiana mantenne sempre i suoi caratteri distintivi (per esempio la ceramica).

Il sito di Kerma include sia una vasta città che una necropoli   consistente in grandi tumuli.
L'archeologo statunitense  - uno dei massimi egittologi - George Reisner riteneva che Kerma fosse stata in origine  un governatorato egizio e solo in seguito, si sarebbe sviluppato virando verso una monarchia indipendente. 
Ma i pareri in proposito sono dissonanti. Gli studiosi moderni ritengono invece che all'origine di Kerma sia stato un avamposto commerciale essendo troppo lontana dai confini dell'Egitto del tempo. Anche la presenza di oggetti e statue recanti iscrizioni egizie viene ora interpretata come effetto degli scambi commerciali.

Durante il primo periodo intermedio (siamo nel periodo che copre gli anni della storia egiziana che indicativamente possono essere collocati tra il 2160 a.C. e il 2055 a.C. comprendendo le dinastie e sovrani dell'antico Egitto VII, VIII, IX e X. E' il periodo che sancì lo sfaldamento del potere centrale a favore dei governatori provinciali n.d.r) la presenza egizia nella Bassa Nubia scompare del tutto e quando le fonti egizie tornano a citare Kerma la descrivono come una città che può disporre del controllo dell'Alta e Bassa Nubia. 

Il Regno di Kerma raggiunse il suo massimo sviluppo territoriale durante il secondo periodo intermedio (siamo in quella fase della storia egizia, tra il Medio Regno e il Nuovo Regno, caratterizzato da lotte interne nello Stato e dall'invasione degli Hyksos n.d.r) arrivando a sfiorare il confine meridionale dell'Egitto. 
Siamo alla battute finali perché il Regno di Kerma accusa il colpo e finisce nel momento in cui prende l'avvento il Nuovo Regno ( è il periodo della storia egizia che comprende le dinastie XVIII, XIX e XX secondo la cronologia di Maretone. Il Nuovo Regno è il momento di massima espansione dell'influenza egizia, al punto che talvolta si tende a parlare di impero n.d.r) e dei suoi sovrani alla ricerca dei successi militari. Sotto la guida di Thutmose III (faraone della XVIII dinastia egizia n.d.r) il confine giunge alla IV cateratta del Nilo (in ambito geografico si usa questa terminologia per descrivere il susseguirsi di rapide e piccole cascate nel corso di un fiume, il Nilo, il più lungo del mondo. Il fiume africano è lungo 6.853 km; n.d.r) e Kerma si trova inglobata nell'impero egizio. 
Si conoscono i nomi di alcuni sovrani del Regno di Kerma : Awawa il cui regno iniziò fra il 2000 e il 1850 a.C per poi lasciare il trono a Utatrerses che regnò fra il 1850 e il 1650 a.C quando poi fu la volta dell'ultimo sovrano del Regno di Kerma, Nedijeh fra il 1650 e il 1550 a.C. 


-Cultura di Kerma

Kerma è stata sede di una cultura neolitica attestata da un campo di sepolture databile al 7.500 a.C. ed è uno dei campi di sepolture più antichi dell'intera Africa. 
Alla cultura di Kerma sono anche legati alcuni reperti attestanti la domesticazione dei bovini nell'area sudanese. Fino a poco tempo fa, la civiltà di Kerma era conosciuta unicamente per il sito della sua capitale, la necropoli situata nei pressi stessa della capitale e, inoltre per alcuni altri piccoli centri verso Nord. Recenti scoperte archeologiche hanno identificato numerosi altri siti situati a Sud di Kerma, lungo l'antico corso del Nilo. 
Kerma era un grande centro urbano costruito attorno a un centro templare, conosciuto come Deffufa. 

Alcuni aspetti di questa cultura sono i vasi di ceramica, l'allevamento del bestiame, un particolare sistema di difesa e la camera per le udienze del re (che non esisteva nell'antico Egitto che poi venne ricostruita 10 volte).
In base ai reperti archeologici la storia del sito, dopo il neolitico e nel periodo del Regno di Kerma, può essere suddiviso in varie fasi : c'è il periodo Pre-Kerma (3200 a.C. - 2500 a.C. con la formazione dei primi aggregati preurbani n.d.r), il periodo Kerma iniziale (2500 a.C. - 2050 a.C. che comprende la formazione della città, la costruzione del quartiere religioso e la trasformazione dei territori a Est in necropoli n.d.r), il periodo Kerma intermedio (2050 a.C. - 1750 a.C. durante il quale saranno erette le mura della città e i palazzi n.d.r) e il periodo Kerma classico (1750 a.C. - 1480 a.C. che comprende il periodo di massimo sviluppo con la costruzione dei templi e delle tombe reali fino all'invasione egizia n.d.r). 
Dopo l'invasione egiziana e la successiva riconquista dell'Indipendenza della Nubia, la città continuerà a esistere come importante centro commerciale ma non sarà più la capitale di un Regno indipendente. 

Ora il sito di Kerma si trova nello Stato del Sudan ed è oggetto di scavi da parte di missioni archeologiche svizzere. 

-La Regione 

Kerma è una località della Nubia (regione che comprende Egitto Meridionale lungo le rive del Nilo e la parte Settentrionale del Sudan, approssimativamente dalla Prima Cateratta alla Quinta Cateratta del Nilo) situata nei pressi dell'attuale Karmah (Sudan). 
Fu la capitale del Regno di Kerma che si estendeva tra i confini dell'attuale Egitto e del Sudan. Kerma è uno dei più estesi siti archeologici della Nubia. In decenni di scavi archeologici e ricerche vi sono stati ritrovati numerosissimi oggetti, migliaia di antichi sepolcri e quartieri residenziali. 
Gli archeologi concordano che il sito risale a oltre 9.500 anni fa.

-Bibliografia

I libri dedicati al Regno di Kerma sono molteplici per brevità di spazio segnaliamo solo quelli di recente pubblicazione (reperibili anche via web)

  • Bonnet Charles  - Des Pharaons verus d'Afrique: La cachette de Kerma. Cittadelles & Mazenod (2005, ISBN)
  • Geoff Erberling - Nubia : Ancient Kingdoms of Africa, New York, The Institute for the study of the Ancient World (2011, ISBN) 

(Fonte.:bbcafrica)
Bob Fabiani
Link
-www.bbcafrica.com;
-www.kerma.ch    

sabato 21 ottobre 2017

Léopold Sédar Senghor, la "voce dell'unità africana" e della "negritudine".




La millenaria storia dell'Africa ha portato alla luce personaggi, intellettuali, poeti e statisti di importanza senza eguali: uno di questi è Léopold Sédar Senghor. 
Poeta e statista senegalese nato a Joal, presso Dakar nel 1906 e morto a Verson, Normandia nel 2001. Esponente di spicco della "nuova classe dirigente africana" è stato artefice, negli anni '50 del Novecento - al pari del suo amico Aimé Césaire - del fondamentale concetto di "Negritudine", inteso come "recupero dell'identità africana". 
Occupandosi di cultura e politica durante la sua lunga carriera di poeta prima e poi in quella di statista (alla guida del Senegal), Senghor, si oppose alla "balcanizzazione dell'Africa" seguendo una linea di "unità africana" contribuendo tra l'altro alla fondazione della principale rivista politico-culturale del continente: Présence Africaine. 





Animò il "Movimento Culturale della Negritudine" e, in collaborazione con gli antillani e africani Aimé Césaire, Léon Damas, Birago Diop diede vita alla corrente del "nuovo umanesimo negro".  Questa corrente riaffermava in assoluto i valori specifici della "cultura negra", la sua storia, la sua civiltà dando il via al genere letterario "negroafricano". 

Senghor teorizzava un ritorno alle fonti africane, vedendo nei "negri antillani e americani", degli "esuli" espropriati dalle loro antiche culture : quelle dei loro antichi avi e che, due secoli prima erano stati trasportati contro la loro volontà sulle "navi negriere" che li condusse, nel cosiddetto "Nuovo Mondo" come schiavi dei bianchi.

Il "Movimento della Negritudine" ebbe una grande influenza culturale prima e durante la seconda guerra mondiale sopratutto nel mondo dei neri francofoni. 


Léopold Sédar Senghor Politico

Al termine della seconda guerra mondiale Senghor diede un contributo decisivo per favorire il rinnovamento del suo paese, il Senegal e, sopratutto per quel che riguarda il cambiamento (inteso come innovazione) necessario della politica coloniale della Francia.
Nel 1948 fonda il Blocco democratico senegalese che, in seguito confluisce nell'Unione democratica senegalese.  Sfruttando la sua "formazione parigina" che gli valse la possibilità di diventare professore di Letteratura Francese, un decennio dopo, nel 1959 divenne ministro consigliere di De Gaulle.  E' in questo periodo che Senghor conduce un'importante opera di mediazione fra le istanze dell'indipendentismo africano e la strategia della decolonizzazione controllata.
Un anno dopo, nel 1960, il Senegal - come gli altri stati africani - divenne indipendente dalla Francia e cambia anche il destino politico di Senghor che, nell'occasione è eletto Presidente della Repubblica. 
Nella prima fase (decade) della sua presidenza impose una svolta autoritaria al Senegal salvo poi, nel decennio successivo - e siamo già negli anni '70 del Novecento - correggere questa tendenza, riconoscendola del tutto sbagliata.

Si tratta di uno dei pochi leader africani che sia stato capace di tornare sui propri passi appena un attimo prima di finire nel baratro. Nel 1980 abbandona la carica di Presidente della Repubblica del Senegal. Tre anni dopo, nel 1983 entrò a far parte dell'Académie Françise. 

Senghor, come figura politica, ha sempre sostenuto  l'importanza dell'"unità africana", malgrado si attestasse su posizioni "filoccidentali". 


Léopold Sédar Senghor grande "leader culturale dell'Africa"

Oltre a essere una figura politica di grande rilievo, è stato uno dei grandi leaders culturali africani. Poeta e scrittore ha incentrato tutta la sua produzione letteraria intorno alla tematica del "recupero dell'identità africana" influenzato da Saint-John Perse (pseudonimo di Alexis Léger, poeta, scrittore, diplomatico francese, Premio Nobel per la Letteratura 1960). 

Nelle liriche di Léopold Sédar Senghor, non potevano mancare né la musicalità né la tradizione orale africana che seppe tradurre in sublimi versi poetici. Sono versi dove i grandi temi della "Negritudine" trovano l'habitat naturale risuonando costanti, creando meravigliose sonorità tipiche delle scansioni ritmiche africane. Qui, Senghor le applica al "francese metropilitano" riuscendo a comporre pagine uniche per quella che venne definita una "poesia meticcia" e che seppe parlare al cuore sia dei neri africani magari nel frattempo lontani dalla "Grande Madre Terra" sia ai bianchi sensibili alla grande bellezza del Continente Nero.

I Libri 

La prima raccolta in versi di Senghor è Chants d'ombre (Canti d'ombra) pubblicata nel 1945 a cui, tre anni dopo nel 1948 seguì Hosties noires (Ostie nere). 
Un anno dopo esce Chants pour Naettes (Canti per Naetts) : siamo nel 1949. Alcuni anni dopo esce Ethiopiques (Etiopiche) : è il 1956 e, qualche anno dopo per l'esattezza cinque, nel 1961 è la volta di Nocturnes. 

Senghor è anche autore di una storica antologia intitolata : Anthologie de la nouvelle poétique négre et malgache d'expression française (Antologia della nuova poesia negra e malgascia) uscita (in lingua francese) nel 1948. 

Ha scritto numerosi libri nei quali ha ospitato i suoi scritti politici. 

Nel 1980  viene dato alle stampe Euvre poétique (Opera poetica) che raccoglie tutta l'opera senghoriana in versi. Sedici anni dopo, nel 1996, in occasione dei suoi 90 anni, sono stati pubblicati i suoi testi chiave sul concetto di "Negritudine" che vennero pubblicati tra il 1947 e il 1979 proprio sulle pagine della principale rivista politico-culturale Présence Africaine del Continente Nero e che lo vide tra i fondatori e artefice di una delle più importanti "Rivoluzioni Culturali" che, partendo dall'Africa seppe restituire voce e dignità a tutti i "neri del mondo". 
(Fonte.:presenceafricaine)
Bob Fabiani
Link
-www.presenceafricaine.com       

venerdì 20 ottobre 2017

La "Negritudine", storia di un Movimento Letterario, Culturale e Politico.

 



La Negritudine è stato un Movimento Letterario, Culturale e Politico che si è sviluppato nel XX secolo nelle colonie francofone - che ha coinvolto scrittori africani e afroamericani - ma, principalmente si è trattato di una "Rivoluzione culturale" che ha coinvolto (nel tempo) l'intera Africa. 

Esponenti di questo movimento (intellettuali, poeti e attivisti del calibro di Léopold Sédar Senghor, Aimé Césaire, Léon-Gontran Damas tra gli altri) si proponevano di affrancare i propri popoli dal complesso di inferiorità imposto dai colonizzatori attraverso l'orgogliosa rivendicazione delle "qualità peculiari propri dei neri" (ossia la loro "Negritudine").

Origine della Negritudine

Fra i precursori del concetto di Negritudine si cita in genere René Maran, autore di Batouala : si tratta del primo romanzo sui neri d'Africa scritto da un autore nero. Tra le altre cose questo romanzo è interamente ambientato in Africa. 






   

Il romanzo ha un chiaro ed esplicito messaggio di rivolta anche se, i detrattori dell'autore si impegnarono a far notare che è "più esplicito nella prefazione che nel racconto stesso". 
A parte le varie posizioni ed opinioni al riguardo è però innegabile che questo primo romanzo sui neri d'Africa viene accolto dai giovani intellettuali neri come una rivelazione e una rivendicazione dell'"essere neri". 

Il termine negritudine fu usato per la prima volta da Aimé Césaire, un poeta, scrittore e politico francese ma originario della Martinica : era il 1935 quando, nel terzo numero della rivista "L'Etudiant Noir" (Lo studente nero, ossia il giornale mensile dell'associazione degli studenti di Martinica, in Francia), nell'occasione Césaire rivendicava l'identità e la cultura nera contro quella francese, percepita come strumento di oppressione da parte dell'amministrazione coloniale. 
A proposito di quello storico numero della rivista si legge : " lo studente nero, un giornale corporativo e di combattimento, finalizzato a porre fine alla tribalizzazione del sistema clan in vigore nel Quartiere Latino! (il quartiere degli artisti e degli intellettuali di Parigi n.d.r) Abbiamo smesso di essere studenti provenienti da Martinica, Guadalupe, Guyana, Africa e Madagascar, per essere uno stesso studente nero". 

Il concetto fu poi ripreso da molti altri autori. Fra questi spicca Léopold Sédar Senghor, che in Canti D'ombra (Chants d'ombre, 1945) arricchì l'idea di negritudine opponendo la "ragione ellenica" (ossia, la filosofia greca rappresentata nell'ambito della storia della filosofia occidentale, come, primo momento dell'evoluzione del pensiero filosofico n.d.r) all'"emozione nera". 


La corrente letteraria della Negritudine

  
La nascita di questo concetto si va imponendo attraverso la nascita della rivista Présence Africaine che apparve nel 1947 contemporaneamente a Dakar (Senegal) e a Parigi. 
Ebbe l'effetto di una deflagrazione.
La rivista infatti si riproponeva di riunire i "neri di ogni nazione" così come gli intellettuali francesi, tra questi Sartre, il filosofo, scrittore, drammaturgo e critico letterario francese di simpatie progressiste e fermo sostenitore del Partito Comunista francese. Proprio Sartre definì la "Negritudine" come "la negazione della negazione dell'uomo nero". 
Un anno dopo l'uscita della rivista, nel 1948, viene pubblicata a cura di Senghor l'Antologia della nuova poesia  negra e malgascia (in lingua francese n.d.r), preceduta da uno studio dello steso Sartre, in cui la "Negritudine" è paragonata a Orfeo (personaggio della mitologia greca) alla ricerca di Euridice (nella mitologia greca questa figura è una ninfa delle Amadriadi, figure anch'esse mitologiche che vivono all'interno degli alberi). 
Sartre mette in risalto l'aspetto che vuole il nero alla ricerca di sé stesso, nello sforzo di risalire alle proprie radici (roots), attraverso la propria storia, i propri difetti, le proprie trasformazioni.

Dopo Senghor, la "Negritudine" diventa l'insieme dei valori culturali dell'Africa nera (si tratta dell'Africa Subshariana e con essa s'intende la parte del continente africano situata a Sud del deserto del Sahara).  Il questo periodo Césaire con questa parola designa in primo luogo il rifuto : rifiuto dell'assimilazione, rifiuto di una certa immagine del nero pacifico, incapace di costruire una civiltà. 
E' proprio in questa fase che la cultura prevale sulla politica evolvendosi in una "Rivoluzione culturale". 

Le critiche 

L'idea di negritudine è stata criticata sopratutto da autori neri (o creoli), che l'hanno denunciata come forma celata di razzismo o di resa nei confronti della mentalità del colonialismo. 
Il poeta nigeriano Wole Soyinka - premio Nobel per la Letteratura 1986 - ha per esempio osservato: "la tigre non proclama la sua 'tigritudine'. Essa assale la sua preda e la divora".
Lo stesso Césaire, che ha coniato il termine, se ne è progressivamente allontanato.
A tale proposito continuando sulla scia delle critiche è del tutto illuminante prendere (come esempio) quella di Fabien Eboussi Boulage, filosofo camerenunse, classe 1934 nato a Bafia (Camerun) che in Autenticità africana e filosofia denuncia l'idea della Negritudine come feticcio (in etnologia con il termine feticismo si definisce una "forma di religiosità primitiva che prevede l'adorazione di feticci, ovvero di oggetti ritenuti dotati di poteri magici") ed espressione della "colonizzazione mentale" degli europei sugli africani. 
In qualche modo si voleva denunciare il fatto che "veniva proposto il modello di nero" nella Negritudine come riproposizione degli stereotipi creati dai bianchi.

Conclusioni 

Al di là delle posizioni e delle opinioni resta il fatto che la Negritudine ha saputo scrivere pagine importanti non solo dal punto di vista sociale ma dal punto di vista della qualità letteraria e culturale fondamentali per affermare e plasmare l'emancipazione di intere generazioni spingendo poi molti a integrare la "Cultura orale antica" dell'Africa con la "Letteratura scritta" dando il via a capolavori imperdibili.
(Fonte.:presenceafricaine)
Bob Fabiani
Link
-www.presenceafricaine.com 
  

mercoledì 18 ottobre 2017

Quelle "donne sospese" del Burkina Faso, in mostra (fotografica) a Roma.






Mercoledì 11 ottobre 2017 a Roma ha aperto i battenti una interessante mostra fotografica, a cura di Francesco Cocco interamente dedicata a un piccolo paese africano, tra i più poveri del mondo: il Burkina Faso. Il titolo dell'esposizione richiama volutamente alla magnifica Rivoluzione che prese forma quando, il Presidente Comandante - di cui proprio in questi giorni ricorre il triste anniversario dell'assassinio avvenuto il 15 ottobre 1987 giusto 30 anni - da tutti conosciuto col nome di Thomas Sankara. Quella era la stagione della "Rivoluzione Burkinabé" e, allora, questa mostra fotografica è anche un tentativo di riannodare un filo conduttore.

Burkinabé dunque è il titolo di questa mostra (ospitata dalle Officine forografiche di via Libetta 1 e visitabile fino al 20 ottobre 2017 n.d.r) organizzata dall'Osservatorio AiDS - Aids Diritti Salute e Associazione italiana donne per lo sviluppo Onlus, sotto la sapiente cura di Giulia Tornari e il prezioso coordinamento di Barbara Romagnoli. 

Gli scatti del fotografo Francesco Cocco sono dedicati alle donne del Burkina Faso e puntano a descrivere un presente difficile ma forse (proprio per questo) valeva la pena di essere rappresentato "senza filtri", ossia con un occhio vigile alla realtà.
Il fotografo con questa "impostazione di fondo" ha fatto in modo che a sfilare sotto l'"occhio attento" della sua macchina fotografica fossero giovani donne dai luoghi d'Africa più esposti alla durezza della vita.
Ecco allora che la mostra ci da la possibilità di poter entrare (da molto vicino) nella vita delle "donne sospese" del Burkina Faso e scoprire i loro nomi che rimandano al "suono misterioso e ancestrale" dell'Africa.  Sono le storie di Adjara, Sarina, Linda, Juliette  e di altre giovanissime donne (tutte fra i 16 e i 19 anni) e tutte vivono ed abitano nella provincia di Kadiogo, appena fuori Ouagadougou ospitate in un centro di accoglienza per donne, ragazze che sono state particolarmente colpite dalla durezza della vita. Sono storie dure perché queste donne giovani e dai volti già segnati dalla "cattiveria umana" sono legate tra loro da un destino che rimanda alla violenza cieca e sorda (di un essere umano contro e su un altro essere umano) oppure, molte di loro sono fuggite da matrimoni combinati.
Ma lo sguardo d'artista non si accontenta mai di raccontare una "sola sfaccettatura" di "vita reale" e, senza "ordini precostituiti" allarga e apre il proprio obiettivo (della macchina fotografica) raccontando altre dolorose vicende. Altre vite sospese. Sono primi piani che si soffermano su volti di uomini, oppure indagano e si posano su sale d'aspetto di dispensari sanitari. Incontrando altre storie, storie di bambini privati del diritto all'infanzia mentre la macchina fotografica li riprende impegnati mentre scavano nelle miniere d'oro abusive. 

In Burkina Faso - come anche in altre parti dell' Africa - il problema dell'Hiv/Aids è drammatico qui, nel piccolo paese africano sono circa 110 mila persone alle prese con questa malattia e, che non possono accedere alla terapia antiretrovirale.
Burkinabé è un modo diretto per raccontare la tenacia del territorio calcato dal popolo burkinabé che non intende arrendersi.
(Fonte.:ilmanifesto)
Bob Fabiani
Link
-www.ilmanifesto.it  

martedì 17 ottobre 2017

Geopolitica e Flussi finanziari illeciti: un intervento di Léonce Ndikumana*





Prosegue l'approfondimento di AfricaLand Storie e Culture africane intorno ai guasti determinati dalla lunga oppressione colonialista in Africa da parte delle Potenze imperialiste europee. Per allargare fino ai giorni nostri queste disfunzioni che parlano inevitabilmente di speranze disilluse per i popoli d'Africa ospitiamo un intervento di Léonce Ndikumana - Docente di economia e direttore del Programma per la politica di sviluppo dell'Africa presso l'Istituto di ricerca di economia politica all'università del Massachusetts. 

Il docente di economia allarga il discorso che abbiamo iniziato ieri con il nostro articolo intitolato "Geopolitica, emancipazione e speranze disilluse dell'Africa". 

L'intervento che leggerete qui di seguito è stato pubblicato sulle colonne de il manifesto di mercoledì 11 ottobre 2017. 
(Bob Fabiani)


Léonce Ndikumama: Flussi finanziari illeciti.  L'emorragia di capitali che devasta l'Africa*

"La storia è nota: l'Africa è povera e ha bisogno dei paesi ricchi. E se le potenze occidentali hanno sfruttato il continente con la schiavitù, il colonialismo e il saccheggio delle risorse naturali, è stato in passato. Oggi sono generose, determinate a eliminare la povertà e a promuovere lo sviluppo sostenibile. Ma questa favoletta, che i paesi ricchi ripetono fino alla nausea, è piuttosto ingenua.
Sappiamo da un pezzo che l'Africa è "creditrice netta" rispetto al resto del mondo.
L'ammontare di risorse finanziarie accumulate all'estero grazie alla fuga di capitali negli ultimi decenni supera di molto le risorse che vanno nell'altra direzione, compresi gli aiuti e il debito. Ogni anno si prelevano dal continente fra i 30 e i 60 miliardi di dollari, secondo un rapporto diffuso nel 2015 dal Gruppo di alto livello sui flussi finanziari illeciti (High Level Panel on Illicit Financial Flows) creato dalla Commissione economica dell'Onu per l'Africa (Uneca), presieduto da Thabo Mbeki, ex presidente del Sudafrica. E si tratta di stime al ribasso.

                                                         ***

In cosa consiste questa emorragia che gli specialisti chiamano "flussi finanziari illeciti"?
Intanto, ovviamente, si compone di attività criminali di ogni tipo (droghe, traffico di armi, ecc.), alle quali si aggiunge il riciclaggio di denaro legato alla corruzione. Inoltre le compagnie multinazionali facilitano flussi finanziari illeciti in uscita manipolando transazioni commerciali. Fatture false, transfer pricing, pagamenti fra case madri e loro sussidiarie, meccanismi di elusione fiscale allo scopo di massimizzare i profitti. E' comune il ricorso all'evasione fiscale (illegale) e all'elusione fiscale, grazie alle scappatoie legali offerte dal sistema di tassazione internazionale. La fuga di capitali è un fenomeno globale. Per anni, i paesi sviluppati hanno ritenuto che il problema dei flussi finanziari illegali fosse prima di tutto una faccenda di lotta contro il terrorismo, il riciclaggio di denaro e altri crimini finanziari. Ma di recente, in un periodo di grande pressione sui bilanci nazionali, i governi delle economie avanzate hanno moltiplicato gli sforzi per combattere anche l'evasione delle aziende. Questo in parte spiega per esempio la battaglia in corso in Europa: paesi come Francia e Germania sono stanchi di vedere i colossi del digitale come Google, Apple, Facebook e Amazon aggirare gli obblighi fiscali spostando i profitti in Irlanda o Lussemburgo.
Ma l'impatto della fuga di capitali sui paesi in via di sviluppo è di gran lunga più devastante. In Africa le entrate fiscali sono già molto basse: in media il 17% del Pil, rispetto al 35% dei paesi ricchi. E le autorità fiscali non hanno risorse sufficienti per contrastare le strategie sempre più sofisticate, sempre più aggressive messe in atto dalle multinazionali per evadere le tasse; per non parlare dei meccanismi di corruzione che coinvolgono i politici locali.

                                                        ***

Il costo umano e sociale degli abusi relativi alle imposte societarie è gigantesco. Significa infatti meno risorse per infrastrutture, istruzione, salute, alimentazione, protezione dei diritti delle donne, programmi ambientali. Non per nulla le Nazioni unite hanno dichiarato che i flussi finanziari illeciti sono un grave ostacolo al finanziamento dello sviluppo e dunque al raggiungimento degli Obiettivi dello sviluppo sostenibile.
In questo contesto, la Commissione indipendente per la riforma della tassazione delle imprese multinazionali (Icrict) ha chiesto all'Onu uno sforzo per combattere l'evasione fiscale delle transnazionali come parte di una più ampia strategia di lotta contro i flussi finanziari illeciti.
E' una lotta che richiede l'impegno da parte degli Stati e della comunità globale per migliorare la trasparenza dei sistemi finanziari e del commercio internazionale, e per consolidare le capacità delle amministrazioni fiscali nazionali. Significa, fra l'altro obbligare le imprese a rendere pubblici i dettagli delle loro attività in ognuno dei paesi dove operano, per far sì che tutti i profitti siano debitamente tassati nel paese dove si svolgono le attività produttive e commerciali. E significa anche monitorare tutti i fattori e gli attori che rendono possibile la fuga dei capitali, in particolare le banche che aiutano a nascondere le risorse finanziarie illegalmente succhiate via, a danno dell'Africa".   
 *Docente di economia e direttore del Programma per la politica di sviluppo dell'Africa presso l'Istituto di ricerca di economia politica all'università del Massachusetts. E' commissario della Commissione indipendente per la riforma della tassazione delle imprese multinazionali (Icrict).

(Fonte.:ilmanifesto)
Bob Fabiani 
Link
-www.ilmanifesto.it 

lunedì 16 ottobre 2017

Geopolitica, emancipazione e speranze disilluse dell'Africa





Esisteva un'Africa prima del Colonialismo e, poi, esiste un Continente che si è plasmato e formato dopo il Colonialismo. 
Non sarebbe sbagliato partire da questo elementare punto fermo quando si deve parlare, scrivere, ragionare sull'Africa.  E' l'obiettivo dichiarato di questo blog, una riflessione dalla quale partire nel nostro quotidiano post sulle pagine virtuali di AfricaLand Storie e Culture africane. 

Non capita molto spesso che ci si ponga di fronte all'Africa con l'obiettivo di riflettere su quanto è avvenuto oppure avviene in quell'immenso Continente. Con l'articolo di oggi vogliamo dare il nostro contributo. Questo blog - come abbiamo scritto nelle settimane scorse e nei giorni di presentazione - ha una serie di "capitoli" strutturati per aprire una discussione (tra i lettori) che abbiano come punto di riferimento il "punto di vista" dell'Africa e di coloro che la abitano.

Lo spunto odierno vuole mettere la lente di ingrandimento su un'aspetto fondamentale al tempo di oggi: per questa ragione nel blog troverete "l'etichetta o tags" - come si dice al giorno d'oggi, al tempo della "nuova comunicazione" quella dei "nuovi social network"  - interamente dedicata alla "Geopolitica d'Africa", uno strumento che consideriamo assolutamente utile per capire cosa avviene e cosa attende ai popoli d'Africa in questi tempi confusi e per nulla rassicuranti.
Non è un caso che al termine di lunghe riunioni redazionali si sia deciso di creare questa sezione nel blog perché forse, al giorno la geopolitica riveste un'importanza centrale - dato che questa materia è "lo studio dei fattori geografici che condizionano l'azione politica" - sono sempre più decisivi nel determinare tragedie di proporzioni bibliche come le "migrazioni" che dall'Africa investono il resto del mondo.
Eppure questa tragedia non deve essere pensata come un dramma figlio "solo" di questi tempi malati - come qualcuno li definisce - perché le cause e le "concause" sono molteplici e (come vedremo durante questo articolo) affondano le radici nella notte dei tempi.

Nel 2009, appena due anni dopo la dipartita del grande reporter polacco, Ryszard Kapuscinski, uscì postumo un prezioso libro - che il grande giornalista fece in tempo a progettare - dal titolo Nel turbine della storia. Riflessioni sul XXI secolo (edito da Feltrinelli in Italia n.d.r) : l'importanza di queste pagine risiedeva nel fatto che, il giornalista sentì il bisogno di scrivere una serie di riflessioni circa i luoghi visitati durante tutta la carriera, di cui l'Africa, ha costituito una costante per i suoi imperdibili libri-inchiesta. 
In queste pagine, il giornalista nato a Pinsk (Polonia orientale, oggi Bielorussia) nel 1932 e morto a Varsavia appunto nel 2007 riflette su alcuni aspetti decisivi per contribuire a "scrivere la grande storia"; aspetti per nulla secondari se, tramite di essi, si sono potuti assestare, rafforzare (nei lettori e in tutti noi che abbiamo amato questi libri imperdibili per capire il mondo guardato, per una volta non con la solita supponenza che vuole e impone sempre un solo punto di vista quello occidentale) alcune delle "questioni aperte" e mai superate del tutto sopratutto quando, l'argomento in questione è: l'Africa. 
Sono "questioni aperte"  - come amava argomentare Kapuscinski - perché hanno creato una serie di guasti e lasciti ben visibili ai giorni nostri, in questa parte di mondo.

La penna del reporter Kapuscinski non è mai scesa a facili compromessi. Nei suoi lunghi viaggi-reportage dedicati all'Africa non ha mai nascosto quei guasti semplicemente perché era impossibile per il punto di vista di un "giornalista e intellettuale con la schiena dritta" quale era Kapuscinski quando si trovava in una delle tante "giovani nazioni africane" che tentavano (con alterne fortune) di risalire la china, nel tentativo di scrollarsi di dosso tutti i guasti generati dal lungo periodo del colonialismo, in quel "Terzo Mondo", di cui l'Africa fa ancora parte ai giorni nostri.

"La denominazione Terzo Mondo - scrive in questo libro il reporter polacco - "proviene da un libro del demografo Alfred Sauvy". 
Negli anni Cinquanta del Novecento quando il demografo, economista e sociologo francese coniò il termine, l'intento era quello di una visione (e divisione) del "tutto politica" che, poi, con l'andar del tempo ha acquisito un modo di pensare non del tutto privo di razzismo ma che a ben vedere, non costituiva una novità assoluta. Non lo era dal momento in cui questo modo di pensare era tipico di "quell'occidente" sempre pronto a erigersi "unico depositario" della verità. Se poi questo modo di pensare lo si abbina a "questioni economiche" allora, il punto di vista dell'occidente diventa assoluto perché è da esso che, i cosiddetti "Paesi del Terzo Mondo" ricevono la patente necessaria per sedersi al "tavolo dei grandi Stati" ma sempre e solo come "invitati" e, al massimo come "osservatori" senza che possano in alcun modo decidere, influire, prendere decisioni che riguardano il destino di miliardi di persone.

Queste patenti "concesse" (sempre di controvoglia) dall'occidente servono ( o dovrebbero servire) a "promuovere lo sviluppo nei Paesi emergenti" ma, il più delle volte si tratta di "speranze disilluse" nei confronti dell'Africa perché - ormai ci sono molti riscontri - ci si trova di fronte a discutibili escamotage messi in atto per non cedere "posizioni vantaggiose", le stesse che hanno sempre dimostrato l'arcigno "stato da sfruttamento" da parte di quelle potenze colonialiste, imperialiste che in Africa hanno voluto "dettare legge". 
Ogni "stagione politica" del "Primo Mondo" ha finto col costituire un'irresistibile scusa per imporre questa pratica. La pratica del colonialismo è durata circa 70 anni e, alla fine di questa fase, ha portato all'indipendenza delle "giovani nazioni africane", a partire dal 1960.  Tuttavia, gli storici, come scrive Kapuscinski, sono pressoché tutti concordi nell'indicare che la "disgrazia maggiore per l'Africa è stata la pratica del commercio degli schiavi, durato oltre 300 anni", e questo ha finito per rappresentare una tragedia ben superiore a quella del Colonialismo. 
A ben vedere questo succedersi di schiavismi, colonialismi e post colonialismi deve essere ascritta - secondo il ragionamento del reporter polacco - "totalmente all'occidente". 
Queste tragedie sono strettamente collegate ad esse per alcuni ragioni. La prima è del tutto evidente : l'occidente, i cosiddetti "esseri civilizzati" si sono sentiti in dovere di sperimentare i "peggiori istinti razzisti"  dell'uomo bianco ai danni dei neri in Africa.  L'apice di queste "nefandezze disumane" toccarono il punto più basso (nella scala dei diritti umani n.d.r) proprio durante quei terribili 300 anni in cui, il commercio di schiavi, era diventata una "pratica" addirittura "alla moda" (a partire dal XVI sec. e protratto fino al XIX n.d.r) tanto che poi, le varie fasi del colonialismo rappresentarono un "passo avanti" per la disperata condizione di vita dei cittadini e dei popoli dell'"Africa nera". 
Del resto non si poteva continuare a usare "pratiche brutali" - come invece accadde durante la pratica (odiosa) del commercio di schiavi e, nella prima, brutale fase del colonialismo - ai danni della maggioranza dei neri. 

Questa fase va inquadrata con l'avvento del XX secolo quando il colonialismo delle stesse Potenze imperialiste - anche grazie alla svolta e alla spinta della rivoluzione del Panafricanismo al pari della "Negritudine" - costrinse i bianchi e i "padroni europei imperialisti"  a mettere in campo investimenti e piani di sviluppo. Si trattava di "atti dovuti" nei confronti dell'Africa ma, è bene precisarlo, le Potenze imperialiste e colonialiste, lo fecero di controvoglia e, in un contesto di "progressivo abbandono dell'Africa". 
Anche questo specifico punto è da mettere in correlazione della nuova "opportunità politica" da inquadrare come un "ritiro tattico". Fino alla prossima opportunità che prima o poi si sarebbe nuovamente materializzata: questione di tempo. L'Europa e l'America da quel momento decisero di attendere l'avvio di una nuova stagione e questa si materializzò con l'avvento della "guerra fredda" che possiamo far coincidere proprio con l'avvio delle varie indipendenze delle "giovani nazioni africane". Era il pretesto che i due continenti (cosiddetti civilizzati) aspettavano per poter far riprendere tutto come era stato lasciato una decina di anni prima. Tutto riprese nel solco degli "interessi commerciali" delle Potenze colonialiste dato che già a partire dagli anni ottanta del XIX secolo, l'Africa viene spartita fra le stesse Potenze europee, annota il reporter polacco : "Queste potenze erano la Francia, il Belgio, l'Inghilterra, l'Italia e i Paesi Bassi". 
Le "giovani nazioni africane" fino a quel momento "non esistevano" - ammette Kapuscinski - e, questo "stato di cose" andava (e va) a tutto vantaggio di quelle stesse "nazioni colonialiste". E' l'occidente che non ha consentito lo sviluppo dell'Africa : tutto iniziò con il commercio degli schiavi quando, i migliori uomini africani, i più giovani e sani - scrive ancora il giornalista polacco - "venivano deportati". 

Partivano dall'Africa atlantica in direzione dell'Europa e dell'America mentre, dall'Africa orientale, venivano deportati verso l'attuale Medio Oriente, nei paesi arabi dell'allora penisola arabica del resto molto vicina all'Africa orientale. 

Quando queste "Potenze colonialiste" che si sentivano a tutti gli effetti civilizzate ed evolute più delle altre nazioni abbandonarono l'Africa - si tratta come annota il reporter polacco degli europei - lasciarono problemi enormi, irrisolti. Faceva parte di una nuova strategia (non ancora conclusa dato che, ai giorni nostri è ancora in atto). Di una mutazione per continuare a tenere "sotto scacco" le "giovani nazioni africane" che, una dopo l'altra si ritrovarono nuovamente a convivere la scomoda presenza dei capitalisti del resto abili a favorire sempre (e comunque) quei leader africani che, una volta arrivati al potere delle loro nazioni, si comportavano anche peggio dei loro omologhi colonialisti in un crescendo di corruzione e sistematica mancanza di democrazia e di un totale mancanza del rispetto dei diritti umani imposte alle "nuove generazioni di giovani africani" che, per certi versi sono anche più arrabbiati (e disperati) di coloro che nel passato hanno combattuto contro le dittature e i regimi oppressivi dei bianchi. Oggi, queste Potenze colonialiste e imperialiste, non hanno più bisogno di "fare quel lavoro sporco" perché questo è ora appannaggio di quelle Multinazionali che, in quanto a pratiche disumane non hanno nulla da invidiare ai "peggiori schiavisti" che, a vario titolo e in diverse epoche si resero responsabile dell'odiosa pratica del "commercio di schiavi".  Anzi queste Multinazionali sono gli artefici principali, a cavallo del terzo millennio di veri e propri "flussi finanziari illeciti". 
E' l'ultima speranza disillusa propinata all'Africa. 
(Fonte.:mondafrique)
Bob Fabiani
Link
-www.mondafrique.com