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venerdì 31 luglio 2020

Trump vuole rinviare voto presidenziale di novembre








Mentre l'America è in recessione (conseguenza della pandemia) e i decessi da coronavirus hanno raggiunte oltre 150mila, il tycoon, #TheDonald lancia l'dea folle: "ritardiamo il voto".
E divampano le polemiche.

Donald Trump è riuscito ad attirarsi rimproveri da parte di repubblicani e democratici dopo aver scritto un tweet in cui ventilava la possibilità di posticipare le elezioni del 3 novembre, affermando, senza prove, che votare in sicurezza per posta sarebbe un "disastro catastrofico" che porterebbe a risultati fraudolenti.

"Con il voto per posta quella del 2020 sarà l'elezione più INACCURATA e FRAUDULENTA della storia. Sarà un grande imbarazzo per gli Stati Uniti. Ritardare le elezioni fino a quando le persone possano votare in modo corretto e sicuro???".

Con questo tweet, un Trump sempre più disperato cerca di gettare "fumo agli occhi" degli elettori statunitensi nel tentativo di restare ancorato alla poltrona della Casa Bianca.

In realtà però Trump non può rimandare le elezioni, questo potere spetta solo al Congresso. E allora perché il tycoon se ne è uscito con questo "tweet a sensazione"?
Semplice, per impedire il voto degli elettori, in particolar modo della comunità afroamericana.

-La stima del Bureau of Economic Analysis

La genesi del tweet di ieri pare abbastanza chiara. L'esternazione è arrivata la mattina alle 8.46 dopo che, alle 8.30, era stata diffusa una stima del Bureau of Economic Analysis, riguardo una contrazione record del Pil USA pari al 32,9% su base annuale. Il calo maggiore mai registrato e, visto che è il secondo calo trimestrale consecutivo, porta gli USA direttamente in recessione. Non è lo scenario migliore per un candidato che ha fatto del successo dell'economia il suo principale cavallo di battaglia per la rielezione.

-Il drammatico contrastro all'epidemia dell'amministrazione Trump

L'altro dato che si è abbattuto su Trump ieri è stato proprio quello dell'epidemia: in 24 ore 1.400 decessi da Covid-19, vale a dire circa uno al minuto. Tra questi Herman Cain, aframericano, uomo d'affari, ex candidato tea party nelle elezioni del 2012, diventato sostenitore di Trump.
Cain aveva preso parte all'ormai famoso comizio del 20 giugno a Tulsa, da dove aveva twittato tutto il suo entusiasmo per essere a un evento politico che non richiedeva distanziamento sociale e mascherina. Proprio l'uso della mascherina, invece, è diventato obbligatorio alla Camera: Nancy Pelosi (Dem) ne ha ordinato l'uso a legislatori e membri del personale della Camera, pena l'allontanamento dal Congresso.
La mossa è arrivata in risposta al deputato repubblicano texano Louie Gohmert, risultato poi positivo al test. Quando ha annunciato di aver contratto il "virus Wuhan", ne ha imputato la causa all'aver occasionalmente indossato la mascherina.

Ma il tycoon si trova in difficoltà e in svantaggio nei sondaggi nei confronti di Biden - esponente del partito democratico per la corsa presidenziale 2020 -: Trump 37% - Biden 52% - anche per le sue posizioni dichiaratamente a favore dei suprematisti bianchi sul fronte della "questione razziale". Ma anche l'invio delle squadre speciali a Portland al momento non è servito a #TheDonald.

-L'ultimo saluto a John Lewis






La mascherina non è stato un optional alla cerimonia funebre di John Lewis, storico militante per i diritti civili degli afroamericani e deputato della Georgia. Trump, come fatto con altri due suoi oppositori eccellenti, Elijah Cummings e John McCain, non si è presentato al funerale insieme agli ex presidenti Bush jr, Clinton e Barack Obama.
Nel suo discorso Obama si è più volte rivolto senza nominarlo a Trump, parlando di "coloro al potere" che affrontano le proteste con i lacrimogeni e cercano di impedire che si voti demonizzando il voto per posta.

"C'è un attacco a ciò per cui John ha combattuto - ha detto Obama - E' un attacco alle nostre libertà democratiche e dovremmo trattarlo come tale. Onoriamo John rivitalizzando la legge per la quale era disposto a morire".
(Fonte.:theatlantic)
Bob Fabiani
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-www.theatlantic.com   
   

giovedì 30 luglio 2020

Albert Camus raccontato da Kamel Daoud












"Le sue parole ci suonano più
familiari di quanto non fossero 
ai suoi tempi: stranieri, mare, 
spiaggia, accecamento.
Vorremmo fosse vivo in Europa
per parlare delle pesti moderne:
la chiusura in se stessi e i muri"
(Kamel Daoud, scrittore algerino)





Intraprendere un viaggio sulle orme di Camus a Orano, in Algeria, sui luoghi della Peste e dello Straniero: AfricaLand Storie e Culture africane torna a occuparsi di Albert Camus attraverso il racconto appassionato di Kamel Daoud anche lui scrittore algerino.
(Bob Fabiani)




-"Vorremmo fossi qui"*











Fuori, Orano è illuminata da un cielo così azzurro che pare di essere nel primo giorno del mondo. All'interno dell'edificio semibuio, urtando le volte alte delle tre cupole, dei piccioni fanno risuonare un'eco nella navata oggi terribilmente vuota e sporca. Accentuano la sensazione di abbandono. In fondo alla sala, l'altare, molto degradato, sprofonda nell'ombra, attaccato da infiltrazioni d'acqua: il coro è morto da moltissimo tempo. In questo posto, né Dio né l'uomo tornano mai per incontrarsi.

E' dunque qui, a Orano, nella cattedrale del Sacro Cuore, terminata nel 1913, che Camus ha dato vita a quella scena terribile di padre Paneloux, vescovo della città, avvocato del pentimento e dell'acquiescenza dello sconfitto di fronte alla peste.







Lo scrittore lo immaginò in questi luoghi per raccontare il suo secolo con una metafora di ampio respiro. D'altronde, La peste si può rileggere ancora oggi, passeggiando per Orano, ritrovare in visione sfocate strade, piazze, qualche edificio e il mare sullo sfondo.





Tantissime cose sono cambiate dall'epoca coloniale, compresa la cattedrale, ma permane ancora, in città, quel prestigio datato di un centro storico un tempo dandy, affettato e quasi pedante nella sua beatitudine coloniale, fra il mare e il commercio dei vini.

E' invecchiato impietosamente male, a confronto del Mediterraneo che è rimasto così giovane.

Oggi la chiesa del Sacro Cuore, sporca e abbandonata, serve da biblioteca municipale, dopo la donazione dell'edificio da parte del vescovo di Orano monsignor Claverie, assassinato nell'agosto del 1996 da dei terroristi, proclamato beato un anno fa proprio a Orano. Il sagrato, sotto alle scale che salgono verso il frontone della chiesa, è un luogo di raduno per i perdigiorno della città, per quelli che vanno in cerca di sole o per i senzatetto. Un vegliardo fissa i passanti con un'espressione di crudele rimprovero. Più lontano, un ubriaco attende già il crepuscolo, infastidito dal giorno che glielo nega. Centinaia di  cicche di sigarette e bottiglie di birra rotte danno testimonianza delle notti consumate. Il posto è sporco, triste. Si direbbe che non sia stata la peste a privarlo della vita, ma il tempo. Il frontone della chiesa, rilegato di mosaici sublimi, attenua solo un poco la bruttezza del selciato.
Penetrando nella chiesa, si ritrova l'organo sulle spalle, proprio sotto l'ingresso. Ancora in piedi, come una scogliera, ma dallo strumento non esce nulla: è una tomba di tubi senza soffieria. Il pavimento è lurido, con tracce di sterco di piccione e urina, gocciolii di liquidi nauseabondi. Alcune vetrate sono rotte, altre perseverano a stemperare la luce in colori inutili. Proprio in mezzo, tra la prima e la seconda cupola, uno sgraziato lampadario metallico piomba giù dal cielo, fermandosi di botto a due metri da terra. Si distinguono delle lampadine elettriche e delle finte spade moresche come ornamento. Il pugnale nel corpo di un Dio evacuato? Un dipendente comunale osserva i turisti: vuole capire perché, alcuni di loro, esamino quelle pietre con tanta attenzione.

La deambulazione è sempre sospetta in Algeria, Paese poliziesco e diffidente.

Probabilmente i turisti stanno solo interrogandosi sulle migliaia di preghiere nate qui, divenute tanti piccioni ipovedenti proprio sopra le loro teste.







Che cosa resta della Peste, a Orano?

Senza parlare del fatto di cronaca che ispirò Camus, ma di quella che si immaginò il romanzo. Nessuna legge marziale, tutt'al più una sola, quella che vieta di lasciare liberamente la città. Al Front de Mer, la grande passeggiata sopraelevata che sovrasta il porto, si possono sempre incrociare dei giovani che guardano le navi che passano sotto i loro piedi, annotandosi gli orari di partenza e le ronde delle pattuglie: sognano di partire, attraverso il mare nella stiva o su scialuppe, non importa. La legge marziale immaginata da Camus nel suo romanzo è ancora in vigore, accentuata dalla difficoltà di ottenere un visto, di corrompere una guardia ai confini o di pagare i trafficanti clandestini. La frontiera, però, non è più quella delle porte o dei muri, ma quella del mare.

Il Mediterraneo è una pietra dura da scalare, scivolosa e spesso mortale. E' l'Everest orizzontale dei "clandestini". Ogni settimana i flutti rigettano a riva cadaveri di migranti. Li ripescano, li contano e danno la caccia ai trafficanti, ma non serva a nulla.
L'Algeria, malgrado una recente rivoluzione riuscita, non è guarita dalla peste del vuoto, della mancanza di libertà per i più giovani.
Seduto sulle scale fredde e maleodoranti della cattedrale, qualcuno scruta più in basso i passanti della piazza. Qualche albero ancora sopravvive, ma la statua descritta da Camus, una Giovanna d'Arco a cavallo, è sparita. Secondo Google, è stata rimpatriata nel 1964 a Caen, in Francia. La piazza è come il quadrante di un grande orologio. I senzatetto e i pensionati vengono qui ad ammazzare questo tempo splendido che fa in città.
Nello spirito di chi scrive ritorna questa domanda, intrigante: "Vorremmo che Camus fosse ancora vivo?".
Se conto il numero di volte che mi hanno fatto questa domanda in Occidente, il numero di volte che mi hanno interrogato su questo Antenato del verbo e della carne, penso che la risposta sia "sì".





Faremmo di tutto per vederlo tornare in Europa a evocare la peste di oggi, gli stranieri, i cadaveri sulle spiagge, i dittatori alla Caligola, tormentati da false filosofie. D'altronde, le parole di Camus oggi ci suonano più familiari di quanto non fossero ai suoi tempi: stranieri, mare, spiaggia, accecamento, flagello, eroismo e divinità inutili.
Ancora oggi mi piace tornare sui libri di questo algerino di Algeri, rivisitando i miei interrogativi e giocando a tirare fuori dei riassunti folgoranti.

Che cos'è La peste?

Un romanzo sul "cosa fare di se stessi".

Che cos'è Lo straniero?

Un romanzo sull'altra domanda fondamentale, "cosa fare dell'Altro".

Ma è un po' ridurre la magnificenza di queste narrazioni a delle domande troppo brevi.
Camus vorremmo che fosse vivo in Europa per parlarci delle pesti moderne: la chiusura in se stessi, i muri delle città e dei paesi che impediscono di arrivare o di partire, le prediche religiose che ci ingannano sul senso del dolore, l'eroismo ricondotto all'utilità del quotidiano, l'indifferenza. Il dottor Rieux, che combatte la peste perché non crede in Dio, dirà a proposito del prete Paneloux: "Non ha veduto morire abbastanza, per questo parla in nome di una verità". In modo strano, familiare, la peste comincia sempre con questo effetto subdolo: distrugge la lingua, le parole, la voglia stessa di parlare. I personaggi della Peste si battono contro un silenzio che li invade, un mutismo che tocca ogni cosa. E' così che viviamo oggi, paralizzati di fronte all'ascesa di fronte all'ascesa dei fascismi, dei populismi, degli islamismi: il flagello ci toglie le parole, incoraggia l'indecisione.
Mi perdo in parallelismi rileggendo La peste, ma sono di Orano e la mia città ci riecheggia dentro. L'attualità mi riporta ai muri, alle frontiere chiuse, all'esame delle rinunce dei miei, alla perdita di coraggio. Lascio la cattedrale e scendo verso il mare, giù in basso, verso la spiaggia gelata dell'inverno. La sabbia non ha tracce di passi, è vergine, come morta. L'inverno la lava con i venti e le onde, e nessuno ci scende per sperimentarvi la vita. Allora la spiaggia sembra quella degli albori, di isole senza nome. E' là, verso la parte est di Orano, che avvenne il fatto di cronaca dell'arabo che ispirò Camus.
Fu a Orano che ebbe l'idea dell'omicidio del secolo. Nella realtà, si trattava di una rissa con accoltellamento di un "arabo" che morirà in seguito non sotto le pallottole, ma di tubercolosi in... Francia.
Un'amica, Alice Kaplan, ricercatrice all'università di Yale, ne ha ritrovato le tracce. La spiaggia è dunque il luogo del crimine, ma non c'è il corpo. Nemmeno quello dell'autore del crimine, morto e sepolto in Francia.
Orano è scenario vuoto. Eppure è la stessa spiaggia. Quale? Quella del nostro secolo. Perché ogni epoca si sceglie una geografia per le sue metafisiche. Dopo la valle di lacrime, l'isola sconosciuta, il continente perduto, il paese ostico, il fiume orientale e la montagna inaccessibile, il XX secolo decise di eleggere la spiaggia a palcoscenico universale su cui rappresentare i personaggi dei suoi interrogativi. E' su una spiaggia che va in scena il duello dell'Alterità. Qui, Meursault uccise un arabo senza nome, per una ragione talmente futile da diventare l'emblema di un secolo di assurdità e di guerre. Ma è sulla spiaggia che si gioca il destino anche di un altro "contemporaneo": Robinson Crusoe.
E' in questo spazio che incontrò Venerdì e stabilì che era un selvaggio. E' sulla spiaggia anche che cerchiamo l'immortalità in quanto vacanzieri, o che torniamo a vestire i panni di Meursault, di tanti Meursault, così indifferenti di fronte ai cadaveri dei migranti annegati.

Sulla spiaggia, ci contestiamo il velo e la nudità.

Vorrei anche che Camus tornasse in Algeria: ci guarirebbe dal rifiuto dell'Altro e dai processi degli stranieri, dal culto della vendetta e del postcolonialismo come rifugio di comodo. Il mio Paese sprofonda nella paranoia e nel rifiuto dell'alterità in nome dell'identità. Un uomo così esigente potrà provargli che c'è vita oltre il sospetto.
Mi avvicino ai flutti. E' la cosa che più mi piace, questo incontro, nel brivido, fra la mia nudità e il mare senza ombelico. E' una forma di preghiera barbara, gravida di precauzioni. Qui, nel vuoto, non c'è il peso delle mie convenzioni. C'è la mia pelle e la legge della gravità e dell'orizzonte.
Camus ha saputo vivere e farlo leggere.
Di lui conservo la scoperta più ricca: l'"inesplicabilità" del mondo. E così stabilisco anch'io qual è il senso del mondo, al posto degli dei e della paura.
*Kamel Daoud, è un'autore algerino, nato a Mesra nel 1970. Scrive per Le Quotidien d'Oran. Il suo romanzo d'esordio del 2013, Il caso Meursault (Bompiani), riprende la storia de Lo straniero di Camus dal punto di vista del fratello dell'arabo ucciso da Meursault. Il libro, tradotto in 30 lingue, ha vinto il Goncourt. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Zabor o i salmi (La nave di Teseo, 2019)
(Fonte.:lequotidien-oran)
Bob Fabiani
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-www.lequotidien-oran.com       

mercoledì 29 luglio 2020

Guardia costiera libica spara sui migranti










Nuova giornata drammatica quella vissuta ieri dai migranti davanti alle coste libiche. Se ancora qualcuno avesse qualche dubbio circa l'opportunità, da parte dell'Italia, di sostenere economicamente la guardia costiera libica e la condotta assassina di quest'ultima dovrebbe quanto meno aprire gli occhi.

L'inferno libico è addirittura peggiorato causa pandemia: i migranti cercavano di attraversare il Mediterraneo ma, quando si trovavano ancora davanti le coste della Libia, sono stati intercettati dalla guarda costiera.
A quel punto venivano riportati indietro di nuovo nei lager libici. La disperazione dei migranti - una volta arrivati sulla spiaggia - faceva in modo che tentassero una drammatica fuga. Senza speranza.

Sono stati giustiziati senza pietà dai criminali della guardia costiera libica sovvenzionata con i soldi pubblici dei cittadini italiani.

Il bilancio è pesante: 4 migranti uccisi e altri 4 feriti.
Quattro migranti sudanesi sono stati uccisi, e altri 4 feriti, in una sparatoria avvenuta a Khums, Est di Tripoli, durante le operazioni di sbarco.

E' possibile che l'Italia debba sovvenzionare criminali simili? Non sarebbe ora di tagliare questi fiumi di denaro più tutto l'armamentario? E' possibile che l'Italia non si renda ancora conto di essere complice di chi non rispetta i diritti umani oppure bisogna continuare a girare dall'altra parte la testa?
(Fonte.:jeuneafrique)
Bob Fabiani
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-www.jeuneafrique.com  

martedì 28 luglio 2020

Covid-19, situazione preoccupante in Madagascar. L'esercito impegnato contro pandemia









La lotta contro la pandemia in Madagascar è salita di livello. A seguito dell'impennata di casi, le autorità malgasce, hanno deciso di impiegare direttamente l'esercito. Lo ha annunciato, senza tanti giri di parole, il presidente della Repubblica del Madagascar, Andry Rajoelina: da due giorni, l'esercito ha preso il comando contro il coronavirus.

E' un brutto segnale che da solo testimonia che la situazione è tutt'altro che sotto controllo: lo testimonia anche l'ultimo bollettino - emesso dal Ministero della Salute malgascio - che parla di 10.104 casi ufficiali di contagi da Covid-19 mentre i decessi (almeno quelli ufficiali) parlano di 93 morti.

Il quartier generale dato in gestione ai militari si trova al Palazzo dello Sport di Mahamasina: è gestito completamente dai soldati dopo essere stato istituito il Centro Trattamento anti-Covid-19.


"Non ci lasceremo sconfiggere, non alzeremo la bandiera bianca in questa guerra contro il coronavirus", ha dichiarato Andry Rajoelina, nel disperato tentativo di prendere il sopravvento sulla pandemia.


La situazione è peggiorata: ora il virus è presente in 20 delle 22 regioni della Grande Isola dalla Terra Rossa e il presidente si affida ai militari, dato le statistiche in peggioramento in particolare nella regione di Analamanga (una regione della Provincia di Antananarivo n.d.t).





-Cifre allarmanti


In media, vengono rilevati circa 300 nuovi casi al giorno con un picco di 614 casi (rilevati lo scorso giovedì) a cui sono seguiti altri 99 casi il giorno seguente, venerdì.
In Madagascar mancano le apparecchiature per l'ossigeno e così i malgasci muoiono - anche se non è possibile stabilire quanti decessi si stiano verificando -, questo ultimo problema si va a sommare alla disastrosa situazione degli ospedali. Ad Antananarivo (la capitale), i nosocomi sono allo stremo: non ci sono più posti-letto dove poter ricoverare i nuovi contagiati da coronavirus.

Ora in Madagascar è l'esercito a vegliare sulla sicurezza dei cittadini ma, questa svolta muscolare è molto inquietante: potrebbe essere il prologo a qualcosa di più cruente visto che all'orizzonte si prevedono gravi rivolte sociali, drammatica conseguenza della pandemia.
(Fonte.:lexpress)
Bob Fabiani
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-www.lexpress.mg  

Egitto, Patrick Zaki resta in carcere per 45 giorni









Sono andate ancora deluse le speranze degli attivisti: Patrick Zaki resta per altri 45 giorni in carcere. Accusato di diffondere informazioni dannose per lo Stato e incitazione ad azioni contro il regime di Al Sisi.
Mai come stavolta la famiglia e gli amici di Zaki erano convinti che la vicenda dello studente dell'università di Bologna, arrestato al Cairo a febbraio fosse a una svolta.
Per la prima volta Patrick era stato portato in aula (a sorpresa) domenica quando, anche i suoi avvocati avevano potuto incontrarlo dallo scorso mese di marzo.
(Fonte.:amnesty)
Bob Fabiani
Link
-www.amnesty.org

lunedì 27 luglio 2020

Casablanca, raccontata da Tahar Ben Jelloun









Intere generazioni di donne e uomini, ragazzi e ragazze, appassionati di cinema si sono innamorati, nel tempo di Casablanca; grazie anche a un film - intitolato semplicemente Casablanca e interpretato da Ingrid Bergaman, Humphrey Bogart e Paul Henreid con la regia di Michael Curtiz - del 1942.
Una grande storia di drammi e sentimenti al tempo della seconda guerra mondiale.

Ma oggi cosa è diventata Casablanca?

Probabilmente non c'è nulla di meglio per scoprire le trasformazioni di questa città africana che si trova in Marocco, del lasciare la parola a Tahar Ben Jelloun, il più celebre scrittore marocchino. Secondo lo scrittore, Casablanca, è benedetta per la sua poesia stile Mille e una notte. Dannata perché subisce il peggio della modernizzazione.
(Bob Fabiani)


"Somiglia un po' a un B-movie
in cui Burt Lancaster
gioca con il revolver
e Richard Widmark si nasconde nei bus.
E' maleodorante, inquinata, snervante,
folle. Ed è viva, così viva che non lascia
nessuno in pace,
nemmeno di notte"
(Tahar Ben Jelloun, scrittore marocchino)







-Casablanca non è un film*



Se fosse un libro sarebbe scritto male, nonostante alcune pagine sublimi di poesia surrealista. Sarebbe un manoscritto lasciato da un aristocratico arabo tra le mani di briganti analfabeti. Ma un manoscritto tratto dalle Mille e una notte, riveduto e corretto dai tempi moderni. Se fosse un film sarebbe in bianco e nero con sequenze in cui la notte denuncia gli intrallazzi del giorno. Di certo con Casablanca di Michael Curtiz girato in uno studio nel 1942 dove il nome di questa città suona come uno schiaffo al destino.

Sarebbe un B-movie americano in cui Burt Lancaster gioca con il revolver come fosse una trottola e Richard Widmark è un fuggiasco che si nasconde in autobus sovraffollati, sorpreso da tutta quella gente che prende l'autobus perché non può fare altrimenti. Autobus dove la promiscuità significa povertà, miseria.
Sarebbe, per esempio, Bab Al Hadid - Stazione Centrale, il magnifico film di Youssef Chahine del 1958 sulla gente semplice del Cairo e su ciò che si intreccia in una grande stazione ferroviaria, la vita, l'amore, la morte. Non potrebbe essere un film francese tipo François Truffaut o Claude Chabrol. Sarebbe un po' fuori contesto e poco credibile. Troppo garbato, carino, con immagini troppo leggere. Casablanca è un film noir dove tutte le inquadrature sono esagerate e in cui il dialogo è fatto di schiaffi e intimazioni, un lungometraggio che non risparmia nessuno.






Penso al film di Akira Kurosawa  Dodes'ka-den (1970), al sogno di un ragazzino che combatte la miseria immaginando un mondo che gli dia un posto al sole e nel cuore della vita. Le parole Dodes e Kaden sono onomatopeiche del rumore del tram o di un treno che parte. Il ragazzo pensa di essere il conducente del tram e ripete queste parole fino a farci credere che siamo su un treno suburbano in partenza per il paradiso. Tutti i ragazzini delle baraccopoli di Casablanca hanno prima o poi preso questo treno. Alcuni si aiutano respirando la colla o fumando prodotti tossici. Ma le case popolari stanno prendendo il posto delle baraccopoli e il film di Kurosawa ci ricorda che la poesia può vincere la miseria.

Se fosse un animale, sarebbe un cavallo stremato, robusto, fiero e crudele. Un cavallo ribelle che corre lungo i viali e che nessuno può fermare.
Se fosse un oggetto, sarebbe una grande valigia di legno posata di fronte al mare e sulla quale i gabbiani vengono a depositare i loro escrementi.

Casablanca è una città, di grandi dimensioni, grossa, maleodorante, inquinata, snervante, folle, con di tanto in tanto un vento di poesia che profuma di gasolio, tabacco e birra. E' viva, così viva che non lascia nessuno in pace, nessuno può dormire tranquillo. Gli edifici sorgono accanto a vecchie baraccopoli, attigui alla vecchia medina dove la miseria vive nascosta perché ha bisogno di dignità.







Alcune case sono state demolite per erigere edifici senz'anima. Bisogna pur vivere, guadagnare dei soldi e andare avanti anche a costo di schiacciare qualcuno.
Oppure sarebbe una donna. Sì e no. Una donna sottile, che ama il piacere e si nasconde per viverlo, figlia del popolo, che cerca un taxi verso le due del mattino per tornare nel suo quartiere, di cui non pronuncia il nome. Lei lo sa: dimmi dove vivi e ti dirò chi sei. Ahimè! E' così, la povertà non è fotogenica. Altrove, nei quartieri bene, una donna sistemata, affermata, borghese e altezzosa.
Una donna violenta, che sputa sulla polizia e sui clienti che passano tutto il giorno al caffè. Una donna in djellaba su una bicicletta, che pedala con tutte le sue forze, guardando lontano. Una donna velata, ma senza crederci troppo. Le hanno detto che era meglio indossare un velo, sarebbe stata meno importunata. Sì e no. Una donna d'affari, con i segni esteriori della sua classe e della sua aspirazione alla modernità che lei trucca a modo suo, bilingue, tradizionale e occidentale, quel che basta per non cadere nella schizofrenia. Ci vuole coraggio, per riuscirci.
Ma Casablanca è così, raccoglie e divide, attira e respinge, gestisce il bene e il male con indifferenza, o con disinvoltura.







Giovani che non hanno più paura.

Fanno finta di niente, ma allo stesso tempo sanno che devono trovare un lavoro. Contestano, organizzano manifestazioni, vogliono un miglioramento immediato della loro condizione. Sono coraggiosi, hanno immaginazione, bruciano i dogmi, danno fastidio e si impongono perché fanno parte di questo paesaggio umano così complesso, dove la rabbia si esprime in un rap radicale, poesia della disperazione.



Un giro per il tribunale di primo grado. Lì passa tutto il Paese, contadini disorientati che vanno e vengono, avvocati in toga che attraversano l'atrio, altri discutono, strani tipi parlano a bassa voce, li chiamano samsara, mediatori. Non è il posto dove consegnare le buste, dove contare le banconote, no, questo si fa dall'altra parte della strada in uno squallido caffè. Sistemo tutto io, conta su di me.

Ma la giustizia è malata. Come va il Paese? Male, la corruzione è ovunque. A Casablanca come altrove.
Non c'è più fiducia nella giustizia contaminata dal denaro. Meglio far finta di niente. La ruota gira per tutti.

Uno strano cliché: Casablanca sarebbe il polmone del Marocco. Lo dicono perché l'economia del Paese è in gran parte concentrata qui.






Se è così è un polmone in uno Stato marcio per la nicotina, per la corruzione, per i fumi delle dicerie, per il cattivo vento dei giorni tristi in cui nulla va per il verso giusto. Il mercato azionario e la speculazione. Calcio e denaro. La Corniche e i suoi club. La Corniche e i suoi alberghi. Ingorghi, concerto di clacson che danneggiano l'udito. E in lontananza la Grande Moschea, un monumento sull'acqua costruito con i soldi di tutti i marocchini, ricchi e poveri, volontari e recalcitranti. Un minareto alto nel cielo. Il mare lo scuote. La nebbia la nasconde.





E poi ci sono le "Torri gemelle" e i grandi centri commerciali. Ci si aggira come in Europa, stessa geometria, stesso spazio, con commesse pagate pochissimo, con vigilanti molto vigili, con cartelloni pubblicitari in cui tutto va bene. Casablanca dà il la.

Tutto inizia da qui.

Casablanca e la sua art déco degli anni Trenta appartiene al passato. Casablanca e la sua architettura coloniale, con le sue case discrete, con i suoi artisti che lottano contro la mediocrità sempre più arrogante, con pseudo artisti che siedono nei salotti e credono che l'arte sia vendere e nient'altro che vendere; creano illusioni, ma non sono molti. Gli altri, i grandi artisti, sono discreti e lavorano. La città è più grande della Parigi intramuros. Casablanca è immensa, sovrappopolata, ma viva, soffocante, e volge le spalle al mare. Il mare bisogna andarlo a cercarlo, a vederlo, a disegnarlo.
Il pesce costa caro. E' per via dei giapponesi, per via degli spagnoli che comprano il pesce ancora vivo. Rimane la sardina, il pesce più economico e sano. Il pesce è diventato un lusso. Casablanca d il la. Lo stesso vale per Agadir o Tangeri. Così mangiamo polli con gli ormoni. Casablanca e il suo porto.







E' un mondo malfamato. Puzza di cibo fritto. Rumore e polvere. La gente si alza dal letto e va a fare un giro al porto. Merci e uomini. Gru e gatti. Un cane randagio e un cieco hanno sbagliato città.

Casablanca di notte. E' una faccenda che non conosco. Ma la immagino. Comunque, la città dorme poco. Citt insonne, smemorata di se stessa, che disegna ombre allucinate che camminano barcollanti fino all'alba. Scompaiono con i primi raggi di sole, lasciando i viali agli autobus stanchi, ai piccoli taxi rossi dove si può ascoltare il richiamo alla preghiera o l'ultimo rap in un arabo dialettale e arrabbiato.
*Tahar Ben Jelloun  è nato a Fès nel 1944 e vive a Parigi. Narratore, giornalista, ha vinto il Premio Goncourt (1987). L'ultimo romanzo edito in Italia è Insonnia (La nave di Teseo 2019). Nel 2020 è uscito l'ebbok Diario di un criminologo.
(Fonte.:jeuneafrique)
Bob Fabiani
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-www.jeuneafrique.com   

domenica 26 luglio 2020

L'Editoriale:Africa, interessi contro salute (pre e post- Covid-19)










Mentre tutti gli occhi dei media sono puntati sui risultati del Consiglio europeo, e sul saldo di dare/avere che sarà indice della tenuta dell'Unione (sperando in un robusto ridimensionamento dei peana europeisti ...), sarà bene tener d'occhio uno dei potenziali centri della crisi sanitaria mondiale, da cui giungono notizie sempre più inquietanti: l'Africa.

In un recente articolo della BBC si riporta ad esempio la preoccupazione per la crescita di casi nel continente (mentre, sistematicamente sugli organi d'informazione italiani si è deciso di imporre una censura salvo poi ... buttarsi ... in modo morboso sui soliti sbarchi di migranti sulle coste siciliane ... riempiendo pagine e pagine di deliri razzisti ad opera dei leghisti e delle destre in generale), che rispetto al totale mondiale sono passati dal 2,8% al 5%. In poco più di un mese.
Passando da 100mila casi del 22 maggio a 769.608 di questi giorni di fine luglio.

Tale ragione, di cui si parla, resta nel suo stato di povertà proverbiale: in tutti i continenti del mondo la povertà assoluta diminuisce in senso relativo e assoluto, meno che nell'Africa Subsahariana: le persone che vivono con meno di 1,9 dollari al giorno calano dal 42,5% al 41,1% sulla popolazione ma - caso unico - crescono di numero: da 405 a 413 milioni fra il 2013 e 2015.
Nell'ultimo decennio si registrano due dinamiche significative: da un lato la crescente sottoalimentazione va di pari passo con un aumento dell'import alimentare, con una media di +13% annuo fra il 1995 e 2014. Dall'altro il controllo dei prezzi delle materie prime all'inizio del decennio ha accelerato la stagnazione di tali economie così incentrate sull'export di minerali, prodotti agricoli, petrolio, e simili.
Una crisi che il covid amplifica: secondo le più recenti previsioni, il Pil del continente crollerà di un -1,6% (FMI) a un -2,1%/-5,1% (secondo BM: il FMI sta rivelando le previsioni in senso peggiorativo).

In questo contesto si è avuta fortunatamente una ondata epidemica assai più lieve di quanto non potessero far temere l'assetto rovinoso dei settori degli Stati africani. Scorrendo la lista dei paesi in ordine tanto di % del Pil in sanità che di spesa pro capite in dollari, quelli africani scivolano verso il fondo - gli unici che spendono di meno sono tutti di tale continente: Repubblica Centroafricana, Repubblica Democratica del Congo, Madagascar, Burundi, Etiopia, Guinea, Niger, Mozambico, Sud Sudan, Benin, Eritrea.






Un aggravamento catastrofico dell'epidemia da coronavirus avrebbe effetti di rapida saturazione dei sistemi sanitari locali e la probabile implosione sul continente; la fragilità dell'equilibrio esistente è evidente dall'abisso che passa dalla spesa pro capite dei paesi che sono in cima alla lista con 9.000-5.000 dollari annui, agli ultimi che debbono cavarsela con 25 o 17 dollari (sic!). Pro capite, annui. (I conteggi per Stati particolarmente evanescenti sono controversi, per esempio degli studi assegnano il primato della spesa minore alla Somalia con 33 dollari; ma ciò non cambia l'ordine di grandezza dello squilibrio esistente).

Uno studio di Daniel Munevar indica che in 46 paesi (i più poveri) il pagamento degli interessi incide assai più pesantemente del bilancio relativo alla salute: il 7,8% del Pil contro l'1,8%. Tale situazione è così intollerabile che dall'avvio della crisi Covid-19 si sono susseguite le proposte di annullamento e sospensione, in primis quella del presidente francese Macron. La Francia è uno dei membri più influenti del Club di Parigi, una associazione informale di paesi creditori che ha condotto 434 negoziazioni per la ristrutturazione di debiti sovrani nelle decadi della sua esistenza, spesso imponendo agli infelici debitori uno "sconto" di grandezza variabile della somma debitoria ma esigendo vari tipi di contropartita: pagamento della parte restante, privatizzazioni, investimenti al posto della parte "condonata"; senza misure di sospensione unilaterale il rischio che la munificenza dei creditori celi una "polpetta avvelenata" è quasi certezza.

L'emergenza sanitaria ha convinto moltissimi cittadini a rinunciare a libertà e redditi (si pensi ai lavoratori precari), sia pur provvisoriamente, per tutelare un bene maggiore. Non si può chiedere loro di accettarlo se non si ha il coraggio di imporre ai creditori pubblici e privati una decurtazione dei loro profitti in nome della salute di popolazioni intere.
(Fonte.:www.bbcafrica)
Bob Fabiani
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-www.bbc.co.uk/africa 

sabato 25 luglio 2020

News For Africa n°22 (il continente informa)









Nuovo appuntamento con le notizie da tutto il Continente africano: ogni settimana, AfricaLand Storie e Culture africane seleziona le migliori notizie settimanali con i siti, i quotidiani e i settimanali d'Africa e del resto del mondo.
In questo numero:



  • Covid-19-Africa, la pandemia accelera: 750 mila casi
  • Nordafrica, chi apre e chi chiude
  • Egitto, oltre la linea rossa
  • Mali, il volto islamico delle proteste
  • Zimbabwe, repressione continua. Arrestato il giornalista investigativo Hopewell Chin'ono




-Covid-19-Africa, la pandemia accelera: 750 mila casi




L'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha ribadito "le proprie preoccupazioni per il progressivo aumento dei casi di coronavirus nel continente africano". Che ha superato il traguardo di 750mila casi confermati, secondo quanto riferito dall'OMS e riportato da Reuters mercoledì scorso: "Un allarmante aumento di oltre 250mila casi in poco meno di due settimane, che è un segnale di possibili ulteriori epidemie nel continente", come quella di Ebola nella zona della Repubblica Democratica del Congo, ha affermato l'OMS.

"Stiamo iniziando a vedere una continua accelerazione della trasmissione in numerosi paesi dell'Africa Subsahariana  - ha dichiarato all'Afp l'epidemiologo Michael Ryan, responsabile dell'OMS per le emergenze in Africa - anche perché i casi stanno aumentando in paesi già fragili, colpiti da conflitti e carestie, che ospitano al loro interno migliaia di profughi e sfollati".

Se inizialmente la pandemia ha colpito uno dei paesi più ricchi del continente, il Sudafrica, con oltre la metà dei contagi (oltre 373mila) e un terzo dei decessi (5mila su 16mila morti nel continente), "attualmente sta accelerando nei paesi più poveri".

L'arrivo relativamente lento della pandemia ha dato al Centro africano per il controllo e la prevenzione delle malattie (Africa-Cdc) il tempo di coordinarsi con i diversi governi e ha mantenuto una progressione "controllata" in tutto il continente, grazie alle misure di chiusura, di prevenzione e di distanziamento attuate.

"L'apertura delle frontiere e l'abbandono di misure preventive in numerosi paesi africani, legate anche a problematiche sociali ed economiche - ha dichiarato John Nkengasong, direttore dell'Africa-Cdc - hanno fatto accelerare la diffusione del virus, sopratutto tra rifugiati, migranti e sfollati, con oltre 29 milioni a rischio".

Come afferma il recente rapporto di Human Rights Watch (Hrw) su "Effetti del Covid-19 e il suo impatto nel continente africano", il coronavirus "non ha minimamente fermato o arrestato i conflitti in essere del continente come in Libia, Sahel o Corno d'Africa". "I più colpiti dall'epidemia  - continua il report - cominciano a essere donne, anziani e bambini in fuga da un conflitto, con risorse scarse o inesistenti".

Profughi che vivono "in campi informali troppo densi per l'allontanamento sociale, con scarsa igiene, accesso limitato all'acqua pulita e una totale carenza di strutture sanitarie adeguate".

Altra problematica, legata alla pandemia e ai conflitti, è "la progressiva diminuzione di aiuti adeguati e di operatori umanitari, con una situazione che ha esacerbato ancor più l'insicurezza alimentare e sanitaria" conclude il report.
A questo si unisce l'insicurezza dei pochi cooperanti presenti. Cinque operatori nigeriani, tra cui un dipendente della ong francese Action contr la Faim, sono stati uccisi dal gruppo jihadista Stato Islamico dell'Africa occidentale (Iswap).
Giovedì Iswap ha pubblicato il video della loro brutale uccisione. L'ONU, per voce di Edward Kallon, coordinatore in Nigeria, ha dichiarato di essere "sconvolta per l'ennesima uccisione di operatori umanitari, visto che dal 2016 ne sono stati uccisi in Africa quasi un centinaio".
(fonte.:reuters;afro.who.int;afp)




-Nordafrica, chi apre e chi chiude






"La crisi politica in Tunisia non è mai stata così profonda dall'inizio della transizione democratica nel 2011", scrive Le Temps.
Il 15 luglio si è dimesso il primo ministro Elyes Fakhfakh, accusato di conflitto d'interessi. A febbraio la nomina di Fakhfakh aveva promesso di superare uno stallo di quattro mesi, in cui nessun partito era riuscito a formare un governo dopo le legislative dell'ottobre precedente.
I politici  - compresi quelli del partito islamista Ennahda - "stanno raccogliendo quello che hanno seminato e hanno completamente perso la fiducia dei tunisini", conclude il quotidiano. 
Intanto la Tunisia ha accolto il 19 luglio a Djerba il primo volo di turisti europei in tre mesi, nel tentativo di salvare una stagione turistica compromessa dalla pandemia.
Mentre Tunisi è riuscita a limitare la diffusione del virus (i casi ufficiali sono 1.347, con 50 decessi), dalla fine di giugno la vicina Algeria fa i conti con un'impennata di contagi: il bilancio è di più di 24mila casi registrati e 1.100 decessi.
La situazione negli ospedali è grave e si moltiplicano le proteste dei medici e del personale sanitario nelle province colpite dal virus, dove sono state reintrodotte misure di confinamento, scrive El Watan.
Un gruppo di scienziati ha inoltre rivolto un appello al governo perché sospende le celebrazioni per l'Aid al Adha, che cominciano il 30 luglio.
(fonte.:letemps;elwatan)




-Egitto, oltre la linea rossa







Il parlamento ha approvato all'unanimità il 20 luglio un possibile intervento militare in Libia, se le forze del governo di Tripoli, sostenute dalla Turchia, proseguiranno l'offensiva verso est.
Nel conflitto libico l'Egitto sostiene il generale Khalifa Haftar, l'uomo forte dell'est del paese nordafricano.
Come spiega Al Ahram, il presidente Abdel Fattah al Sisi aveva dichiarato che l'Egitto non sarebbe rimasto "inerte" se fosse stata oltrepassata la linea rossa di Sirte.
(fonte.:english.ahram.org.eg)





-Mali, il volto islamico delle proteste









Mentre in Mali si moltiplicano i tentativi di mediare tra il governo e l'opposizione che vuole le dimissioni del presidente Ibrahim Boubacar Keita, i manifestanti hanno continuato il 20 luglio le azioni di protesta creando barricate e cercando di bloccare strade e ponti a Bamako e in altre città.

"Ma fin dove è disposto a spingersi l'imam Mahmoud Dicko? L'ex presidente dell'Alto consiglio islamico è il volto più noto delle proteste e i manifestanti rispettano la sua autorità. Dicko ha unito intorno a sé marxisti e liberali, socialisti e religiosi. Con i suoi discorsi antimperialisti ha sedotto i giovani", scrive Jeune Afrique, aggiungendo che i maliani non sembrano disposti a rinunciare alla laicità dello stato.
(fonte.:jeuneafrique)


-Zimbabwe, repressione continua. Arrestato giornalista investigativo Hopewell Chin'ono





Hopewell Chin'ono, è il giornalista investigativo dello Zimbabwe che aveva scoperto uno scandalo miliardario che coinvolge funzionari del governo, è stato arrestato il 20 luglio nella sua abitazione ad Harare, la capitale del paese africano.
L'arresto è aumentato poco dopo la pubblicazione della sua inchiesta, su contratti a prezzi gonfiati (e conseguenti tangenti) siglati dal ministero dello Salute per l'acquisto di medicinali o dispositivi di prevenzione personale per contrastare il Covid-19.
(fonte.:focusonafrica)
Bob Fabiani
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-https://africalandilmionuovoblog.blogspot.com/news-for-africa

   

venerdì 24 luglio 2020

FOTO DEL GIORNO - Stato di polizia a Portland











"Le mamme sono qui, 
i poliziotti stiano alla larga"
(Mamme di Portland in corteo contro le violenze della polizia)







Le madri che hanno formato un gruppo contro la violenza della polizia davanti al tribunale distrettuale di Portland, in Oregon.
Nella città le manifestazioni contro gli abusi delle forze dell'ordine sono cominciate subito dopo l'uccisione di George Floyd a Minneapolis, il 25 maggio, e da allora si ripetono ogni giorno.
All'inizio di luglio il presidente Donald Trump ha mandato in città agenti del dipartimento della sicurezza nazionale.
Sui social network sono stati diffusi video in cui si vedono gli agenti, con equipaggiamenti militare, picchiare manifestanti pacifici e caricarli su veicoli non contrassegnati come se gli Stati Uniti fossero piombati in un regime autoritario e vigesse, incontrastato lo stato di polizia.

Dal canto suo, #TheDonald - sempre più in difficoltà nei sondaggi per la corsa alla Casa Bianca del prossimo novembre; dovuta anche e sopratutto per la fallimentare gestione della crisi da coronavirus (oltre quattro milioni di contagiati, quasi 150mila decessi) - per garantirsi la permanenza al timone degli Stati Uniti, ha deciso di puntare tutto su "Law&Order": richiamo esplecito allo slogan che permise a Richard Nixon di trionfare in quelle elezioni tumultuose del 1968 sconvolto dalle grandi marce pacifiste per il Vietnam e dalle rivolte afroamericane dopo l'assassinio di Martin Luther King, jr.

A Portland le forze dell'ordine usano le maniere forti: la gran quantità di gas lacrimogeni anche sul primo cittadino che si è schierato al fianco dei manifestanti.

Ted Wheeler, sindaco democratico si era recato tra i manifestanti che da giorni si scontrano con gli agenti federali inviati da Washington per ribadire la sua opposizione a quella che ha definito "l'occupazione della nostra città da parte di Trump".
(Fonte.:theatlantic)
Bob Fabiani
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-www.theatlantic.com  

giovedì 23 luglio 2020

Coronavirus, boom di contagi in Africa.









La situazione della pandemia in Africa preoccupa sempre più gli esperti e la stessa Organizzazione mondiale della sanità (OMS): i casi stanno aumentando in modo esponenziale e si teme il peggio.
Facciamo il punto della situazione in tutto il continente.



-Allarme OMS


L'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha espresso grande preoccupazione per la diffusione del coronavirus nel continente nero, dove Africa Centres for Disease Control and Prevention denunciano 769.608 casi con 16.435 decessi e 435.000 guarigioni.
Tra coloro che hanno perso la battaglia col virus ci sono anche Jacques Joachim Yhombi-Opango, ex presidente della Repubblica Democratica del Congo e l'ex primo ministro somalo ed ex ambasciatore della Somalia in Italia, Nur Hassan Hussein.


-Esperti preoccupati



C'è massima allerta tra gli esperti: il già vulnerabile e fragile sistema sanitario di molti stati africani, non potrà far fronte all'emergenza del Covid-19. Si teme un escalation di proporzioni biblici del virus in tutta l'Africa.


-Sudafrica, paese maggiormente colpito del virus












Il Sudafrica è il paese più colpito - il quinto su scala mondiale - con 394.948 casi e 5.940 morti dall'inizio della pandemia. Lunedì anche due membri del governo, Thembelani Nxesi, capo del dicastero Impiego e Lavoro, e Gwede Mantashe, ministro delle Risorse Minerarie sono stati ricoverati a causa del Covid-19.

-Nuove limitazioni e coprifuoco

Dal 13 luglio il presidente sudafricano, Cyril Ramaphosa, ha nuovamente vietato la vendita di alcolici per ridurre il numero di pazienti traumatizzati, in quanto questi posti letto ospedalieri servono per i contagiati dal virus.
Lo stesso giorno è stato introdotto il coprifuoco a livello nazionale dalle 21.00 alle 4 del mattino.
Ramaphosa, in una lettera alla nazione ha sottolineato:"Non possiamo fermare la tempesta del Covid-19, ma possiamo limitare gli effetti e i danni sulle nostre vite".



-Madagascar, situazione drammatica (e polemiche ministeriali)












Il ministro della sanità, Ahmad Ahmad, ha chiesto aiuto alla comunità internazionale; a causa del fatto che il materiale sanitario è più che carente, gli ospedali sono al limite e al collasso (e non solo quelli della capitale Antananarivo ...). Ma la presidenza malgascia non ha minimamente gradito l'appello di Ahmed.
Lalatiana Andriatongarivo, portavoce del governo e ministro della Comunicazione e Cultura, in un comunicato (alquanto acido) ha fatto sapere che il governo non ha avvallato le richieste del collega.
Intanto però la situazione diventa sempre più drammatica e i cittadini malgasci sono stretti tra l'incubo della pandemia e le conseguenze economiche e sociali. Il malcontento cova sempre più sotto la cenere della disperazione di quanti hanno perso il lavoro oppure, sono costretti a seguire le rigide disposizioni ministeriali.

-Il Covid-Organics (COV) non è efficace contro il virus

La tanto elogiata e pubblicizzata bibita Covid-Organics a base di artemisia annua non è riuscita a fermare l'espandersi del micidiale virus.
L'intruglio miracoloso era stato distribuito gratuitamente nelle scuole  e anche tra la popolazione in alcune zone dell'Isola.

-Casi in aumento


Nella Grande Isola dalla Terra Rossa i contagi sono in aumento di giorno in giorno. A tutt'oggi, 23 luglio 2020 i casi certi sono 8.162 mentre i decessi sono 69.
E' morto un cittadino italiano in Madagascar, a Antsofinondry, nel distretto di Namehana, a Nord della capitale Antananarivo.
Si tratta di Don Luigi Piotto, dell'Opera Don Orione, 65 anni, da 28 anni missionario in Madagascar.


-Kenya, aumento vertiginoso del virus






In Kenya i casi sono 14.805, i decessi 260 e le guarigioni 6.757. Il governo keniano ha messo in lockdown alcune contee, compresa la capitale Nairobi e ha imposto il coprifuoco notturno in tutto il territorio nazionale per arginare l'avanzare del virus.
Inoltre, le autorità confermano che le scuole resteranno chiuse fino alla fine del 2020, chiese e moschee sono state riaperte  con restrizioni per quanto concerne la presenza dei fedeli.
Tuttavia, è proprio nella capitale keniota dove il micidiale virus è esploso più che altrove nella ex colonia britannica, infatti il 50 per cento dei contagi sono stati segnalati a Nairobi.

-La ripartenza di alcuni voli interni

Malgrado l'aumento vertiginoso dei contagi, la scorsa settimana sono stati ripristinati sporadici voli interni, ovviamente con le dovute precauzioni. I passeggeri sono stati costretti a indossare la mascherine durante tutta la durata del tragitto.
Il Kenya è il paese del Corno d'Africa più colpito dalla pandemia.


-Zimbabwe, al via coprifuoco notturno


Le autorità di Harare (la capitale dello Zimbabwe n.d.t) hanno imposto il coprifuoco notturno e inasprito le misure in atto volte ad arginare l'espandersi del coronavirus.
Il paese  conta 2.034 contagi e 26 decessi.
L'opposizione ha contestato le nuove restrizioni e ha specificato che le norme sono state ordinate per annullare alcune manifestazioni messe in calendario per la prossima settimana per protestare contro la dilagante corruzione e la cattiva amministrazione da parte del governo.
(Fonte.:africa-express)
Bob Fabiani
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-https://www.africa-express.info


mercoledì 22 luglio 2020

Covid-19, il "Caso Sudafrica" e l'allarme dell'OMS








L'epidemia da Covid-19 si sta diffondendo molto rapidamente, negli ospedali sudafricani: mancano medici e infermieri.
Nell'ultimo mese nella "Nazione Arcobaleno" si è registrato un aumento significativo dei nuovi casi giornalieri di coronavirus: lunedì ne sono stati contati più di 13mila, numero simile a quello dei 10 giorni precedenti.





La situazione è sempre più difficile e non solo negli ospedali ma anche nelle township dove, il distanziamento sociale è molto difficile da rispettare.
Le autorità sudafricane vista l'impennata di casi, sono state costrette a rimettere in atto il lockdown.

L'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha diffuso un allarme: la diffusione dell'epidemia in Sudafrica "dovrebbe essere un monito per tutti i paesi del continente, che sarebbero per lo più impreparati ad affrontare una crisi sanitaria di grandi proporzioni".

-L'ultimo bollettino dell'OMS

I casi confermati in Africa sono 748.856 e i decessi sono triplicati: nel bollettino del 22 luglio 2020 sono 15.685. In Sudafrica si contano 381.798 casi, i decessi sono 5.368.
Ma la pandemia avanza un po' in tutti i paesi: in Madagascar, oggi si contano 614 casi in più portando il totale a 8.162 e i decessi a 69.
L'Egitto raggiunge 88.402 casi mentre i decessi sono 4.362; la Nigeria conta 37.801 e 805 decessi. Spicca l'Algeria con 24.278 casi e 1.100 decessi; il Marocco con 17.562 casi e 276 decessi. Seguono la Costa d'Avorio con 14.531 con 93 decessi; l'Etiopia con 11.072 con 180 decessi.
(Fonte.:sacoronavirus;afro.who.int)
Bob Fabiani
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-sacoronavirus.co.za
-afro.who.int
  

Zimbabwe, 100 mila arresti durante la pandemia










Da marzo la polizia ha fermato 105 mila persone: 1.000 negli ultimi due giorni per "movimenti inutili" o per non aver indossato mascherine.

"Violate restrizioni e misure di sicurezza".

Ma l'opposizione accusa il governo di Harare di utilizzare tali misure per bloccare gli attivisti, e sta organizzando per il 31 luglio una protesta nazionale.

"Il presidente Mnangagwa deve dimettersi".

In piena pandemia da coronavirus, lo Zimbabwe mostra tutto il suo stato di crisi istituzionale: si teme per un ulteriore pugno di ferro da parte del presidente Mnangagwa, per altro non nuovo a questi comportamenti.
(Fonte.:afp)
Bob Fabiani
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-www.afp.fr/afrique/zimbabwe

martedì 21 luglio 2020

Covid-19, il Madagascar tra repressione militare e aumento dei contagi







Le ultime settimane la pandemia accelera progressivamente in Madagascar. Le notizie che arrivano dalla Grande Isola dalla Terra Rossa sono preoccupanti. Sotto tutti i punti di vista: da quello strettamente legato alla pandemia da coronavirus fino alla questione sociale.

Il dato del 21 luglio parla di 7.548 casi di contagi e 65 decessi.

Intanto, 19 giorni dopo l'apertura del Covid-19 Medical Center (CMC) al Village Voara Andohatapenaka, i tamponi e i campioni sono in aumento. Si calcola che, in media, 400 persone al giorno arrivano a consultare o essere testate per il Covid-19.

Tuttavia la situazione dei nosocomi malgasci stanno progressivamente peggiorando. Gli ospedali pubblici malgasci sono ora sopraffatti dai casi di coronavirus.
Ad Antananarivo, la capitale del Madagascar, è stato ordinato il blocco dei ricoveri di pazienti con altre patologie rispetto al virus. Da questo momento, negli ospedali, sono ammessi solo pazienti con gravi sintomi di Covid-19.

Ma le notizie negative non finiscono qui per l'isola. Ricordate le grandi polemiche tra Rajoelina, il presidente della Repubblica del Madagascar e l'Organizzazione mondiale della sanità a proposito della medicina - soprannominata CVO a base di artemisia - ?
Alla fine, anche le autorità di Tana - come la chiamavano affettuosamente i suoi cittadini - , hanno dovuto ammettere che il CVO non cura il virus.








Nelle ultime ore crescono le denunce contro  la dura repressione da parte dei militari che, su ordine del presidente Rajoelina, hanno usato il pugno di ferro contro i cittadini che non seguono le direttive ministeriali malgasce.



-La rabbia popolare di Ilakaka





Ieri, 20 luglio, nella città di Ilakaka, è divampato il malcontento sociale. A seguito di un raid militare particolarmente cruento, ha prodotto una manifestazione molto partecipata: i cittadini hanno scandito più volte la parola "insostenibile" che, da sola riassume il livello di tensione raggiunto in città.
Ma non si tratta di un caso isolato.
La situazione in Madagascar così come in altre parte dell'Africa, sta diventando esplosiva: del resto, la situazione finanziaria è sempre più precaria, una parte della popolazione ovviamente si trova sempre più in difficoltà a vivere in isolamento e persino in uno stato di emergenza sanitaria.

-Fatto preoccupante

Secondo quanto riferito, uno dei soldati ha aperto il fuoco su un individuo che rifiutava di indossare la mascherina. La condotta delle forze dell'ordine ha scatenato un'ondata di rabbia che rasenta la rivolta. Dopo il rilevamento di 3 casi di contagio da coronavirus, le autorità malgasce, hanno applicato misure sanitarie rigorose a Ilakaka. La rabbia popolare ha costretto le forze dell'ordine a richiedere soldati di rinforzo dal battaglione inter-armate (BIA), da Ihosy.

Purtroppo la situazione sta peggiorando: ormai da Nord a Sud, da Est a Ovest, attraverso il centro, nessuna regione sull'isola sembra essere al sicuro dalla pandemia.
(Fonte.:@orangeactu;lexpress)
Bob Fabiani
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-@orangeactu
-www.lexpress.mg 

  

lunedì 20 luglio 2020

Quel paese minato dagli omicidi della polizia










"Qui negli Stati Uniti si è rotto
qualcosa"
(Don Winslow, scrittore americano)





Negli Stati Uniti, il mantenimento dell'ordine è una prerogativa locale. Come spiegare allora che una città reputata progressista come Minneapolis sia ripetutamente teatro di azioni razziste da parte della polizia?
In questo reportage, AfricaLand Storie e Culture africane, cercherà di andare nel profondo del "malessere" insito nella società americana e, in particolare delle forze dell'ordine. Del resto, l'America, è caratterizzata da una lunga storia di violenze contro gli abitanti di colore. I servizi di polizia hanno goduto di un'impunità quasi totale. Almeno fino alla morte di George Floyd.
(Bob Fabiani)




-Un paese minato dagli omicidi della polizia (espressione brutale delle disuguaglianze razziali negli Stati Uniti)*











Il Minnesota costituisce un'eccezione nella storia politica statunitense: è l'unico Stato ad aver votato contro Ronald Reagan nel 1984. L'ultima volta che i suoi elettori hanno scelto un candidato alla presidenza repubblicano è stato nel 1972, quasi cinquant'anni fa. Una generazione dopo l'altra, questo santuario della sinistra ha inviato al Congresso Hubert Humphrey, Walter Mondale e Ilhan Omar, una delle prime donne di origine musulmana e di origine somala, a essere state elette. Tenendo in mente questa reputazione, l'omicidio di George Floyd da parte di una pattuglia della polizia e la rivolta popolare da esso innescate possono sembrare sorprendenti. Per un osservatore che abbia familiarità con le Twin Cities  - le due città siamesi di Minneapolis e Saint Paul, la capitale dello Stato -, questi eventi non destano tuttavia alcuna sorpresa.

Sebbene il Minnesota sia tra i primi Stati del paese in termini di istruzione, reddito e benessere, queste statistiche, come ha ricordato il governatore democratico Tim Walz dopo una notte di rivolte seguite alla morte, il 25 maggio, di George Floyd, "valgono solo se sei bianco. Altrimenti, siamo agli ultimi posti (delle graduatorie di eccellenze)"(1). Il Minnesota si è classificato solo al 39° posto nella lista degli Stati che contano il maggior numero di afroamericani con un diploma di scuola superiore. Scende al 45° (su 50...) per quanto riguarda la percentuale di occupati tra le persone di colore e al 48° per la percentuale di afroamericani che possiedono una casa di proprietà. Il salario medio di una famiglia bianca di Minneapolis si aggira attorno ai 100.000 dollari l'anno, mentre quello di una famiglia di colore raggiunge appena i 28.500 dollari.

Bianchi e neri rimangono separati e diseguali.

A partire dagli anni '70, le diseguaglianze razziali negli Stati Uniti non hanno mai smesso di accentuarsi.
Non sorprende quindi che il Covid-19 abbia fatto più vittime tra i neri che tra i bianchi, non solo in termini di mortalità, ma anche di perdita di posti di lavoro e di difficoltà a sbarcare il lunario durante la crisi. Per gli afroamericani gli effetti più diretti del confinamento  - la chiusura delle scuole e l'impossibilità quasi totale di lavorare -  si sono rivelati sproporzionatamente penalizzanti e questo ha dato loro ancora più motivi per mobilitarsi e ancora più tempo per farlo notte dopo notte. Come accade spesso in simili scoppi di rabbia, i residenti hanno preso di mira le proprietà del quartiere in cui vivono rinchiusi. Cosa un po' più rara, i rivoltosi se la sono presa anche con negozi di lusso, ristoranti e banche situati qualche isolato più in là.

Le violenze della polizia costituiscono ovviamente l'espressione più brutale di queste disuguaglianze. Negli Stati Uniti, il mantenimento dell'ordine è una prerogativa locale, esercitata dalla città o dalla contea, al di fuori del controllo dello Stato e delle giurisdizioni federali. Il Dipartimento di polizia di Minneapolis (Mpd) ha alle spalle una lunga storia di omicidi perpetrati contro i residenti di colore.
Tuttavia, fino al linciaggio filmato di George Floyd ha goduto di un'impunità quasi sistematica, come nel caso degli agenti responsabili delle morti di Jamar Clark e di Philando Castile negli anni precedenti. Le vessazioni di carattere razzista sono numerosissime. Il 74% dei casi di uso della forza da parte dell'Mpd riguardano persone non bianche, nonostante queste rappresentino il 40% della popolazione di Minneapolis. Secondo uno studio pubblicato nel 2018 dal difensore d'ufficio della contea, le automobili ricercate dalla polizia appartengono tre volte su quattro a residenti della comunità afroamericana, anche se questa non rappresenta che un abitante su cinque.
Quando un automobilista è oggetto di un mandato di cattura, è di colore nel 76% dei casi, contro un 13% di bianchi. Tenuto conto dell'ampiezza dei poteri conferiti alla polizia, qualsiasi ragione può giustificare un suo intervento. Ogni nero in questo paese lo sa: quando è al volante, il colore della sua pelle è sufficiente a destare sospetti.
Nelle Twin Cities, pochi residenti di colore hanno dimenticato le pattuglie della polizia che davano la caccia ai fuggitivi ai tempi della schiavitù.


-Lo stendardo della "killology"



Il sindacato degli agenti di polizia è uno degli ingranaggi chiave di questo sistema. A Minneapolis, il presidente della sua sezione locale, il tenente Bob Kroll, si è assicurato la lealtà delle truppe sabotando gli sforzi dei vari sindaci democratici per punire gli agenti violenti. Secondo il sindaco attuale, Jacob Frey, "i capi della polizia e i politici che hanno cercato di cambiare le cose si sono costantemente scontrati con l'ostilità del sindacato e con una legislazione che protegge i responsabili delle violenze (2)". Frey e il suo ex capo della polizia, Janeé Harteau, hanno accusato il sindacato di ostacolare qualsiasi tentativo di sanzionare gli agenti colpevoli. Questi ultimi sono coperti da un protocollo di arbitrato negoziato con il sindacato che ha l'effetto di assimilare qualsiasi abuso di potere a un atto di legittima difesa. Derek Chauvin, l'agente che ha strangolato George Floyd con il ginocchio per 8 minuti e 46 secondi, aveva accumulato 17 denunce per abusi in 20 di carriera, solo una delle quali aveva dato luogo a un rimprovero. In base agli accordi presi con il sindacato, il contenuto di queste denunce non è mai stato divulgato. Dei tre agenti che hanno assistito passivamente al supplizio di George Floyd, due erano in servizio da meno di un anno. Il terzo, Tou Thao, aveva ricevuto un totale di 6 denunce per violenze, 5 delle quali archiviate senza conseguenze. Nel 2017, insieme a un collega, aveva picchiato una persona in manette. Sebbene la città abbia pagato 25.000 dollari di risarcimento al denunciante. Thao ha beneficiato della protezione del sindacato e non è mai stato punito.

Il tenente Kroll, applaudito al fianco di Donald Trump in un meeting del 2019, considera i democratici che amministrano la città dei traditori della causa. Tra le altre cose, rimprovera loro di non aver assunto più personale per reprimere le violenze urbane. Le sue lamentele sono rappresentative della mentalità da assediati e dell'avversione nei confronti della sinistra che caratterizzano le forze dell'ordine in questo paese. Ogni volta che i capi della polizia nominati dai sindacati hanno lanciato dei programmi per insegnare tecniche di de-escalation o per contrastare i "pregiudizi impliciti" degli agenti, il sindacato ha scrupolosamente ostacolato le iniziative.
E quando dei rappresentanti locali hanno elaborato un disegno di legge per costringere i poliziotti dell'Mpd a risiedere nella propria città, in modo tale che vivessero vicino alla popolazione, il senato del Minnesota, sotto le pressioni della lobby della polizia, ha respinto il testo. Attualmente, il 92% degli agenti dell'Mpd sono domiciliati al di fuori dalla città in cui lavorano.


Il sindaco di Minneapolis ha preso la salutare decisione di vietare una specifica forma di addestramento che insegna ai poliziotti a percepire ogni cittadino afroamericano come una minaccia.
Questo programma di perfezionamento, molto apprezzato dai dipartimenti di polizia statunitensi, si basa sulla cosiddetta kollology, una dottrina che si vorrebbe scientifica mirante a scatenare nei poliziotti le pulsioni predatorie nascoste in ciascuno di noi. Convinto sostenitore di tale visione del mondo, e oppositore delle velleità del sindaco sulla "de-escalation", Kroll ha risposto elaborando un proprio programma di formazione, finanziato dal sindacato, ispirato anch'esso dalle penetranti analisi della killology. Ai suoi occhi, l'Mpd non può recepire una politica di de-escalation. Quest'ultima, ha dichiarato, "non è nella sua natura. Si vuole insegnar loro a tirarsi indietro e non è naturale. Ecco da dove viene tutto questo stress, dal fatto che non si lascia ai poliziotti carta bianca per acchiappare qualcuno e dirgli: "Ehi, se non ti calmi ti sbatto in prigione, se necessario con la forza" (3)".


Kroll ha definito George Floyd un "criminale violento" e ha accusato i manifestanti di appartenere a un "movimento terroristico".



I suoi agenti gli sono estremamente fedeli. Nelle ultime votazioni sindacali è stato rieletto senza alcuna difficoltà, dal momento che nessuno ha osato candidarsi contro di lui, e ha già designato il proprio successore. L'attaccamento dei poliziotti al capo del loro sindacato si basa sul fatto che questi li protegge in ogni circostanza, anche nei casi di azioni brutali o di omicidio, come è consuetudine in tutti i sindacati di polizia americani. Proprio per questo, sull'onda del movimento di solidarietà con George Floyd, diversi importanti sindacati dei lavoratori, nel Minnesota e in altre parti degli Stati Uniti, hanno rinnegato senza mezzi termini i sindacati della polizia. I legami di complicità organica tra l'Mpd e il suo sindacato, uniti al fatto che quest'ultimo rappresenta innegabilmente i poliziotti, dal momento che lo votano, hanno ricevuto poca attenzione nelle fasi convulse di queste settimane. Kroll andrà presto in pensione, ma la cultura della forza che permea il suo sindacato perdurerà, a Minneapolis come altrove, fino a quando dalla polizia non verranno estirpati i pregiudizi razzisti e l'inclinazione alla violenza coercitiva.

E ora?

Dalle proteste degli ultimi giorni di maggio, a Minneapolis è emerso un movimento guidato da attivisti e rappresentanti eletti che si batte per il defund della polizia. Con questo termine un po' vago, alcuni intendono il taglio di una parte dei fondi destinati alle forze dell'ordine per riassegnarli ai servizi sociali e a programmi di sostegno  - in particolare per le persone con disturbi psichiatrici - sotto l'egida della community ("comunità") o di consigli di quartiere che si assumerebbero alcune responsabilità precedentemente riservate all'Mpd. Questo continuerebbe tuttavia a occuparsi dei crimini e dei fatti di delinquenza violenta.
Altri danno al defund un significato più radicale: sciogliere l'Mpd e costruire qualcosa di nuovo, un'ambizione che sta suscitando entusiasmo (poco) e preoccupazione (molta) nelle contee bianche del Minnesota.


Un'altra conseguenza delle manifestazioni è stata che importanti istituzioni come l'università del Minnesota, le scuole e i parchi pubblici di Minneapolis hanno rotto i propri contratti di partnership con l'Mpd. I poliziotti che assicuravano la sicurezza negli stabilimenti scolastici o in occasione degli eventi sportivi universitari hanno perso così un'importante integrazione al loro reddito, perché questi compiti venivano spesso svolti fuori dall'orario di servizio. Giudicata decisamente insufficiente dagli attivisti, questa ondata di disconoscimento istituzionale ha nondimeno colto di sorpresa tutti gli osservatori. I suoi effetti non saranno trascurabili. Per riottenere le proprie fonti di reddito, i poliziotti potrebbero mostrarsi più inclini ad accettare i cambiamenti che Kroll ha osteggiato tanto strenuamente, sopratutto in un momento in cui l'Mpd e il sindacato devono rinegoziare i loro accordi.

Infine, il governatore dello Stato ha chiesto al Dipartimento dei diritti umani di aprire un'inchiesta riguardante i sospetti di pratiche discriminatorie nei confronti delle persone di colore nell'Mpd. Il Dipartimento avrà l'autorità di disporre dei cambiamenti specifici o anche di assumere temporaneamente il controllo della polizia e del sindacato.

E' estremamente raro che un poliziotto, dopo aver ucciso un cittadino afroamericano, venga condannato in tribunale, e questo semplicemente perché negli Stati Uniti, come ci ricorda il movimento Black Lives Matter, la vita delle persone di colore non conta nulla.







La lista delle vittime non si è conclusa con George Floyd: sono già stati aggiunti altri nomi, come quello di Rayshard Brooks, ucciso il 12 giugno da un poliziotto di Atlanta dopo essere stato fermato per essersi addormentato nella propria auto. Ma questo non è un fenomeno esclusivamente statunitense. Che si tratti dei neri negli Stati Uniti, dei migranti in Europa, degli indigeni o dei senzatetto in altri paesi, la combinazione del capitalismo moderno e di un risorto nazionalismo ha modificato la nostra definizione di cittadinanza e i diritti che la fondano, creando categorie di persone non gradite a cui lo Stato può togliere la vita senza causare disordini. I gruppi presi di mira saranno screditati come anti-sociali, condannati a essere scacciati dalle strade nel caso dei senzatetto, considerati inassimilabili nel caso  dei rifugiati o come nemici interni che sfidano l'ordine costituito nel caso delle persone di colore.

Per questo motivo, il video di Derek Chauvin che schiaccia il collo di George Floyd per un tempo interminabile potrebbe non essere sufficiente a far ottenere la condanna del poliziotto e dei suoi tre complici. Un vecchio reato, tracce di droga trovate nell'organismo durante l'autopsia, un'attività potenzialmente delittuosa, come il presunto uso di una banconota contraffatta o la vendita di sigarette di contrabbando, possono essere sufficienti a trasformare la vittima in un colpevole agli occhi della maggioranza bianca. Un uomo di colore  con la fedina penale sporca per uso di sostanze stupefacenti  - un fenomeno abbastanza consueto da quando infuria la "guerra alla droga" - o per il mancato pagamento di una multa sarà ritenuto indegno di compassione o di giustizia in caso di morte violenta.
Per quanto riguarda George Floyd, l'esito del processo dipenderà probabilmente dalla composizione della giuria. Anche nell'ipotesi di una condanna dei quattro poliziotti, una parte della sinistra bianca e l'intero campo dei conservatori sventoleranno l'argomento della mela marcia per salvare il resto del cesto. Saranno lanciati appelli solenni per restaurare la fiducia nella polizia, che, dopo tutto, si fa in quattro per proteggere il benessere delle cassi medio-alte bianche. Da questo punto di vista, Minneapolis potrebbe non essere tanto diversa come si pensa da New York, Parigi, Sydney o Rio de Janeiro.
*Reichard Keiser Professore di studi americani e di scienze politiche presso l'università Carleton del Minnesota


Note

(1) Conferenza stampa del governatore Tim Walz, 31 maggio 2020.

(2) David K. Li, "State of Minnesota files civil rights change against Minneapolis Police Department", Nbc News, 2 giugno 2020.

(3)Ryan Grim e Aida Chavez, "Minneapolis police union president: "I've been involved in three shootings myself, and not one of them has bothered me", The Intercept, 2 giugno 2020, www.theintercept.com


(Fonte.:monde-diplomatique)
Bob Fabiani
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