Esiste una muraglia di roccia giallastra che spezza la monotonia della savana del
Sahel, finendo col gettare un'ombra sbiadita sulla sabbia della pianura. Una muraglia lunga circa
200 chilometri e alta fino a
500 metri, che fa da scenario al mondo dei
Dogon.
-Dogon, i misteri del popolo delle stelle
I
Dogon sono una popolazione del
Mali. Questo popolo, di circa
240.000 individui, occupa la regione della
Falesia di Bandiagara (importante formazione rocciosa localizzata nel
Mali e costituita da una
falesia di roccia sedimentata che si eleva a circa
500 metri sul livello sabbioso sottostante. Si estende da
Sud verso
Nordovest per circa
200 chilometri, sino al massiccio
Grandamia; n.d.t) a
Sud del fiume
Niger, e alcuni gruppi sono stanziati nei territori attigui al
Burkina Faso. Sono prevalentemente coltivatori di
miglio, caffè e
tabacco e hanno una particolare abilità come
fabbri e
scultori.
La
lingua Dogon presenta caratteristiche particolari, con molte varianti e dialetti. Ogni membro di questa popolazione ha
quattro nomi: un nome proibito e segreto, un altro che è
corrente, uno che si riferisce alla madre e uno che è il nome della classe di età. Per evitare problemi con le altre parole di uso comune, questi nomi sono presi da dialetti di altre
tribù Dogon.
Ogni nome ha un significato linguistico.
-Falesia di Bandiagara
Percorrere la
falesia di Bandiagara è come passare davanti a un enorme quadro monocromatico. La terra delle abitazioni si confonde con lo sfondo della roccia.
I villaggi sembrano camaleonti, che si nascondono all'occhio dello straniero. Solo le
piogge estive, quando il cielo è generoso, pennellano qua e là di verde questa terra.
Allora la falesia cambia volto. Le rocce bagnate si fanno più scure, alberi e arbusti segnano l'orizzonte e dall'alto della scarpata cascate d'acqua precipitano sulla piana, riempiendo i torrenti stagionali.
Visti dalla piana arida, che un tempo era verdissima, i
villaggi dogon, con le loro capanne dal tettuccio di paglia, sembrano presepi aggrappati alle rocce giallastre.
In alto, sopra i tetti appuntiti delle capanne, occhieggiano le grotte dove vivevano i
Tellem, popolazione di
pigmei che abitavano la regione prima dell'arrivo dei
Dogon.
L'intera muraglia è costellata da queste cavità nella roccia. I
Tellem le avevano occupate, per difendersi dalle razzie dei popoli delle pianure. Con un complicato ma quanto mai efficace sistema di corde e non poca agilità, riuscivano a raggiungere rapidamente i loro ripari e ritirare le funi, per impedire ai nemici di raggiungerli.
-Brevi cenni storici (e leggende)
Attorno al
quattordicesimo secolo arrivò in questa regione una popolazione proveniente da
Sud, forse per sfuggire all'espansione degli
imperi islamici, che stavano occupando il
Sahel. Erano i
Dogon.
Narra la leggenda che gli antenati dei
Dogon, cercando di sfuggire ai loro persecutori, arrivarono nella terra dove oggi vivono e che
Amarubu, uno dei tre capostipiti, inseguendo un facocero trovò una sorgente nascosta.
Nangabulu, un altro antenato, mentre inseguiva un coccodrillo scoprì una grande palude, dove venne fondata
Bandiagara. Da allora il facocero e il coccodrillo divennero animali sacri e vengono ancora oggi adorati dai
Dogon come antenati.
I
Dogon si stabilirono ai piedi della falesia e diedero vita a una civiltà tra le più note di quelle dell'
Africa occidentale, grazie anche al lavoro di
Marcel Griaule, il celebre
etnologo francese che a partire dagli anni
'30 del secolo scorso dedicò la sua vita a studiare questo popolo.
La falesia getta una lunga ombra sulla piana sottostante, la cui vita è quanto mai aleatoria e legata alle piogge, che nel
Sahel sono sempre più scarse.
A partire dagli anni
'70 si sono succedute diverse stagioni di
siccità, col risultato di mettere in ginocchio questo popolo di contadini, che cerca di strappare ogni giorno a quella terra arida e a quelle rocce un po' di sopravvivenza.
La vita qui è sempre tra il troppo poco e l'appena abbastanza.
Per comprendere questa terra e questa gente bisogna percorrere la falesia a piedi, per poi infilarsi nelle spaccature della roccia e risalire sull'altopiano roccioso, dove i campi sono pozze di terra, lasciate libere dalla crosta dura e violacea della pietra. Roccia e sabbia: i
Dogon vivono tra questi due elementi. Il piede calpesta lame taglienti o sprofonda. Qui, sullo sfondo di questa grande quinta naturale, si intrecciano due storie.
Un visitatore di un altro pianeta che attraversasse questa terra vedrebbe campi spesso sbriciolati dalla
siccità, magari
steli di miglio, donne che percorrono chilometri per approvvigionarsi d'acqua e molte case abbandonate. Ma se cercasse nei libri informazioni sui
Dogon, leggerebbe di un mondo fatto di
simboli cosmici, di misteriose
astronomie, di gente che trascorre il tempo a riordinare l'universo secondo
mappe ancestrali armoniche e virtuose.
Per gli
occidentali i
Dogon sono quelli di
Marcel Griaule. Nel suo libro più celebre,
Dio d'acqua, uscito nel
1948, Griaule offrì un'immagine dei
Dogon e del loro ricco e complesso universo
cosmogonico che vive ancora oggi, alimentata e corroborata da operatori turistici, guide di viaggio e riviste del settore, per i quali il
Dogon mistico e incontaminato è un prodotto che si vende bene. Un'immagine proiettata su uno schermo di sogno, buona per appagare la nostra carenza di
miti e
misticismo.
L'immagine resta congelata, immutabile, senza storia: i
Dogon erano così e saranno sempre così . Si sprecano espressioni come
"ancestrali", "immutati", "tradizionali" e si nega così a questa gente la capacità di fare storia.
Tuttavia, il nostro viaggiatore alieno, passeggiando qui e là, vedrà una miriade di orti coltivati a cipolle. Perché, se per gli occidentali i
Dogon sono i
misteriosi astronomi che conoscono il segreto della
stella Sirio B, in
Africa occidentale la loro fama è legata alle cipolle. E le cipolle portano, talvolta, all'
Islam.
Le reti commerciali del
Mali e dei paesi limitrofi sono gestite in gran parte da
mercanti islamici ed è più facile entrarvi se si condivide questa fede. Così, ai piedi della falesia - che nel
1989 è stata dichiarata
Patrimonio Mondiale dell'Umanità Unesco in quanto
"culla dell'animismo" - si vedono nascere sempre più di frequente piccole
moschee dalla classica architettura
saheliana.
Nelle fotografie che si trovano su guide e cataloghi non vediamo mai i motorini che percorrono ansimando le piste, il traliccio del telefono che domina la piazza di
Sanga davanti all'ufficio postale, né le bancarelle dei mercati con oggetti in plastica e magliette dei
Chicago Bulls o di
Ronaldo. Eppure i
Dogon sono anche questo. La società
dogon, spessa definita
"tradizionale" da una certa
etnologia, cela dentro di sé i germi della flessibilità straordinaria, che le permette di conservare l'essenziale, unendo il suo apparente
conservatorismo alla sua caratteristica dinamica di fondo.
Se ci si reca in
Mali non si fa parte di un
turismo di massa e neppure uno sprovveduto, tuttavia, questo
turista, non è disposto a condividere tutto con i
Dogon, solo la parte che più lo affascina. Magari rischiando di proiettare su quella gente valori che ha o crede di avere perduto. Ed è questo che gli propongono le guide locali, spostandosi su quella zona franca che è in fondo il terreno del turismo. L'autenticità ricercata dal turista
"etnico" è proporzionale alla distanza dalla modernità che ciò che accade davanti ai suoi occhi mantiene.
Il turista fa come se ciò fosse autentico, pur essendo conscio della rappresentazione in atto. In fondo la questione non è se il turista viva o meno un'esperienza autentica, ma se egli ne percepisca una certa autenticità basata sulla distanza dalla sua esperienza quotidiana che sulla reale conformità alla tradizione locale. I
Dogon lo sanno ed è proprio questa dimensione che offrono al turista. Molti di loro hanno letto
Dio d'acqua e narrano ai visitatori ciò che
Griaule ha scritto dei
Dogon. I turisti vedono così appagata la loro ricerca di autenticità.
"Autentico" sembra dovere coincidere con immutabile, a dispetto dei diversi e profondi mutamenti che attraversano questa terra: l'avanzata dell'
Islam, l'azione delle
Ong che operano sul terreno, l'introduzione di colture commerciali come le cipolle.
Anni fa a
Sanga si poteva incrociare
Youssuf Tata Cissé, etnologo maliano che insegnava alla
Sorbona.
"Tutti i simboli che hanno scoperto qui li ritrovi a Bambara, tra i Minyanka e in un sacco di altri posti qui attorno", e aggiunge
"Non è mica una cultura unica al mondo! Fa parte di un continuum che percorre quasi tutta l'Africa occidentale".
A fronte di queste dichiarazioni ci si chiede:
"Perché allora i Dogon sono diventati così famosi?" .
"Perché su di loro hanno scritto più libri", afferma
Cissé e chiosa:
"O perché questo è un gran posto e tutto diventa più bello".
A pensarci bene
Youssuf Tata Cissé aveva ragione.
I turisti però oggi non arrivano più. Anche all'ombra della falesia è arrivata l'onda strisciante del
jihadismo, ed è arrivata con il volto dei
Peul, i tradizionali allevatori della savana. Tra loro e le popolazioni sedentarie locali non è mai corso buon sangue, ma in qualche modo si era stabilita una forma di convenienza: dopo il raccolto, i bovini potevano pascolare sui campi, fornendo letame, assai ambito dai contadini.
I
Peul ricevevano in cambio miglio, altri prodotti alimentari e talvolta anche piccole somme di denaro. Di tanto in tanto nasceva qualche lite, perché i bovini invadevano i campi prima della fine del raccolto. Gli scontri talvolta degeneravano e venivano sequestrate alcune vacche.
Negli ultimi anni però qualcosa è cambiato: l'ondata
fondamentalista, iniziata nel
2011 con l'occupazione del
Mali settentrionale, dopo una prima fase militare si è trasformata in una penetrazione silenziosa di elementi
islamisti nei villaggi del
Mali, tra cui quelli
dogon. Questo ha provocato numerosi scontri, anche a fuoco, con molti morti, al punto che i
Dogon hanno formato una sorta di
milizia etnica, a metà tra un'associazione di cacciatori e un corpo paramilitare, che nel marzo
2019 con un assalto armato ha raso al suolo il villaggio di
Ogossagou, tra
Mopti e le frontiera con il
Burkina Faso, lasciando a terra oltre
150 vittime, tutti civili di etnia
peul trucidati a colpi di machete e armi da fuoco mentre veniva appiccato il fuoco all'intero villaggio. L'eccidio è stato motivato dagli assalti
jihadisti condotti dai
miliziani guidati dal predicatore
peul Amadou Koufa e inquadrati nella principale coalizione
jihadista del
Sahel, il
"Gruppo di sostegno all'islam e ai musulmani", di fede
qaedista e sospinto dalle sempre maggiori pressioni dell'ondata
islamista. Il tutto sotto lo sguardo indifferente dell'esercito
maliano, rimasto inerte di fronte a questi violenti episodi.
I
Peul vengono considerati oggi dai
Dogon, nel migliore dei casi, dei collaborazionisti.
Il mosaico etnico del
Mali è andato drammaticamente in frantumi per effetto combinato dalla disgregazione della
Libia e della diffusione tossica del
radicalismo religioso di stampo
wahabita, che un tempo era marginale in questi luoghi.
Difficile dire quale sarà il futuro di quello che fu un pacifico popolo di coltivatori. Nere nubi si affacciano all'orizzonte.
(Fonte.:nationalgeographic)
Bob Fabiani
Link
-www.nationalgeographic.com/africa