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sabato 15 settembre 2018

#RememberingChibokGirls - FOTO DEL GIORNO





#BringBackOurGirls #NeverToBeForgotten #StopBokoHaram #Nigeria #Africa

Ricordando il dramma del rapimento delle studentesse nigeriane, di #Chibok da parte dei #miliziani di #BokoHaram.
Nonostante i proclami del governo nigeriano la lotta contro i jihadisti di #BokoHaram non è stata vinta e il gruppo di miliziani continua imperterrito a sconvolgere la #Nigeria (e non solo) con attentati e devastazioni.
(Fonte.:archivio fotografico di africaland)
Bob Fabiani
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-https://africalandilmionuovoblog.blogspot.com

giovedì 13 settembre 2018

In ricordo di #RachidTaha e il suo 'canto di protesta delle banlieue' a ritmo di #PopRai



Se ne è andato #RachidTaha per colpa di un attacco cardiaco a Parigi all'età di 59 anni, il cantante e compositore algerino amato dalle grandi star della musica e del rock internazionale del calibro di Patti Smith, Robert Plant, Khaled e Mick Jones.

Il musicista era nato a Orano nel 1958 in #Algeria, il 18 settembre e, sempre nello stesso giorno ma del 1977 arriva in Francia, stabilendosi a Lione. Per lunghi anni, l'artista non rimetterà più piede in Africa e nel suo paese natale, l'#Algeria un assenza che va dal 1989 al 2006 che spiegherà con queste taglienti parole:

"Paese di fantasmi e di miraggi" dal momento che l'#Algeria secondo il musicista scomparso il 12 Settembre 2018; è incapace di prendersi cura dei suoi figli.

Eppure #RachidTaha quando viveva nel paese transalpino amava ribadire un concetto al quale teneva tantissimo:

"Algerino per sempre, francese ogni giorno", le stesse parole che aveva rilasciato in una lunga ed emozionante intervista per @Jeuneafrique.

Dopo Khaled, Rachid Taha è stato un importante esponente del #PopRai: un genere musicale sviluppatesi a partire dagli anni successivi alla seconda guerra mondiale in #Algeria, in particolare modo proprio nella città di #Orano.
Il #PopRai è caratterizzato, fin dalle origini da continue mutazioni dovuto ad influenze esterne, deve infatti la sua stessa origine all'incrocio tra cultura spagnola, beduina, francese, marocchina e algerina, favorita proprio dalla città di #Orano, assai più libertina rispetto al resto del paese Nordafricano; con i suoi locali che ne hanno esaltato sempre la sua anima multiculturale.

Il nome 'Pop-Rai' spiega bene lo stile di questa musica nata dalla commistione tra la "musica tradizionale algerina", appunto il Rai, prima con la musica francese, quindi in misura sempre maggiore con il Rock anglosassone.

Alla fine degli anni'60 quando il musicista-attivista che presterà il suo "canto di protesta" delle #banlieue in un magico connubio tra musica algerina e #combatrock; si trovava a Lione si innamorerà della musica, spiegandola con queste parole:

"La musica era il giusto per dire quello che mi stava a cuore, a partire dalla denuncia della discriminazione quotidiana nelle banlieue".

 Nel 1981 fonda il gruppo #CarteDeSéjour - Permesso di soggiorno che già nel nome anticipava tematiche, diffidenze e traumi che oggi a distanza di molti decenni da quell'urlo di sopravvivenza inchioda gli europei e i francesi e tutto il resto del Vecchio Continente sul fronte dell'accoglienza sempre più negata a #migranti e #rifugiati.
Il gruppo sarà sciolto nel 1989.

#CarteDeSéjour divennero popolari grazie a "Douce France" una rivisitazione del pezzo di Charles Trenet diventa un vero e proprio manifesto: una versione al vetriolo in chiave #combactrock e un attacco durissimo (ma necessario) contro il pregiudizio razziale.

Poi verranno gli anni solisti e Rachid Taha firma la stupenda "Rock El Casbah" dove il musicista algerino ribadisce, una volta di più tutto il suo amore per gli indimenticabili #TheClash.
Verranno altre magnifiche canzoni del calibro "Ya Rayah" e "Tékitoi".
Nel 1991 esce un album fantastico "Barbés" (il suo primo da solista) dedicato al quartiere africano di Parigi. Molti anni dopo, nel 2013, esce "Zoom", un lavoro caratterizzato da grande produzione curata da Justin Adams e che vedeva la presenza tra gli altri, di Brian Eno e Mick Jones. Tre anni dopo nel 2016 riceve un "Victorie de la musique" premio alla carriera.

Rest in Pace, Rachid Taha.
(Fonte.:jeuneafrique)
Bob Fabiani
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-www.jeuneafrique.com   

     

domenica 9 settembre 2018

L'inquietante monito del generale Haftar mette a rischio la tregua a #Tripoli




Erano attese e sono arrivate, le dure parole di Haftar a rendere ancor più precaria la faticosa tregua che ha consentito una pausa (oltre davvero non è lecito spingersi) negli aspri, cruenti combattimenti tra le #Milizielibiche che hanno messo a ferro e fuoco #Tripoli e, gettato nella disperazione i civili che vivono nella capitale della #Libia.

Non si è trattato di un discorrere sereno ma, al contrario, Haftar, ha voluto rendere noto tutto il suo disappunto per la situazione vigente nel paese Nordafricano e, nel farlo, ha messo in moto un vero e proprio sfogo, a tratti violento e inquietante.



-Il monito di Haftar

Ha parlato di tutto - come riporta il sito di notizie libico, Alwast - e lo ha fatto a modo suo. Con la consapevolezza di avere dietro di sé, non solo e non soltanto colonne di miliziani fedeli (quelli li ha sempre avuti, sin dai primi momenti del post-Gheddafi n.d.t) ma, un 'vento in poppa' che, di fatto, lo ascrive, lo promuove sullo scranno più alto ambito in #Libia : essere il "nuovo Rais in pectore" del paese Nordafricano.
Lo si capisce dalle pesanti parole pronunciate a tutto campo: dalla "questione delle elezioni" fino al passaggio più delicato, ossia, la richiesta diretta, schietta nei confronti dei "capi-milizie" invitati (ma non amichevolmente...) a lasciare (in fretta) #Tripoli.




  • Haftar e le elezioni: "Le elezioni voglio che siano trasparenti o le farò annullare" , questo il primo siluro inviato senza tanti complimenti alla "compagnia internazionale" e, naturalmente alle Nazioni Unite, da sempre al fianco del Governo di Unità nazionale come del resto Roma e l'Italia.
  • Haftar e il monito ai capi-milizie: "I 'capi-milizie' lascino, immediatamente Tripoli altrimenti provvederemo noi a mettere in campo una 'liberazione' con mezzi militari. Questa soluzione resta un'opzione inevitabile".




Perché Haftar usa queste parole pesanti quanto macigni che si staccano dal costone della roccia di alta montagna?

Semplicemente perché ora il generale di #Tobruk "sente" che il vento è cambiato. Intendiamoci, Haftar è sempre stato decisivo per le sorti della #Libia - non fosse altro perché è sul territorio della Cirenaica che ci sono i giacimenti di petrolio (oltre che a #Tripoli n.d.t) e, dunque, resta deciso a imporre la sua visione della disputa sull'infinito "Caso Libia".

Il duro monito del "Signore della guerra" e "Padrone della Cirenaica" (su 'mandato egiziano' con tanto di benedizione dittatoriale di Al-Sisi n.d.t) non le manda a dire anzi, come suo solito, tralascia la diplomazia: in questo evidentemente, è quello di sempre. Eppure si nota un cipiglio differente. Una padronanza dell'uso della minaccia espletata con chiarezza, in modo diretto cosicché arrivi prima al bersaglio.

Voluto. Cercato. Additato.

E' un passaggio fondamentale per capire cosa aspettarsi dalla "crisi libica".

Parla Haftar e, nel farlo si ritaglia un nuovo e preciso ruolo, quello di "Rais in pectore" non più o non soltanto a rappresentare le #Milizie della Cirenaica ma, oramai da "nuovo Capo Supremo della Libia".

Ne ha per tutti: naturalmente le 'canta sonoramente' ad Al Serraj, seppure usando la tecnica del "non nominare il nemico, ormai sempre più debole" e, subito dopo, con cipiglio ancora più aspro, ne ha anche per l'ONU. Il generale di #Tobruk è drastico: "Se i capi-milizie restano a Tripoli, siamo pronti a marciare sulla capitale".

A preoccupare non è tanto il monito e nemmeno il momento in cui sceglie di parlare: ma in sostanza, a far sobbalzare dalla sedie sia alle Nazioni Unite sia a Bruxelles è la "nuova dimensione geopolitica che anima Haftar". 
Avere dietro alle spalle la #Francia e l'#Egitto significa porre su un nuovo piano la #Libia accreditarla sul fronte del Continente Nero in un tuttuno con l'#Egitto, in modo da rendere sempre più concreto il "grande sogno egiziano", da sempre perseguito dai militari e da Al-Sisi: dare vita al "Grande Egitto".

Fino a pochi mesi fa questo schema incontrava enormi diffidenze e criticità ma, da quando Parigi e l'Eliseo (su mandato di Macron n.d.t) hanno promosso Haftar come l'"uomo di Parigi", tutto è cambiato, con buona pace dell'Italia che sembra non aver capito di essere stata messa all'angolo da tutti. A cominciare dai libici.

Ecco allora che le parole-monito del generale devono essere lette come un attacco diretto all'Italia: del resto l'antipatia per Roma, da parte di Haftar è cosa nota e risaputa nel tempo.

"L'Italia protegge i capi delle milizie di Tripoli. A questo punto non possiamo che chiedere ai comandanti delle milizie di lasciare il paese e poi aiutarli, con il supporto delle ambasciate, a vivere lontano dai libici".

Lo sfogo-discorso si conclude così e, un sibilo squarcia il "fragile accordo" per il cessate il fuoco e prepara il terreno verso una "guerra civile" che si preannuncia totale. Nessuno avrà scampo.
(Fonte.:alwasat)
Bob Fabiani
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-en.alwasat.ly   

  

sabato 8 settembre 2018

Un Memorandum per lo sviluppo del Madagascar firmato a Pechino durante il #ForumChinaAfrica2018






Un memorandum di cooperazione Cina-Africa (FOCAC) è stato firmato con le compagnie cinesi, al recente #ForumChinaAfrica2018, a #Pechino.





Gli accordi prevedono la costruzione di una linea ferroviaria tra la capitale del Madagascar, Antananarivo (Tana) e Fianarantsoa, la costruzione di un nuovo porto a Diego-Suarez, la costruzione di un 'Tramway' o di una metro di superficie ad Antananarivo e l'estensione dell'aeroporto di #Tamatave.

E' stato decisamente un grande successo per la "Grande Isola dalla Terra Rossa" la spedizione a Pechino per il 7° Summit Cina-Africa: indubbiamente, il Madagascar, ha un gran bisogno di queste infrastrutture e, il 'Dragone Cinese' anche in questa parte di Africa dimostra di voler perseguire lo sviluppo e la modernizzazione del Continente Nero per dare un contributo decisivo per il cambiamento richiesto a gran voce da tutti i popoli africani, compresi i malgasci.




-A 60 giorni dal primo turno delle Elezioni Presidenziali


La classe dirigente malgascia dunque si presenta al voto elettorale potendo rivendicare questo importante risultato sul fronte infrastrutturale, uno dei più carenti del Madagascar dopo i recenti e devastanti cicloni di inizio anno.

Ma i problemi restano, anche se si registra un sostanziale clima di calma, sul fronte sociale: le proteste e le manifestazioni dello scorso mese di aprile hanno lasciato il posto all'attesa, per vedere come si snoderà l'appuntamento elettorale.

A proposito di elezioni, sono attese per oggi, 8 settembre, le dimissioni del presidente della Repubblica malgascia, Hery Rajaonarimampianina, come richiesto dalla Costituzione, che prevede che il capo dello stato si dimetta 60 giorni prima del 1° turno elettorale, fissato per il #7Novembre prossimo.




-La rivolta degli esclusi

I 10 candidati eliminati dalla corsa (per il 1°turno n.d.t.) denunciano irregolarità nella decisione della Corte Costituzionale Alta (HCC) del 22 agosto scorso: non sono però i soli a lamentare quantomeno errori e poca attenzione alle date precedentemente annunciate. Si tratta delle polemiche legate alla diffusione della lista degli aventi diritto alla corsa presidenziale.

A dare man forte alle denunce degli esclusi ci sono anche alcuni membri della società civile 'Alliance Voahary Gasy' e 'Transparency International Initiative del Madagascar' che hanno chiesto l'estromissione di Andry Nirina Rajoelina, Marc Ravalomanana e Hery Rajaonarimampianina.

"Sapevamo che la diffusione e il lancio della lista dei candidati promossi alla corsa presidenziale sarebbe avvenuta il 26 agosto per cui, restiamo perplessi difronte al comportamento dell'HCC che l'ha diffusa prima di quella data", spiega Ndranto Razakamarina, presidente AVG.


-Conclusioni

Le parole del presidente AVG avvalorano tutte le perplessità intorno all'appuntamento elettorale: quando mancano due mesi al primo turno (#7N2018 n.d.t.), si assiste a manovre più o meno spericolate per non dare risposte concrete ai veri bisogni dei malgasci e alla richiesta di cambiamento invocato dal popolo malgascio. Sembra come se anche in Madagascar faccia più paura la legittima speranza di cambiamento della società civile e di quanti aspirano ad avere un futuro più dignitoso che dia la possibilità a molti malgasci di uscire dall'incubo della povertà.
(Fonte.:agenceecofin;lexpressmada;newsmada)
Bob Fabiani
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-www.agenceecofin.com;
-www.lexpressmada.com;
-www.newsmada.com 



mercoledì 5 settembre 2018

Sette punti per una fragile tregua tra le milizie libiche. (Ecco perché non reggerà)





Al termine di nove giorni d'inferno, caratterizzati da combattimenti cruenti che hanno provocato 50 morti e almeno 138 feriti in molti quartieri di Tripoli e, dopo una tregua soltanto di nome, capace, di non reggere nemmeno 24 ore, come saprete, a sera, è arrivata la notizia che, in Libia si era raggiunto un accordo per il 'cessate il fuoco' tra tutte le parti in causa, le stesse che animano le famigerate #milizie.




L'artefice di questo risultato del tutto insperato, è stato l'inviato speciale dell'ONU, in Libia, Ghassan Salamè, al termine di una riunione convocata (d'urgenza) e che ha visto protagonisti tutti i capi delle varie #milizie che si stanno dando battaglia nella capitale del paese Nordafricano.

La notizia, è stata diffusa dallo stesso Salamè che via twitter tuttavia, invitava a non cullarsi troppo sugli allori perché, quello raggiunto in serata ieri, non è altro che un flebile, precario spiraglio di pace.






-I sette punti dell'intesa (tra milizie)

In serata arrivavano altre conferme sull'intesa trovata, di cui, l'ONU si adopera come garante: lo rendeva noto anche il sito libico Alwasat.

Ecco i sette punti

L'accordo è stato raggiunto a Zawia, una cittadina portuale a circa 20 km a Ovest di Tripoli, la capitale della Libia; a firmare il protocollo d'intesa sono state le milizie in conflitto a Tripoli ecco il testo così come è stato rilanciato anche da Alwasat.


  1. Cessazione di tutte le ostilità;
  2. Non commettere nuovi atti di ostilità;
  3. Non esporre i civili a pericoli, rispetto dei principi dei diritti umani citati nei trattati internazionali e nazionali;
  4. Non toccare beni pubblici e privati;
  5. Assicurare l'apertura dell'aeroporto di Mitiga, di tutte le strade della capitale e di quelle che vi confluiscono;
  6. Evitare ogni misura che crei uno scontro armato di truppe o armamenti, in particolare qualsiasi atto che crei tensione;
  7. Assicurare il rispetto di questo documento da parte di tutte le truppe e forze dei firmatari del documento stesso.
Come abbiamo visto l'accordo non risolve i problemi e, il primo a riconoscerlo è stato proprio l'inviato speciale ONU, Salamè che scrive: "l'accordo non punta a risolvere tutti i problemi della sicurezza della capitale della Libia: cerca un accordo quadro sul modo di iniziare ad affrontare tali questioni".

Ora tocca alla diplomazia e alla politica e, si spera che Francia, Italia cerchino un modo per aiutare la pace e non alimentare il conflitto sotto traccia (per salvaguardare i propri interessi economici).




Alla luce di queste parole scritte da Salamè (via twitter) è utile soffermarsi su alcune dichiarazioni di un membro della Settima Brigata - una delle milizie protagoniste della guerra scatenata contro le postazioni del governo di Unità Nazionale, guidato da Al Serraj.

     

-Il patto debole che non reggerà

Ali Aoun è un membro della Settima Brigata e con la sua testimonianza e senza tanti giri di parole spiega perché il cessate il fuoco non reggerà.

"La tregua non reggerà e lo vedrete nei prossimi giorni: è un accordo debole", spiega dal comando  della Settima Brigata che poi critica la "troppa fretta" voluta dal rappresentante ONU per fermare i combattimenti che, tuttavia, riprenderanno secondo Aoun perché dice "Le Nazioni Unite hanno voluto organizzare tutto in fretta mentre la situazione a Tripoli non permette una mediazione solida senza una discussione approfondita sui problemi".

-Conclusioni

Alla luce di questa testimonianza diretta non ci sono troppe speranze che il "Caso Libia" si avvii verso una normalizzazione anche se, nelle ultime ore è arrivato il sostegno verso Al Serraj e il plauso di Francia, Italia, Regno Unito e USA all'accordo per il cessate il fuoco.

(Fonte.:alwasat)
Bob Fabiani
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-en.alwasat.ly 

martedì 4 settembre 2018

#FOCAC2018, Pechino stanzia 60 miliardi di dollari per lo sviluppo dell'Africa





Il 3 e 4 Settembre si è svolto il 7° Forum China-Africa a Pechino : quello appena conclusasi è il summit dei record dato la massiccia presenza dei leader e capi di stato del Continente Nero, conosciuto con il nome di #Africa. In tutto erano 60 i leader che, insieme al leader cinese, Xi Jinping, si sono seduti attorno a un tavolo per parlare, discutere e trovare soluzioni su un tema delicato.
Quello della 'crisi del debito africano'.




La Cina da almeno 20 anni a questa parte ha capito la straordinaria possibilità che il Continente Nero può offrire a quanti sappiano valorizzarla: certo, anche dalle parti di Pechino guardano ai loro interessi ma, nel farlo, si può dire che il 'Dragone cinese' vuole passare alla storia come "Potenza di cooperazione" in un quadro di sostenibilità e di sviluppo dell'#Africa.




Potrebbe essere questa la sintesi di questa due giorni di lavori serrati quasi senza sosta e, che per l'#Africa segna un nuovo inizio della cooperazione della #ChinaAfrica.

Il #FOCAC2018 è andato in scena alla Sala del Popolo a Pechino dove Xi Jinping non ha perso l'occasione di mandare "messaggi cifrati" al resto del mondo fossilizzato nel vedere l'#Africa sempre e soltanto come un peso e non come una straordinaria opportunità.

I volti sorridenti dei leader africani erano un segnale inequivocabile: è la Cina la potenza che più crede nello sviluppo del Continente Nero, uno sviluppo da "60 miliardi di dollari in finanziamenti".



Mentre nel resto del mondo, a cominciare dagli Stati Uniti che snobbano (in chiave decisamente razzista n.d.t.) l'#Africa dalle parti di Pechino è tutto un fervore, un progettare mega-progetti infrastrutturali che renderanno l'#Africa (a partire del 2019 n.d.t.) moderna e, al tempo stesso la mappa del Continente Nero si colora sempre più di bandierine rosse e, da sole, testimoniano la miopia dell'Unione europea ferma e insabbiata, sul solito "problema migranti" che, non gli permette di andare oltre stupidi "programmi reazionari" invece di perseguire obiettivi comuni che possano consentire alle giovani nazioni africane di vincere la scommessa del cambiamento e del progresso.

Una sconfitta bruciante. Umiliante che chiama in causa la miopia di un paese come l'Italia ripiegato su stesso e non più capace di valorizzare i suoi asset (penso per esempio al declino indecoroso di Alitalia che non ha mai guardato all'Africa e alla fine si è dissolta in sterili decisioni che saranno pagati a caro prezzo dai lavoratori) oppure quelle "opere infrastrutturali" che un tempo rappresentavano - anche in Africa - l'eccellenza italiana.




La Cina raddoppia e procede senza indugi verso l'espansione (a tratti irresistibile e impressionante) in Africa e lo farà con progetti che abbracceranno la costruzione di nuovi porti e ferrovie fondamentali per alimentare quella #ViaDellaSeta che sarà l'unica, autentica opera che garantirà, nei prossimi anni sviluppo e prosperità. E' ormai Pechino la città-guida, è la Cina la nuova super-potenza mondiale mettendo un punto fermo, definitivo, al declino dell'occidente troppo stupidamente legato al cinismo dei nuovi-vecchi leader che giocano (una partita folle e tragica...) a travestirsi da sovranisti in chiave reazionaria.

-La promessa di XiJinping

Al termine del Forum China-Africa 2018 si è appreso che il 'Dragone cinese' continuerà l'espansione in #Africa, stanziando 60 miliardi di nuovi finanziamenti, ha detto Xi Jinping, spiegando come nel pacchetto ci saranno "Presiti a tasso zero e il Fondo dello sviluppo" che sarà distribuito in questo modo:

-15 miliardi di aiuti (a prestito zero);
-20 miliardi in linee di credito;
-10 miliardi saranno destinati per un fondo per lo sviluppo;
-5 miliardi stanziati per il commercio;
-10 miliardi saranno a disposizione delle imprese private. 

(Fonte.:jeuneafrique)
Bob Fabiani
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-www.jeuneafrique.com
  

lunedì 3 settembre 2018

#BURNINGTRIPOLI, STATE OF EMERGENCY








Sono ore drammatiche a #Tripoli per l'attacco senza tregua delle #Milizie contro il governo di 'Unità Nazionale' di Serraj. La capitale #Tripoli è sotto attacco e, ormai, appare chiaro che questa nuova impennata della "guerra civile" - che mette tutti contro tutti - ha un preciso scopo: rovesciare e mettere all'angolo Al Serraj e i suoi sponsor.



"Noi non vogliamo la distruzione, avanziamo in nome dei cittadini che non trovano cibo, mentre altri si godono il denaro", ringhia rabbioso il leader della "7°Brigata" una delle milizie che hanno dato il via all'offensiva guerrafondaia che sta gettando nel caos (senza fine) #Tripoli e il resto della #Libia.

-L'ostacolo alla pace della #Libya

I combattimenti tra le milizie bloccano ogni sforzo di trovare una soluzione politica al conflitto e, alla luce di quanto sta accadendo nelle ultime ore (dove pare che i ribelli delle milizie siano davvero a stretto giro di posta della capitale e, abbiano nel mirino, le postazioni dell'odiato governo di Al Serraj n.d.t), appare anacronistico pensare che si possano organizzare elezioni generali come spera di poter fare Macron (a favore) del suo nuovo pupillo Haftar (in chiave anti-Roma n.d.t).

Sembrano passati secoli da quell'incontro, andato in scena a Parigi, lo scorso mese di maggio quando, i leader delle quattro principali fazioni libiche si sono sedute intorno a un tavolo con i rappresentanti ONU, dell'UE e quindi dell'Unione africana nonché dei rappresentanti della Lega araba: oggetto dell'incontro, appunto le elezioni del #10dicembre.

Non a tutti accettano questo schema e il suo naturale vincitore quell'Haftar che, Macron ha provveduto a sostenere al pari degli arabi e sopratutto degli egiziani che, sotto la spinta del dittatore Al-Sisi sognano finalmente il "Grande Egitto".

"Le milizie hanno il potere di far avanzare o mandare a monte il processo di pace, sono loro a detenere il potere sul campo. Si dice spesso che il precedente accordo politico sulla Libia è naufragato perché non prendeva in considerazione il futuro delle milizie. Ancora oggi il governo Al Sarraj ha un grosso debito con i gruppi armati" , afferma Tarek Megerisi, analista dell'European council of foreign relations.

Nodi difficili da sciogliere ma, nessuno poteva realmente pensare che fosse Al Serraj, presidente di un governo non riconosciuto nel resto della Libia ha consentire al paese Nord africano di tentare una problematica uscita dalle sabbie mobili della crisi.

Oggi la situazione appare anche più disperata e Al Serraj ha deciso di istituire lo "Stato d'Emergenza" a Tripoli e dintorni.

Sullo stato d'emergenza hanno preso posizione i volontari e gli attivisti di Medici Senza Fontiera:

"Lo stato d'emergenza è stato annunciato a Tripoli. Medici Senza Frontiere resta altamente preoccupato per i cittadini libici nelle aree residenziali e per i rifugiati e migranti intrappolati nei centri di detenzione, le cui sofferenze sono state aggravate dalle politiche dell'Unione europea. La libia non è un Paese sicuro".

Ma che cosa sta succedendo? E quale ruolo hanno paesi come l'Italia e la Francia gli Stati Uniti e la Gran Bretagna?

Orientarsi nel caos libico non è sempre facile: a tal proposito riannodiamo i fili e ripartiamo dalla disastrosa guerra contro Gheddafi del 2011.

-I fatti

Rivolte arabe 2011:

Nel quadro delle rivolte arabe del 2011 divampate in Africa in #Tunisia e poi allargatesi all'#Egitto e in molte parti e Monarchie del Medio Oriente, il Caso Libia si distinse nel periodo che va da febbraio a ottobre dando il via a una guerra civile che oppose il regime di Gheddafi alle forze di opposizione sostenute dall'esterno dalle potenze occidentali e, tra queste figuravano la #Turchia e alcuni Paesi arabi.

Il disastroso intervento militare 2011:

La spedizione militare che si organizzò in fretta e in furia si svolse sotto l'egida dell'ONU che, almeno nelle intenzioni (rivelatesi del tutto false) di difendere i civili dalla repressione del regime e sostenere una rapida transizione della Libia verso la democrazia.

Libia stato fallito, paese diviso:

In realtà da fine 2011 il paese è diviso in centri di potere, con due parlamenti e due governi: quello di Tripoli guidato da quel Al Serraj inviso e non riconosciuto come presidente della Libia dal resto del paese africano e l'altra sotto controllo del generale Haftar, con varie milizie che hanno sempre più peso nella gestione delle risorse dello Stato e della rendita petrolifera.





Ma le divisioni che si sono in un certo modo manifestate in tutta la loro drammaticità sono la conseguenza della destituzione e dell'assassinio del Rais Gheddafi in quella disastrosa guerra voluta principalmente dalla Francia sotto la guida di Sarkoszy che, spinse come un ossesso per la soluzione militare per insabbiare e ridurre al silenzio (definitivo) lo stesso Rais che aveva finanziato la campagna presidenziale del presidente francese.
Oggi fa un certo effetto vedere proprio Parigi come "sponsor più attivo" nel perorare la "causa delle elezioni generali" del #10dicembre: per quale motivo?

-Elezioni sponsorizzate da Parigi

La percezione che appare sempre più chiara mano a mano che passano i giorni è che sia proprio la Francia a volerle queste elezioni e, il motivo di questa strategia di Macron rimanda a quella "nuove alleanze" richieste dal presidente francese (di cui abbiamo parlato la scorsa settimana su questo #Blog) per riscrivere non tanto e non solo gli "asset strategici francesi" ma, in qualche modo, per promuovere la leadership francese in Africa e in Medio Oriente. In questo contesto rientra a pieno titolo con questa agenda presidenziale voluta da Macron.
L'iper-attivismo dell'Eliseo rischia di produrre un nuovo mostro (a più teste).





Macron non vuole concedere troppo spazio a Roma anzi, nel suo ragionamento l'impianto che dovrebbe condurre la Libia alle elezioni generali del #10dicembre ha una doppia valenza: rimettere ordine in tutta la Libia che, attraverso "l'uomo forte e nuovo Rais", ossia il generale Haftar sarebbe in grado di tenere a bada quelle milizie che, in queste ore stanno mettendo a ferro e fuoco Tripoli. 
Un attimo dopo, l'Italia sarebbe messa nell'angolo. Ai margini della "nuova Libia".



Haftar sarebbe la soluzione peggiore per Roma: è del tutto risaputo l'antipatia atavica del generale nei confronti dell'Italia e, le cose sono anche peggiorate dopo l'arrivo dell'#EsecutivoGialloVerde caratterizzato dalle sparate razziste del #ministrodellapaura.

Tuttavia l'azione di Macron serve anche a rafforzare l'asse (storico) che Haftar (Signore della guerra della Cirenaica) con l'#Egitto del dittatore Al-Sisi. Nella visione di Macron serviva portare Haftar dalla parte di Parigi e, in questa nuova santa alleanza pare che, il generale si sia fatto garantire dal presidente francese l'azione serrata contro l'Italia da sempre tra gli sponsor più convinti di Al Serraj.


-Strategia a stelle e strisce (e di) #Africom 

E l'America di Trump come si posiziona su tutta questa situazione?

#TheDonald è stato molto chiaro al riguardo: per la Libia vuole una soluzione che "deve durare nel tempo" e, per questo, convintamente, ha offerto il pubblico sostegno all'Italia e all'#EsecutivoGialloVerde (in chiave anti-migranti n.d.t).




Il portavoce del comando americano per l'Africa spiega in poche parole l'"ingaggio" di Africom che, si muove in una unica direzione: "Gli USA lavora con il governo di Unità nazionale per portare stabilità nel paese".




-Il Golpe (del nuovo Rais e pupillo di Parigi)

A nessuno però può sfuggire che quando ci si trova di fronte alla "Crisi libica" è sempre e solo  la "Questione Petrolio". E allora tutto quello che sta avvenendo in modo cruento e drammatico acquisisce le sembianze di un Golpe (attraverso le mosse belliche della "7°Brigata" n.d.t) .

Non bisogna dimenticare che la "Settima Brigata" originariamente aveva giurato fedeltà a Serraj ma, visto che ormai il futuro del presidente del governo di Tripoli è segnato e, visto anche che quest'ultimo non ha intenzione di lasciare il comando, le milizie hanno scatenato l'inferno per rovesciarlo.
La mano, il regista è chiaramente Haftar che ha capito di avere dalla sua la Francia, i paesi arabi e l'#Egitto ecco che il generale ha fretta non solo di scatenare l'inferno ma di prendersi il potere.




Haftar teme che le elezioni non si facciano e per non avere intralci alla sua scalata al potere ha scatenato la guerra civile in modo che gli garantisca di l'entrata trionfale a Tripoli.
(Fonte.:alarabyaljadid)
Bob Fabiani
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-www.alaraby.co.uk/english





   

    

domenica 2 settembre 2018

LE MANI (E LE STIMMATE) DELLA CINA DIETRO IL DEBITO AFRICANO






In soli 20 anni il Continente Nero ha contratto oltre 100 miliardi di euro di prestiti dal 'Dragone cinese'. Che significato  dare a questa situazione? L'#Africa ne ha tratto giovamento oppure no?
Indubbiamente, si registrano molti successi sul fronte infrastrutturale e, bisogna prendere atto che il binomio "Cina-Africa", avanza nella direzione di quel cambiamento necessario per rendere l'#Africa più moderna e, così facendo raccogliere la sfida della modernità sopratutto in paesi come l'#Angola oppure la #CostaDAvorio, l'#Algeria senza dimenticare la #Nigeria né l'#Etiopia e, il #Sudafrica compreso il #Senegal.




Malgrado questo viatico però la strada è lunga e le criticità non mancano di certo.

Ovviamente la #Cina pretende molto in cambio: se da una parte si assiste certamente a una sorta di valorizzazione dell'#Africa dall'altra, la presenza sul territorio e, per certi versi, l'occupazione strategica dei porti africani sul piano militare (leggi e vedi l'esempio - Gibuti dove la Cina, ha costruito di sana piana un porto che risponda, in un colpo solo, alla domanda commerciale e militare; n.d.t) è, sul terreno delle finanze pubbliche che si registrano le critiche più feroci.


-Infrastrutture moderne e all'avanguardia





Scopriamo più da vicino quali sono questi successi infrastrutturali che il 'Dragone cinese' in #Africa.

La Diga di Soubré in Costa d'Avoria, l'autostrada est-ovest in Algeria, la nuova città di #Kilamba (nella foto n.d.t) in #Angola, la sede dell'Unione africana che si trova ad Addis Abeba in #Etiopia, il parco industriale di Diamniadio in #Senegal e poi, opere in Congo, lAeroporto di Abuja in Nigeria, il porto polivamente Donaleh, a #Gibuti. ...

Insomma, da Nord a Sud e da Est a Ovest, i risultati cinesi in #Africa sono visibili ovunque.



Sono passati 18 anni dal varo del 'Primo Forum sulla Cooperazione Cina - Africa (Focac)', che aveva in programma la promessa di sviluppo con "obiettivi comuni" e si può dire che sia più che mai attivo.

Lavorando a pieno regime.

Indubbiamente, tutti i leader cinesi che si sono alternati alla guida del Dragone da Jiang Zemin a Xi Jinpin, passando per Hu Jintao, hanno fatto in modo di "rompere" l'inequivocabile rapporto di dipendenza con il "Nord ricco, occidentale" e, attraverso le ambizioni e i mezzi finanziari, ha aperto nuove prospettive nel continente.

Eppure bisogna registrare che la Cina, da sola possiede quasi il 20% del debito pubblico africano e, in qualche modo questa rappresenta una fonte d'inquietudine se, per esempio, la Cina, nei prossimi anni, potrebbe essere coinvolta in guerre, non ultima quella lanciata sul fronte - dazi dall'irresponsabile e irascibile #TheDonald.

-Vertice di Pechino Cina-Africa (3 e 4 Settembre 2018)


Al vertice  Cina-Africa di Pechino che prenderà il via domani, lunedì 3 settembre e continuerà anche il giorno seguente, il 4 settembre, si parlerà sopratutto di questo aspetto: come mettere "in sicurezza" il debito africano: ma una cosa appare chiara (e imprescindibile) il binomio Cina - Africa è destinato a durare ancora a lungo.

La Cina non ha intenzione di rinunciare all'#Africa perché  ha capito che rappresenta, oltre a una sfida "a tutto campo" anche, una straordinaria possibilità di sviluppo reciproco per continuare a tenere sempre più ai margini le potenze colonialiste di un tempo e, la stessa America di Trump che ha sempre visto il Continente Nero come fastidioso intralcio, invece di una straordinaria risorsa, da valorizzare.
(Fonte.:jeuneafrique)
Bob Fabiani
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-www.jeuneafrique.com  



sabato 1 settembre 2018

Inferno Libya. Le milizie mettono a ferro e fuoco Tripoli





A intervalli regolari la situazione in Libya sembra sempre più ingarbugliata. Catastrofica. Senza via di uscita. Le ultime vicende poi hanno il potere brutale di mettere in chiaro una volta per tutte che, non esistono "ricette magiche" per venire a capo del "Caso Libia".

Semplicemente è impossibile pensare come vorrebbero alcuni in Europa che sia sufficiente andare a elezioni politiche per consentire al paese Nord africano di uscire dal labirinto della guerra civile. Una volta per tutte sarebbe molto più serio non fare finta di non vedere quale faccia abbia la realtà e, ancor di più, riconoscere tutti gli errori fatti fino a questo momento.



La situazione a Tripoli è sempre infernale: da lunedì scorso sono scoppiati violenti scontri a fuoco e hanno coinvolte molte fazioni in guerra tra loro; molte milizie che si guardano in cagnesco tra loro. Come sempre a Tripoli è tutti contro tutti. A quanto si apprende gli scontri sono iniziati quando, la "Settima Brigata", milizia di stanza a Tarhuna, che combatte per abbattere e cancellare il premier - mai riconosciuto se non dall'occidente - Al-Serraj.

Il bilancio è subito tragico: 30 morti (di cui almeno 2 sono bambini) e 100 feriti.

Le milizie non hanno accettato il "cessate il fuoco" e, la stampa libica, ha parlato apertamente di un attacco indirizzato contro l'ambasciata italiana a Tripoli. Lo rende noto il sito Libya Times: secondo fonti giornalistiche, ci sarebbero alcuni testimoni che hanno riferito di un missile "ha mancato di pochi metri l'ambasciata", colpendo un albergo vicino.
(Fontelibyatimes)
Bob Fabiani
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-www.libyatimes.net