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venerdì 28 giugno 2019

Serie di attentati scuotono la #Tunisia : quali scenari?







Un' offensiva armata contro una stafetta radiotelevisiva a Gafsa (Sud-Ovest), due attentati a Tunisi, hanno scosso la Tunisia fin nel profondo.

La giornata è diventata cervellotica e caotica quando, il capo dello stato, Béji Caid Essebi, a seguito degli attacchi, è stato colto da un malore che ha richiesto l'ospedalizzazione.
Al momento, le condizioni dell'anziano capo di stato tunisino sembrano essere migliorate ma non al punto di lasciare la struttura ospedaliera.

Daesh rivendica




Il gruppo dello Stato Islamico ha rivendicato la responsabilità per il doppio attentato suicida perpetrato ieri, 27 giugno 2019, nella capitale tunisina, secondo l'organizzazione statunitense che monitora i movimenti estremisti  SITE.

Gli autori dei "due attacchi contro le forze di sicurezza tunisine nella capitale sono combattenti del Gruppo Islamico", ha detto Amaq, l'agenzia di propaganda Daesh e, citata dal SITE.

Scenari dopo gli attentati




La Tunisia è alle prese con i problemi di sempre, gli stessi che portarono alle rivolte arabe del 2011. Da allora le cose non sono cambiate di molte: la crisi economica attanaglia la qualità della vita dei tunisini ma, in certo senso, le rivolte di 8 anni fa, hanno portato in dote alcune aperture sul piano dei diritti fondamentali e sociali anche se, non ancora soddisfacenti per il popolo tunisino.
Indubbiamente, il paese africano, si trova alle prese con un altro prtoblema di non facile soluzione. La situazione della Libia che è sempre più drammatica e, con una guerra civile ormai su larga scala, rischia, di coinvolgere anche Tunisi.
Non si tratta di una eventualità remota: gli attacchi di ieri ne sono una conferma.
L'obiettivo dei miliziani jihadisti era, la Francia e, la sua ambasciata : del resto Parigi in quanto al "Caso Libia" sta mantenendo una condotta del tutto sfrontata da quando, alla luce del sole, ha deciso di sostenere le azioni belliche di Haftar.

La giornata di ieri dunque, può suonare come un campanello d'allarme : in una giornata ad alta tensione, si è tastato il polso di quale inferno potrebbe scatenarsi dalle parti di Tunisi  e, nel resto del paese Nordafricano.
Sullo sfondo restano anche i nodi politici. L'attentato di ieri va anche letto come monito contro la laicità della Tunisia.
(Fonte.:jeuneafrique;afp)
Bob Fabiani
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-www.jeuneafrique.com;
-www.afp.fr

   

giovedì 27 giugno 2019

FOTO DEL GIORNO - Morire nel #RioBravo










Ci sono scatti fotografici che riescono a chiamare in causa i potenti della terra, senza appello : è il caso della amara storia dei migranti salvadoregni che chiamano in causa, le disumane politiche migratorie dell'amministrazione Trump.

Oscar e Valeria, sono i nomi dei due migranti salvadoregni, padre e figlia, morti annegati domenica scorsa, nel tentativo di attraversare il #RioBravo, all'altezza di Tamaulipas.

E' importante nominarli troppe persone anonime sono morte cercando esattamente la stessa cosa, un futuro.
(Fonte.:africaland)
Bob Fabiani
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-https://africalandilmionuovoblog.blogspot.com/foto-del-giorno 

mercoledì 26 giugno 2019

Quei #Migranti intrappolati ad #Agadez (la città stravolta per i diktat dell'Unione Europea)* Pt.3






AfricaLand Storie e Culture pubblica oggi la terza parte del reportage dalla città nigerina di #Agadez : nelle ultime ore però, dall'altra parte dell'Oceano è arrivata un'altra tragica notizia che coinvolge la "tragedia delle migrazioni"

Prima di addentrarci nell'approfondimento della terza puntata di questo lungo reportage, questo #Blog chiede ai lettori di soffermarsi su questo nuovo capitolo della tragedia dei #Migranti.


In onore e in ricordo di Oscar e Valeria 




Oscar e Valeria, sono i nomi dei due migranti salvadoregni morti, padre e figlia, annegati domenica scorsa, nel tentativo di attraversare il #RioBravo, all'altezza di #Tamaulipas.
E' importante nominarli troppe persone anonime sono morte cercando esattamente la stessa cosa, un futuro...

Per questa ragione AfricaLand Storie e Culture africane dedica la pubblicazione di questa terza parte del reportage in loro memoria.
(Bob Fabiani)


Passeur, un mestiere rispettabile per ex ribelli*


"Tutto era organizzato nei minimi dettagli. Per ogni partenza, le agenzie dovevano consegnare alla polizia un documento di viaggio in cui figuravano i nomi dei passeggeri e la loro nazionalità. I governi sono arrivati a incoraggiare gli ex ribelli tuareg o tebu, che negli anni 1990 avevano imbracciato le armi, a reinventarsi in questa attività per voltare definitivimante le spalle alla guerra.

"Avevano dei veicoli e conoscevano le strade, ma non avevano lavoro...", afferma Mohamed Anako. Dopo essere stato uno dei leader della prima ribellione tuareg (1991 - 1995) è diventato presidente del consiglio regionale di Agadez e ha proposto questa riconversione quando era a capo della Hacp.

"Li abbiamo spinti a investire in questa attività. Abbiamo preso le misure peraiutarli a sdoganare i mezzi e a registrarsi. Era tutto legale e, inoltre, ci tenevano aggiornati su quel che succedeva nel deserto".

Le difficoltà sono iniziate con la caduta di Gheddafi nel 2011. La Guida libica faceva il lavoro dei guardacoste europei. Era quasi impossibile imbarcarsi per raggiungere il Vecchio continente. In compenso, si poteva rimanere in Libia per tutto il tempo che si voleva. Il lavoro non mancava ed era ben pagato.

"Quando è caduto Gheddafi, si sono aperte le porte verso l'Europa. E' stata una boccata d'ossigeno. Arrivavano sempre più candidati", ricorda Boss. Il numero di migranti in transito nella città (di Agadez) parrebbe quadruplicato tra il 2013 e il 2016. In quell'anno la polizia di Agadez aveva censito quasi 70 "ghetti".

Per Boss è l'inizio della concorrenza. Molti  nigerini  che vivevano in Libia sono scappati dalla guerra e dal caos, riconvertendosi in trasportatori di migranti. Non tutti i nuovi arrivati rispettavano le regole stabilite dalla vecchia guardia. Secondo un mediatore sociale erano "banditi fuorilegge" e non esitavano a ricattare i migranti nel bel mezzo del deserto, ad abbandonarli al minimo imprevisto o a venderli alle milizie, appena giunti in Libia - che li avrebbero ricattati a loro volta. Questi atti criminali a cui si è aggiunto il il traffico di prodotti illegali (droga, tabacco, armi), hanno spinto le autorità a reagire e a cooperare con l'Unione europea.




Come la casa di Boss , anche il "ghetto" di Mohamed D., alla periferia della città, si è vuotato. Sui muri del cortile, rimangono le tracce del passaggio di vecchi clienti : un nome, un numero di telefono...

"Non mi resta niente, borbotta il passeur. I miei due mezzi sono stati sequestrati. Ho passato sei mesi in carcere. Non ho più alcuna entrata".

I soldi che ha guadagnato in quel periodo di abbandonanza?

"Mi sono mangiato tutto; insieme alla mia famiglia".

La frustrazione è ancora più grande poiché la legge è arrivata senza preavviso. Nessuno ad Agadez, era stato informato. "Era un lunedì, ricorda un passeur. Tutti i mezzi carichi di migranti sono stati bloccati all'uscita di Agadez. Pensavamo che ci fosse un problema di sicurezza nel deserto. Ma no. Gli autisti sono stati gettati in prigione e i veicoli sono stati sottoposti a fermo. Solo in seguito ci hanno spiegato la legge" Anako dice di non essere contrario a vietare le filiere ma esprime disappunto perché le autorità non hanno tenuto conto della situazione socio-economica della regione  e non hanno predisposto la sua riconversione.

"Sarebbe stata necessaria una transizione per permetterci di trovare una soluzione alternativa. Forse, i progetti finanziati dall'Unione europea daranno dei risultati, ma in quanti anni? Il problema, è che le persone hanno bisogno di un lavoro, oggi. E lavoro non ce n'è".

Negli anni 1980, Agadez, accoglieva migliaia di turisti che venivano da Europa e America per scoprire il deserto del Ténéré, le dune di Bilma e il massiccio dell'Air. La città viveva al ritmo degli aerei a fusoliera larga che atterravano sulla pista del suo aeroporto internazionale. Ma i visitatori sono spariti dopo la seconda ribellione tuareg, nel 2007, e in seguito all'inserimento della città tra le zone rosse ("formalmente sconsigliate") da parte del ministero degli esteri francese. Anche le miniere di uranio sono in crisi, come l'insieme della filiera (7).

Attraverso l'Eutf, l'Unione europea ha finanziato il programma di reinserimento con 8 milioni di euro (il 5% del budget disponibile), per i vecchi attori della migrazione. Quello che è stato definito "piano d'azionbe a impatto economico rapido ad Agadez" (Paiera), non è degno del suo nome. Tutti i "vecchi operatori" del settore a cui sia stata approvata la pratica di riconversione ricevono un aiuto di 1,5 milioni di franchi Cfa (2.290 euro). Ma il processo è lento: sono state esaminate solo 400 domande su 5.000. Ne sono state respinte quasi 1.500, specialmente se a presentarle erano proprietari di "ghetti" e automezzi. Infatti, Bruxelles li considera dei privilegiati  - avendo guadagnato per anni somme colossali rispetto al livello di vita medio dei nigerini -, o peggio, dei criminali. Per i responsabili di Eucap Sahel Niger, bisogna tenere a mente che si tratta "innanzitutto di traffico di esseri umani" e che quanti  ne approfittano "bevono lacrime dei propri fratelli". Ma la realtà vissuta dalle popolazioni è molto diversa, per quanto in effetti vi siano dei delinquenti tra gli ex passeur.  Il ricercatore citato precedentemente precisa che i passeur guadagnavano di certo molti, ma questi patrimoni accumulati erano più che altro il frutto dell'aggravarsi della situazione economica e politica nel Sahel, e non dello sfrontato sfruttamento dei migranti: "I prezzi erano corretti prima della legge. Se hanno guadagnato tutti quei soldi, è per via della portata del fenomeno e dell'elevato numero di clienti".

Bashir Amma, ex passeur, oggi presiede il Comitato degli ex operatori della migrazione, un'associazione che ha creato nel 2016 per fare da tramite tra locatori, autorità ed ex attori della migrazione. Nel suo ufficio, all'interno degli spogliatoi dello stadio di calcio di Agadez dove ogni giorno si allenano le squadre della società che dirige, Amma riconosce le irregolarità commesse nell'esame delle domande: "Alcuni richiedenti non erano neanche ex operatori del settore. Ma, in compeenso avevano i rapporti giusti, appartenevano alla famiglia giusta. Hanno saputo approfittare della cuccagna". L'Unione europea ha sconvolto l'economia locale e generato frustazione. "Ci hanno ingannati, afferma con rammarico. Ci avevano promesso soldi in tempi brevi. A tre anni di distanza, sono stati finanziati 371 progetti... Crediamo che non ci abbiano offerto una revisione, quanto piuttosto un aiuto d'emergenza. Si offrono 1,5 milioni di franchi Cfa a persone che guadagnavano 5 milioni a settimana! E' ridicolo. Come pensate che possano accettarli?".
(Fonte.:monde-diplomatique)

- Fine Parte Terza -
*Rémi Carayol
**Questo scritto è apparso sulle colonne de Le Monde diplomatique
Bob Fabiani
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-www.monde-diplomatique.fr 

martedì 25 giugno 2019

La grande paura di Abiy Ahmed dopo il tentato golpe in #Ethiopia









Due giorni dopo l'assasssinio del Presidente della regione di Amhara e del capo dell'esercito etiope, le circostanze e le motivazioni di questi due attacchi restano poco chiari.

AfricaLand Storie e Culture africane prova a leggere gli scenari (e il clima) che si stanno vivendo in Ethiopia.


Acclmato per le riforme intraprese sia all'interno che all'esterno del paese da quando è entrato in carica, aprile 2018, Abiy Ahmed affronta una delle sue più grandi sfide, sedendo sullo scranno spettante al Primo Ministro.

A 42 anni, Ahmed è il più giovane leader del continente.

Uno dei suoi primi ordini ha destato enormi dibattiti in tutta l'Ethiopia, avendo dato disposizione di costruire un museo digitale per celebrare la storia del paese e, in abbinato, un parco a tema etiope e uno zoo con 250 animali : secondo il premier di Addis Ababa tutto questo attirerà ogni giorno migliaia di visitatori.

"Questo è il prototipo della nuova Ethiopia", commenta l'ex ufficiale dei servizi segreti militari laureato in ingegneria informatica.

"Rispetto ad altri miei colleghi ho già realizzato molte cose. Ma non sono neanche l'1 per cento di quelle che ho in mente".


Un Primo Ministro in uniforme militare parla alla TV di Stato dopo il tentato colpo di Stato 





Fin dall'inizio del suo mandato, Ahmed è ben conscio dei pericoli del cosiddetto "federalismo etnico" (ne parleremo più avanti in questo stesso post; n.d.t) e, per questa ragione ha voluto subito chiarire : "Quanto è avvenuto nella notte tra sabato e domenica è un chiaro tentativo di colpo di stato".

Evidentemente, le violenze intercomunitarie degli ultimi mesi, hanno avuto il loro sbocco (naturale?) ad Ahmara. Gli attacchi infatti sono stati lanciati in simultanea : un gruppo di uomini armati ha aperto il fuoco durante una riunione di funzionari locali nella capitale (Regione Ahmara) causando la morte del presidente di quella stessa regione, Ambachew Mekonnen e del suo consigliere, Ezez Wassie, nonché del procuratore generale locale, Miggaru Kebede.

Poche ore più tardi, ad Addis Ababa, il capo - staff Seare Mekonnen è stato ucciso nella sua abitazione da una delle sue guardie del corpo.

Questo assassinio è di gran lungo più inquietante.

Appare chiaro che siamo di fronte a una rivolta tutta interna alle gerrarchie militari : Ahmed, è stato molto criticato dai vertici  delle forze armate, sempre a causa delle riforme avviate che, secondo molti generali, imporrebbero "paghe da fame, questo deve finire", dissero qualche  mese fa (era l'aprile scorso) accerchiando, minacciosamente, il premier etiope.

Tuttavia, Seare Mekonnen era uno dei pochi generali del Fronte popolare di liberazione del Tigray (TPLF), il partito che aveva dominato la politica etiope dalla caduta di Derg nel 1991, per sostenere le politiche riformiste di AbiyAhmed.

Possibili cause di un #ethiopiacoup





Al centro di questo caos etiope ci sono le riforme che potrebbero portare progressi per tutti. Eppure in Ethiopia, in molti si chiedono : "Negli interessi di chi vengono portate avanti le riforme promosse dal premier Abiy Ahmed? Per che genere di società hanno lottato gli etiopi?" - scrive sul sito Africa is a Country, Stephanie Jay e aggiunge "Fin dall'inizio, nel 2015, le proteste esplose tra i giovani poveri provenienti dalle campagne della regione dell'Oromia hanno dato voce a rivendicazioni sulla classe e l'identità, e hanno sfidato molteplici forme di oppressione, sfruttamento e discriminazione. I manifestanti hanno compiuto attacchi contro le fabbriche, sopratutto quelle nate dalla collaborazione tra investitori stranieri ed élite locali, accusate dagli abitanti della ragione di essersi accaparrate le terre in modo indiscriminato senza offire opportunità di lavoro agli abitanti del posto. La rivolta ha sempre rivendicato anche diritti politici, accanto a quelli economici".

In Ethiopia negli ultimi 20 anni la povertà è calata dal 45,5 per cento del 2000 al 23,5 per cento del 2016, nonostante la popolazione sia cresciuta da 65 milioni di abitanti nel 2000 a 100 milioni nel 2016, scrive ancora Jay : "L'Ethiopia ha uno dei più bassi coefficienti di Gini (l'indice della disuguaglianza di reddito) dell'Africa, molto più basso del vicino Kenya, paese del 'libero mercato'. Gli investimenti nei servizi sociali e a favore delle fasce povere hanno garantito un'istruzione primaria al 100 per cento della popolazione, una copertura sanitaria al 65 per cento. La realtà è che far uscire dalla povertà una popolazione che dovrebbe raddoppiare nei prossimi 30 anni continuerà a essere un compito di portata storica per il governo etiope. Affidandolo solo al 'libero mercato' e al settore privato, si rischia di lasciare indietro decine di milioni di persone. Se i salari rimarranno bassi e il lavoro continuerà a essere in larga misura informale, la povertà non diminuerà, anzi cresceranno  le disuguaglianze".

Apparentemente la descrizione della situazione sociale etiope sembrerebbe non avere nulla a che fare con il tentato golpe dello scorso sabato ma, in realtà "ingloba" un certo malcontento che serpeggia sia nella società civile sia nelle gerarchie militari. Con l'azione di sabato, la sfida è iniziata. Se Ahmed, vorrà portare a compimento le sue riforme (anche sfidando la costituzione etiope n.d.r) la strada è tracciata : il Primo Ministro vuole la trasformazione a tutti i costi, e allora, dovrà vedersela con il federalismo etnico (appunto sancito dalla Carta costituzionale) andando ad accendere la miccia di una guerra civile.

Abiy Ahmed potrà ottenere dei progressi solo se l'Ethiopia adotterà un diverso tipo di federazione, territoriale e non etnica, in cui l'accesso ai diritti in un'unità federale sia sancito non su base etnica ma dalla residenza.
Un accordo del genere permetterà agli etiopi di allontanare i rischi di una dittatura.

L'attacco di alcuni quadri militari mirano a scalzare Ahmed proprio perché temono che il premier riesca nell'impresa di abbattere il federalismo etnico che potrebbe oetterli per sempre in un angolo.
(Fonte.:jeuneafrique;africasacountry;nytimes)
Bob Fabiani
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-www.jeuneafrique.com;
-https://africasacountry.com;
-www.nytimes.com 

lunedì 24 giugno 2019

Come cambia la strategia della protesta sudanese dopo il #SudanMassacre?







Il 3 giugno 2019 almeno 500 persone sono morte durante le drammatiche operazioni di sgombero del sit-in organizzato davanti al quartier generale dell'esercito sudanese a Khartoum : questa è stata la denuncia del Comitato centrale dei medici sudanesi e, sostanzialmente - tranne rari casi - essa è caduta, sostanzialmente, nel vuoto dal momento che, la grande maggioranza dei media internazionali (compresi quelli italiani, anche qui, tranne in rarissimi casi), ha pensato bene di "silenziare" non solo, il volgare massacro ma, nell'insieme, la rivolta e la rivoluzione del popolo sudanese che pretende e invoca un nuovo Sudan.
Questo post fa parte di una serie di #reportage che AfricaLand Storie e Culture dedica alla grande dedizione dei sudanesi che, non si rassegnano a vivere in un paese dilaniato dalla violenza e corruzione alleati perfetti di ogni regime dittatoriale.
(Bob Fabiani)


Una nuova strategia di protesta*


"Costruite le barricate, e poi scappate. I leader delle proteste sudanesi hanno lanciato questo messaggio ai manifestanti prima di dare il via, il 9 giugno, a una campagna di disobbedienza civile in tutto il paese (lo sciopero generale è durato 3 giorni ed è stato sospeso il 12 giugno quando, sono ripresi i negoziati tra l'opposizione e il consiglio militare di transizione sul passaggio di poteri a un governo civile).

Le barricate, fatte di mattoni e pezzi di metallo rimediati per strada, sono diventati il simbolo del movimento di protesta  in Sudan. Inizialmente servivano a proteggere il sit-in che era nato davanti al quartier generale dell'esercito a Khartoum. Ma da quando, il 3 giugno, i paramilitari sudanesi hanno sgomberato il raduno con la violenza, l'opposizione ha cambiato tattica.

"Le barricate sono la vostra protezione", ripete l'Associazione dei professionisti sudanesi, il gruppo che dal dicembre del 2018 guida le proteste e che chiede ai manifestanti di costruire sbarramenti in tutte le strade della capitale. Tuttavia, invece di presidiarli come succedeva durante il sit-in, i simpatizzanti dell'opposizione devono scappare. "Evitate gli scontri con i janjaweed", raccomanda l'associazione, riferendosi alle Forze di supporto rapido (Fsr).






Questo gruppo paramilitare è considerato il responsabile del massacro del 3 giugno, in cui sono morte almeno 500 persone, ed è formato dagli stessi miliziani janjaweed accusati di aver commesso crimini di guerra in Darfur nel 2003.

Mentre i manifestanti allontanati dal sit-in avrebbero voluto erigere nuove barricate e affrontare a viso aperto i soldati, i leader della protesta invitano alla prudenza. Ora, sostengono, bisogna concentrarsi sulla disobbedienza civile.

Il 9 giugno le strade di Khartoum e di altre città sudanesi si sono svuotate e i negozi hanno abbassato le saracinesche. Le banche sono rimaste chiuse, i voli all'aeroporto della capitale sono stati cancellati e le operazioni marittime a Port Sudan sono state bloccate, nonostanti si parli di vari tentativi della giunta militare di costringere le persone ad andare al lavoro. Secondo l'Associazione dei professionisti sudanesi, impiegati del settore dell'aviazione, dell'azienda elettrica e delle banche sarebbero stati presi in custodia e costretti a lavorare.

Internet bloccato

Dal 3 giugno (e per molti giorni) l'accesso a internet è stato praticamente bloccato, e i miliziani delle Fsr hanno continuato a pattugliare le strade e ad aggredire i passanti senza motivi particolari.
Negli ultimi giorni testimoni oculari hanno riferito di un numero crescente di bande non meglio identificate in giro per le strade. Il ministro della salute Suleman Adula Gadar ha dichiarato che due fine settimana fa 11 persone sono rimaste uccise a causa dell'aumento di "fuorilegge" che approfittano del caos.
Per gli abitanti di Khartoum uscire per strada è diventato pericoloso e quindi preferiscono restare chiusi in casa.

C'è chi parla di "arresti domiciliari di massa".

"La gente ha fatto provviste per prepararsi alla campagna di disobbedienza civile", dichiara un manifestante che ha chiesto di restare anonimo. Questa strategia è al centro di discussioni accese tra i manifestanti, che cercano di passarsi le informazioni attraverso gli sms o dei biglieei scritti a mano per aggirare le restrizioni a internet.




I video che sono trapelati dal Sudan, condivisi dai pochi che sono riusciti ad aggirare il blocco di internet, mostravano una specie di gioco del gatto con il topo tra i manifestanti che costruivano barricate e i miliziani delle Fsr, che cercavano di abbatterle per poter percorrere le strade a bordo dei loro famigerati pick-up equipaggiati con armi automatiche. L'Associazione dei professionisti sudanesi ha avvisato i suoi sostenitori di non cadere nei tranelli dei militari, che lascerebbero delle armi per strada per spingere i manifestanti a scegliere la violenza.
Molti abitanti di Khartoum sembrano tornare in piazza. A Omdurman, la città gemella della capitale, ci sono statigrandi raduni di manifestanti il 7 e l'8 giugno 2019. Lo stesso è successonel quartiere di Bahri.

Il 9 giugno 2019 un attivista, Waleed Abdelrahman, è morto per una ferita d'arma da fuoco al petto. "Il consiglio militare di transizione continua a uccidere cittadini disarmati e a minacciare la loro sicurezza", ha dichiarato il Comitato centrale dei medici sudanesi".

*Kaamil Ahmed
**Questo intervento è aapparso sulle colonne del Middle East Eye
(Fonte.:middleeasteye;sudantribune;afp)
Bob Fabiani
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-https://www.middleeasteye.net;
-www.sudantribune.com;
-www.afp.fr 

  

domenica 23 giugno 2019

Tentato colpo di stato in #Etiophia, nello Stato di #Amhara










Nella serata di sabato 22 giugno 2019, l'Etiopia, è stata scossa da un tentato colpo di stato : nell'azione, è rimasto ucciso ol capo di stato maggiore dell'esercito etiope e il presidente dello Stato di Amhara.

Mano a mano che la notizia diventava pubblica, sono stati rivelati alcuni dettagli di questo tentativo di Golpe. E' stato possibile ricostruire se non tutta la dinamica almeno una parte di essa.

Il capo dello staff dell'esercito etiope, è stato freddato da alcuni colpi di arma da fuoco : lo rende noto il portavoce del Primo Ministro etiope, Abiy Ahmed.

A stretto giro di posta, nella mattinata di questa domenica difficile e nervosa per tutto il grande paese africano, sono stati fugati gli ultimi dubbi su quanto avvenuto nella serata di sabato nello Stato regionale di Amhara.

Ci sono conferme sulla morte del Presidente della Regione di Amhara, Ambachew Mekonnen (PhD) e, il suo consulente Ezez Wasie. Si apprende che sono stati uccisi mentre si trovavano in ufficio.






Caos ad Addis Ababa

La situazione è caotica e confusa ad #AddisAbaba tanto da indurre il Primo Ministro etiope, Abiy Ahmed a presentarsi alla TV di Stato indossando una uniforme militare, parlando da una località sconosciuta.





Nel discorso televisivo, il capo del governo etiope è apparso preoccupato, a tratti, addirittura spaventato; sia come sia, ha subito ripreso in mano la situazione chiamando a raccolta l'esercito per difendere lo status quo in Etiopia.


Attacco alle riforme del suo programma di governo oppure ritorsione per la mediazione di #Khartoum?

Che cosa significa questo tentativo di Golpe tentato ieri ad Amhara?

La situazione in Etiopia non è semplice : non a tutti piacciono le riforme intraprese da Ahmed che, è sempre più riconosciuto come uno dei capi di governo  o di Stato più importanti (e influenti) al giorno d'oggi, in giro per l'Africa.

Sicuramente, questo attacco è un tentativo di indebolirlo sul piano interno. Ci torneremo nei prossimi giorni su questo tema con un #focus dedicato all'azione di governo di Abiy Ahmed e, alla sua voglia (ma sarebbe più corretto dire, sogno) di cambiamento radicale che, consenta all'Etiopia di diventare una paese leader per l'ntero continente.

Tuttavia, seppure è stato respinto questo tentato Golpe è una spia precisa di quel che potrebbe riservare il futuro prossimo all'Etiophia. Non vi è dubbio che si è trattato di un attacco frontale contro Ahmed, dal momento che sono stati uccisi alcuni generali fedeli al Primo Ministro etiope.

Un'altra possibile chiave di lettura porta dritto in Sudan.

Il premier di Addis Ababa, il 7 giugno 2019, in rappresentanza del gruppo regionale Autorità intergovernativa per lo sviluppo, è arrivato a #Khartoum per incontrare i protagonisti della transizione e far proseguire il dialogo tra il consiglio militare e le Forze della libertà e del cambiamento, che rappresentano i manifestanti.
L'azione diplomatica si era resa necessaria dopo che, il passaggio di poteri a un governo civile si erano interrotti dopo il "Massacro di Khartoum", consumatosi al sit-in del popolo sudanese di fronte il quartier generale dell'esercito del Sudan.
Si è trattato di una vera e propria mattanza dal momento che sono morte 500 persone. Nello stesso giorno in cui il premier etiope si trovava a #Khartoum, il Comitato centrale dei medici sudanesi, hanno reso pubblico che durante il massacro delle milizie paramilitari, 70 donne sono state stuprate da agenti delle forze armate.

Al momento non ci sono conferme che possano avvalorare la tesi secondo la quale, il tentativo di colpo di stato di ieri, 22 giugno 2019 possa essere legato all'azione diplomatica in Sudan per altro andata a buon segno dato che, le trattative tra le parti sono ripartite. Tuttavia è una coincidenza alquanto sospetta, seppure inverosimile tanto chele autorità di Addis Ababa farebbero bene a indagare sulla pista interna.

Subito dopo il tentativo di colpo di stato, in tutta l'Etiophia, internet è stato messo fuori uso.


L'ambasciata USA emette avviso di sicurezza






E' un vero e proprio messaggio di allerta firmato dall'Ambasciata #USA di stanza in #Etiophia e più precisamente ad Addis Ababa : si avvertono tutti i cittadini americani sul suolo etiope di "prestare la massima attenzione dopo il tentativo di colpo di stato di Amhara".



Conclusioni

Nei mesi scorsi molti analisti esperti di Etiopia avevano lanciato l'allarme : qualora Ahmed avesse portato in porto le sue rivoluzionarie idee in tema di politica sociale ed economica e, ancor di più dal punto di vista più strettamente politico, l'Etiopia sarebbe finita dritta nella spirale della "guerra cvile".
Siamo arrivati già a questo punto? A questa domanda dedicheremo uno speciale nei prossimi giorni.
(Fonte.:jeuneafrique)
Bob Fabiani
Link
-www.jeuneafrique.com 

   

sabato 22 giugno 2019

Cronache dal massacro muto del Sudan





AfricaLand Storie e Culture africane pubblica una serie di focus sulla rivolta sudanese. In questo modo vogliamo offrire la solidarietà e la vicinanza alla lotta del popolo sudanese sempre più deeciso ad andare fino in fondo nel tentativo di veder realizzato il sogno : creare un "nuovo Sudan".

Ma chi ha paura della rivolta in corso a Khartoum?

"Le insostenibili scene di violenza a Khartoum che hanno fatto il giro dei social network di tutto il mondo arabo mettono in evidenza le differenze culturali tra i due gruppi che si scontrano da quando è caduto il regime del presidente Omar al Basshir : i civili e i militari", scrive il quotidiano Al Araby al Jadid.

"Uno dei video che circolavano di piùmostra un anziano vestito con una djellaha bianca. E' un'immagine di pace e serenità. Poi arrivano degli uomini in tenuta militare che lo prendono a botte e a calci su tutto il corpo. Lui cerca di difendersi".


Le testimonianze raccolte dal quotidiano Al Araby al Jadid, al pari di quelle dei report di Al Jazeera sono importanti per due ragioni : se non ci fossero stati queste testate giornalistiche, l'eco e le "Cronache dal massacro muto" del #Sudan satrbbero ancor di più relegate nel cosiddetto angolo delle "notizie irrilevanti".  Per l'occidente e, ancor di più l'Italia.

Quest' estrema violenza, sostiene il giornale, non è altro che il segno della grande paura che i militari hanno dei cittadini. L'opposizione, rappresentata dalle Forze della libertà e del cambiamento, si è detta pronta l'11 giugno a tornare al tavolo dei negoziati con le autorità di transizione per discutere della formazione di un "consiglio sovrano" che guidi il paese in vista di nuove elezioni..
(Fonte.:alaraby)
Bob Fabiani
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-https://alaraby.co.uk/english    

venerdì 21 giugno 2019

Quei #Migranti intrappolati ad #Agadez (la città stravolta per i diktat dell'Unione Europea)* Pt.2







AfricaLand Storie e Culture africane continua la pubblicazione del #Reportage da #Agadez, la città alle porte del Sahara.

In occasione del #WorldRefugeesDay2019, l'UNHCR, ha reso noto in un repporto del 2018  che sono oltre 70milioni le persone, i #Migranti e i rifugiati, a fuggire da guerre e persecuzioni.

La metà sono minorenni.
(Bob Fabiani)


Migranti intrappolati nella rete di Agadez*


"I sostenitori della legge insistono nel precisare che la legge colpisce i passeur e non i clienti. Ma per questi ultimi, che spesso hanno lasciato tutto nella speranza di raggiungere di raggiungere la Libia, l'Algeria, l'Europa, le conseguenze equivalgono a una punizione. Chiunque non possa dimostrare la propria nazionalità nigerina e viaggi verso Nord da Agadez a Dirkou, ossia a centinaia di chilometri dalla frontiera con l'Algeria e la Libia, è considerato come un aspirante all'immigrazione clandestina. Ormai, un semplice sospetto basta a rispedire il malcapitato verso il Sud del paese, in alcuni casi dopo una breve visita alle prigioni.
"In realtà, l'applicazione della legge ha comportato un implicito divieto a spostarsi a Nord di Agadez (...). Inoltre, la mancanza di chiarezza nel testo e la sua applicazione repressiva  - invece di assicurare la protezione  delle persone -  hanno determinato la criminalizzazione di tutte le migrazioni e spinto i migranti a nascondersi, esponendoli maggiormente agli abusi e alle violazioni dei diritti umani", osservava a ottobre 2018 il relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani dei migranti, Felipe Gonzalez Morales, al termine di una missione in Niger (3).

Per l'Europa, questa politica è un successo. Ma a che prezzo? Secondo Eucap Shael Niger, in tre anni, gli arrivi in Italia sono crollati dell'85%. Il numero di migranti transitati per Agadez sarebbe passato da 350 al giorno nel 2016 a meno di 100 nel 2018. Al posto di blocco di Séguédine, una località situata nel deserto tra Dirkou e la frontiera libica, il numero di persone registrate è passato dalle 290.000 del 2016 alle 33.000 del 2017. Eppure, come spesso capita di fronte a un divieto, l'attività non è cessata. Gli attori si sono semplicemente attrezzati per sparire dai radar, rendendo difficile una stima dei flussi. Secondo un ricercatore che vive in Niger e segue da vicino l'evoluzione  delle rotte (che ha chiesto di restare anonimo), "sono stati colpiti sopratutto i 'piccoli' trasportatori; i 'grandi', forti dei contatti politici e dei mezzi per corrompere  le forze di sicurezza, vanno avanti". In questo paese, in cui dilaga la corruzione, poche decine di migliaia di franchi Cfa a passeggero bastano per comprarsi il silenzio delle pattuglie.



Passeggeri abbandonati nel deserto





  


Il visibile è diventato invisibile e quindi incontrollabile: i percorsi, modificati per sfuggire ai controlli, sono più pericolosi; i "ghetti" di Agadez, grandi case dove i migranti ricevono vitto e alloggio, sono diventati illegali e assumono, a volte, l'aspetto di prigioni da cui gli occupanti non possono uscire senza correre il rischio di essere scoperti; i prezzi sono triplicati; i trasportatori, sorpresi dall'avvicinarsi della polizia, abbandonano i passeggeri, anche minorei, in mezzo al deserto (4). Per gli abitanti della regione, la vita quotidiana è peggiorata. Secondo diversi studi, oltre la metà delle famiglie di Agadez viveva grazie alle attività generate dalle migrazioni, da cui derivavano direttamente 6mila posti di lavoro: passeur, coxer (intermediari), proprietari di "ghetti", autisti... Migliaia di altre persone ne traevano vantaggi indirettamente: cuoche, commercianti, autisti di taxi, e le loro famiglie.

Mohamed Abdul Kader era uno di loro. Nel quartiere posto a due passi dal centro storico, lo chiamano "Boss". Nato ad Agadez 48 anni fa, ha vissuto per un po' in Libia. Ha iniziato a ospitare i migranti alla fine degli anni 1990. Il business era ancora agli albori. Le rotte verso l'Europa, che passavano per la Mauritania e il Marocco attraverso il Mali erano state chiuse a causa della ribellione tuareg (5). Non rimaneva che quella del Niger: Agadez, crocevia di diverse rotte commerciali, è sempre stata un luogo di transito per il sale, gli schiavi, il bestiame...
"Nel 2002, ho aperto un'agenzia di viaggi, racconta Boss. Avevamo una sede alla stazione. All'epoca, i migranti arrivavano sugli autobus eproseguivano per Dirkou sui camion. Da lì, prendevano un 4x4 per la Libia".








Con il passare degli anni, i clienti erano sempre più numerosi.
Boss ha esteso la propria rete: i  suoi contatti lo chiamavano dalla Nigeria, dal Ghana, dal Gambia, dal Senegal e dal Burkino Faso. Dopo aver  accolto i viaggiatori, si occupava di tutto, fino alla partenza: documenti, vitto e alloggio. "Era un'attività di trasportatore abbastanza banale. Bisognava costruire  un rapporto di fiducia tra i clienti, il loro 'tutor' nel paese, con cui avevamo stabilito un contatto, e noi. Bisognava fare le cose per bene, assicurarsi che i clienti arrivassero a destinazione e in buona salute, se volevamo averne di nuovi", spiega, consapevole che l'immagine del passeur oggi è molto diversa...

Quando i candidati all'esilio arrivavano alle porte della città, pagavano una tassa informale ai poliziotti. Dopo aver raggiunto la stazione venivano presi in carico dalle agenzie. Da lì, venivano condotti nel loro "ghetto" (6).
Alla partenza, pagavano nuovamente una tassa per uscire dalla città, che andava nelle casse del comune.
Questa imposta di 1.100 franchi Cfa (1,67 euro) a persona, rappresentava un piccolo gruzzolo.
Le entrate per l'amministrazione comunale potevano oscillare dai 3 ai 7 milioni di franchi Cfa (4.500 - 10.600 euro) alla settimana, con i quali si finanziavano molti progetti.

Le regole erano le stesse ovunque e i prezzi anche: per raggiungere la Libia, servivano 150.000 franchi Cfa (230 euro). Se per un africano è caro, per un nigerino è una fortuna!
"Ho guadagnato molti soldi, riconosce Boss. Nei tempi d'oro, lavoravano pre me quindici persone. Ogni settimana mandavo tra i 400 e i 450 migranti in Libia. Si guadagnavano 5 milioni di franchi Cfa (7.630) alla settimana". 
Tutti i lunedì, giorno di carico, le banche e le agenzie di money transfer erano piene. Il mercato  era in festa".

- Fine Seconda Parte -
*Rémi Carayol
(Fonte.:mondediplomatique)
Bob Fabiani
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-www.monde-diplomatique.fr

giovedì 20 giugno 2019

Quei #Migranti intrappolati ad #Agadez (la città stravolta per i diktat dell'Unione Europea)*





AfricaLand Storie e Culture africane, ospita, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato un lungo #Reportage per fare il punto della situazione di quanto sta avvenendo nella città #nigerina di #Agadez che si trova alle porte del #Sahara e, trasformatesi in un posto di blocco per i movimenti della popolazione che si spinge verso il #NordAfrica e il Mediterraneo.

Il reportage sarà diviso  - data la lunghezza - in quattro parti -, oggi partiamo da alcune considerazione raccolte dal giornalista, Rémi Carayol, inviato speciale de Le Monde diplomatique in #Niger.
(Bob Fabiani)


Migranti intrappolati nella rete di Agadez

"E' mercoledì mattina e un dolce torpore avvolge la stazione degli autobus di Agadez. La stagione calda è alle porte. Fin dall'alba, sulla città è sceso un velo di polvere. Ma il meteo non giustifica l'esiguo numero dei viaggiatori.

"Da molto tempo non ce n'è più", afferma rattristato un bigliettaio. "Le persone che vanno verso nord si nascondono", prosegue, disteso su una stuoia accanto a un collega addormentato.

Agadez è la principale città del Nord del #Niger e le agenzie turistiche l'hanno soprannominata "la porta del deserto", ma questa denominazione non le si addice più. Eppure, un tempo, la stazione centrale da cui partivano i convogli per raggiungere Dirkou e la Libia, era il cuore pulsante della città. Ogni lunedì, decine di veicoli, a volte quasi duecento, si avviavano verso il deserto, trasportando bestiame e passeggeri. La maggioranza di questi ultimi, provenienti dall'Africa occidentale e, più raramente, dal centro o dall'est del continente, cercava di giungere in Libia e, inshallah, in Europa.
Scortati dall'esercito fino alla frontiera libica, i convogli erano sinonimi di grande speranze per coloro che vi sgattaiolavano dentro e di una boccata d'ossigeno per gli abitanti di Agadez.
"Tutta la città viveva di questo", sospira, con sguardo sognante Mahaman Sanoussi, un militante del mondo associativo molto conosciuto. "La migrazione era legale. Gli autisti gestivano un'attività rispettabile e pagavano le tasse come tutti gli imprenditori. La legge 2015-36 ha cambiato tutto".


Primo destinatario dell'"aiuto" di Bruxelles

La legge del 26 maggio 2015 sul traffico illegale di migranti, percipita nel Nord del Niger come un flagello, ha reso illegale dall'oggi all'indomani quel che prima era un'attività commerciale come un'altra, e gettato in prigione decine di giovani del paese. Il 2015 è l'anno in cui l'Unione europea ha costruito un muro invisibile per bloccare i migranti provenienti da Sud; l'anno dell'agenda europea sulla migrazione  e del summit a La Valletta. In quell'occasione, i Ventotto, riuniti nella capitale maltese, progettavano l'esternalizzazione della lotta contro l'immigrazione, con la complicità di alcuni Stati africani. Bruxelles sa come convincere i propri "partner": a questi squattrinati governi vengono promesse cifre colossali (oltre 2 miliardi di euro) per "accompagnarli" nel contenimento di chi vuole compiere il grande viaggio. Il Fondo fiduciario di emergenza per l'Africa (Eutf) "a favore della stabilità e della lotta contro le cause profonde della migrazione irregolare e del fenomeno degli sfollati in Africa" finanzia molti progetti nell'ambito di quel che la Commissione europea definisce "cooperazione su misura" (1) con la Nigeria, il Senegal, l'Etiopia, il Mali e il Niger.




Il Niger, che confina con Algeria e Libia, ha un ruolo centrale nella strategia europea. Dopo la liquidazione del regime di Mu'ammar Gheddafi ad opera della coalizione franco-britannica, nel 2011, Agadez è diventato il principale luogo di transito verso il Vecchio continente. Nel 2016, vi sarebbero passati quasi 400.000 migranti, in viaggio per il Maghreb (2), prima di proseguire, nella maggior parte dei casi, attraverso il Mediterraneo. Nel 2015, Beuxelles, l'ha dunque individuata come uno dei principali bersagli della propria politica di stretta sulla migrazione.
Il Niger, paese più povero del mondo, stando al Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, deve far fronte a gravi minacce alle proprie frontiere: Boko Haram a Sud-est, i gruppi armati del Mali nel Nord-ovest, le milizie tebu nel Nord... Lo Stato guidato da Mahamadou Issoufou, alleato della Francia, ha bisogno di soldi e di sostegno militare. l'Eutf, in tre anni, ha stanziato per questo paese più che per ogni altro: 266,2 milioni di euro. La teoria ufficiale di prestare sostegno allo sviluppo o ancora di lottare contro la tratta degli esseri dissimula un obiettivo ben più prosaico: bloccare, anche con la forza, i flussi migratori verso l'Europa.





Una parte dei fondi è destinata alla ricostruzione dello Stato e al controllo delle frontiere: potenziamento delle forze di sicurezza nigerine attraverso la creazione di un'unità scelta di lotta contro le migrazioni e di una squadra investigativa comune (Sic) per localizzare le "reti criminali legate all'immigrazione clandestina".
La missione civile di sviluppo della capacità dell'Unione Europea (eucap Sahel Niger), lanciata nel 2012, può contare anche su una sede ad Agadez. La sua unità migrazione organizza dal 2015 delle formazioni per le forze di sicurezza e distribuisce materiale. Ufficialmente, i poliziotti provenienti dai quattro angoli dell'Europa, non intervengono sul campo ma raccolgono informazioni e trasmettono un kow-how tecnico.

L'elaborazione dell'Agenda europea sulla migrazione e l'adozione della legge 2015-36 sono state quasi simultanee. All'interno del governo nigerino non si levano voci contrarie: questa legge è stata ispirata, se non imposta, dall'Europa  - tanto da essere stata parzialmente redatta da funzionari francesi.

"E' vero, ci sono state pressioni", ammette il generale Mahamadou Abou Tarka, presidente dell'Alta autorotà per il consolidamento della pace (Hacp), ente connesso alla presidenza e incaricato di seguire l'applicazione della legge. "Ce ne stiamo occupando da un po'. A partire dal 2012, l'esplosione dei flussi migratori era diventata per noi una delle maggiori preoccupazioni. All'inizio l'abbiamo tollerata, sopratutto perché era un modo per i nostri connazionali di guadagnarsi da vivere. Ma ne sono derivati molti traffici illeciti. Quando l'Europa ci ha detto : vi diamo i soldi, abbiamo colto l'occasione al volo".
Un proverbio locale dice : "quando sei in fondo a un pozzo, prendi tutto quel che viene dall'alto, foss'amche un serpente".


Da quel momento in poi, chiunque permetta a un migrante di entrare illegalmente nel territorio, o di uscirne, ricevendone in cambio un vantaggio economico o materiale, rischia da cinque a dieci anni di carcere e una sanzione che può arrivare a 5 milioni di franchi Cfa (7.630 euro). Chi gli presti aiuto durante il soggiorno - ospitandolo, nutrendolo o fornendogli vestiti - incorre in una pena da due a cinque anni di prigione.  Dal 2016, sono state arrestate quasi trecento persone, tra autisti e passeur, e sono stati sequestrati più di trecento automezzi.

- Fine Prima Parte -
*Rémi Carayol

(Fonte.:mondediplomatique)
Bob Fabiani
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mercoledì 19 giugno 2019

Migranti, la 'riscoperta della tratta atlantica'







Il, 20 giugno 2019 è la Giornata mondiale del Rifugiato e l'#UNHCR fa sapere che sono 70milioni le persone nel mondo costrette a lasciare la propria Terra.

Nel 2018, oltre 70milioni di persone sono fuggite da guerre e persecuzioni. Lo scrive, in un rapporto l'#UNHCR :mai così tanti.

La metà sono minorenni.





I migranti africani "riscoprono" la "tratta atlantica"


400 Anni dopo nessuno poteva prevedere che si potessero registrare migrazioni di uomini, donne e bambini che, dall'Africa si dirigono verso il Nord America, passando dal confine con il Messico.

Un viaggio lungo migliaia di chilometri spingono i migranti africani verso quella che un tempo era conosciuta come "tratta atlantica", le tristi "navi negrriere" che trasportavano una gran quantità di schiavi dall'Africa.

Oggi, si scappa dalle difficoltà economiche, dagli abusi dei diritti umani in gran parte dei paesi africani.

E' questa dunque la nuova frontiera battuta dai migranti africani che si consuma in due tempi : il primo, si svolge in un volo intercontinentale che, dall'Africa porta in Sud America, sorvolando l'Atlantico. Il secondo tempo è molto più straziante e drammatico : un viaggio via terra.



Arrivano dalla Repubblica Democratica del Congo, Angola, dal Camerun ma anche dall'Etiopia, Eritrea, Mauritania e dal Sudan.

Tutti sognano l'approdo in Nord America passando dal Messico : non si tratta di un fenomeno passeggero ma di un vero e proprio 'cambio di rotta' e una alternativa alle classiche rotte europee.

I camerunensi volano verso l'Ecuador, dato che in questo paese non è richiesto il visto d'entrata : da qui iniziano un cammino lungo 4 mesi, il tempo necessario per raggiungere #Tijuana.
Passano da Panama, attraversano la fitta foresta. Vengono derubati e poi tenuti nei campi di detenzione per migranti da parte del governo panamense.

La migrazione dei camerunensi si spiega con la crisi del cosiddetto "Camerun Anglofono", ossia, quella parte del Camerun dove si vorrebbe la fine del monopolio della lingua francese in favore di quella inglese.
Questi migranti arrivano dal Sud del Camerun e portano con loro un bagaglio di storie terrificanti : storie di stupro, torture e omicidi (subiti magari da parte dei loro familiari e amici).

Molti migranti africani arrivano fino a Portland, nel Maine, molto lontano dal confine con il Messico : si dirigono qui perché i migranti sanno che si tratta di una città accogliente (di circa 67mila abitanti) e, in ultima analisi, sempre qui, nel 1990, rifugiati provenienti dalla Somalia, sono riusciti a reinsidiarsi a Portland.
(Fonte.:dailyviewsonline)
Bob Fabiani
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-www.dailyviewsonline.com       

martedì 18 giugno 2019

Mohamed Morsi, storia di un presidente liberamente eletto










Chi era Mohamed Morsi?

AfricaLand Storia e Culture africane ricostruisce la biografia dell'ex presidente egiziano morto, a seguito di un collasso mentre, si trovava a presenziare a uno dei tanti processi messi in piedi dal regime dei militari egiziani che lo destituirono con un cruento Golpe : era il 3 luglio 2013.



Breve biografia di Mohamed Morsi, il presidente democraticamente eletto nell'Egitto post - Rivolte arabe del 2011

Mohamed Morsi ( nato a El Adwah, 8 agosto 1951 - Il Cairo, 17 giugno 2019) è stato uno statista egiziano. La carriera politica è stata svolta interamente dalle file del Partito Libertà e Giustizia.
Decise di unirsi alla fratellanza dei Fratelli Musulmani durante i suoi studi all'Università de Il Cairo dove si laureò in Ingegneria civile.

Il trionfo alle Presidenziali 2012

Alle elezioni presidenziali 2012, svoltesi in Egitto, il 24 giugno, Morsi è uno dei candidati alla poltrona presidenziale e, uomo di punta dei Fratelli Musulmani. 
La candidatura è un trionfo : sconfigge Ahmed Chafik con il 51,73% dei voti.

La presidenza Morsi dura meno di un anno

La guida dell'Egitto per il presidente musulmano si rivela complessa e deludente. La società civile egiziana è scontenta anche se Morsi, si rivelerà un presidente onesto anche se impossibilitato a portare avanti l'opera di ricostruzione dopo la dittatura di Hosni Mubarack durata per tre lunghi decenni.
E' destituito a causa di un colpo di stato organizzato dall'esercito e dai generali egiziani smaniosi di tornare al potere (con il sostegno decisivo della comunità internazionale n.d.t) spaventata dalle aspettative delle "Rivolte arabe" del 2011 e, della stupenda #PiazzaTahrir.

Era il 3 luglio 2013.



L'ex leader dei Fratelli Musulmani venne eletto dopo le "Rivolte arabe" - ribattezzate dai media occidentali come #PrimaveraAraba - divampate in Africa e in Medio oriente sempre in quello stesso anno e represse duramente sia in Egitto, con l'avvio della dittatura di Al - Sisi sia dalle monarchie del Golfo.

Sootto la spinta rivoluzionaria di #PiazzaTahrir, il popolo egiziano riuscì a far cadere il regime di Mubarack ma, dopo appena due anni si ritrovò nuovamente in balia del regime dell'esercito egiziano.

La morte di Morsi

Il Cairo, ore 16,30 (ora locale) di un lunedì 17 giugno 2019 : l'ex presidente Mohamed Morsi presenzia al processo che lo vede imputato per volere del despota Al - Sisi che, eliminandolo dal potere riesce a mettere al bando (e fuorilegge) i Fratelli Musulmani.
Il malore è improvviso.
Morsi è colpito da un collasso e muore nel tribunale de Il Cairo.

La sepoltura

Le spoglie senza vita di Mohamed Morsi, sono state sepolte questa mattina all'alba, martedì 18 luglio 2019 a Medinat Nasr, un quartiere de Il Cairo, zona orientale.

Il governo e il regime di Al - Sisi non hanno concesso lo svolgimento del funerale pubblico e, si sono affrettati, non appena la notizia della morte di Morsi è diventata di dominio pubblico; a istituire lo Stato d'Emergenza.
(Fonte.:jeuneafrique;afp)
Bob Fabiani
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La morte dell'ex presidente egiziano #Morsi - FOTO DEL GIORNO







Il Cairo, 17 luglio 2019, l'#Egitto, è stato scosso dalla notizia della morte dell'unico presidente egiziano eletto democraticamente da decenni.

Erano le 16:30, ora locale.

Il presidente #Morsi si trovava in aula per uno dei dibattiti processuali che lo vedeva unico imputato quando, è letteralmente collassato.

Non appena la notizia ha fatto il giro del mondo ed è diventato di dominio pubblico al Cairo e nel resto del paese africano, le autorità egiziane del regime guidato da #AlSisi, ha istituito lo Stato d'emergenza (a oltranza).

Nella giornata odierna, si apprende che i militari non hanno permesso che si svolgessero funerali pubblici per l'ex presidente, esponente di spicco dei #FratelliMusulmani. La notizia è stata confermata dalla famiglia dell'ex presidente e, a proposito di questo, le autorità, hanno dato disposizione di seppellire nelle prime ore di questo 18 luglio, le spoglie dell'ex presidente.

AfricaLand Storie e Culture africane oggi pubblicherà una #BlogStory in onore di #Morsi.
(Fonte.:afp;africaland)
Bob Fabiani
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domenica 16 giugno 2019

FOTO DEL GIORNO - #MemphisRiot (è successo ancora)






Il collage di foto che compongono la FOTO DEL GIORNO di oggi, scelta da AfricaLand Storie e Culture africane è, in realtà, una testimonianza della rabbia popolare e della comunità afroamericana scoppiata a Memphis, non appena si è saputa la notizia della nuova tragedia che ha colpito gli afroamericani.

Come abbiamo pubblicato ieri questa è una storia senza fine; una storia che si ripete senza che qualcuno sia in grado di porvi rimedio. Non si può certo sperare nell'attuale amministrazione Trump, una delle più esposte, in senso negativo, apertamente razzista che gli Stati Uniti abbiano mai ospitato nel luogo più alto che esista : la Casa Bianca.

E' successo di nuovo - abbiamo aggiunto nel sottotitolo - : un giovane aframericano, Brandon Webber che si trova in strada (in realtà era davanti al giardino della sua abitazione a Memphis - sostiene la famiglia ... intervenuta, a ridosso della notte di guerriglia per fermare l'onda delle dichiarazioni degli agenti USA che tentavano di scaricare tutta la colpa di quel che accaduto sul compartamento irascibile di Brandon Webber n.d.t) è avvistato dagli agenti che, sono strutturalmente razzisti, bianchi e indossando la divisa, si sentono in dovere di comportarsi come "giustizieri della notte".

Pochi minuti. Il tempo di scaricare il caricatore e, Brandon Webber giace, morto, crivellato di colpi (alla fine saranno 20!) come se si fosse trattato di una esecuzione sommaria. Un agguato. Un conflitto a fuoco come ce ne sono molti, nei vari fronti che i soldati americani sostengono in giro per il mondo, nei vari teatri di guerra.

La comunità afroamericana è immediatamente insorta (come potete vedere nella foto che pubblichiamo) perché solo il giorno prima di questa ennesima tragedia, nella stessa Memphis, il procuratore locale aveva annunciato di non voler presentare nessuna accusa contro un agente di polizia che, nell'aprile 2017, uccise un uomo, naturalmente afroamericano, Terrance Deshun Carlton, era sostettato di aver commesso una rapina.
(Fonte.:africaland)
Bob Fabiani
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sabato 15 giugno 2019

#MemphisRiot : Dopo l'uccisione di #BrandonWebber da parte degli agenti, esplode la rivolta popolare





La scena si ripete, uguale a se stessa. Senza che possa mai variare e finisce per raccontare sempre la stessa storia : c'è un giovane afroamericano per strada e gli agenti che se lo ritrovano davanti, in uno scatto d'ira razzista, in pochi istanti, forse una manciata di minuti, quanto basta per azionare l'arma in dotazione, scaricano pallotte assassine e lo giustiziano.

Senza appello.

Naturalmente, nell'#AmeriKKKa giudata dal suprematista bianco, Trump, questo copione non poteva cambiare : a quasi tre anni dall'elezione del presidente xenofobo che, all'indomani del suo arrivo alla Casa Bianca, ribadendo quello che aveva urlato durante la campagna elettorale per le #Presidenziali2016; si affrettò a recapitare un messaggio diretto agli agenti : "La mia amministrazione starà sempre dalla parte degli agenti, per cui i neri, i contestatori e i perdigiorno sono avvisati, noi, renderemo la vita un inferno a chi scenderà in strada perorando la causa degli afroamericani"; continua ad accadere senza che vi sia mai giustizia per nessuno. Per chi resta, per la famiglie della comunità afroamericana che continuano a piangere i loro figli.

Da quella dichiarazione di #TheDonald le tragedie che colpiscono regolarmente la comunità afroamericana sono continuate fino a quella che ha investito, spezzato, interrotto la giovane vita di #BrandonWebber, 21 anni e padre di due bimbi.

Morire in #AmeriKKKa se sei nero è la normalità : è normale essere abbattuto dagli agenti che, del resto sono addestrati per questo; per alimentare l'annosa, mai risolta "questione razziale" che attraversa gli Stati Uniti, da Nord a Sud.

E' la mia citata "guerra civile americana a bassa densità" che si consuma all'interno degli Stati Uniti e, che mai potrà cessare se, gli agenti che si macchiano di questi crimini non vengono assicurata alla Giustizia (sempre controllata dai bianchi ...).





Brandon Webber viveva a Memphis e, come altre volte in passato, a causa della brutalità della polzia americana la notizia della sua cruenta uccisione ha fatto il giro della città, una di quelle che si trovano nel profondo Sud (razzista) americano. Città di 650mila abitanti, attraversta e investita dalla drammatica povertà  - nonostante i proclami di #TheDonald nulla è cambiato - che alla circolazione del tamtam dell'abbattimento del giovane Brandon Webber, si è riversata rabbiosamente in strada per urlare tutta la rabbia per un'altro giovane afroamericano letteralmente crivellato di colpi dalla mano assassina degli agenti.

Le proteste sono divampate spontanee quando la comunità afroamericana percepisce che non è più tempo di restare silenti.

Si è saputo, dopo la descrizione della famiglia di Brandon Webber che il giovane si trovava davanti al giardino di casa mentre veniva raggiunto, abbattuto da 20 copli spparati dal funzionario della  Marshall Service, agenzia federale addetta alle mansioni di polizia penitenziaria. Il problema è che questa stessa agenzia gode di una fama inqiuetante dato che è decritta come "agenzia dai modi spicci e con odore di Far West".






Le proteste sono divampate nel quartiere operaio di Frayser, violente e, a tutti, hanno ricordato altre esplosioni di guerriglia urbana a seguito di altre imprese assassine degli agenti americani come a Los Angels 1994, oppure, nel 2014, a Ferguson quando, la comunità afroamericana si riversò per le strade chiedendo giustizia per Trevor Martin (e per tutti gli altri). Fu proprio durante quei giorni amari che nacque il #BlackLivesMatter che, appunto, da quando è arrivato alla Casa Bianca, il presidente più razzista che si sia mai visto in #USA almeno negli ultimi decenni (e per trovarne uno simile si deve tornare a Nixon n.d.t), ha dovuto subire attacchi sempre più duri e diretti dell'amministrazione Trump ma, tutto questo però, non ha impedito il riversasrsi in strada, non appena si è saputo dell'ennesima tragedia che colpisce sempre e solo nella stessa direzione.

Ora i leader della comunità afroamericana locale e nazionale hanno chiesto spiegazioni e giustizia e se non riusciranno ad ottenerla gli #USA potrebbero di colpo ripiombare nel pieno della guerra civile, tanto più che a essere sotto attacco non sono più solo i neri ma, nell'#AmeriKKKa a guida Trump, i diritti fondamentali sono sotto attacco e fin dal primo giorno.
(Fonte.:washingtonpost)
Bob Fabiani
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giovedì 13 giugno 2019

#CornoDAfrica: il #Kenya chiude il confine con la #Somalia






Martedì 11 giugno, il #Kenya ha deciso di chiudere il confine (a tempo indeterminato) con la #Somalia.
Quali sono le motivazioni di questa decisione?
AfricaLand Storie e Culture africane prova a fare il punto della situazione e, capire, quali potrebbero essere gli sviluppi futuri per tutto il Corno d'Africa.

Una decisione per porre fine a traffici (più o meno leciti) e per fermare i miliziani di #AlShabaab



Le autorità keniote hanno deciso di chiudere il valico di #Lamu e, per effetto di questa decisione, dall'11 giugno, potranno avere l'accesso consentito i doganieri e gli agenti deputati alla sicurezza.

Quali sono i motivi che hanno indotto il #Kenya a chiudere il confine con la #Somalia.

Non ci sono, a oggi, a due giorni dall'entrata in vigore di questa decisione colleggiale del governo keniota, dichiarazioni ufficiali per spiegare questa azione.

Tuttavia è possibile ricopstruire le motivazioni che hanno condotto Nairobi a questo passo grave, preludio di possibili crisi (per altro non nuove) tra i due paesi africani, il #Kenya e la #Somalia.

A ben vedere, le autorità keniote, ufficialmente, avrebbero preso questa decisione nel tentativo di rafforzare il contrasto contro le azioni terroristiche dei miliziani jihadisti di #AlShabaab, ormai, sempre più in grado di superare il confine tra #Somalia e #Kenya.






Negli ultimi tempi, per altro, la strategia dei miliziani è cambiata, almeno sul fronte keniota: non più "solo" attentati ma, sempre più frequentemente, #AlShabaab, si è votata alla "pratica dei rapimenti" - come nel caso della volontaria italiana #SilviaRomano ... scomparsa dal 20 novembre 2018 - (e di cui, almeno qui a Roma, nessuno sembra occuparsi tra le file dell'orrendo #EsecutivoGialloVerde, a fronte invece di una guerra senza quartiere, sempre più dura e razzista che tiene impegnato il governo italiano ... anche se, si iniziano a registrare, isolate voci della società civile che inizia a chiedere, non solo notizie di Silvia Romano ma, petende, senza se e senza ma; esige, che venga riportata a casa ...).

Ma la decisione del #Kenya, in realtà comprende anche altro.

Senza alcuna spiegazione, a Nairobi, hanno deciso di voler limitare il grande contrabbando delle merci e, con esso, in primis quello legato alla droga e agli esseri umani.

Il sito del giornale keniota Garowe online, riporta una dichiarazione del capo della polizia frontaliera della contea (Lamu), in cui si fa riferimento al sequestro di 10 sacchi di zucchero brasiliano, importato, illegalmente nel villaggio di #Kiunga.

Oggettivamente però, nessuno può credere che il nodo primario tra #Kenya e #Somalia possa essere questo.
Non bisogna dimenticare, infatti, che la totalità delle merci acquistabili in #Somalia provengano dal cosiddetto "canale delle importazioni" ed è, altrettanto notorio che, le suddette merci arrivino dalle parti di #Mogadiscio, attraverso canali informali.

Una serttimana prima della chiusura del confine, a #Nairobi, era stato deciso di mettere al bando, le attività di pesca, al largo delle costa somala.

E qui si nasconde una traccia di una possibile spia per capire meglio cosa possa significare (dal punto di vista geopolitico ...) la scelta delle autorità keniote.
Il tratto di mare in questione, è oggetto di un'aspra disputa tra i due paesi africani: si tratta di vedere rispettati i rispettivi confini marittimi.
La stessa disputa, 5 anni fa, nel 2014 approdò alla Corte internazionale di giustizia dell'Aja, senza tuttavia trovare una soluzione.
La nuova contesa si è riaccesa a fine maggio quando il Parlamento di #Mogadiscio, ha approvato una legge per regolamentare le concessioni petrolifere: quel tratto, lungo 100mila chilometri quadrati di mare tra #Garad e #Kismayo è infatti ricchissimo di giacimenti offshore in base ai rileivi fatti dalle compagnie britanniche.

Conclusioni

Nelle prossime settimane e mesi sdi capirà meglio dove condurrà la decisione attuata dal governo di #Nairobi: al momento non si può escludere nulla, neanche, un possibile, inasprirsi della situazione che, darebbe adito all'ennesima guerra tra stati africani.
(Fonte.:allafrica;jeuneafrique;garoweonline)
Bob Fabiani
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-https://allafrica.com/kenya/somalia;
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