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domenica 31 gennaio 2021

La magia del Parco del Berenty in Madagascar


 



Nascosto nelle piantagioni di sisal a nord di Amboasary si trova il parco del Berenty. Lo si raggiunge percorrendo un'unica  pista, non ben segnalata, che si diparte dalla RN 13 prima di Amboa sulla sinistra.
Questo parco naturale privato è il sito protetto più famoso del Madagascar. Appartiene alla famiglia di origine francese De Heaulme, che in epoca coloniale introdusse qui enormi piantagioni di sisal. Una piccola parte della vegetazione originaria è stata risparmiata dal disboscamento e dichiarato sito protetto nel 1936. Dal 1980 il parco di 258 ettari è anche accessibile ai visitatori.
Il Berenty comprende varie zone con vegetazione differente. Il parco omonimo vero e proprio è formato da una foresta a galleria situata a ovest lungo la riva del fiume Mandrare

La foresta, suddivisa in due parti (Malaza e Ankoba), è dominata dagli alberi di tamarindo. Qui vivono catta (Lemur katta), sifaka di Verreaux (Propithecus verreauxi) e maki dalla fronte rossa (Eulemur rufus), che di solito non sono presenti in queste zone, ma che vi sono stati introdotti.
I lemuri catta, con la loro coda ad anelli bianchi e neri, sono il simbolo del parco nazionale malgascio e ormai sono conosciuti anche in Europa, essendo presenti in diversi zoo. Dopo una notte fredda amano rifugiarsi tra le fronde degli alberi o prendere il sole stiracchiandosi e lasciandosi scaldare dai raggi del primo mattino.

I sifaka, specializzati nell'alimentazione a base di foglie, sono anche chiamati i "lemuri danzanti". Per attraversare un'ampia radura o una strada, scendono a terra e "danzano" sulle due zampe posteriori fino all'albero successivo. All'interno del parco del Berenty è abbastanza facile osservare questo comportamento : basta avere un po' di pazienza. Oltre ai lemuri, qui vivono anche una grande colonia di volpi volanti rosse del Madagascar (Pteropus rufus) e diverse specie di volatili. Particolarmente bello è il coua gigante (Coua gigas), che vive a terra.

Del parco privato fanno parte anche alcuni settori della foresta spinosa originaria, dove crescono sopratutto Didieracee, Aloe ed Euforbie. La foresta spinosa è un ottimo posto per un'escursione serale a piedi. I più fortunati potranno così osservare i lemuri topo notturni (Microcebus murinus), i maki a coda grassa (Cheirogaleus medius) e i lepilemuri dai piedi bianchi (Lepilemur leucopus).

-Museo Antandroy

All'ingresso del parco del Berenty si trova il museo privato dedicato alla cultura degli Antandry ("gli abitanti della foresta spinosa"). Nel piccolo ma accurato museo c'è una ricca esposizione della geografia e della natura locali, nonché della vita e della natura locali, nonché della vita e delle usanze della tribù. Gli oggetti quotidiani e di culto sono esposti come si possono trovare in una delle loro capanne tradizionali. Al primo piano è collocata un'esposizione dedicata all'artigianato degli Antandroy. Si può inoltre ammirare una delle poche uova del mitico uccello roc conservatesi intere fino a oggi.
(Fonte:parcs-madagascar)
Bob Fabiani
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-wwwparcs-madagascar.com

 

venerdì 29 gennaio 2021

Madagascar, storia e curiosità di Toliara


 


Toliara (nota anche come Toliary, e in passato come Tuléar) è un comune urbano (firaisana) situato sulla costa sudoccidentale del Madagascar, capoluogo della provincia di Toliara e della regione di Atsimo - Andrefana.
Ha una popolazione di 113.014 persone (stima aggiornata al censimento del 2005 n.d.t).


-Storia e curiosità di Toliara



Nel XVII secolo, i pirati francesi sbarcarono nella baia di Saint - Augustin presso il tropico del Capricorno e installarono una sede commerciale per intrattenere delle relazioni commerciali con le popolazioni Masikoro (Sakalava) della costa.

Ma si dovrà attendere la colonizzazione francese iniziata nel 1895 per vedere un reale sviluppo di Toliara, sopratutto in seguito alla decisione del governatore generale del Madagascar Joseph Simon Gallieni (1896 - 1905) di trasferire in un piccolo villaggio di pescatori Vezo - un popolo di origini asiatiche presente nel sudovest del Madagascar, su un territorio costiero che va approssimativamente da Anakao fino a Morondava - tutti gli uffici amministrativi che prima si trovavano sull'antistante isoletta di Nosy Ve.

Toliara (Tuléar, come si chiamava in epoca coloniale) ha subito significative trasformazioni urbanistiche e la creazione di una efficiente rete urbana di strade alternate da viali di tamarindi, il più importante dei quali è il Boulevard Gallieni che taglia in due la città separando i quartieri commerciali dal porto.


 


Dopo l'indipendenza nel 1960 il ritmo di crescita è continuato ad aumentare e numerosi sono stati i cittadini francesi che hanno mantenuto in vita le proprie attività commerciali.
Inoltre le spiagge incontaminate di Ifaly e di Anakao e il clima secco hanno attirato molti turisti europei, principalmente francesi, incrementando la vocazione turistica della città a discapito di quella industriale.






Hanno aperto quindi numerosi ristoranti e alberghi nelle vecchie villette coloniali, spesso gestiti dalla minoranza Karana.

La città malgascia alcuni monumenti che meritano di essere visitati : il Museo del Mare di Toliara. Un piccolo museo aperto nell'area del porto fa parte integrante dell'istituto oceanografico.
L'altra attrattiva culturale che merita di essere visitata è il Museo regionale dell'università di Toliara : piccolo museo di carattere etnologico.
Tuttavia ci sono altri luoghi d'interesse : la Riserva naturale Reniala (è un'area naturale protetta a gestione privata); la Riserva speciale di Bezaha Mahafaly (conosciuta anche col nome di Riserva speciale Beza Mahafaly, è un'area naturale protetta, si trova lungo la Route 10 che collega Toliara a Taolagnaro, nei pressi della città di Betioky); il Parco nazionale dell'Isalo (area naturale protetta che si trova nella parte centro - meridionale del Madagascar. Paesaggio unico, nell'intera isola ad avere grandi formazioni rocciose modellate dal vento e, conosciuto come il Massiccio dell'Isalo, immerse in una vegetazione molto simile a quella della savana continentale africana). Il parco è raggiungibile attraverso la Route nationale 7 (RN7) Antananarivo - Toliara imboccando l'uscita per Ranohira.
(Fonte:tulear-tourisme)
Bob Fabiani
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-www.tulear-tourisme.com  

giovedì 28 gennaio 2021

Africa, la dolorosa denuncia del presidente UA Ramaphosa sull'accesso ai vaccini


 






Il presidente dell'Unione Africana (UA) Cyril Ramaphosa, ha usato parole precise e sarcastiche durante un vertice di leader regionali e globali circa la spinosa questione dell'accesso ai vaccini. Il presidente ha detto che si tratta di una "dolorosa ironia", per quanto riguarda gli studi clinici condotti nel continente e, il conseguente sbarramento all'accesso dei vaccini contro il virus.

"In alcuni casi, i vaccini sono confezionati proprio qui nel continente, ma lottiamo per accedervi per le nostre popolazioni", ha detto il presidente del Sud Africa Ramaphosa, mercoledì 28 gennaio durante un webinar sul finanziamento sulla strategia di distribuzione del vaccino Covid-19 in Africa.

"La dolorosa ironia è che alcuni degli studi clinici per questi vaccini sono stati effettuati in Africa", aggiunge il presidente dell'Unione Africana.

-Evitare che TRIPS non viaggi in Africa e nel resto del Sud del mondo

La ricerca per garantire un approvvigionamento adeguato per il continente viene articolata e condotta a vari livelli e su più fronti, anche con il supporto dell'Unione Africana e dai singoli paesi. 
A proposito di questo, il Sud Africa e l'India hanno proposto di rinunciare agli aspetti relativi al commercio dei diritti di proprietà intellettuale (TRIPS) in risposta alla pandemia, secondo Ramaphosa.

Il TRIPS è uno strumento legale a cui sono vincolati i membri dell'Organizzazione mondiale commercio (OMC).

Un allentamento del TRIPS consentirebbe ai paesi in Africa e altrove di accedere a ingredienti farmaceutici attivi e beneficiare del trasferimento tecnologico, compreso il know-how per produrre vaccini nel continente a un costo inferiore, spiega Ramaphosa.

-Fermare la devastazione

"La pandemia ha causato gravi devastazioni nel nostro continente", ha detto Ramaphosa, sottolineando ulteriormente l'urgente necessità di scorte sufficienti di vaccini per l'Africa.

In termini di numeri, l'Africa ha:

  • Un totale di 3,4 milioni di casi Covid-19 confermati e ha registrato quasi 87 mila decessi correlati al coronavirus
  • Anche se il continente ospita circa 1,2 miliardi di persone, le stime attuali indicano che l'Africa accederà solo a circa il 20% dei vaccini necessari attraverso la struttura COVAX
  • COVAX è un gruppo di paesi e partner che mettono in comune i loro approvvigionamenti di vaccini per cercare di raggiungere accorsi migliori. 
 "Abbiamo quindi ritenuto necessario integrare questa struttura (COVAX) per garantire l'immunità di     gregge più velocemente", ammette Ramaphosa.

Attraverso il lavoro di African Vaccine Acquisition Task Team, il continente si è assicurato 270 milioni di dosi del vaccino anti-covid.

"Almeno 50 milioni saranno disponibili tra aprile e giugno 2021", ha rivelato il presidente dell'Unione Africana.

Le dosi saranno garantite da tre aziende farmaceutiche : Pfizer, AstraZeneca (attraverso il Serum Institute of India) e Johnson&Johnson.

-Questione di soldi

Questa battaglia però si vince con i soldi e, dato l'alto costo dei vaccini, Ramaphosa ha puntato sul Task Team che, a sua volta, ha concordato con Afreximbank per sostenere gli Stati membri.
Inoltre, l'UA e la Banca mondiale stanno collaborando per garantire che i paesi africani possano avere accesso a ulteriori finanziamenti.

"E' fondamentale per il contenimento globale del Covid-19 che la vaccinazione avvenga in tutti i paesi e tra tutte le popolazioni. Nessuna parte del mondo sarà al sicuro dal Covid-19 finché tutte le parti del mondo non saranno al sicuro".

Parole, quelle di Ramaphosa da sottoscrivere in toto.
(Fonte:theafricareport)
Bob Fabiani
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-www.theafricareport.com  

mercoledì 27 gennaio 2021

Leggenda e storia dell'isola di Nosy Sainte-Marie in Madagascar (e del cimitero dei pirati)


 




L'unico cimitero dei pirati di cui si abbia notizia si trova in Madagascar su una piccola isola. Oggi si chiama Nosy Boraha, ma è più conosciuta con il vecchio nome francese di Ile Sainte - Marie. A Sud dell'isola, in una baia riparata, c'è un lembo di terra chiamato proprio Isola dei Pirati.

Tra il XVII e il XVIII secolo la costa orientale del Madagascar fu scelta come base da oltre un migliaio di pirati : tra i loro comandanti i famigerati William Kidd, Thomas Tow, Adam Baldrige, Oliver Levasseur, Henry Every, Robert Culliford, Araham Samuel.
Una scelta non causale : l'isola era in posizione strategica per tenere sotto controllo le principali rotte delle spezie tra le Indie Orientali e l'Europa, percorse da vascelli carichi di merci preziose.
L'isola inoltre aveva una baia ben riparata, acqua dolce in abbondanza, e frutti tropicali con i quali distillare una sorte di rum.

Quella dei pirati era una professione rischiosa.

Relativamente pochi riuscivano a vivere di rendita col bottino accumulato nel corso delle loro scorrerie, tornando nei luoghi da cui erano partiti. C'era infatti chi moriva nel corso degli arrembaggi, oppure sperperava i guadagni nelle taverne e nei postriboli dei porti, o ancora veniva catturato e impiccato.
C'era anche chi passava a miglior vita senza rivedere mai più il porto da cui s'era imbarcato per la prima volta. E' questo il caso dei pirati che morirono all'Ile Saint - Marie, e che vennero sepolti nel locale cimitero, unico nel suo genere e oggi frequentata meta turistica.


 



Le lapidi sono una trentina, sparse in modo disordinate, in parte stese a terra. Le scritte si leggono a malapena, consumate dal tempo e dagli elementi : ma su una stele, in particolare, spicca l'inconfondibile simbolo del teschio sopra le tibie incrociate.

-La leggenda

Secondo la leggenda, qui sarebbe sepolto anche William Kidd, il celebre pirata scozzese : sarebbe stato inumato in posizione verticale, come punizione per i suoi peccati.
E' solo una leggenda, la storia racconta che Kidd, uno dei più famosi corsari della storia, fu processato a Londra e, dopo un processo iniquo, giustiziato per impiccagione.
Il lavoro del boia ebbe un macabro seguito : dopo l'esecuzione il corpo venne immerso nel catrame e, come avvertimento nei confronti degli altri pirati., lasciato appeso per due anni sulla sponda del Tamigi.





Kidd, peraltro, sbarcò davvero all'Ile Sainte - Marie, davanti alle cui coste affondò la sua ammiraglia Adventure Galley : resti di essa sono stati recuperati proprio qui in Madagascar, nel 2015.
Tra le leggende c'è anche quella che sull'isola siano nascosti bottini più o meno ingenti : è per questa ragione che i cacciatori di tesori spesso vi fanno tappa, nella speranza di un ritrovamento che li renda ricchissimi.

Nosy Boraha (Ile Sainte - Marie), dal punto di vista amministrativo appartiene alla provincia di Toamasina. E' lunga 60 km e larga 10 km.

Quando i pirati si stabilirono sull'isola, cercarono e trovarono una integrazione con le popolazioni del luogo, dando così origine a un gruppo etnico misto, che prese il nome di Zana - Malata.
(Fonte:jeuneafrique;theguardian)
Bob Fabiani
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-www.jeuneafrique.com;
-www.theguardian.com/africa 

martedì 26 gennaio 2021

Senato USA: "Trump minaccia la democrazia"


 






L'articolo per l'impeachment di Donald Trump, inviato dalla speaker della Camera Nancy Pelosi, è arrivato in Senato dove, il deputato Jamie Raskin, che guida l'accusa, lo ha letto.
L'ex presidente è accusato di "istigazione all'insurrezione" per i drammatici fatti dell'assalto al Congresso del 6 gennaio e viene definito "una minaccia per la democrazia".

Il processo inizierà la settimana dell'8 febbraio, sarà il quarto della storia USA e il secondo per Trump. Domani è previsto il giuramento dei senatori come giurati.
Per la prima volta il 46esimo presidente USA Joe Biden ha commentato il processo.
"Penso che vada fatto", ha detto il neo presidente alla Cnn, ammettendo che questo potrebbe ritardare l'attuazione della sua agenda e la conferma dei suoi membri del governo in Senato : "Ma - ha aggiunto - sarebbe stato peggio se questo non fosse accaduto".
(Fonte:theatlantic)
Bob Fabiani
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-www.theatlantic.com

lunedì 25 gennaio 2021

Storie e leggende del Baobab (l'albero del benessere in Africa)


 






Nel continente conosciuto col nome di Africa, ci sono diversi alberi che popolano la terra africana. Per esempio l'Iroko, il Tek, l'Ebano, il Mango, il Ginseng. Ma il più noto è sicuramente il Baobab, chiamato Adansonia digitata. I motivi per cui questo gigante dell'ambiente, della savana è il più conosciuto e per certi aspetti il più rispettato sono tanti. La magnificenza della sua forma.
E' un albero enorme, grande in altezza e vasto in larghezza. 

Se si guarda da lontano, sembra di vedere una pianta che tocca le nuvole e nello stesso tempo ha le radice molto posate.
Il Baobab è una pianta longeva, vive quasi 300 anni ed è anche la più energica ed ospitale nei confronti degli esseri umani e degli animali, in particolar modo degli uccelli. Questi ultimi sono i frequentatori più assidui del Baobab. Essi si rifugiano tutto l'anno tra le foglie e nei rami di questo albero - fratello dell'Africa subsahariana. Perfino all'interno dei buchi, sotto le radici, si scoprono bellissimi nidi di uccelli e di topi e folte ed eleganti ragnatele, fatte quasi ad arte.


  


Da sempre il Baobab è per la madre - Africa e per i suoi popoli un albero molto ospitale ed accogliente, non fosse altre per i suoi rami avvolti da enormi foglie che nel periodo della stagione della siccità (tra novembre - marzo per la costa occidentale, il Golfo della Giungla) scompaiono, ma non del tutto.
La tradizione africana lo chiama l'"Arbree des Sagus et des Savants, l'Albero dei saggi e dei sapienti". Perché sotto il Baobab appunto gli anziani impartiscono preziosi e basilari consigli di saggezza e utili regole di educazione pedagogica ed ambientale. Di fronte e a ridosso del Baobab, le persone danno vita a regolari cerimonie agli antenati e ai viventi invisibili, ossia coloro che sono passati sull'altra sponda del fiume, i cosiddetti morti.


 



Un mito assai diffuso in Africa racconta che quando Dio creò la terra, assegnò una pianta a ogni animale. Il Baobab toccò alla iena la quale, disgustata da quello che evidentemente le sembrava un albero senza alcuna utilità, lo gettò via. E il Baobab atterrò capovolto, con le radici verso il cielo. 
In un'altra leggenda, si narra che il Baobab fu uno dei primi alberi creati da Dio. Quando però vide la successiva pianta creata, una palma slanciata verso il cielo, il Baobab cominciò a brontolare, perché lui voleva essere come lei. Dio ascoltò le sue lamentele e lo fece crescere; ma questi aveva appena raggiunto l'altezza della palma, quando vide la spettacolare fioritura della Flamboyant, e si lamentò che lui non aveva fiori. Dio provvide un'altra volta, e dotò anche lui di fiori. Questo fu troppo pure per la pazienza del Creatore che, in un accesso d'ira, sradicò il Baobab dalla terra e lo riscaventò con la chioma in giù, e le radici per aria.


 


Il suo aspetto, i luoghi selvaggi dove vive, la smisurata grandezza del tronco, lo ammantano di una bellezza e di un fascino tali da averlo reso, nonostante la sua lontananza geografica, uno degli alberi più famosi del mondo occidentale. Nei luoghi di origine poi, il Baobab è una vera icona : fonte di cibo, medicine e materiale per costruire case ed oggetti quotidiani, sacralizzato in molte tribù, simbolo totemico e luogo di riunione, fonte infinita di storia e leggende popolari.
La sua sagoma inconfondibile appare su monete, banconote e francobolli di vari stati africani; in Madagascar, ad esempio, è l'albero nazionale, ed è soggetto o elemento fondamentale di rappresentazioni pittoriche e di manufatti artigianali.

Il primo a rivelare al resto del mondo l'esistenza di questi fantastici alberi pare sia stato un tal IBN Battuta, nato in quel di Tangeri, che nel 1353 vi si imbatté durante un viaggio nel Mali, descrivendoli così : "La strada ha molti alberi di grande età e dimensioni; sotto ognuno di essi può trovare riparo un'intera carovana. Alcuni di essi non hanno rami né foglie, ma il loro tronco fa da solo ombra sufficiente. Alcuni hanno di loro hanno delle cavità al loro interno, e vi viene raccolta l'acqua piovana, come fosse un pozzo, e le persone bevono quest'acqua. In altri alberi ci sono api e miele, che viene raccolto dalla gente del posto".

In genere con il nome Baobab si indica non una singola specie, ma un intero genere, appartenente alla famiglia delle Bombacaleae, e formato da otto specie, sette originarie dell'Africa, tra cui sei endemiche del Madagascar, e una originaria dell'Australia. La prima ad essere stata scoperta, Adansonia digitata, ovvero il Baobab africano, è anche la più diffusa, quella che presenta gli individui di maggiori dimensioni, e possibilmente anche la più famosa. Specie panafricana, si ritrova in 31 stati africani a Sud del Sahara, e fino a lambire la parte settentrionale del Sudafrica, Madagascar incluso; è stato piantato dall'uomo anche in altri paesi tropicali, quali India e Caraibi.
Ha almeno un centinaio di diversi nomi vernacolari locali.


     


Le sei specie malgasce sono :

Adansonia madagascariensis, Adansonia perrieri e Adansonia suarezensis, che vivono nell'estremità nord e nord-ovest della Grande Isola dalla Terra rossa, e che sono conosciute con il nome di Bozy; Adansonia grandidieri (Renala in malgascio) e Adansonia rubrostipa (sinonimo Adansonia fony, chiamata Fony), presso la costa occidentale; Adansonia za, conosciuta come Za o come Boringy, che cresce prevalentemente all'estremità meridionale.  
Tutte queste specie sono in una situazione delicata per quanto concerne la UICN, A. grandidieri, A. perrieri e A. suarezensis corrono un alto rischio di estinzione dei popolamenti naturali nel futuro prossimo; per le altre, il rischio è nel medio termine. 
Numerose sono le cause di minaccia, tutte legate ad attività antropiche. La specie australiana  è Adansonia gregorii (sinonimo Adansonia gibbosa), che vive nella parte nord - occidentale, dove è chiamato boab o bottle tree.

I botanici sono concordi nel ritenere che le otto specie anteriori derivano da un unico capostipite, apparso in Madagascar tra i 17 e i 18 milioni di anni fa, ovvero assai dopo la divisione del mitico continente di Gondwana, che comprendeva tra l'altro le attuali Africa, Madagascar, India e Australia.
Resta qui da capire come la specie africana e quella australiana siano giunte nei rispettivi continenti dalla lontana isola malgascia : l'ipotesi più affascinante ed anche la più accreditata, è che alcuni semi, racchiusi nel loro robusto guscio, siano caduti nei fiumi del Madagascar, siano arrivati ai mari dell'isola, e siano stati trasportati verso est e verso ovest dalle correnti marine, fino ad approvare in Africa e in Australia, germinare e originare le corrispondenti specie.


   



I frutti, le foglie e i fiori sono una  importante risorsa nutrizionale per il loro contenuto in Vitamina C. I semi sono ricchi di proteine e vengono utilizzati per l'esecuzione di un olio ad uso alimentare.
Le fibre della corteccia sono utilizzate per realizzare funi, ceste, indumenti, cappelli. Varie parti della pianta sono utilizzate nella medicina popolare : la corteccia e le radici ridotte in polvere vengono utilizzate come rimedio contro la malaria.
La polpa dei frutti mischiata con il miele viene utilizzata contro la tosse, le foglie vengono impiegate per trattare diarrea e febbri. Per tali sue virtù la pianta è oggetto di venerazione presso molte popolazioni africane.
(Fonte:plantzafrica)
Bob Fabiani
Link
-www.plantzafrica.com  

domenica 24 gennaio 2021

Africa, la seconda ondata della pandemia minaccia il continente


 






La seconda ondata dell'epidemia in Africa ha portato il tasso di letalità al 2,5 per cento rispetto a una media mondiale del 2,2 per cento, ha dichiarato il 21 gennaio John Nkengasong, direttore del Centro di controllo e di prevenzione delle malattie dell'Unione Africana (Africa - Cdc).
A dicembre il tasso di contagio nel continente è aumentato del 14 per cento settimanalmente. Con 3,3 milioni di casi registrati dall'inizio dell'epidemia e quasi 82 mila morti l'Africa resta ufficialmente uno dei continenti più risparmiati dal virus, scrive Le Monde, "ma l'aumento del tasso di letalità segna una rottura con la prima ondata, durante la quale il continente era rimasto sotto la media mondiale".

Il direttore di Africa-Cdc aggiunge : "Siamo di fronte a una ripresa, come è caratteristica della seconda ondata, e dobbiamo combatterla con tutte le nostre forze", conclude Nkengasong.

Attualmente sono 21 i paesi dell'Unione Africana con tassi di letalità superiori alla media mondiale e tra loro spiccano la Repubblica araba sahrawi democratica (1,8%), il Sudan (6,2%), l'Egitto (5,5%) la Liberia (4,4%).

I sistemi sanitari sono sotto pressione, e la progressione dell'epidemia da Covid-19 sopravanza la capacità di medici e infermieri di prendersi carico dei pazienti, ha spiegato ancora Nkengasong, sottolineando che c'è carenza di ossigeno negli ospedali.
L'Unione Africana ha ordinato 270 milioni di dosi di vaccini per il continente in più rispetto a quelli che dovranno essere consegnati attraverso l'iniziativa Covax sostenuta dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) per favorire un accesso equo ai vaccini. Inoltre sarebbero in corso delle trattative per avere dosi supplementari dalla Russia e dalla Cina.
(Fonte:lemonde)
Bob Fabiani
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-www.lemonde.fr/afrique 

venerdì 22 gennaio 2021

Amanda Gorman, la poesia della poetessa aframericana per cambiare pagina in America


 




AfricaLand Storie e Culture africane, pubblica ampi stralci della stupenda poesia della poetessa aframericana, Amanda Gorman, che ha emozionato l'America e il resto del mondo.
Amanda Gorman, è una giovane poetessa di 22 anni, nata a Los Angeles : nel suo lavoro poetico, la Gorman si concentra su questioni di oppressione, femminismo, razza ed emarginazione, così come sulla diaspora africana.

La poetessa è stata nominata National Youth Poet Laureate dopo aver conseguito la laurea ad Harvard.


-The Hill We Clim (La Collina che scaliamo)*

Quando arriva il giorno, ci chiediamo dove possiamo trovare una luce in
quest'ombra senza fine?
La perdita che portiamo sulle spalle è un mare che dobbiamo guardare.
Noi abbiamo sfidato la pancia della bestia.
Noi abbiamo imparato che la quiete non è sempre pace,
e le norme e le nozioni di quel che "semplicemente" è non sono sempre
giustizia.
Eppure, l'alba è nostra, prima ancora che ci sia dato accorgersene.
In qualche modo, abbiamo respirato e siamo stati testimoni di come questa
nazione non sia rotta,
ma semplicemente, incompiuta.
Noi, gli eredi di un Paese e di un'epoca in cui una magra ragazza
afroamericana, discendente dagli schiavi e cresciuta da una madre single, può
sognare di diventare presidente, per sorprendersi poi a recitare
all'insediamento di un altro.

Certo, siamo lontani dall'essere raffinati, puri,
ma ciò non significa che il nostro impegno sia teso a formare un'unione
perfetta.
Noi ci stiamo sforzando di plasmare un'unione che abbia uno scopo.
(Ci stiamo sforzando) di dar vita ad un Paese che sia devoto ad ogni cultura,
colore, carattere e condizione sociale.
E così alziamo il nostro sguardo non per cercare quel che ci divide, ma per
catturare quel che abbiamo davanti.

(...)

Risorgeremo dalle città circondate dai laghi, negli stati del Midwest.
Rinasceremo dal Sud baciato dal sole.
Ricostruiremo, ci riconcilieremo e ci riprenderemo.

(...)

Una nuova alba sboccerà, mentre noi la renderemo libera.
Perché ci sarà sempre luce,
finché saremo coraggiosi abbastanza da vederla.
Finché saremo coraggiosi abbastanza da essere noi stessi luce.
*Amanda Gorman
**Erano alcuni passi, alcuni versi più emozionanti della poesia recitata (e scritta per l'occasione) dalla poetessa Amanda Gorman, a Capitol Hill, in occasione dell'inaugurazione del 46esimo presidente USA, Joe Biden e della sua vice, Kamala Harris.
(Fonte:theatlantic;theguardian)
Bob Fabiani
Link
-www.theatlantic.com;
-www.theguardian.com

                    

giovedì 21 gennaio 2021

Amanda Gorman, la giovane poetessa afroamericana che incanta l'America a Capitol Hill


 





Amanda Gorman è una poetessa afroamericana di Los Angeles. Il lavoro di Gorman si concentra su questioni di oppressione, femminismo, razza ed emarginazione, così come sulla diaspora africana
Amanda Gorman dopo essersi laureata ad Harvard, è stata nominata National Youth Poet Laureate.

L'emozionante poesia di Amanda Gorman è stata recitata all'inaugurazione del 46esimo presidente USA, Joe Biden. Una poesia che finisce come un rap : è la sua The Hill We Climb e ha commosso tutti.

Joe Biden se ne è innamorato in un giorno al Congresso : la giovane poetessa afroamericana gli ha ricordato se stesso : il passato di bambino segnato da un difetto di pronuncia.

Avvolta nel suo cappotto giallo, è salita a Capitol Hill e, sesta nella storia del suo paese, ha accompagnato il giuramento di Biden e della Harris con una poesia.
A scriverla ci ha pensato autonomamente. Prima con lentezza poi scossa dalla violenza dei trumpiani. The Hill We Climb, completata nella notte dell'assedio a Capitol Hill, ha commosso l'America (e non solo), che nella "ragazza magra, cresciuta da una mamma single", ha visto il lascito di Martin Luther King : "Ricostruiremo, ci riconcilieremo e ci riprenderemo", ha pronunciato solenne, la Gorman, che al New York Times ha detto di voler correre per la presidenza. Non domani, ma nel 2036.

A 22 anni, la poetessa dimostra di possedere una solidità rara, di essere dotata di una lucidità di pensiero con la quale ha ottenuto il plauso di Barack e Michelle Obama, pronti a sostenerla nel suo sogno politico. Un sogno che oggi, va a braccetto con la carriera letteraria. Dopo aver pubblicato la raccolta The One For Whom Food is not, la Gorman ha in uscita un libro per bambini, Change Signs.
(Fonte:theatlantic)
Bob Fabiani
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-www.theatlantic.com

 

Dieci anni dopo le Rivolte arabe in Africa e Medio Oriente: passato e futuro. Pt.2


 




A dieci anni dalle prime proteste contro i regimi arabi, AfricaLand Storie e Culture africane su cos'è cambiato : arrivando a una conclusione che i cittadini non si fermeranno e presto si aprirà una nuova fase.
Oggi, con la seconda parte, si chiude questa inchiesta.
(Bob Fabiani)



-Maggior consapevolezza

Il bilancio è contraddittorio. La Tunisia e il Sudan sono ancora in una condizione vulnerabile. Yemen, Siria, Libia e Iraq restano impantanati in guerre interne o regionali. Monarchie come l'Arabia Saudita, il Bahrein, gli Emirati Arabi Uniti (e il Marocco e la Giordania in misura minore), vietano le proteste o permettono solo azioni simboliche che non minacciano la struttura di potere.
Le potenze straniere sono spesso coinvolte nelle guerre o nel sostegno ai dittatori arabi. I paesi da tenere d'occhio sono quelli in cui le proteste del 2019-2020 riprenderanno sicuramente appena le condizioni lo permetteranno : Algeria, Libano, Sudan e Iraq. Qui le rivolte hanno strappato piccole concessioni al governo senza ottenere cambiamenti reali nelle strutture dello stato.

In questo momento di pausa, in molti spingono per organizzarsi dal basso a livello nazionale, per creare partiti o movimenti che possano partecipare a elezioni future. E' evidente che i regimi non cederanno e i paesi stranieri non interverranno per salvare le economie. Le élite e i manifestanti hanno capito di essere soli, perché la regione araba ha perso la sua rilevanza strategica. Le potenze straniere che intervengono (come la Russia in Siria n.d.t) lo fanno per mantenere un'egemonia funzionale ai loro interessi.
Il cambiamento meno visibile ma forse più significativo dell'ultimo decennio, che potrebbe definire il futuro del potere politico nelle società arabe, sta nel fatto che le masse e gli indifesi di fronte al potere, ma possono organizzarsi e protestare per tentare di definire il proprio futuro. Questo senso di protagonismo e la consapevolezza di poter cambiare le cose con l'azione politica non erano mai esistiti prima su vasta scala, e oggi pervadono centinaia di milioni di uomini e donne di ogni età.

Quando entreranno di nuovo in azione, probabilmente avranno un impatto maggiore di quello avuto finora.
Le lezioni principali sembrano riguardare gli equilibri di potere tra le forze che si fronteggiano : da una parte i manifestanti che non sono riusciti a padroneggiare le chiavi per il successo; dall'altra l'élite al potere che lotterà per restare al suo posto, anche a costo di governare società in frantumi come quelle di Siria, Yemen e Libia. Il decennio tra il 2010 e il 2020 è la fase più recente e più vigorosa, ma non l'ultima, delle transizioni arabe verso la democrazia e la stabilità.
I conflitti riprenderanno dopo la pandemia perché tutte le condizioni alla base della disperazione dei cittadini, che hanno dato l'impulso alle rivolte, continuano a peggiorare. Man mano che il benessere crolla e la povertà e la vulnerabilità si estendono a più del 70 per cento della popolazione, la fiducia nei governi si dissolve e il sostegno popolare alle rivolte cresce. Un sondaggio condotto dall'Arab center for research and polycy studies, con sede a Doha, mostra che un arabo su cinque vuole emigrare e che circa la metà valuta negativamente l'operato del governo.
Questo spiega come mai il 58 per cento degli abitanti della regione consideri positivamente le rivolte, e perché nei quattro paesi in cui le proteste continuano il sostegno oscilli tra il 67 e l'82 per cento.
Dovremmo considerare le sollevazioni rivoluzionarie arabe come elementi drammatici nel processo di costruzione dello stato cominciato un secolo fa, che non si è mai consolidato perché i cittadini non hanno avuto l'opportunità di plasmare le decisioni sui valori e le politiche nazionali. Le rivolte hanno lanciato il messaggio che i cittadini hanno bisogno di benessere, opportunità e sicurezza materiali, ma anche di beni intangibili come dignità, rispetto, voce e identità.
Ora che paesi arabi entrano nel secondo secolo di costruzione dello stato, i cittadini impazienti e determinati che tra il 2010 e il 2020 si sono battuti per una vita migliore continueranno a farlo per poter finalmente esercitare il diritto all'autodeterminazione delle loro nazioni.
(Fonte:alaraby)
Fine
Bob Fabiani
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-www.alaraby.co.uk
  






  


mercoledì 20 gennaio 2021

Giuramento del 46esimo presidente USA Joe Biden


 





Mercoledì 20 gennaio 2021, gli occhi di tutto il mondo sono puntati sull'inaugurazione ufficiale di Joe Biden e della sua vice, Kamala Harris alla Casa Bianca. Donald Trump, come aveva promesso e annunciato su Twitter, e ha deciso di non assistere al giuramento. Ma non è una novità : prima di Trump, altri tre presidenti non hanno partecipato al giuramento del suo successore.

Il tema scelto da Biden per il suo insediamento è coesione, mettere un freno alla divisione dell'America, senza dare spago ai suprematismi e agli egoismi; infine, ha lanciato un messaggio di speranza e democrazia verso tutti gli americani, per affrontare i problemi, le sfide difficili e i disastri lasciati dal #trumpismo.

L'America dunque volta pagina mentre per #TheDonald inizia un'altra fase quella che lo vede sotto impeachment dopo l'assalto dei suoi supporter a Capitol Hill.
(Fonte:theatlantic)
Bob Fabiani
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-www.theatlantic.com

  








martedì 19 gennaio 2021

Madagascar, Ciclone tropicale ELOISE


 






  • Il ciclone ELOISE si sta spostando a Sud-ovest sull'Oceano Indiano, avvicinandosi alla costa Nord-orientale del Madagascar. Il 18 gennaio il suo centro si trovava a circa 300 km a Nord-est del comune di Antalaha (regione della Sava), con un vento massimo sostenuto di 93 km/h.
  • Si prevede che ELOISE approderà sulla penisola di Masoala, un'area a sud di Antalaha, la sera del 19 gennaio, con vento massimo fino a 95 km/h (tempesta tropicale). Dopo aver attraversato il Nord del Madagascar, ELOISE potrebbe entrare nel Canale del Mozambico il 21 gennaio, e dirigersi verso il Mozambico.




  • In Madagascar, le autorità nazionali e i partner umanitari stanno coordinando le attività di preparazione.
  • Allarmi rossi per pericolo imminente sono stati emessi per diversi distretti nelle regioni di Sava, Sofia e Analanjirofo (Madagascar Nord-occidentale). Dal 19 gennaio sono previsti forti venti e forti piogge sul Madagascar Settentrionale e Centrale.
(Fonte:reliefweb.int)
Bob Fabiani
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-reliefweb.int/report/madagascar

L'identikit degli eversori che hanno assaltato Capitol Hill


 




All'attacco al congresso hanno partecipato sopratutto bianchi e persone contrarie alle restrizioni imposte durante la pandemie.
Nei giorni successivi al 6 gennaio, quando migliaia di sostenitori del presidente uscente Donald Trump hanno attaccato la sede del congresso a Washington mentre i parlamentari stavano ratificando la vittoria dei democratico Joe Biden alle elezioni di novembre, sono via via emerse le identità delle persone che si trovavano lì. 

"I partecipanti all'attacco al congresso", scrive il Washington Post in un'inchiesta firmata da vari giornalisti, "vengono da almeno 36 stati del paese, dal Distretto di Columbia e dal Canada", scrive il quotidiano, che si è basato su una lista di più di cento persone di cui è stata accertata la presenza sulla scena dell'attacco.

"Le loro professioni toccano praticamente ogni aspetto della società americana : avvocati, deputati locali, agenti immobiliari, poliziotti, veterani dell'esercito, operai, parrucchieri e infermieri. C'erano cristiani devoti che citavano versetti della Bibbia, seguaci della teoria del complotto QAnon, militanti di organizzazioni suprematiste bianche e di gruppi estremisti di destra come i Proud boys. Anche se rappresentano solo una parte delle migliaia di persone che hanno partecipato alla rivolta, è difficile ignorare alcune sorprendenti caratteristiche comuni", afferma il giornale.

"Nella lista quasi tutti possono essere identificati come bianchi. Per la maggior parte sono uomini, ma una persona ogni sei è donna e quasi sempre bianca. Inoltre, molti hanno lasciato sui social network un'ampia documentazione delle loro passioni e ideologie, e in alcuni casi anche delle loro delusioni e antipatie".

La spinta a marciare su Washington viene da una lunga storia di rabbia e sfiducia, tuttavia l'attacco è stato pianificato in modo impulsivo e in poco tempo.

"Alcuni hanno trovato i soldi per il viaggio all'ultimo momento, altri hanno viaggiato da soli anche da una costa all'altra e si sono riuniti con gli altri partecipanti solo quando sono arrivati a Washington".

Cinque persone sono morte durante i disordini seguiti all'attacco e molti leader della rivolta, che erano riusciti a scappare, sono stati identificati e arrestati vicino a casa loro. 
Varie persone intervistate dal Washington Post hanno detto di aver partecipato all'attacco sopratutto per due ragioni : l'opposizione ai risultati delle elezioni e il rifiuto delle restrizioni adottate per rallentare la diffusione del nuove coronavirus
Lindsey Graham, un'imprenditrice di 39 anni di Salem, nell'Oregon, ha raccontato che il suo attivismo è cominciato la scorsa primavera, quando sei attività commerciali che gestiva con il marito - tra cui una palestra e un centro estetico - sono state chiuse a causa delle norme anticontagio. Nel 2016 Graham aveva votato per Trump, ma prima della pandemia non si era mai interessata alla politica.
Anche Pete Harding, un operaio edile di 47 anni residente a Cheektowaga, nello stato di New York, ha marciato sul congresso perché è contrario alle restrizioni contro il Covid-19. Prima della pandemia, Harding si limitava a esprimere le sue forti opinioni politiche su internet. Dalla primavera del 2020 ha cominciato a partecipare alle manifestazioni contro la chiusura delle attività commerciali ed è stato arrestato per essersi rifiutato di uscire da un negozio di alcolici dopo che i commessi gli avevano chiesto di mettersi la mascherina. Il 6 gennaio, davanti al congresso, aveva con sé "solo una forchetta da cucina", ma ha bruciato le attrezzature dei giornalisti, schermendoli.
"Le immagini del 6 gennaio non solo hanno lasciato una macchia nel paese, ma hanno anche sconvolto molte famiglie, che hanno riconosciuto i loro cari tra i partecipanti all'attacco". Douglas Sweet, 50 anni della Virginia, è stato arrestato. Secondo la figlia, ora si radicalizzerà ancora di più": uno, dei tanti lasciti drammatici del #trumpismo, una larga parte di americani "pronti a tutto" pur di non riconoscere che, la fallimentare esperienza del peggiore presidente della storia degli Stati Uniti, è finita. 
E in questo clima pesante domani, 20 gennaio, il neo-presidente Joe Biden ela sua vice, Kamala Harris, giureranno come nuovi inquilini della Casa Bianca
(Fonte:theatlantic;washingtonpost)
Bob Fabiani
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-www.theatlantic.com;
-www.washingtonpost.com  

lunedì 18 gennaio 2021

Usa, paura di fusione fra milizie (pro-Trump) e militari per inaugurazione di Biden


 





Mancano soltanto due giorni all'inaugurazione di Joe Biden come 46esimo presidente degli Stati Uniti quando, da Washington arrivano notizie incredibili e preoccupanti.
L'Fbi sta setacciando i cv dei soldati presenti all'inaugurazione di Biden : si è appreso che il neo-presidente USA, indosserà un giubotto antiproiettili.
La capitale americana, alla vigilia  del giuramento del nuovo presidente democratico, Joe Biden, il 20 gennaio, mercoledì, è in stato d'assedio, 25 mila uomini e donne della Guardia Nazionale, in assetto da guerra, con blindati, jeep, elicotteri, posti di blocco, barriera in cemento armato vigilano perché i terroristi che hanno devastato il Congresso, il 6 gennaio, restino lontani.
Ieri era stata annunciata la Marcia delle Milizie, manifestazioni nei vari parlamenti statali, per protestare contro l'elezione di Biden e della sua vice Kamala (pronuncia Kohmala n.d.t.) Harris, e in solidarietà con il presidente uscente Trump.
Anche se queste manifestazioni sono state un flop, quello che è evidente dopo i quattro anni di #TheDonald e, del #trumpismo è che gli USA sono pericolosamente a un passo dall'abisso; a un soffio da un golpe, senza precedenti : i razzisti, suprematisti bianchi, esponenti dell'estrema destra che sostengono Trump, non accettano che il ticket, Biden-Harris, metta piede alla Casa Bianca. La voce che girava oggi, dalle parti di Washington descrive l'America come una polveriera e sotto assedio per prevenire che le milizie razziste (disposte a tutto pur di riportare Trump alla Casa Bianca ...) non si alleino con i militari, sensibili alla narrazione paranoica dell'estrema destra americana.
(Fonte:theatlantic)
Bob Fabiani
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Tunisia nel caos, migliaia di arresti, schierato l'esercito


 





Dieci anni dopo la Rivoluzione dei Gelsomini una grave crisi politica ed economica (l'ennesima ...) affligge il paese Nordafricano
La crisi attuale è anche aggravata dai pesanti ritardi nell'emergenza Covid-19.
Scontri e arresti in Tunisia. Tre notti di caos e disordini in tutto il paese, in coincidenza con l'anniversario della cacciata del dittatore Zine el-Abidine Ben Ali.orità 
Le autorità tunisine hanno arrestato 242 giovani, in gran parte minori, con l'accusa di atti vandalici.
I disordini hanno interessato oltre alla capitale, Tunisi, anche altre città, Hammamet, Sfax, Monastir e Tozeur : per disperdere le centinaia di migliaia di manifestanti, è stato schierato l'esercito.
(Fonte:jeuneafrique)
Bob Fabiani
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-www.jeuneafrique.com


domenica 17 gennaio 2021

Dieci anni dopo le Rivolte arabe in Africa e Medio Oriente: passato e futuro. Pt.1


 




A dieci anni dalle prime proteste contro i regimi arabi, AfricaLand Storie e Culture africane riflette su cos'è cambiato : arrivando a una conclusione che i cittadini non si fermeranno e presto si aprirà una nuova fase.
(Bob Fabiani)


Nel decimo anniversario delle proteste arabe che volevano sostituire interi sistemi di governo con altri più efficienti, democratici e trasparenti, il bilancio sembrerebbe misero. Solo la Tunisia ha compiuto il passaggio a una democrazia costituzionale, mentre il Sudan è nel pieno di una fragile transizione triennale. Libano, Sudan, Iraq e Algeria sono ancora alle prese con imponenti proteste, mentre in Libia, Siria, Iraq e Yemen sono in corso gravi conflitti che coinvolgono forze locali e straniere.
La maggior parte degli altri paesi arabi è regredita verso un potere autoritario ancora più duro.

Questa idea convenzionale del mondo arabo dopo un decennio di proteste è però incompleta. Un'analisi più approfondita riconoscerebbe che in tutta fretta l'area continuano a verificarsi cambiamenti importanti che condizioneranno i futuri sistemi di governo. Dieci anni non sono un tempo sufficiente per valutare in modo credibile le sollevazioni rivoluzionare arabe : "sollevazioni" perché sono proteste civili spontanee, e "rivoluzionarie" perché aspirano a cambiare totalmente i sistemi di governo e le relazioni tra stato e cittadini, compresi i valori e le azioni dei singoli individui.

Per prima cosa è importante comprendere le due cornici temporali che hanno portato alle rivolte. La prima è il cinquantennio cominciato nel 1970, durante il quale i governi militari al potere nella regione hanno usato la ricchezza petrolifera per istituzionalizzare sistemi autoritari per lo più corrotti e inefficienti. La seconda cornice copre i cento anni trascorsi dalla prima guerra mondiale, che diede origine al moderno sistema regionale caratterizzato da stati instabili e sovranità deboli.
In modo simile ai movimenti Black Lives Matter e #MeToo negli Stati Uniti, anche le rivolte arabe derivano da decenni di infruttuose proteste minori da parte di cittadini politicamente inermi contro discriminazione, disuguaglianza e crescenti povertà e disperazione. Nella loro ampiezza, profondità e longevità, nelle rivendicazioni e nell'azione politica, le rivolte arabe sono parte di un processo a lungo negato di autodeterminazione nazionale e di costruzione dello stato che i cittadini arabi chiedono, e che oggi tentano di raggiungere, con risultati contrastanti, in questa prima fase di azione collettiva.

-Le stesse rivendicazioni

Questo decennio di rivolte è storicamente significativo per diversi aspetti, che la regione non aveva mai affrontato in modo così ampio e duraturo. Il più straordinario è la continuità. Dal 2010 ci sono state proteste in metà dei ventidue paesi della Lega araba. La diffusione regionale si combina con la portata nazionale delle rivendicazioni di una maggioranza dei cittadini all'interno dei singoli stati.
Questo è emerso con evidenza di recente in Libano, Algeria, Iraq e Sudan, dove diversi gruppi confessionali, etnici, ideologici e regionali che in passato avevano protestato separatamente si sono uniti in manifestazioni coordinate. Hanno imparato che tutti soffrono delle stesse difficoltà e disuguaglianze : poco lavoro, salari bassi, istruzione e sanità scadenti, povertà e inflazione in aumento, economie al collasso, corruzione sfrenata e incuria e incompetenza delle autorità.

Le preoccupazioni condivise sono evidenti nelle rivendicazioni identiche avanzate in ogni paese. A differenza delle proteste del 2010 che facevano appello a generiche nozioni di dignità e giustizia socialed, oggi i manifestanti chiedono una serie di passi specifici di trasformazione per creare governi più efficienti, democratici e trasparenti in uno stato di diritto. Tra questi : le dimissioni dei vertici del governo, un esecutivo di transizione che organizzi nuove elezioni, una costituzione che garantisca i diritti dei cittadini, una magistratura indipendente e meccanismi anticorruzione, l'incriminazione dei funzionari che si sono arricchiti a scapito della società e dell'economia.

Ambientalisti, attivisti per la giustizia sociale, per i diritti di genere e delle minoranze, per lo stato di diritto e altri per mesi hanno unito le forze facendo pressioni per un sistema di governo che li trattasse con equità. Singoli individui e gruppi organizzati hanno lavorato insieme nelle piazze per formulare rivendicazioni e proporre soluzioni. Questo ha generato due nuovi fenomeni importanti : molte persone che non si erano mai espresse in pubblico si sono unite alle proteste (studenti, insegnanti e abitanti delle province periferiche); e molti per la prima volta nella vita hanno sperimentato cosa vuol dire contribuire a plasmare le politiche nazionali.
Inoltre i cittadini hanno creato nuove organizzazioni, dalle piattaforme mediatiche ai sindacati ai centri comunitari.
Accanto a questi e ad altri segnali della lenta nascita di un nuovo cittadino arabo però, negli ultimi anni abbiamo visto anche la brutale reazione dei regimi e dei gruppi confessionali che si rifiutano di spartire o di cedere il potere. Ovunque i regimi da tempo consolidati hanno reagito alle prime sollevazioni con promesse di riforme limitate, tra cui un nuovo primo ministro, nuove elezioni o l'aumento della spesa sociale. I manifestanti le hanno respinte come concessioni di facciata e offensive che avrebbero perpetuato le strutture di potere e le loro politiche fallimentari, e hanno continuato a scendere in piazza per abbattere i regimi. Le élite al potere, insieme alle milizie e alle bande criminali confessionali, hanno risposto con la violenza politica o militare. Hanno sparato e ucciso centinaia di manifestanti, hanno incarcerato o incriminato i leader della protesta, hanno ridotto in cenere gli accampamenti degli attivisti e hanno lasciato che le economie moribonde dei loro paesi si aggravassero ancora di più.

Le dure reazioni dei governi non hanno placato le proteste. Ma l'ha fatto la pandemia di Covid-19 esplosa a marzo. Per gran parte del 2020 la rabbia e la paura covate dai cittadini non sono riuscite a imporre nuove politiche statali e la pressione delle proteste si è dissipata. Mentre i rallentamenti economici e i timori per la salutate causati dalla pandemia hanno interrotto gran parte delle proteste, alcuni governi hanno tentato di usare la loro risposta alla crisi sanitaria per recuperare legittimità agli occhi dei loro ex sostenitori che si erano uniti alle proteste. In tutta la regione le proteste oggi sono sospese, in attesa della fine della pandemia, e i manifestanti ne approfittano per ripensare le loro strategie, i punti di forza e le debolezze, per essere preparati quando le proteste riprenderanno.
(Fonte:alaraby)
-Fine Prima Parte-
Bob Fabiani
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sabato 16 gennaio 2021

News For Africa 33° (il Continente informa)


 






Le notizie più importanti degli ultimi sette giorni dall'Africa dai quotidiani, settimanali e siti africani e, dal resto del mondo. In questo numero:

  • Benin, elezioni presidenziali a 'senso unico'
  • Uganda, Yoweri Museveni vince le elezioni presidenziali
  • Coronavirus, Seychelles riceve aiuti da Dubai e Pechino sul fronte del vaccino anti-Covid
  • Libia, la verità su Tarhuna
  • La corsa all'oro in Africa 

-Benin, elezioni presidenziali a 'senso unico'


 

Il 'presidente capo', Patrice Talon, è un candidato 'in solitario' per un secondo mandato, con un onorevole record economico dato il contesto della crisi globale.
A sfidarlo, un'opposizione indebolita, profondamente scossa dalle riforme politiche, denuncia un "voto già deciso in anticipo".
(fonte.:jeuneafrique)


-Uganda, Yoveri Museveni vince le elezioni presidenziali







Al potere in Uganda da 35 anni, Yoweri Museveni è stato rieletto per un sesto mandato. Una rielezione contestata dal suo principale rivale, Bobi Wine, che denuncia gravi brogli definendola "una mascherata".
Museveni, ha vinto le elezioni presidenziali 2021 con il 58,64% dei voti, ha annunciato la Commissione elettorale. Bobi Wine, ha ottenuto il 34,83% dei voti, fa sapere la Commissione.
L'affluenza è stata del 57,22%.
(fonte.:jeuneafrique;theafricareport)


-Coronavirus, Seychelles riceve aiuti da Dubai e Pechino sul fronte del vaccino anti-Covid







Il primo paese africano a lanciare una campagna vaccinale contro il Covid-19 è stata la Repubblica delle Seychelles, che conta d'immunizzare in tre mesi il 70 per cento dei suoi 98 mila abitanti. Come fa notare il quotidiano locale Nation, il 10 gennaio il presidente Wavel Ramkalawan, l'ex oppositore che ha vinto le elezioni a ottobre del 2020, è stato tra i primi a ricevere il farmaco sviluppato dal gruppo cinese Sinopharm. Le 50 mila dosi sono state donate dagli Emirati Arabi Uniti, che hanno interessi commerciali nell'arcipelago. Lo stesso giorno la Cina ha promesso alle Seychelles donazioni per 11 milioni di dollari per progetti di sviluppo e per le energie pulite.
Mentre l'Africa affronta la seconda ondata di Covid-19, scrive Le Monde Afrique, Pechino intensifica la sua "diplomazia sanitaria" per assicurarsi il sostegno degli alleati africani. All'inizio di gennaio il ministro degli esteri cinese Wang Yi ha visitato cinque paesi del continente, tra cui la Repubblica Democratica del Congo, dove ha discusso della pandemia con il presidente Félix Tshisekedi. L'ultima tappa sono state proprio le Seychelles, alla vigilia delle prime vaccinazioni.
(fonte.:nation;mondeafrique)


-Libia, la verità su Tarhuna







L'ong Human rights watch ha esortato il governo di Tripoli aindagare nelle fosse comuni scoperte negli ultimi sette mesi nella città di Tarhuna, 80 chilometri a Sudest della capitale, dove sono stati trovati 120 cadaveri, gli ultimi quattro il 9 gennaio, riporta Mibya Observer. "Le fosse comuni", spiega la Bbc, "sono la tremenda eredità del regno di terrore imposto per quasi otto anni da una famiglia locale, i Kani, e dalla loro milizia". Sono venute alla luce dopo che le forze fedeli al comandante Khalifa Haftar, uomo forte dell'Est della Libia, hanno lasciato Tarhuna. Nel paese è in vigore dalla fine di ottobre una fragile tregua.
(fonte.:libyaobserver;bbcafrica)



-La corsa all'oro, in Africa







La crisi economica causata dalla pandemia ha fatto schizzare alle stelle il prezzo dell'oro, tradizionalmente un bene rifugio, che ha raggiunto una cifra record nel luglio 2020. L'oro oggi costa dieci volte di più rispetto a 20 anni fa. Questo ha fatto nascere una delle più grandi e più spietate corse all'oro che l'Africa abbia mai conosciuto, scrive Africa Report.
Inoltre, sono stati individuati nuovi filoni, di cui uno che attraversa il Sahara dal Sudan alla Mauritania.
Le attività estrattive sono condotte in gran parte dalle grandi multinazionali, ma sempre più spesso attirano minatori artigianali, che rischiano la vita pur di trovare una qualche forma di sostentamento.
(fonte.:theafricareport)

Bob Fabiani
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giovedì 14 gennaio 2021

Quelle elezioni libere dalla democrazia in Uganda


 






L'ultima cosa di cui l'occidente ha bisogno in Africa è la democrazia. Eppure l'unica cosa di cui l'Africa ha bisogno più di ogni altra cosa è la capacità di scegliere i suoi leader senza ostacoli e manipolazioni.

Le elezioni saranno quindi sempre un processo complicato. Qualsiasi elezione veramente libera ed equa finirebbe per produrre governi le cui politiche sarebbero in diretto conflitto con gli interessi economici e quindi di sicurezza occidentali nella regione.
Questa non è una nuova storia, è la storia di sempre. ...

Il processo creazione per il paese africano medio (spesso noto come colonialismo ...) è stato enormemente antidemocratico. Nel caso dell'Uganda ci sono state praticamente solo due elezioni durante l'intero periodo coloniale, ed entrambe si sono svolte proprio alla fine, nel 1961 e nel 1962.

Il metodo tradizionale dell'Uganda indipendente era quello di avere un violento cambio di potere, di solito un colpo di stato : dal lontano 1966 e fino al 1986 quando arrivò Museveni. Nulla cambiò, nulla è cambiato (nel tempo) e gli ugandesi hanno sempre vissuto sotto la cappa della dittatura.
L'occidente preferisce questa soluzione e, per quanto riguarda la Gran Bretagna, rimangono molto più legati al progetto Museveni, con buona pace di coloro che credono nel cambiamento e in Bobi Wine.

I risultati delle lezioni presidenziali e parlamentari odierne saranno rese note tra due giorni.

(Fonte:jeuneafrique;theafricareporter)
Bob Fabiani
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-www.theafricareporter.com


mercoledì 13 gennaio 2021

Uganda, domani #electionday per il cambiamento


 





A un giorno dalle aperture delle urne per le elezioni presidenziali, in Uganda, è andata in scena una 'guerra digitale' di nervi.
Con l'avvicinarsi di un'elezione ugandese sotto pressione (mediatica e non solo), il social network Facebook, ha chiuso i 'profili' di personaggi vicini al potere.
Lo Stato, ossia il governo del regime di Museveni, ha risposto per le rime, sospendendo l'accesso a tutti i social network...

L'aria è tesa in tutto il paese africano.

Bobi Wine mette Yoweri Museveni sull'avviso della Corte penale internazionale.
Giovedì 14 gennaio 2021, i circa 17,6 milioni di elettori dell'Uganda esprimeranno il loro voto alle elezioni presidenziali e parlamentari. La campagna elettorale - durata due mesi - del presidente Museveni e del leader dell'opposizione Bobi Wine si è svolta sullo sfondo della pandemia da Covid-19, con la cospicua assenza del rivale storico Kizza Besigye.

Il regime di Museveni ha usato il pugno di ferro contro i principali candidati dell'opposizione, a turno, a uno a uno (compreso l'ex rapper Bobi Wine ...), sono stati picchiati brutalmente e arrestati dalle forze di sicurezza alle strette dipendenze del despota Museveni.
Dopo tre decenni, il popolo ugandese ha la possibilità di liberarsi di una dittatura militare vestita con abiti civili.

#WeAreRemovingADictator è lo slogan comparso sui social network - prima che fossero oscurati - da parte di coloro che sognano un'altra stagione per l'Uganda e, ripongono, tutte le loro speranze nella figura di Bobi Wine.

L'Africa è gestita da uomini stanchi, anziani e trasformati in usurpatori seppure, erano uomini che rappresentavano 'meraviglie' di un'altra epoca, di un'altra generazione. Ma questi uomini ormai sono depositari di un 'pensiero terminale' e, tuttavia, si ostinano a scegliere deliberatamente di ipotecare il futuro di oggi. Ma arriva un momento in cui i cittadini, le nuove generazioni, si fanno portavoce del cambiamento perché ne hanno abbastanza.

(Fonte:jeuneafrique;theafricareport)
Bob Fabiani
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-www.theafricareport.com   

sabato 9 gennaio 2021

L'ultima regina del Madagascar, Ranavalona III (torna in Africa l'abito della regina)


 




Torna a palazzo l'abito violetto in seta e velluto ricamato con perle che  appartenne a Ranavalona III, l'ultima regina del Madagascar. Per 43 mila sterline, l'equivalente di 47.500 euro, insieme con lettere personali e cimeli di corte, è stato acquistato dal governo dell'isola africana durante un'asta della casa londinese Kerry Taylor Auctions
Era stato ritrovato in una soffitta del sud dell'Inghilterra, in casa della discendente di una dama di compagnia di origini irlandesi.


 




La storia di Ranavalona fu straordinaria e anche dolorosa. Salì al trono nel 1883, a 22 anni, mentre sul Madagascar si allungava l'ombra dell'offensiva coloniale dei francesi. Dopo l'occupazione della capitale Antananarivo, restò qualche anno a palazzo con un ruolo simbolico. Poi però fu accusata di soffiare sulle rivolte popolari e tramare contro i francesi, d'intesa con gli inglesi che anni prima avevano diffuso il cristianesimo sull'isola con i loro missionari e curato le prime traduzioni dal malgascio.
Nel 1897 fu deportata nell'isola di Réunion e in seguito in Algeria, all'epoca pure colonia francese. Nelle lettere andate all'asta sono menzionati infine viaggi a Parigi, dove Ranavalona si recò più volte con la sua dama di compagnia, per acquisti e incontri, diventando da esule una beniamina dell'aristocrazia locale.





Alla sovrana, che morì ad Algeri a 55 anni, non fu mai permesso di rivedere il Madagascar. Ora il suo corredo torna ad Antananarivo, nelle sale del Palais de la Reine, il palazzo della regina, da poco restaurato e riaperto al pubblico.




Andry Rajoelina, il presidente del Madagascar, che dal 1960 è una repubblica indipendente, ha celebrato "una riappropriazione della storia e del patrimonio culturale della nazione". E' un tributo postumo a Ranavalona ha accomunato anche le due ex potenze coloniali che si erano fronteggiate per il monopolio delle rotte, del legame e della vaniglia della Grande Isola dalla Terra Rossa. Se a Londra la Società anglo-malgascia ha messo a disposizione i fondi per l'acquisto dei cimeli nel nome di "una lunga storia di amicizia", la Francia ha restituito al "Palais" il baldacchino dell'ultima regina.
(Fonte:bbc;lexpress;lemonde)
Bob Fabiani
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-www.bbc.com/africa;
-www.lexpress.mg;
-www.lemonde.fr/afrique 

News for Africa n°32 (il Continente informa)


 




Primo appuntamento per il 2021 con News for Africa : l'appuntamento settimanale di AfricaLand Storie e Culture africane che posiziona la lente d'ingrandimento con le notizie da tutto il Continente africano. In questo numero :

  • Coronavirus, la lunga attesa del vaccino in Sud Africa
  • Africa, commercio senza barriere
  • Niger, tre giorni di lutto
  • Diplomazia, riprendono i colloqui fra Etiopia, Sudan ed Egitto
  • Repubblica Centrafricana, i ribelli rilanciano l'offensiva
  • Uganda, Bobi Wine sfida Museveni alle presidenziali 2021
  • Camerun, kamikaze di Boko Haram fa strage di civili
  • Mali, bomba sulle nozze. Parigi nega coinvolgimento 



-Coronavirus, la lunga attesa del vaccino in Sudafrica




In Sudafrica la pandemia di Covid-19 torna a far paura dopo l'accelerazione dei contagi cominciata prima di natale e la scoperta di una variante locale, più infettiva, del sars-cov-2.
Il paese ha registrato più di 1,1 milioni di casi e 30 mila decessi. Anche nel vicino Zimbabwe, visto la situazione critica, è stato imposto un nuovo lockdown
Il governo sudafricano è sotto accusa per i vaccini, che non sono ancora arrivati nonostante nel paese siano stati condotti quattro test clinici, tra cui quelli della Pfizer e dell'AstraZeneca. I sindacati, i medici e l'opposizione rimproverano al presidente Cyril Ramaphosa di essersi mosso troppo tardi, spiega The Citizen. L'azienda statunitense Moderna non ha intenzione di distribuire il suo farmaco in Africa, mentre la Pfizer ha promesso le prime dosi (il cui prezzo è troppo alto per le autorità sudafricane) a marzo. 
I farmaci garantiti dall'iniziativa per un vaccino equo Covax copriranno solo il 10 per cento della popolazione e non arriveranno prima di mesi.
Finora sono state distribuite 15 milioni di dosi di vaccino in 35 paesi del mondo, ma nessuna in Africa.
(fonte.:citizen.co.za)


-Africa, Commercio senza barriere







Il 1 gennaio 2021 è entrata in vigore la zona di libero scambio continentale africana (Afcfta).
All'accordo sulla libera circolazione di merci e persone hanno aderito 54 paesi, 34 dei quali l'hanno già ratificato, scrive Africa News. L'obiettivo è stimolare il commercio (oggi pari al 16 per cento degli scambi complessivi) abolendo quasi totalmente i dazi doganali su prodotti e servizi entro quindici anni. Tuttavia, avverte il segretario generale dell'Afcfta, Wambele Mene, armonizzare le procedure e creare le infrastrutture necessarie richiederà molto tempo.
(fonte.:africanews)



-Niger, tre giorni di lutto







Il Niger ha osservato tre giorni di lutto per le cento vittime degli attacchi del 2 gennaio contro due villaggi del dipartimento di Ouallam, nella zona delle "tre frontiere" (Niger, Burkina Faso e Mali), riporta il sito Le Sahel.
Il massacro, uno dei più gravi contro i civili nella storia del paese, è stato attribuito ai jihadisti, ma non è stato rivendicato. Il Gruppo di sostegno all'islam e ai musulmani, alleanza jihadista affiliata ad Al Qaeda, si è assunto la responsabilità dell'uccisione di due soldati francesi in Mali il 2 gennaio, ma ha negato il suo coinvolgimento negli attacchi nigerini. La Francia, che ha già perso cinquanta soldati da quando è intervenuta militarmente nel vicino Mali nel 2013, ha annunciato un'imminente riduzione del contingente impegnato nel Sahel. Nel frattempo i nigerini si preparano al ballottaggio presidenziale del 20 febbraio. Al primo turno del 27 dicembre 2020, è arrivato in testa con il 39 per cento dei voti Mohamed Bazoum, candidato del partito al potere ed ex ministro dell'interno. Il suo avversario è l'ex capo di stato Mahamane Ousmane.
(fonte.:lesahel)


-Diplomazia, riprendono i colloqui fra Etiopia, Sudan ed Egitto

Il 3 gennaio Etiopia, Sudan ed Egitto hanno deciso di riprendere i colloqui, bloccati da novembre, sulla diga Grand ethiopian renaissance.
Khartoum e Addis Abeba hanno riaperto il dialogo anche sul territorio conteso di Al Fashaga, dove ci sono stati scontri tra i soldati dei due paesi.
(fonte.:jeuneafrique)


-Repubblica Centrafricana, i ribelli rilanciano offensivi

Faustin Archange Touadéra è stato rieletto presidente il 27 dicembre 2020 con il 54 per cento dei voti in un momento di forte instabilità. Il 19 dicembre una coalizione di milizie ribelli ha lanciato una nuova offensiva e il 3 gennaio ha attaccato la città di Bangassou, nel sudest.
Intanto, aerei da guerra francesi hanno sorvolato quest'oggi i cieli della Repubblica Centrafricana, per la prima volta dopo le elezioni presidenziali.
(fonte.:jeuneafrique;lemonde)


-Uganda, Bobi Wine sfida Museveni alle presidenziali


 




Giovedì 14 gennaio, alle elezioni presidenziali, il leader Yoweri Museveni, al potere dal 1986, tenterà di ottenere l'ennesimo mandato.
Il concorrente principale è un personaggio conosciuto in Uganda, in arte Bobi Wine, ex cantante - rapper, 38 anni. Dall'inizio della campagna ha denunciato continue violenze da parte delle forze di sicurezza. La campagna elettorale è stata segnata da scontri sanguinosi, con altri 50 morti, sono seguiti anche a uno dei suoi numerosi arresti. Il regime di Museveni ha cercato in tutti i modi di fermare Bobi Wine senza riuscirci : la voglia di cambiamento degli ugandesi insieme alla speranza di un'Uganda più moderna e solidale passa, attraverso la vittoria presidenziale dell'ex rapper.
(fonte.:bbcafrica)


-Camerun, kamikaze di Boko Haram fa strage di civili

Sono almeno 12 i civili (tra cui 8 bambini) uccisi ieri in un villaggio del nord del Camerun, Mozogo, in un attentato suicida. A farsi esplodere è stata una donna, primo sospettato il gruppo islamista Boko Haram.
Il capo villaggio, Mahamat Chetima Abba, all'Afp ha raccontato che gli assalitori sono arrivati di notte armati di machete. Durante la fuga degli abitanti, la kamikaze si è fatta saltare in aria. Da tempo il nord del Camerun subisce incursioni di Boko Haram dalla vicina Nigeria, dove è attivo dal 2009, con un bagaglio di oltre 36 mila morti e 3 milioni di sfollati.
(fonte.:afpafrica)


-Mali, bomba sulle nozze. Parigi nega coinvolgimento

L'attacco dal cielo che domenica scorsa ha ucciso 19 civili durante un matrimonio nel villaggio di Bounti, Mali centrale, sarebbe stato condotto dall'operazione a guida francese Barkhane. O meglio, Parigi ammette di aver bombardato l'area nella regione di Douentza, ma - aggiunge - le vittime non sarebbero civili ma membri della formazione qaedista Jnim : dopo le accuse dei residenti di Bounti, nella cosiddetta "zona delle tre frontiere" (Mali, Burkna Faso e Niger), Parigi ha affermato di aver colpito con tre bombe un gruppo di 40 uomini in un'area a un km di distanza dal villaggio.
(fonte.:jeuneafrique;liberation)

Bob Fabiani
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