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venerdì 31 agosto 2018

LIBERIA, A CHE PUNTO E' LA 'RIVOLUZIONE' PROMESSA DA 'KING GEORGE'?




Sono trascorsi più di 100 giorni da quando George Weah, vincendo le elezioni presidenziali dello scorso gennaio, ha preso le redini del timone in Liberia, portando con sé, un'immensa speranza tra i liberiani.

Come sta procedendo questa sfida epocale? Quali sono i risultati raggiunti (e quelli ancora da raggiungere)?

AfricaLand Storie e Culture africane con questa inchiesta cercherà di rispondere a questi quesiti.




-La sfida di George Weah per una Liberia più equa e solidale

Arrivando nella plancia di comando della Liberia sull'onda trionfale della vittoria elettorale, 'King George' e il suo staff, hanno trovato soltanto "53 dollari" nelle disastrate casse dello Stato africano, e in quell'istante, forse per la prima volta, il nuovo presidente, ha avuto la "vera percezione della sfida" che, da quel momento in avanti, si trovava a dover affrontare per i prossimi 5 anni.
Immediatamente dopo questa amara sorpresa, in tutta la Liberia, l'euforia per la vittoria dell'ex stella del calcio mondiale, ha lasciato il passo, allo stato d'ansia che ha attecchito in tutti i settori della società civile.




"Il piano di Ellen Johnson-Sirleaf* non ci ha lasciato molto. Niente soldi, poche possibilità di intervento. Non sapevamo se eravamo di nuovo al muro o al margine del precipizio. E' stato un grande salto verso l'ignoto".

A parlare in questo modo è uno dei consiglieri del nuovo presidente liberiano e, da un certo punto di vista, rende bene l'idea dei molteplici problemi di questa amministrazione dal momento che, la Liberia, è certamente uno dei più disastrati Stati africani, devastato da anni di guerre etniche e civili e anche dalla tragedia dell'epidemia di ebola.

-Buona volontà e feroce convinzione presidenziale per raggiungere gli obiettivi

Weah è determinato nel suo lavoro proprio come lo era da calciatore quando, seppe vincere il 'Pallone d'oro' unico atleta africano a raggiungere tale traguardo nel mondo del football internazionale da sempre appannaggio degli atleti bianchi europei oppure sudamericani.

"E' determinato. Concentrato. Pronto per vincere la sfida", assicurano quanti, in questi mesi lo hanno incontrato.

Ma i problemi non mancano.

Le prime settimane 'King George' le ha occupate per formare la sua squadra, il suo gabinetto, il suo governo: ma tuttavia, causa anche qualche scelta non troppo felice, si registra una preoccupante incapacità nel convincere (appieno) che, in Liberia sia effettivamente iniziata una nuova stagione, quella che deve mettere fine alla corruzione dilagante.

"Hanno cambiato l'intera amministrazione, non solo le figure di spicco", spiega un osservatore di Monrovia, la capitale della Liberia "questa è l'usanza, ma ha anche portato alla ribalta molti volti nuovi, digiuni di esperienza politica", e conclude "il problema è sopratutto nella carenza di personale qualificato".

Questa opinione del tutto tranchant (ma assolutamente corrispondente alla verità) non è solo sostenuta dall'osservatore della capitale ma, sostanzialmente trova, concordante anche un ministro di 'King George'.


-Promesse




I primi mesi dunque della 'presidenza Weah' sono volati via tra luci e ombre, tra passi falsi, promesse e forti aspettative. Il nuovo presidente, ha provato a impressionare partner, avversari e opinione pubblica quando, ha abbassato del 25% il suo stipendio da Presidente e, con questa mossa, ha fatto in modo che a seguirlo fossero i suoi (poco entusiasti) ministri.

Se questo è indubbiamente un segnale incoraggiante, per il resto, gli altri annunci (con tanto di promesse declamate durante la campagna elettorale che lo hanno portato alla guida del paese), hanno subito pesanti impasse; restando al palo.
A cominciare dalla 'Riforma Costituzionale', con la quale si vuole porre fine alla concessione della nazionalità liberiana alle "persone di colore" e, per consentire (attraverso il varo della nuova legge) ai liberiani di avere una doppia nazionalità: oltre 100 giorni dopo l'avvio del suo mandato, non è ancora partita.

Discorso identico per un'altra priorità del programma di 'King George', ossia per la "facilitazione per possedere terreni" in tutto il paese africano; una legge, una misura chiaramente rivolta a favorire gli stranieri. Il presidente ha sempre illustrato questa misura come necessaria per attrarre investitori stranieri.
Purtroppo neanche le "semplificazioni delle formalità Amministrative", sono riuscite ad andare in porto e così, agli occhi del rappresentante di un importante gruppo europeo, la Liberia appare ferma, paralizzata: come se la vittoria di Weah non ci fosse stata.

-Sconfitte internazionali

In questo primo scorcio della nuova presidenza liberiana c'è un fronte dove i conti non tornano. Su questo fronte, per 'King George' sono state solo dolorose sconfitte.

"A Parigi, volevamo l'aiuto finanziario di Emmanuel Macron, ma non l'abbiamo ricevuto. Ad Abuja, abbiamo sollecitato l'invio di professori nigeriani in Liberia a Buhari, ma il presidente non ha dato seguito alla nostra richiesta, snobbandola in modo umiliante", ammette un membro della squadra del presidente liberiano.


-Sfide interne

Nessuno pensava dopo la vittoria presidenziale di George Weah che in poco tempo, i problemi di lungo corso della Liberia potessero azzerarsi d'incanto però, dalle parti di Monrovia si sognava un avvio differente e, sopratutto con qualche successo in più.
Il nuovo presidente era al corrente che le sfide erano enormi e dunque si suppone che, non sia impreparato di fronte alla realtà; una realtà molto meno sfavillante di quella a cui era abituato quando era una 'star del calcio mondiale'.

Al momento tutte le sfide epiche lo vedono in difficoltà se non nella spiacevole posizione di colui che deve recuperare il terreno perduto: a cominciare dalla "lotta alla corruzione" da debellare in toto ma purtroppo del tutto inesistente.

A Monrovia e in generale nell'intera Liberia la corruzione delle élite continuano ad imperversare come prima se non addirittura, meglio di prima.
In campagna elettorale, Weah aveva promesso lo "sviluppo dell'elettricità" ma a oggi, soltanto il 19% del paese ha accesso all'elettricità (e il dato è tristemente simile a prima del suo mandato): ma qualcosa si muove. Tra indicibili lentezze e problemi il lavoro (su questo specifico tema) ha iniziato a connettere nuovi quartieri della capitale.

Troppo poco.

E' indubbio che il presidente Weah passi le sue giornate lavorative per risolvere i problemi dei poveri che, qui, in Liberia sono la maggioranza assoluta, come nel resto del Continente Nero ma, obbiettivamente, i risultati, al momento sono pochi, per non dire del tutto insoddisfacenti.

-Delusione collettiva

Nel quadro che si va delineando di questo primissimo scorcio di "Presidenza Weah" bisogna anche registrare una delle delusioni più grandi, quella che ha aumentato la sfiducia della società civile intorno alla figura del presidente. Tutto si materializza a fronte di una scelta infelice di Weah sul fronte delle alleanze.
Non è stata una mossa troppo scaltra quella di allearsi con l'ex moglie di Charles Taylor (Jewel Howard-Taylor) e con Prince Johnson, ex leader delle milizie che ai tempi della cruenta guerra civile, si macchiò di gravi crimini contro i liberiani, sopratutto tra i civili.

In conclusione, si può dire che 'King George' come presidente deve maturare e, possibilmente invertire subito la tendenza di boicottare  la libertà di stampa: è spiacevole e molto inquietante le minacce fatte pervenire contro giornalisti della Bbc e, addirittura l'arresto di altri cronisti sfociati poi nella chiusura di 'Front Page Africa'.

Non ha davvero perso tempo Weah nel cadere nel tragico errore che molti leader africani intraprendono quando sono al potere: ossia, si sentono padroni assoluti del paese che guidano e, mentre sono nella plancia di comando non desiderano essere disturbati.

Brutto segnale.

Si pensava che Weah fosse un presidente moderno e intendesse portare il cambiamento in seno alla Liberia facendo scelte giuste, di netta discontinuità con il passato, un passato tragico che ha regalato solo lutti e distruzione.

Critiche su questo specifico punto sono pervenute al presidente liberiano da parte di Mathias Hounkpe, ricercatore della Liberia e direttore del programma della Fondazione OSIWA che parla apertamente di: "segnali poco rassicuranti" e aggiunge "ma per il momento, sentiamo che la popolazione li considera come goffaggine", ma intanto la delusione è palpabile dentro la società civile e conclude "presto potrebbe sfociare in vero malcontento sociale".

-Conclusioni

Riuscirà Weah a risolvere tutti questi problemi durante il suo primo mandato presidenziale?
Non si possono fare previsioni e, tuttavia, è ancora presto per parlare di fallimento, certo, non è un buon segnale l'impazienza contro i giornali all'indomani delle critiche ricevute per il suo operato: "Ma di cosa stanno criticando?" , sbotta nervosamente il presidente che, al momento è rimandato al prossimo step, ossia, al traguardo del primo anno di presidenza, forse per quella data si avrà un quadro più veritiero del suo operato.

La partita è tutta in salita e se non vuole perderla prima del tempo sarà bene che riesca a portare a termine qualcuna delle sue rivoluzionarie promesse con le quali aveva saputo incontrare il favore dei liberiani che, nonostante tutto, in lui ancora credono.
(Fonte.:jeuneafrique)
Bob Fabiani
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-www.jeuneafrique.com    
 

giovedì 30 agosto 2018

Epidemia di colera in Algeria tra psicosi e dramma collettivo







Cresce la "psicosi colera" in Algeria.
Ma non si tratta di percezione oppure becero allarmismo a buon mercato (popolare). In effetti, l'epidemia di colera divampata nello Stato del Nord Africa, presenta già un conto molto alto: sono 60 i casi confermati e, di questi, 11 sono stati registrati ad Algeri, la capitale.




Il colera aveva fatto ritorno in Algeria, nei primi giorni di agosto 2018 gettando nel panico l'intera popolazione: l'ultima volta che si era registrata la drammatica epidemia era stato 22 anni fa.

Il paese è in preda al caos e a un vero e proprio dramma collettivo. La popolazione è nel panico mentre, si registrano carenze strutturali tra, cibo boicottato nei negozi (bazar) e, corsa, scomposta, a tratti isterica, verso gli ospedali.




Il colera ha colpito in 6 posti differenti: da Bouira a Blida, Tipaza, da Algeri a Médéa e infine Ain Defla.
A contribuire all'escalation di panico tra la popolazione algerina, ha contribuito l'annuncio, il 28 agosto 2018 del Ministero della Sanità:

"A partire dal 27 agosto 2018, 59 casi di colera sono stati confermati e, sono stati registrati ulteriori 26: su 172 persone ricoverate negli ospedali, sono proprio 26 quelli risultati negativi, dal 7 agosto", ha dichiarato lo stesso ministero che poi, ha anche diffuso la notizia che sarebbero 60 le persone dimesse.

Intanto però negli ospedali di tutta l'Algeria (come nel caso di Boufarik, nel distretto Wilaya di Blida, situato a circa 50 km a Sud di Algeri n.d.t.) 2 persone sono decedute a causa del virus.

Tuttavia al Ministero della Sanità regna la confusione e il caos: dopo il comunicato in cui si affermava che l'epidemia sta prendendo piede in Algeria, dallo stesso dicastero, si affrettavano a confermare che il "colera sarà sradicato entro tre giorni", lo riporta l'agenzia di stampa algerina, APS.
(Fonte.:jeuneafrique;afp)
Bob Fabiani
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-www.jeuneafrique.com;
-www.afp.com   

mercoledì 29 agosto 2018

#EuropaSenzaMuri contro tutte le destre xenofobe e razziste europee: cosa ci insegna la "Resistenza dell'#Italiaresistente" dopo #NaveDiciotti e #SummitOrbanSalvini





La parabola inaugurata da "Orban il razzista" l'estate 2015 ha avuto ieri, tre anni dopo, il suo naturale sbocco e approdo. Colpevolmente lasciato fare indisturbato dai "dotti e sapienti soloni" di stanza a Bruxelles quando, in quella torbida estate, tornavano a comparire nella civilissima Europa (quella che è sempre pronta a distribuire disgustose lezioncine razziste ai danni delle altre Culture n.d.t) non solo i muri e i fili spinati che solcavano, marcavano i confini magiari ma, le disgustose "deportazioni di Stato" che hanno dato fiato, coraggio e infine spinta squadrista alle ondate di rigurgito nazionalfascista che tanto va di moda sempre in quell'occidente che si sente, lunico depositario della "verità suprema". Mai da mettere in discussione.

Storia vecchia e portatrice di drammi e tragedie che solo ora - ripetiamo a tre anni di distanza da quella estate che sancì la fine dell'Europa; quell'Europa solidale, accogliente che, di crisi in crisi è stata mandata in soffitta - è stata intercettata dal resto della ciurma in Italia come altrove in Europa.
Non ci sono sorprese, non c'è da stupirsi se, tutto questo è la naturale evoluzione dopo tragici errori di quella Socialdemocrazia che, un giorno dopo l'altro, non ha trovato nulla di meglio (né lo straccio di una idea) che non fosse quella di rincorrere, copiare, addirittura preparare il terreno alle peggiori "spinte reazionarie" che oggi hanno avuto (ieri a Milano a Piazza San Babila, 28 agosto 2018 n.d.t) l'ufficialità della "chiamata alle armi" in chiave sovranista per il #summitOrbanSalvini.




Un volgare incontro tra leader (se così si possono definire) che apre il terreno nel naturale habitat del #ministrodellapaura del governo italiano con approdo finale: le elezioni europee 2019. Del resto lo sappiamo che l'inquilino di stanza al #Viminale si trova a proprio agio in perenne campagna elettorale, come un volgare tribuno.

Eppure è innegabile che alcune "lezioni" in queste settimane agostane siano arrivate finalmente in quella galassia disorientata che risponde al nome di "sinistra": prima nel Porto di Catania (#CataniaAccoglie) durante l'"Affaire Diciotti  #vergognanazionale e, ieri, nella ricorrenza del 55°esimo anniversario del discorso di Martin Luther King : #IHaveADream.

In uno dei passi di quello storico discorso pronunciato dal leader per la difesa dei diritti civili della comunità afroamericana - nella storica oceanica #MarciasuWashington c'è un passaggio (tra i tanti) che, la mobilitazione messa in campo a Milano (55 anni dopo!) - sede del summit tra Orban e Salvini n.d.t) ha ribadito nei confronti di questi nuovi-vecchi leader che oggi dettano l'agenda europea, come naturale epilogo di quella disastrosa "crisi di sistema" che ha sancito, una volta per tutte, il definitivo stato del "capitalismo morente", benzina indispensabile di vecchi-nuovi odi razziali e distorsioni autoritarie in chiave nazionalfascista.

Ecco le parole di Martin Luther King quel giorno a Washington, DC, 28 agosto 1963:

"Noi riteniamo verità evidente che tutti gli uomini sono creati uguali". 







La mobilitazione di Milano è importantissima perché segue quella del Porto di Catania: è un chiaro messaggio indirizzato al #ministrodellapaura che si crede il nuovo-vecchio padrone della "locomotiva italica".
Importante perché da Piazza San Babila è arrivata una presa di posizione, netta, precisa, ostinata e contraria a questa deriva razzista imbevuta di odio razziale che deve essere estirpato senza tanti giri di parole. La mobilitazione non è stata né banale né sconclusionata perché, le migliaia di milanesi (e di tutti gli altri arrivati da tutta Italia n.d.t) hanno costretto (per la seconda volta nel breve spazio di pochi giorni!) una modifica sostanziale della "narrazione a senso unico". Intendiamoci, non è che sia stata accolta benevolmente anzi, verrebbe da dire quasi l'opposto, non fosse altro per la qualità (sempre troppo deficitaria) dell'informazione in questo paese.

Ma non hanno potuto censurare fino in fondo quello che accaduto tra Catania e Milano. Sono due formidabili esempi di cosa può fare non solo la mobilitazione ma l'"unità di intenti", la coralità popolare quando decide di prendersi lo spazio e rivendicare il rispetto dei diritti civili.

Siamo consapevoli si tratti solo dei primi passi ma era, tuttavia, fondamentali compierli in vista di un autunno in cui bisognerà vigilare in modo preciso, continuativo, gli uni al fianco degli altri perché, questo paese è sotto tiro, si trova tra due fuochi contrapposti: da una parte Bruxelles e, dall'altra l'#EsecutivoGialloVerde che, vistosi messo alle spalle (sul fronte dei conti Pubblici-Privati ... vorremmo che fosse chiaro una volta per tutte: il disavanzo dei conti italiani sono stati creati dai 'soloni del capitalismo accattone italico' che poi, li ha sempre sversati sul groppone dei cittadini) si accanirà in modo cruento contro migranti, rifugiati, minoranze etniche e poveri.

A questo è anche servito il #SummitOrbanSalvini oltre a ribadire quella "chiamata alle armi" di tutte le disgustose destre estreme, xenofobe che stanno producendo il deserto sociale (ripetiamo ben avviato dai discutibili governi socialdemocratici degli '90 n.d.t) un po' in ogni angolo del Vecchio Continente.

Ma ieri Milano ha risposto, ha fatto sentire la voce contraria a questa visione muscolare, oscurantista, da risacca che tanto piace agli #OrbanSalvini spalleggiati dal turpe reazionario, "cavaliere nero" quel Steve Bannon che finanzierà l'"offensiva finale" per andare alla conquista della "Locomotiva Europa" (con il bene placido di Trump-Putin n.d.t) come già lo è stata qui, a Roma la "locomotiva Italia".




Questa partita si giocherà per intero sulla pelle dei migranti, degli ultimi perché così facendo si prepara quel terreno che questi nuovi-vecchi leader delle destre estreme sognano da almeno 50 anni ossia, da quel "Maggio 1968" che scalzò (seppure per poco) quella visione della vita in chiave autoritaria, tutta giocata sul fronte della cancellazione (o del non rispetto) dei diritti civili e fondamentali che, per esempio, sempre nell'aprile di quel 1968 portò alla messa in atto dell'assassinio di Martin Luther King.




E' la nuova-vecchia "Lotta di classe dall'alto verso il basso" quella che vogliono portare avanti la cloaca disgustosa e dai miasmi irrespirabili delle destre xenofobe di cui #OrbanSalvini si mettono a capo (sapendo di poter usufruire di straripanti somme di denaro messe a disposizione dal "lobbista Bannon" n.d.t) per vincere le elezioni 2019, in Europa mentre, nel tempo che ci separa da quell'appuntamento elettorale, sul piano interno, come è accaduto sempre ieri, 28 agosto 2018, in località Rocca di Papa (a pochi chilometri da Roma n.d.t), si contrapponevano #2Italie e in mezzo gli agenti delle forze dell'ordine che, come sempre, guardavano in cagnesco solo dalla parte di chi si opponeva ai fascisti scesi in strada con i loro ridicoli "slogan infarciti di odio razziale", architettati dalle metastasi delle "fake news" che ripetono come mantra e contro cento (dicasi 100!) rifugiati dopo l'odissea della #NaveDiciotti, una #vergognanazionale senza precedenti e chi è costata anche una vagonata di soldi pubblici.




Eppure i messaggi arrivati da Catania e Milano sono chiari: l'#EuropaSenzaMuri è l'unica medicina possibile per non (ri)piombare nella tragedia delle dittature nazifasciste del Novecento e per difendere i diritti fondamentali di tutti e tutte, Migranti e Rifugiati, Donne e Bambini che fuggono da torture di stato e da quelle dittature che tanto piacciono ai tipi come #OrbanSalvini.
Milano ha ribadito: #NoPasaran!
(Fonte.:repubblica;stampa;fattoquotidiano)
Bob Fabiani
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martedì 28 agosto 2018

Martin Luther King "I Have a Dream": 28th August 1963, March On Washington for Jobs and Freedom - FOTO DEL GIORNO




Sono passati 55 anni da quel giorno di agosto del 1963 quando, una intera comunità, quella afroamericana si mise in "Marcia su Washington" per chiedere e pretendere il rispetto dei diritti civili per i neri d'America ma anche per difendere i diritti fondamentali, irrinunciabili per tutte le minoranze, i poveri e, in quella occasione, il leader del Movimento dei diritti umani e della comunità "black" pronunciò il memorabile discorso "I Have a Dream".

Ne riproponiamo alcuni estratti:

"Ho un sogno che un giorno questa nazione si leverà e vivrà secondo il vero significato del suo credo: 'Noi riteniamo queste verità evidenti di per sé; che tutti gli uomini sono creati uguali'.

(...)

Ho un sogno oggi.
Ho un sogno che un giorno, giù in Alabama, con i suoi feroci razzisti e quel governatore le cui labbra grondano parole di interposizione e di annullamento delle leggi federali, un giorno, proprio lì in Alabama, i bambini e le bambine neri possano prendere per mano i bambini e le bambine bianchi e camminare come fratelli e sorelle.
Ho un sogno oggi".

Washington, DC, 28 agosto 1963 - Estratto dal discorso tenuto alla Marcia di Washington

(Fonte.:archivio fotografico africalandilmionuovoblog)
Bob Fabiani
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L'IPER-ATTIVISMO DI MACRON PER METTERE IN CAMPO 'NUOVE ALLEANZE' SU TUTTI I 'FRONTI CALDI' DEL MONDO (IN PARTICOLARE #AFRICA E #MO)




Il presidente francese Emmanuel Macron ha ricevuto nella giornata di ieri, 27 agosto, tutti gli ambasciatori francesi all'#Eliseo.
L'occasione è stata quella di un vero e proprio "discorso programmatico" al quale, nei prossimi mesi e anni, si dovranno attenere tutti i funzionari d'oltrealpe, con compiti specifici di "diplomazia ai massimi livelli".

L'appuntamento di ieri è servito al presidente Macron (in netta difficoltà sul fronte interno e, in caduta libera nei sondaggi di gradimento dei cittadini), per mettere a fuoco, in circolo una nuova (aggressiva) strategia internazionale della Francia.




Entriamo più da vicino su quanto ha chiesto Macron agli ambasciatori francesi.

Occhi puntati su alcuni nodi cruciali e, altrettanti "dossier" nuovi di zecca eppure non privi di rischi per la Francia. I

In cima ai "desiderata presidenziali" c'è a sorpresa (ma poi fino a un certo punto visto l'iper-attivismo degli ultimi anni e mesi in particolare) di questo presidente sul Nord Africa. Non si tratta certo di una prima volta assoluta per Parigi però, sicuramente, se gli ordini del presidente "En Marche" dovessero infine, andare a segno; si tratta di una novità (per le conseguenze che ne deriveranno). In questa ottica (in pratica, una sorta di riallineamento ... come avveniva ai tempi della guerra fredda dello scorso secolo), sorprende forse, un po' meno, quello che ha intenzione di fare Macron in Medio Oriente.

In un discorso, non privo di muscolarità (del resto sono questi i tempi), Macron vuole che il suo Paese, la Francia, prenda in mano le redini su alcuni temi delicati: a cominciare dalle "questioni delle migrazioni" e, questo significa, concentrarsi (in modo massiccio ... senza escludere future campagne militari a ... tutto campo) sulla "sicurezza" (un occhio di riguardo necessario, ha spiegato un Macron più risoluto del solito di fronte la platea della diplomazia francese che lo ha ascoltato in religioso silenzio; sul piano interno per scavalcare e ... prendere in contropiede, il populisno di estrema destra di Marie Le Pen n.d.t). E se questa dunque è la priorità, a stretto giro di posta, il presidente ha messo subito sul piatto la "Questione Sahel".

Di cosa si tratta?

In pratica dalla riunione sono usciti solo brevi dispacci - per altro per prassi consolidata nel tempo dai vari presidenti francesi prima di lui; è stata distribuita una circolare per i giornalisti addetti all'Eliseo e, che lo seguono anche in queste occasioni): la riunione era rigorosamente "a inviti" e, comunque, nessuno dei giornalisti presenti ha potuto fare domande al presidente.

Macron su questo punto specifico - ossia - la "Questione Sahel" ha, in pratica chiesto ai suoi ambasciatori di "proporre la Francia a capo delle varie spedizioni internazionali"  che avranno il compito (per nulla semplice!) di sbarrare la strada (anche in modo muscolare ... non escludendo quindi futuri scenari della tanto inflazionata "lotta al terrorismo" n.d.t) ai migranti; senza andare troppo per il sottile.
Tutti qui, a Parigi, sono consapevoli che questa sarà la partita decisiva, affinché, il discutibile "piano europeo" di chiusura (netta) dei propri confini, in modo che le migrazioni cessino, così, da un giorno all'altro.





Prima di riservare l'Ultimo colpo di scena del suo discorso, Macron, ha cambiato scenario e continente, introducendo l'altro dossier che non lo fa dormire tranquillo, da quando ha messo piede all'Eliseo. Si tratta dei "Dossier Siria e Iran".

Su questo scenario, Macron vuole che la Francia, diventi "sponsor" (come vedremo più avanti anche sull'altro fronte, ossia il Nord Africa n.d.t) di nuove alleanze in funzione "anti-Russia" (Siria) e "anti-America" (Iran).

Il messaggio è chiaro: d'ora in poi, ha fatto capire il giovane presidente; non si potrà né prendere decisioni né riscrivere asset, senza essersi confrontati e seduti intorno a un tavolo con Parigi. In pratica, Macron sembra voler guidare l'intera Europa (naturalmente in chiave francese n.d.t) a negoziati (per nulla scontati) sia con Putin sia con Trump. Tuttavia, almeno ieri, Macron, non ha voluto scoprire troppo le sue carte: nel dare mandato ai suoi ambasciatori di lavorare per garantire a Parigi nuove intese, non si è capito se, effettivamente, il presidente francese voglia mettersi di traverso sia sul "fronte siriano" (nel momento in cui si vorrebbe procedere con una nuova distribuzione del territorio, ripetendo in pratica quello che si face con l'Iraq più di un secolo fa, ossia creando nuove aeree regionali che non hanno per nulla funzionato), e, se, per quanto riguarda l'Iran, egli voglia effettivamente spingersi per fermare i propositi bellicosi dell'America di Trump (qui su mandato dell'UE n.d.t).

Leggendo i propositi e i nuovi asset di Macron (sopratutto) sulla Libia - altro dossier scottante al pari di quello della Tunisia - in molti a Parigi hanno iniziato a far circolare supposizioni e "desiderata"del giovane presidente, circa la Françafrique.

Che ne sarà appunto dell'egemonia nella Françafrique se, gli ordini di Macron saranno portati a termine dagli ambasciatori francesi sparsi nel mondo?





Qualcuno nella capitale francese (e dintorni) pensa che il presidente stia pensando seriamente di farla finita con la Françafrique: noi, di AfricaLand Storie e Culture africane consigliamo i lettori di prendere con le molle queste informazioni. Non siamo proprio ai livelli delle tanto odiate "fake news" ma, tuttavia (come dimostrano le foto che abbiamo qui postato, siamo di fronte a introiti "sicuri" e... per nulla secondari, come dimostra la seconda foto, sono ben 14 gli Stati africani, attraverso un patto coloniale, costretti a depositare l'85% delle loro riserve di valuta estera nella Banca centrale francese controllata dal Ministro Finanze di Parigi), sopratutto di questi tempi, non crediamo che Macron voglia fare passi indietro: si tratterebbe di coprire poi, il buco nei bilanci francesi con altre decisioni impopolari sul fronte sociale e, in questo momento Macron deve evitare di creare altre sacche di malcontento interno.

Realisticamente, i desiderata del presidente (a nostro avviso) mirano ad allargare le sfere di competenze francese e, se da un lato, egli si muova sostanzialmente in funzione anti-Mosca (Damasco) e anti-Washington (Teheran), l'iper-attivismo su Tripoli deve essere letto come una insperata opportunità concessa (a Parigi!) dal governo di Roma, assolutamente privo di strategie e programmi per la Libia.

Macron ha capito da un pezzo di modificare le alleanze troppo schiacciate sul lascito del passato (leggi ai tempi del Rais Gheddafi n.d.t): in ballo ci sono troppi interessi e, Parigi ha capito che, portando dalla sua parte il generale Haftar, in un colpo solo può trattare da pari a pari con l'Egitto del dittatore Al-Sisi, il quale non fa mistero (e non da oggi!) di voler rimettere in circolo la mai sopita idea, il mai dismesso sogno di un "Grande Egitto" che comprenda dunque parte della Libia (quella per altro controllata dalle Milizie del "Signore della Guerra Haftar" , peraltro quella stessa parte di Libia dove ci sono i giacimenti di Petrolio.

Il presidente francese sa, con certezza però che, sul fronte della Françafrique qualcosa dovrà concedere se, non vuole essere risucchiato in conflitti cruenti che esulano dall'inflazionata "lotta al terrorismo di matrice islamista radicale" e, che vanno dal Mali passano dal Burkina Faso e sopratutto Costa D'Avorio, il Senegal, senza tralasciare i pericolosi spifferi che arrivano da "crisi del passato" e coinvolgono paesi importanti come la Nigeria (e il ritorno dell'idea dell'Indipendenza del Biafra) e sopratutto il Camerun scosso dalla "crisi anglofona" che ha scosso in questi ultimi mesi il paese africano creando i presupposti per la separazione dal Camerun dell'Ambizonia, tutte questioni in cui Parigi dovrà inevitabilmente essere capace di rivedere posizioni e alleanze costruite nel tempo.
Quel che certo è che Macron ha intenzione di proporre la Francia come super-potenza regionale (non importa se oltre alla Françafrique allargherà anche le sue sfere di competenza in Nord Africa n.d.t), Parigi nei prossimi anni dovrà essere la "capofila" degli interessi nazionali ed europei, superando così l'atavica "mancanza decisionale" di Bruxelles e, per quanto riguardo l'Africa, Parigi ha deciso di entrare sempre più nei dossier che, al momento vedono in prima fila la Cina come per esempio in Gabon e, sostanzialmente, il Continente Nero resterà il "solito cortile di casa francese", ancora per molto tempo.
(Fonte.:jeuneafrique)
Bob Fabiani
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lunedì 27 agosto 2018

Zimbabwe, Emmerson Mnangagwa al discorso d'insediamento dopo la vittoria alle presidenziali





Il presidente dello Zimbabwe, Emmerson Mnangagwa, prestando giuramento, nella giornata di domenica 26 agosto 2018, si è fatto carico di chiedere ai zimbabweani di voltare pagina dopo il verdetto elettorale.




Ha chiesto ai suoi connazionali di far finta che tutto sia andato bene nel post-voto, azzerando, in un colpo solo tutte le preoccupazioni e, lo sgomento dei cittadini che, dalle urne si aspettavano il tanto sospirato cambiamento.

Secondo il "presidente-coccodrillo" ora, dalle parti di Harare, è arrivato il tempo di voltare pagina sulle denunce dell'opposizione, secondo la quale il voto "è stato inquinato da elezioni fraudolente".




Inoltre, il presidente appena eletto, ha fatto appello affinché tutti i cittadini dello Zimbabwe si diano da fare per lavorare e, rimettere così in piedi, l'economia disastrata del paese africano.
Nell'inaugurare l'alba della "Seconda Repubblica dello Zimbabwe", ha voluto fare un gesto di pacificazione, circa la gravissima repressione mortale post-voto, dichiarandola ai suoi occhi "inaccettabile" dato che, quel triste #1Agosto2018, i militari invadendo le strade della capitale, Harare, hanno lasciato sul selciato, 6 manifestanti che protestavano contro i brogli denunciati dal partito dell'opposizione MDC.
(Fonte.:afp)
Bob Fabiani
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-www.afp.com
  

giovedì 23 agosto 2018

#KayaAlbum40thAnniversary - Bob Marley&TheWailers, #SpecialEdition






Esce in tutto il mondo domani 24 Agosto 2018 la nuova versione dello storico album #Kaya di #BobMarleyAndTheWailers. Per l'occasione, la famiglia Marley, insieme a Island Records - la storica etichetta discografica che ha pubblicato e (ri)pubblicato l'intero catalogo di Bob Marley - e con Universal Music, celebrerà i #40anni di #Kaya con una speciale ristampa deluxe.




Sono previsti la ristampa doppio vinile oppure CD (con 2 dischi) dove spiccano oltre alle 10 tracce originali anche i "nuovi mix e remix" a cura e a firma di Stephen "Ragga" Marley che è riuscito a dare forma a nuovi vibranti versioni delle canzoni di "Kaya".






Kaya uscì subito dopo l'imperdibile e spumeggiante "Live Album - Babylon By Bus" (a testimoniare i concerti-eventi del '78 ...) dove, Bob Marley &The Wailers raggiunsero l'apice della maturità stilistica davanti a platee osannanti di tutto il mondo, compresa l'Europa (con l'eccezione dell'Italia qui, gli appassionati del #Reggae dovettero attendere altri due anni prima di poter assistere al memorabile concerto di #Milano - San Siro, era il 1980 e il Tour era quello di #UprisingAlbum ...).




Ancora prima, nel 1977, Bob Marley aveva inciso, a Londra, il capolavoro, il "Classic-Album Exodus" poi, nell'anno di grazia 1978, ecco arrivare "Kaya", passato quasi sottotraccia, in sordina, trascurato dalla critica e anche dagli appassionati del #Reggae. 
Eppure nel disco, registrato  anch'esso a Londra, in conseguenza dell'auto-esilio imposto a Bob Marley dopo l'attentato subito a Kingston in Jamaica, "Kaya" presentava alcune tracce tra le più amate dal "Re del Reggae", brani come "Is this Love" oppure "Sun is Shine".





Il materiale dell'album "Kaya" fu registrato durante le session di "Exodus" e, per questa ragione, a molti sembrò essere un disco assolutamente "minore" anche perché dopo Londra, Marley sentì il bisogno di lasciare l'Europa e l'Inghilterra: destinazione, #Africa. Nacque così "Survival Album" un disco-manifesto già nella cover della copertina con tutte le bandiere degli Stati Africani.



Sia come sia, in "Kaya" troviamo alcune perle che da sole giustificarono l'uscita del disco: canzoni dal forte impatto emotivo oppure del tutto intimo, sono sublimate dalla performance di un Bob Marley in stato di grazia.
E' il caso di "Misty Morning", "Running Away" e sopratutto "Time Will Tell".

Stephen Marley, ha avuto l'onore di curare la #SpecialEdition per festeggiare il 40° esimo Anniversario dello storico album: ecco come spiega il metodo di lavoro usato nella "costruzione" delle nuove, vibranti versioni delle canzoni di "Kaya".

"Mixando Kaya 40 ho voluto creare un equilibrio ispirandomi fortemente alle versioni originali. Usando la voce di Bob dalle demo delle sessioni originali che, furono registrate in tempi diversi, ho sincronizzato, amalgamato e miscelato diversi arrangiamenti strumentali. Ho usato la 'tecnologia analogica' per non perdere il 'Sound originale' degli anni'70' di cui il disco era intriso".




A tal proposito, d'ora in avanti #Kaya40 potrà finalmente emanciparsi e, non essere più considerato un "disco di Bob Marley del tutto sottovalutato".

Mettetevi comodi: che la festa inizi. Ricominci, avvolgendovi con un caldo abbraccio, ipnotico e saudente come solo il #Reggae e la Jamaica possono offrire.
(Fonte.:rollingstone)
Bob Fabiani
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mercoledì 22 agosto 2018

Madagascar, la Corte costituzionale per le Elezioni Presidenziali 'convalida' 36 candidati





L'Alta Corte costituzionale malgascia ha pubblicato la lista dei candidati al primo turno delle Elezioni Presidenziali che, si terranno il 7 Novembre 2018.

Inizialmente la lista comprendeva 46 aspiranti al primo round ma, a ottenere il lasciapassare dalla Corte costituzionale del Madagascar sono stati in 36 candidati.

Nella lista spiccano i nominativi degli ultimi tre capi di Stato, incluso il presidente uscente: certamente, questa situazione che è maturata dopo, il rischio di una deriva autoritaria da parte delle forze armate malgasce, non può soddisfare quella richiesta di cambiamento invocata dalle opposizioni e, sopratutto dai giovani malgasci.

Il Madagascar è sull'orlo del precipizio e, la linea che tiene tutto  potrebbe spezzarsi, senza preavviso.

Saprà la classe politica della "Grande Isola dalla Terra Rossa" dare risposte alle aspettative dei cittadini? Difficile dirlo, anche alla luce dei candidati delle Presidenziali 2018, nomi legati ai protagonisti della politica malgascia, gli stessi da molti anni a questa parte.
Eccoli qui di seguito:


  • Marc Ravalomanana : in carica tra il 2002 e il 2009
  • Andry Rajoelina : subentrò a Ravalomanana nel 2009 restando in carica fino al 2014
  • Hery Rajaonarimampianina : attuale presidente malgascio

La crisi politica non è risolta e, per questa ragione, le prossime elezioni sono un banco di prova per tutti: vedremo se, qualcuno dei 36 candidati promossi dall'Alta Corte costituzionale malgascia terrà in conto la voglia di cambiamento dei malgasci oppure, se, ancora una volta sarà sacrificata sull'altare delle alleanze utili solo a mantenere saldamente le redini del potere.
(Fonte.:jeuneafrique)
Bob Fabiani
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martedì 21 agosto 2018

Uganda, le proteste popolari contro l'arresto di #BobiWine, violentemente represse dalle forze dell'ordine







Diverse aree della capitale ugandese, Kampala, sono state isolate, ieri, 20 agosto, per diverse ore dalla polizia e dall'esercito, che ha usato - in quantità industriale - gas lacrimogeni e, sparando diverse munizioni (senza tralasciare nulla al caso e... in diversi momenti della giornata gli agenti e i soldati hanno apertamente sparato 'ad altezza d'uomo') per disperdere i manifestanti che protestavano contro l'arresto di #BobiWine, il cantante-attivista e leader tra i più attivi in opposizione a Museweni, padrone incontrastato dell'Uganda.
(Fonte.:jeuneafrique)
Bob Fabiani
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Mali, la Corte costituzionale 'convalida' il trionfo di #IBK alle presidenziali (dopo ballottaggio)






La Corte costituzionale del Mali "dichiara eletto" Ibrahim Boubacar Keita. La nomina ufficiale avverrà il 4 Settembre.

Non ci sono state sorprese ma solo conferme sull'esito della definitiva proclamazione della Corte costituzionale di Bamako che, getta nella disperazione il partito di Soumaila Cissé, l'#URD.




I ricorsi presentati da Cissé sono stati respinti: sia durante il primo turno sia dopo il ballottaggio. La partita è dunque chiusa ora per il Mali, inizia il secondo mandato di #IBK ma qui, a Bamako, nessuno si illude che i problemi reali dei maliani possano essere risolti.
(Fonte.:jeuneafrique)
Bob Fabiani
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lunedì 20 agosto 2018

Quel 'dolore insormontabile' di Kofi Annan per la tragedia del #GenocidioRuanda





Sabato 18 Agosto 2018, a Berna, in Svizzera, è arrivata la dolorosa notizia della morte di Kofi Annan: unanime il cordoglio del mondo intero per un uomo - il primo africano di colore ad arrivare alla guida delle Nazioni Unite - che ha speso tutta la sua vita di diplomatico prima e, poi, una volta arrivato al Palazzo di Vetro, con sede a New York; in qualità di Segretario Generale ONU (era stato il settimo segretario generale a guidare le Nazioni Unite n.d.t) e, in ragione di questo - come abbiamo scritto nel nostro post di sabato scorso, nelle immediate ore dopo l'ufficialità della dipartita - gli venne assegnato il Premio Nobel per la Pace: era il 2001.

Oggi completiamo gli approfondimenti sulla figura di questo grande leader africano, uno dei più importanti dell'intera Africa tornando ad interessarci del "più grande dolore" che Kofi Annan ha dovuto sopportare: il doloroso dramma del #GenocidioRuanda.





Era nato nella terra degli schiavi, laggiù in Africa: la chiamavano (gli schiavisti e i colonialistin.d.t) la "Costa D'Oro", ed era stata (per tutte le potenze imperialiste n.d.t) una ricca, infinita miniera di metalli preziosi sia di oro sia di "oro nero umano" vera fonte di ricchezza per le orde di colonialisti europei che arrivavano qui, in Africa (oggi come ieri) per fare razzia di tutto ciò che trovavano, impossessandone, senza troppi giri di parole né di convenevoli.

Kofi Annan  dunque era nato nella Costa D'Oro che, una volta emancipata dalla dominazione britannica prese il nome di Ghana.
Arrivando alla plancia di comando delle Nazioni Unite, Kofi Annan sentì il bisogno di "spendere il suo mandato" per riformare l'ONU ma, sempre a supporto della Pace, punto fondamentale e irrinunciabile per lui che arrivava dall'Africa.

I "suoi anni, il suo decennio" (guidò l'ONU tra il 1997 e il  2006 n.d.t) lo portarono a subire alcuni grandi fallimenti, uno su tutti il #MassacroRwandese con il quale ha dovuto cimentarsi per tutta la sua esistenza.



Guidare il Palazzo di Vetro nel decennio travagliato richiedeva la presenza di un Segretario Generale che possedesse l'arte della diplomazia e la capacità di imporre un freno all'indirizzo dei "potenti del mondo" cosa che, Kofi Annan fece (senza indugi), essendo stato al centro della diplomazia mondiale nei passaggi cruciali delle crisi internazionali dall'Africa (Somalia e Ruanda) passando per la Bosnia (Guerra Civile dei Balcani per la distruzione dell'ex Jugoslavia) fino alla follia di Bush Jr. quando gli USA, dopo l'attacco dell'11 Settembre 2001 - che Kofi Annan vide dal suo ufficio al Palazzo di Vetro da una postazione quasi in parallelo - che portarono alla distruzione delle Torri Gemelle a New York.

Ma non vi è dubbio che il suo grande cruccio, mentre dirigeva il "Dipartimento Mantenimento della Pace" in seno all'ONU è rappresentato dal #GenocidioRuanda (1994) subito dai Tutsi e, anche dal #MassacroSrebrenica in Bosnia (una tragedia che chiama direttamente in causa anche Europa e USA n.d.t).
La cruenta, disumana "Guerra Civile" del Ruanda che sfociò nel massacro di interi villaggi e nuclei familiari, non poteva essere impedito dalle Nazioni Unite ma tuttavia, Annan, lo ha sempre considerato un "fallimento personale" dal momento che era a capo della missione di Pace.
Nel 1994, le forze di Pace si ritirarono dal Ruanda (cfr:.AfricaLand "Le zone d'ombra e i segreti del #GenocidioRuanda"/2018/05/11 n.d.t) in preda alla violenza etnica.

Ecco come descriveva il settimo segretario generale ONU quei fatti:

"Questi fallimenti (Ruanda e Massacro Srebrenica dei musulmani di Bosnia) mi hanno messo di fronte a quella che sarebbe diventata la mia sfida più importante come segretario generale: far capire alla gente la legittimità e la necessità di intervenire in caso di flagranti violazione dei diritti umani", scriveva, amaramente, Kofi Annan, tra i suoi appunti che poi, nel decennio successivo dopo aver lasciato la guida dell'ONU, a mandato terminato (nel 2006 n.d.t) confluirono nella sua autobiografia.
(Fonte.:jeuneafrique;lemonde;nytimes;internazionale;africaland)
Bob Fabiani
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-www.jeuneafrique.com;
-www.lemonde.fr/afrique/massacre-ruanda;
-www.nytimes.com;
-www.internazionale.it;
-https://africalandilmionuovoblog.blogspot.com/2018/05/11/le-zone-dombra-e-i-segreti-de-genocidio-ruanda
  


domenica 19 agosto 2018

Mali, l'opposizione vuole 'resistere' a Ibrahim Boubacar Keita (IBK)





La tensioni in Mali raggiunge vette altissime dopo il responso del  turno delle Presidenziali. L'opposizione maliana non accetta la sconfitta e, quarantotto ore dopo l'annuncio della rielezione del presidente Ibrahim Boubacar Keita (detto IBK).

Tutto rimane sospeso nell'attesa.

Un attesa ipotetica di invalidazione dei risultati, è andata in scena una manifestazione di supporter dell'opposizione, sabato, proprio nelle ore in cui si apprendeva della dolorosa dipartita di Kofi Annan, ex Segretario Generale ONU; nelle strade di Bamako.

In una capitale blindatissima dall'eccezionale dispiegamento di soldati e polizia maliana, il leader, uscito sconfitto al ballottaggio del 12 Agosto, Soumaila Cissé ha chiamato a raccolta l'intera comunità maliana e, parlando ai suoi simpatizzanti li ha invitati a "Resistere".



Intanto IBK, dal canto suo, forte della vittoria conquistata al secondo round delle elezioni presidenziali, annuncia le nuove-vecchie linee guida per il suo secondo, consecutivo mandato, considerando cruciale il futuro del Sahel e, con essa, l'infinita e mai debellata (veramente) la minaccia jihadista che, in realtà e più forte che mai, su tutto il territorio del Mali. Proprio in questo passaggio è racchiuso il fallimento del quinquennio appena lasciato alle spalle: nonostante cinque anni di guerra e interventi militari internazionali (a guida francese in collaborazione con le Nazioni Unite n.d.t) contro i miliziani e i gruppi islamisti riconducibili ad Al Qaeda sono, a tutti gli effetti, i "veri padrini" del paese sia a livello politico (costringendo la classe dirigente ad occuparsi di loro) sia a livello sociale (indirizzando l'economia verso interessi jihadisti n.d.t).





Soumaila Cissé si considera il vero vincitore delle elezioni presidenziali: ha respinto "categoricamente" il risultato, definendolo una "mascherata" e "frutto putrefatto di una vergognosa frode".  A quanto risulta al suo entourage, Cissé ha calcolato che "abbiamo vinto le elezione con il 51,75% dei voti": un risultato ben diverso rispetto ai dati del Ministero dell'Amministrazione Territorio che giovedì scorso gli ha accreditato meno di un terzo dei voti: 32,83%.

Il leader dell'opposizione ha presentato ricorsi alla Corte Costituzionale del Mali, la quale, lunedì 20 Agosto, annuncerà alle dieci del mattino (ora locale) i risultati finali definitivi.

Tuttavia, l'opposizione già li mette in dubbio sottolineando l'imparzialità di questa Alta Corte che aveva rifiutato di procedere dopo le denunce di tutto il "Clan Cissé" dopo il primo turno.

Oltre un migliaio di suoi supporter hanno protestato dinanzi al palazzo del sindaco di Bamako, nella giornata di sabato mattina e hanno trovato ad accoglierli decine e decine di agenti di polizia in tenuta antisommossa.
Soumaila Cissé è apparso, rilanciando lo slogan : "il potere è illegale" è stato accompagnato dal suono incessante e stridulo delle vuvuzelas. Il corteo dei sostenitori dell'opposizione, a quel punto decideva di inscenare una marcia di protesta che dalla sede del sindaco di Bamako ha attraversato tutto il centro della capitale maliana arrivando fino a Piazza Indipendenza sempre scortata dalla polizia.




A guidare i manifestanti c'era l'attivista e conduttore-radio, Ras Bath, molto seguito e popolare tra i giovani maliani.

"Il potere è illegale. Questa volta è il nostro turno, abbiamo vinto, noi costruiremo i nostri passi per le dimissioni del governo", ha assicurato Fatoumata Komaté, membro Politburo del URD, il partito di Cissé. 

A fronte di questa presa di posizione ufficiale del URD e dopo le immediate congratulazioni arrivate a IBK da parte dei leader stranieri, a cominciare da Macron, fatte recapitare ancora prima del verdetto della Corte costituzionale Mali; altri leader dell'opposizione maliana fanno sapere che :"coloro che accettano congratulazioni senza aver atteso la ratifica ufficiale del voto sono e restano dei grandi ladri".

"La frode è il peggior crimine che si possa avallare dalla plancia di comando", tuona Ras Bath durante l'assemblea aperta al termine del corteo e aggiunge "Questo è ciò che rivela le congratulazioni dalla Francia o delle Nazioni Unite, fortemente coinvolte in quello che è avvenuto qui nel Mali :con migliaia di uomini impiegati per combattere la 'guerra jihadista'  sopratutto del nord, tralasciando i veri bisogni di tutti i maliani".

Arroccato sulla piattaforma di un autocarro, con la sciarpa dei colori del Mali, Cissé ha parlato ancora ai sostenitori URD:

"IBK vuole prendersi tutto e per farlo non esiterà a mettere in piedi uno 'Stato di Polizia' per questo dobbiamo Resistere" : prima di chiudere la protesta di questo sabato 18 Agosto, ha promesso che "le proteste riprenderanno dopo la 'Festa di Tabaski' la prossima settimana: uniti fino alla vittoria per il bene del Mali", ha concluso mentre il suono delle vuvuzelas diventava incessante e potentissimo e  ancor più assordante che mai.   
(Fonte.:jeuneafrique;afp)
Bob Fabiani
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sabato 18 agosto 2018

In morte di Kofi Annan (primo africano nero a diventare Segretario Generale ONU)





Nelle prime ore di questa mattina, sabato 18 Agosto 2018, è arrivata la notizia - subito rilanciata da tutti i siti di news del mondo - della morte di Kofi Annan. Aveva 80 anni. Si è spento dopo una breve malattia.

Era nato a Kumasi, in Ghana l'8 Aprile 1938, la morte è sopraggiunta a Berna, in Svizzera: al suo fianco, la moglie Nane e i tre bambini Ama, Kojo e Nina.



Kofi Annan è stato un diplomatico e politico ghanese e, Segretario Generale Nazioni Unite per due mandati tra il 1997 e il 2006. Non appena è stata certificata la morte dagli specialisti dell'ospedale svizzero di Berna, dal quartier generale ONU veniva diffuso un omaggio con queste parole:

"Siamo in lutto per aver perso una grande persona". 

Il suo progetto in seno alle Nazioni Unite consisteva in una radicale riforma dell'Organizzazione dell'ONU che comprendeva: una ridefinizione della sicurezza collettiva; il rafforzamento dei trattati di non proliferazione e di disarmo e, quindi, l'estensione del sistema di sicurezza convenzionale a tematiche (es.:biotecnologia); la creazione di organi intergovernativi di costruzione della pace e di difesa dei diritti umani; l'espansione e la modifica delle funzioni del Consiglio di Sicurezza ONU.




Il 10 dicembre 2001, Kofi Annan riceve - insieme alle Nazioni Unite -  il 'Premio Nobel per la Pace' per il loro lavoro con questa motivazione:

"per un mondo meglio organizzato e con più Pace".


Due anni più tardi, nel 2003, si oppose a  Stati Uniti d'America e Regno Unito intenti a invadere l'Iraq : la presa di posizione di Annan fu molto dura (e di condanna) ma purtroppo cadde nel vuoto. A seguito di questa iniziativa nel 2014, il senatore repubblicano statunitense Norm Coleman, chiese le dimissioni di Annan (dall'ONU n.d.t) dopo il coinvolgimento di suo figlio in un caso di pagamenti illegali, nell'ambito del programma Oil-for-food (un programma attivato dalle Nazioni Unite nel 1995 e terminato nel 2003, per permettere all'Iraq di vendere il petrolio sui mercati mondiali, in cambio di cibo, n.d.t).

(Fonte.:theguardian)
Bob Fabiani
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venerdì 17 agosto 2018

QUANDO ARETHA FRANKLIN "QUEEN OF SOUL" CANTO' PER MARTIN LUTHER KING - FOTO DEL GIORNO




Cinquant'anni fa, nella primavera del 1968 - che in realtà rappresentava il ritorno all'inverno per la comunità afroamricana - nella città natale di Aretha Franklin, Memphis, un maledetto proiettile zittì per sempre Martin Luther King.
Lo schock fu tremendo e, proprio "Lady Soul" fu una delle prime voci a spezzare quello sgomento che attanagliava il cuore, la mente e la gola di milioni di "neri" negli USA: la pianista invocò rabbiosamente RISPETTO, quello stesso rispetto che l'America non aveva mai concesso alla comunità e, di cui, l'assassinio del "Reverendo" rappresentava la risposta più brutale e drammatica.

Era il 1968 e la meravigliosa voce della "Regina del Soul" intonò il suo grido al funerale del leader afroamericano. Una rabbiosa pretesa di rispetto:

"Abbiamo tutti bisogno e chiediamo
Rispetto,
Uomo o Donna, Bianco o Nero.
E' il nostro
diritto umano fondamentale"
(Respect, Rispetto, 1967/1968 - Funerale di Martin Luther King)

La FOTO DEL GIORNO che abbiamo scelto oggi è quella storica che ritrae l'icona della #BlackMusic mentre canta per Martin Luther King.

Alcuni anni dopo quella dolorosa performance, Aretha Franklin, tornò a spiegare cosa volesse dire "essere afroamericani"; cosa rappresentasse il dover vivere la "condizione di cittadini mal tollerati e mal sopportati" da parte dei bianchi.

Era il 1973 :

"Essere afroamericani
è una grande sensazione,
ma significa anche lottare
sempre e questo genera
dolore. E' una sfida continua
sopratutto per le donne"
(Aretha Franklin, 1973).

(Fonte.:archivio fotografico africalandilmionuovoblog)
Bob Fabiani
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SUMMIT #SADC IN NAMIBIA




La capitale della Namibia, Windhoek, ospiterà oggi e domani il 38esimo Summit della Comunità di sviluppo dell'Africa meridionale, comunemente conosciuto come #SEDAC.
Il vertice ha chiamato a raccolta i capi di Stato e di governo dall'Angola alla Repubblica Democratica del Congo, dal Lesotho al Madagascar.




La due giorni di incontri e lavori serrati sarà incentrato sulla promozione delle infrastrutture e sullo sviluppo sostenibile nella regione.
(Fonte.:jeuneafrique)
Bob Fabiani
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-www.jeuneafrique.com