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venerdì 30 novembre 2018

#GlobalCompactMigration, il voltafaccia del #Ministrodellapaura che sfila l'Italia dall'accordo internazionale sui #Migranti






All'indomani della ratificazione del #DecretoIncostituzionale  - meglio noto come #decretosicurezza - da parte della Camera dei deputati, il #Ministrodellapaura compie un'altra bravata in tema di migranti. Con la solita irritante spavalderia che gli è propria, annuncia un minaccioso "stop al #GlobalCompactMigration".

Diciamo subito che questa nuovo strappo che mette ancor di più l'#Italia nell'occhio del ciclone su un tema sensibile, non fosse altro per la posizione geografica occupata dal fu Bel Paese; arriva quando tutti i paesi sovranisti (il blocco al quale ormai appartiene l'#Italia dell'orrendo #EsecutivoGialloVerde n.d.t) si erano già chiamati fuori dal summit, voluto dalle Nazioni Unite che si terrà in #Africa, in #Marocco nella città di #Marrakech, il 10 e 11 dicembre.

Mancava dunque solo l'#Italia ora, per bocca dell'inquilino del Viminale, quel Ministro dell'Interno che si trova dapertutto tranne che al dicastero stesso; impegnato com'è nel propagare la sua narrazione distorta se non del tutto travisata di una presunta "invasioni di migranti" che nei fatti, nei numeri, nei documenti, non esistono.


-Che cos'è il #GlobalCompact?

Il #GlobalCompact è un accordo intergovernativo in cui i paesi membri delle Nazioni Unite (#ONU)  - di cui fa parte anche l'#Italia - uniscono le forze per gestire l'immigrazione, garantendo i diritti umani basilari e fondamentali per l'uomo.

-A cosa serve il #SummitMarrakech?

Il summit del 10 e 11 dicembre che andrà in scena a #Marrakech in #Marocco è una conferenza internazionale dell'ONU e, servirà, per ratificare il #GlobalCompactMigration.

L'inquilino del Viminale ha provveduto a far sapere agli italiani che, la delegazione del governo "non andrà a #Marrakech e non firmerà l'accordo".

Per quale ragione il #Ministrodellapaura non vuole firmarlo? Quale sono le sue paure?

Vediamole, soffermarci, su un punto sensibile attraverso il quale, ha potuto mettere in atto una delle più grandi manipolazioni che la storia della Repubblica italiana ricordi.

-Il #GlobalCompact vuole mettere tutti, rifugiati e migranti, sullo stesso piano e finirà per produrre un'invasione?

Falso.
L'accordo internazionale non mira a produrre un'invasione, dal momento che gli status rimangono comunque diversi (come previsto al punto 4 della Dichiarazione di New York n.d.t) e in ogni caso si hanno procedure diverse.
Tuttavia per ciò che riguarda i diritti fondamentali, presenti per giunta anche nella Costituzione italiana (di cui il pessimo, pericoloso #decretosicurezza ne stravolge dettami e diritti, come denunciato tempestivamente dall'Anpi che annuncia una Resistenza civile n.d.t), lo straniero deve essere trattato con pari dignità.

Bisogna aggiungere che l'accordo non è vincolante, ma firmarlo non implica nemmeno minare la sovranità degli stati.

Il Global Compact potrebbe permettere la creazione di accordi bilaterali tra stati utili a gestire al meglio, la migrazione, come dimostrano i punti 11 e 27, laddove si parla anche di sicurezza dei confini e rimpatri in determinati casi.

Allora perché il #Ministrodellapaura non vuole firmare il #GlobalCompact isolando completamente l'#Italia?
Lasciamo ai lettori la risposta più calzante a questo nuovo strappo dell'orrendo #EsecutivoGialloVerde, il governo che ha reintrodotto l'odio razziale e l'"Apartheid di Stato".
(Fonte.:iom)
Bob Fabiani
Link
-https://www.iom.int/global-compact-migration       

giovedì 15 novembre 2018

"BECOMING - LA MIA STORIA", L'AUTOBIOGRAFIA DI #MICHELLEOBAMA





Lo scorso #13N è stato pubblicato il libro di Michelle Obama  intitolato "Michelle Obama: Becoming - La mia storia" ; in Italia è edito da Garzanti.

L'ex first lady racconta in modo diretto e spontaneo la sua autobiografia senza lesinare aneddoti personali e giudizi tranchant sull'attuale America ai tempi di Traump, il successore di suo marito, Barack Obama.

AfricaLand Storie e Culture africane ne riporta un ampio stralcio direttamente dalla penna di Michelle Obama
(Bob Fabiani)





-Michelle Obama : "Il potere è dare speranza. Ma io non mi candiderò (nel 2020) ho visto troppe cattiverie"*





"Barack e io lo abbiamo lasciato per l'ultima volta la Casa Bianca il 20 gennaio 2017 per accompagnare Donald e Melania Trump alla cerimonia di insediamento. Quel giorno provavo tante sensazioni contemporaneamente: stanchezza, orgoglio, turbamento, impazienza.
Sopratutto, però cercavo di mantenere la calma, consapevole che le telecamere seguivano ogni nostro movimento. Mio marito e io eravamo determinati a completare il passaggio di consegne con grazia e dignità, a finire gli otto anni con i nostri ideali e la nostra compostezza intatti. Eravamo arrivati all'ultima ora. Quella mattina, Barack era andato per l'ultima volta nello Studio ovale e aveva lasciato una nota manoscritta per il suo successore. Ci eravamo radunati al piano di Stato per salutare il personale permanente della Casa Bianca, i maggiordomi, gli usceri, gli chef, i domestici, i fiorai e tutti coloro che si erano presi cura di noi con amicizia e professionalità, e ora avrebbero usato la stessa cortesia con la famiglia che si sarebbe trasferita lì nel corso della giornata.
Gli addii furono particolarmente difficili per Sasha e Malia, perché molte di quelle persone le avevano viste quasi tutti i giorni per metà della loro vita. 



  


Io li avevo abbracciati uno per uno e avevo cercato di non piangere quando ci avevano consegnato come dono di commiato due bandiere americane: quella del primo giorno del suo mandato, due simboli che aprivano e chiudevano l'esperienza della nostra famiglia in quel luogo.
Seduta per la terza volta sul palco dell'insediamento, di fronte al Campidoglio, cercavo di contenere le emozioni. La vibrante varietà di culture ed espressioni delle due cerimonie precedenti non c'era più, sostituita da un'uniformità scoraggiante, una scena occupata quasi solo da maschi bianchi, come tante volte in cui mi ero spesso imbattuta nella mia vita, specialmente nei luoghi più privilegiati, nei vari corridoi del potere in cui mi ero infilata da quando avevo lasciato la casa della mia infanzia in Euclid Avenue.




La mia esperienza professionale  - dal reclutamento di nuovi avvocati per Sidley & Austin alle assunzioni alla Casa Bianca  -  mi aveva insegnato che l'omogeneità, fino a quando non si fa uno sforzo meditato per correggerla. Osservando le circa trecento persone sedute sul palco, gli illustri ospiti del nuovo presidente, mi sembrava evidente che, nella sua Casa Bianca, un simile sforzo sarebbe stato improbabile. Qualcuno dell'amministrazione di Barack avrebbe potuto dire che era un problema di percezione negativa, che l'immagine che vedeva il pubblico non rifletteva la realtà o gli ideali della presidenza. Ma, in questo caso, forse sì. Mentre me ne rendevo conto, smisi anche di cercare di sorridere. Una transizione è esattamente questo: il passaggio a qualcosa di nuovo. Una mano si posa sulla Bibbia; si ripete un giuramento. I mobili di un presidente vengono trasportati fuori mentre entrano quelli di un altro. Si svuotano e si riempiono cassetti. Nuove teste riposano su nuovi guanciali: nuovi temperamenti, nuovi sogni. E quando il tuo mandato è finito, quando, l'ultimo giorno, lasci la Casa Bianca, sotto molti aspetti devi recuperare te stesso. Mi trovo adesso a un nuovo punto d'inizio, in una nuova fase della mia vita. Per la prima volta in molti anni sono svincolata dai doveri della moglie di un politico, sono libera dalle aspettative degli altri. Ho due figlie ormai quasi adulte che hanno meno bisogno di me rispetto a un tempo. Un marito che non porta più sulle spalle il peso della nazione. Le responsabilità che sentivo  - nei confronti di Sasha e di Malia, di Barack, della mia carriera e del mio Paese - sono così cambiate da permettermi di pensare in modo diverso a quello che verrà.
Ho avuto più tempo per riflettere, per essere semplicemente me stessa. A cinquataquattro anni non ho finito di crescere e spero di non finire mai. Per me, diventare qualcuno non significa soltanto raggiungere una certa destinazione o conseguire un certo fine. Lo considero piuttosto un perpetuo movimento in avanti, un mezzo per evolvere, un modo per cercare costantemente di migliorarsi. Il viaggio non finisce. Sono diventata una madre, ma ho ancora molto da imparare dalle mie figlie e dare loro. Sono diventata una moglie, ma sto ancora cercando di capire, conscia dei miei limiti, ciò che significa amare veramente un'altra persona e costruire una vita insieme. 



    


Sono diventata, fino a un certo punto, una persona di potere, eppure ci sono ancora momenti in cui mi sento insicura o inascoltata. Fa tutto parte dello stesso processo, sono passi lungo un percorso.
Diventare richiede pazienza e rigore in parti uguali. Diventare significa non rinunciare mai all'idea che bisogna ancore crescere.
Siccome me lo chiedono spesso, lo dirò qui, senza mezzi termini: non ho intenzione di candidarmi a una carica politica, non lo farò mai. Non sono mai stata un'appassionata di questo mondo e la mia esperienza negli ultimi dieci anni non ha fatto molto per cambiare il mio atteggiamento. Continuo a essere sconcertata dalle cattiverie, dalla segregazione tribale di rossi e blu, quest'idea che si debba scegliere un partito e seguirlo ciecamente, senza ascoltare gli altri né scendere a compromessi o, a volte, persino senza comportarsi da persone civili. Io credo che la politica, nella sua accezione migliore, possa essere uno strumento di cambiamento positivo, ma questa arena non fa per me.
Questo non vuol dire che non mi stia profondamente a cuore il futuro del nostro Paese. Da quando Barack non è più in carica ho letto notizie che mi fanno rivoltare lo stomaco. Sono rimasta a letto sveglia la notte, fumante di rabbia. E' stato doloroso vedere come il comportamento e l'agenda politica dell'attuale presidente abbiano indotto molti americani a dubitare di sé e a dubitare degli altri e temerli.
Non è stato facile stare a guardare mentre provvedimenti approntati con cura e attenti ai bisogni delle persone venivano cancellati, mentre ci alienavamo la simpatia di alcuni dei nostri più stretti alleati e abbandonavamo i membri più vulnerabili della nostra società lasciandoli senza difese fino a disumanizzarli. A volte mi chiedo quando mai arriveremo a toccare il fondo. Quello che non voglio permettermi, però, è di diventare cinica. Nei momenti in cui sono più preoccupata, mi fermo, respiro a fondo e ricordo a me stessa la dignità e la correttezza di molte persone che ho incontrato nel corso della mia vita, i molti ostacoli che sono già stati superati. Spero che altri facciano lo stesso".

*Michelle Obama, 2018
 Crown Publishing Group, a division of Penguin Random House LLC
**Garzanti S.r..l, Milano, 2018

(Fonte.:repubblica)
Link
Bob Fabiani
-www.repubblica.it
     

mercoledì 14 novembre 2018

#RDC: La peggiore epidemia di #ebola nella storia del paese









L'epidemia di ebola è tornata a minacciare (e a uccidere) i cittadini della Repubblica Democratica del Congo. 
I numeri sono drammatici: da agosto 2018 ad oggi, il ritorno del virus ha causato il decesso di 200 persone.
Ultima in ordine di tempo, questa epidemia è di gran lunga la peggiore nella tribolata storia del #Congo.  Il grande paese africano non riesce a trovare pace, schiacciato com'è tra l'infinita guerra civile che contrappone le due anime del paese, il Nord con il Sud; una guerra per altro animata dagli appetiti mai cessati per le materie prime (cobalto, uranio, diamanti) da parte delle potenze colonialiste - ora attive da #Kinshasa e nel resto del Congo (un tempo Zaire) attraverso le multinazionali, spesso e volentieri transnazionali - e, in qualche modo, aggiornata dai venti di secessione da parte dei ribelli del Nord che vorrebbero staccarsi quanto prima dalla Repubblica Democratica del Congo.







Almeno 200 persone sono morte da agosto ad oggi, secondo le autorità congolesi, con oltre 300 ulteriori casi di infezione confermati: la notizia di questa drammatica emergenza è stata riferita (e rilanciata) dai reporter Bbc online.

Nella quotidiana lotta contro il virus le Ong e i responsabili della Sanità mondiale fanno sapere che il programma di vaccinazione ha finora inoculato 25mila persone.





"Ad oggi, sono stati registrati 319 casi e 198 decessi", ha ammesso il Ministro della Sanità, Oly Ilunga.

La metà di questi decessi si sono registrati a #Beni, città di 800mila abitanti, situata nella regione di Kivu.

L'epidemia 2018 è la decima divampata in #Congo ed è la peggiore dal 1976, quando venne segnalato il primo caso, nell'ex Zaire.





Il Nord-Kivu è una regione di frontiera, in cui gli spostamenti per fini economici con #Uganda e #Ruanda sono molto frequenti e per questa ragione aumenta anche il rischio di trasmissione del virus.
(Fonte.:bbconline)
Bob Fabiani
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-www.bbc.com/news/world/africa    

martedì 13 novembre 2018

Conferenza Palermo sulla Libia: "Quella vana speranza dell'Italia di raggiungere un accordo tra Al-Sarraj e Haftar"







L'Italia sperava di fare il colpaccio nella due giorni del vertice sulla Libia, svoltosi a Palermo; l'idea del governo italiano era quella di favorire un accordo tra Al-Sarraj e il generale Haftar dopo aver incassato il sostegno delle Nazioni Unite, seguite anche dal "Piano per la Libia" portato in dote, qui a Palermo dall'inviato speciale ONU in Libia, Ghassan Salamé.

Proprio per questa ragione, rispedito al mittente da parte di Haftar, un attimo prima di lasciare Palermo.

Ecco le infuocate parole dell'uomo forte della Cirenaica:

"La mia presenza è limitata agli incontri con i ministri dell' Europa e il primo ministro italiano, con gli altri (leggi Turchia e Qatar estromessi giocoforza dall'Italia per non coprirsi di ridicolo per questo inutile summit); non ho nulla a che fare", dice a butto muso il generale un attimo di lasciarsi  alle spalle i corridoi di Villa Igiea.

Il generale poi però dice anche altro:

"Siamo sempre in stato di guerra e il Paese ha bisogno di controllare le proprie frontiere. Abbiamo frontiere con la Tunisia, Algeria, Niger, Ciad, Sudan, Egitto e la migrazione illegale  viene da tutte le parti", riferendosi in particolare al fenomeno  dei miliziani jihadisti toccando un punto che non è troppo considerato qui in occidente, ossia, il tragico fenomeno per l'Africa del terrorismo di matrice islamica : la minaccia dell'"Islam radicale" (come veniva descritto ai tempi degli attentati in Belgio e in Francia nel 2015) che nel Continente Nero si materializza con la presenza di gruppi di Al Qaeda e Daesh per punire quei governi locali troppo accondiscendenti verso le Potenze colonialiste di sempre.
(fonte.:jeuneafrique)
Bob Fabiani
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-www.jeuneafrique.com  

    

#MadagascarDecide: Quel gioco spericolato e pericoloso dei 'soliti noti'







Mano a mano che passano i giorni la votazione del #7N per scegliere il nuovo presidente della Repubblica del Madagascar è tutto un susseguirsi di illazioni, polemiche, accuse e contraccuse tra i tre principali antagonisti e già ex presidenti malgasci.
Mentre si attendono i risultati ufficiali del primo turno delle Presidenziali da parte della Ceni - Commissione Elettorale Nazionale Indipendente del Madagascar, i toni sono sempre più incendiari. Si va dalla denuncia di frodi (brogli elettorali) all'accusa pesante di corruzione, concludendo con intimidazioni dirette e indirette.

E' questo il clima in Madagascar in attesa del secondo turno, in programma il 19 Dicembre.

Dopo il 56% delle schede conteggiate a livello nazionale; ci sono conferme e posizioni ormai cristallizzate. Rajoelina e Ravolamanana sono in testa con il 39,06% e il 36,53% quindi in leggero calo ma comunque certi di giocarsi la vittoria nel ballottaggio mentre, per il restante plotone di candidati (34), la sorte è ornai segnata, sono fuori gioco.

Tuttavia seppure Hery Rajaonarimampianina è stato severamente bocciato dal voto popolare, nell'ultima pubblicazioni della Ceni, ha recuperato qualcosa, attestandosi comunque su un deludente 8% dei voti.

Eppure si ha l'impressione che tra oggi, #13N e il #20N, data ufficiale dell'annuncio dei risultati, da parte della commissione elettorale può accadere ancora di tutto anche se alla fine, l'unica probabile soluzione sarà il ballottaggio tra i 'soliti noti', in programma a metà dicembre e, forse, per quella data si potrà risolvere la 'questione politica' che ha gettato l'isola in una crisi di difficile soluzione e che dura dal 2009.
(Fonte.:jeuneafrique)
Bob Fabiani
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-www.jeuneafrique.com


lunedì 12 novembre 2018

Conferenza Internazionale Libia a Palermo: quale futuro per il Paese Nordafricano?






Si aprono i battenti della Conferenza Internazionale per la Libia, a Palermo : un appuntamento voluto a tutti i costi sia dal governo italiano sia dalla diplomazia italiana nel vano tentativo di riprendere quota dalle parte di Tripoli dopo che la stessa Italia ha visto perdere molte posizioni sulla sfera di gradimento delle tante anime libiche.

Ma le buone intenzioni di Roma sono destinate a restare carta straccia per una insieme di ragioni che sono presto dette: la comunità internazionale non ha nessuna voglia di impegnarsi per la Libia tanto più che per tutti, il problema principale è costituito dal dramma della "Questione dei Migranti". Il resto sono chiacchiere da bar.


-Flop italiano

Il declino di un Paese lo si nota su due fronti ben chiari: la capacità di aprire nuovi varchi e alleanze sul fronte internazionale e, in definitiva dalla capacità dei propri leader di essere credibili sullo sfondo della Geopolitica.
L'Italia, è risaputo, non ha mai brillato per una efficace "Politica estera" (al pari dell'Unione Europea che non è mai in grado di muoversi unitariamente e per tempo). Con queste premesse la conferenza che apre i battenti proprio mentre scriviamo, non poteva che essere destinata al fallimento.
L'appuntamento di questo #12N è del tutto inutile e rappresenta una occasione persa da #Roma: come è stato possibile non rendersi conto che nessuno aveva (ed ha) interesse a metterci la faccia in questo vertice snobbato in ordine sparso da tutti: a cominciare dalla Francia passando per la Germania  e finendo agli USA (che del resto della Libia non sanno cosa farsene e, al limite, sono interessati a mettere mano su qualche capo o capetto di una qualche importanza nel variegato mondo di #Daesh in chiave anti-Islam del resto tanto caro a Trump).

L'errore più grande dell'Italia è stato quello di non esser riusciti a mettere in piedi un "pre-vertice" tra #Roma e #Parigi in modo che si potesse chiarire quali erano (e sono) i compiti e gli obiettivi di #Roma e quali quelli di #Parigi.


-Quale futuro per la Libia?


La conferenza internazionale sul futuro della  Libia, piombata nel caos dopo la disastrosa 'guerra Nato 2011' , sponsorizzata e voluta a tutti i costi dalla Francia di Sarkozy, per togliere di mezzo, l'ingombrante figura del Rais Gheddafi; apre i battenti a #Palermo, ma senza la certezza di ottenere risultati concreti, se non quello del rinvio delle elezioni elettorali di dicembre (come voleva #Parigi e Macron n.d.t) a data da destinarsi e comunque a 2019 inoltrato (forse in Primavera come ammettono anche dalle Nazioni Unite n.d.t).

Nulla cambia dunque e come potrebbe se, le varie diplomazie, fanno a gara, per dimostrare di essere più bravi dei nemici di sempre?
E intanto le tragedie si susseguono di giorno in giorno e di mese in mese e di guerra civile in guerra civile, senza soluzione di sorta.

Si continua nell'errore di sempre: il primo mondo, con la sua arroganza e supponenza di avere la bacchetta magica e, per "grazia ricevuta", in un colpo solo si auto-assolve e si auto-elegge a "salvatore della patria" - in questo caso della Libia - senza però ponendosi per un attimo nella vera realtà complessa di questo Paese come del resto di tutto il Continente Nero.

L'appuntamento siciliano dunque serve (o sarebbe servito nelle intenzioni del governo italiano n.d.t) a 'mantenere le posizioni' senza nemmeno provare a risolvere concretamente i problemi che, detto per inciso, non si risolvono né con la diplomazia né con le imposizioni occidentali che tendono a imporre solo "governi fantocci" che non fanno altro che rianimare i soliti, stucchevoli "interessi colonialisti" per continuare nello scippo delle varie materi prime africane che, da queste parti, significa: l'oro nero, ossia, il petrolio che fa gola a tutti. Italia, Francia, Egitto, Russia e via di questo passo.

Un capitolo a parte merita il generale Haftar.

Ci sarà a Palermo oppure no? E se alla fine poserà i suoi piedi sul suolo siciliano finirà per seguire (alla lettera ...) le imbeccate dal dittatore del Cairo, l'egiziano Al Sisi (per altro ben supportato da Macron in chiave anti-italiana)?

I reporter di AFP, hanno riportato la notizia (non troppo sponsorizzata dalla stampa nostrana), secondo cui, il premier Conte, l'11 novembre, si è spostato a Benghazi, nella Libia orientale, per incontrare proprio Haftar, la notizia viene confermata anche da fonti dell'Esercito Nazionale Libico (ANL): che cosa si saranno detti? Conte avrà insistito affinché Haftar metta da parte la sua naturale antipatia per #Roma e per il razzista #Ministrodellapaura?

Mistero.

Tanto più che a vertice iniziato non è dato sapere se il generale ci sarà oppure preferirà non partecipare ai lavori per poi incontrasi in separata sede in vertici unilaterali con Al Sisi (Egitto ... ricordiamo sempre che lo sponsor primario del "Signore della Cirenaica" oltre a #Parigi e proprio l'"Egitto dei militari" che sognano di mettere finalmente le mani su quella parte di Libia confinante con il Cairo per dare finalmente seguito al sogno di sempre, ossia quello del "Grande Egitto n.d.t) e Mevdev (Russia) che presenzia al posto dello "Zar Putin" o il potente Ministro degli Esteri, Lavrov del resto sono questi i "veri incontri" che possono cambiare le carte in tavola e, come si può notare l'Italia è fuori dai giochi che contano.

Insomma, al tirar delle somme, l'Italia sbaglierebbe doppiamente se pensasse di impostare il discorso sull'annosa "Questione Migranti" in genere, queste conferenze vengono organizzate per imporre politiche e alleanze future: ma l'Italia quale politica ha per la Libia e per l'Africa in generale?

Mistero.


A #Roma non conviene fare la guerra a #Parigi, la perderebbe in partenza, piuttosto al governo prima capiscono che la Libia e l'Africa sono risorse (e così facendo per esempio, Alitalia non avrebbe fatto la fine ingloriosa che abbiamo davanti agli occhi ... invece di scimmiottare improbabili joint venture improbabili bastava puntare lo sguardo a Sud e davanti a quel Sud si sarebbe aperto l'orizzonte visivo del Continente Nero quello che par altro stanno facendo con grande risultati in Etiopia con la compagnia di bandiera; che poi Alitalia un tempo in Africa era ben presente ... paradossi di un declino senza precedenti e che oramai, relegano, in posizioni subalterno questo triste Paese chiamato Italia capace solo di deliri razzisti e sovranisti mentre gli altri si dividono risorse e rotte ... restando solo al discorso della compagnia di bandiera); risorse imprescindibili e irrinunciabili e prima, #Roma riconquisterà importanza e considerazione a #Tripoli e non solo.

-Conclusioni

Vedremo se #Roma ha capito che la Libia e l'Africa sono delle risorse (non solo economiche) da valorizzare se non si vuole far tracimare il caos oltre ogni degenza.
(Fonte.:afp;jeuneafrique;liberation)
Bob Fabiani
Link
-www.afp.com.fr;
-www.jeuneafrique.com;
-www.liberation.fr

     

domenica 11 novembre 2018

Tensioni e accuse post-primo turno Presidenziali 2018 in Madagascar





Sono passati quattro giorni dal #7N in cui i malgasci erano chiamati a esprimere il proprio voto per decidere il prossimo presidente della Repubblica malgascia.

Prima di addentrarci sugli ultimi sviluppi che stanno tenendo banco sul tutto il territorio dell'isola, partiamo dall'ultimo dato sul voto popolare, una nuova pubblicazione da parte della Commissione Elettorale Nazionale Indipendente del Madagascar (CENI), nella giornata di ieri #10N.

Questi i dati aggiornati al 10 / 11 / 2018*

Scrutinio al 13,85% : 3.441 seggi su 24.852


  1. Andry Rajoelina     :  41,37%
  2. Marc Ravalomanana : 38,42%
  3. Hery Rajaonarimanpianina : 5,85% 
*(dati tratti dalla pagina Facebook : VIM Volontari Italiani per il Madagascar)

Alla luce di questo nuovo aggiornamento cambiano un pochino le cose ma non si tratta di stravolgimento delle forze in campo, in quanto, il ballottaggio è ormai una certezza e si terrà il 19 Dicembre 2018.

Hery Rajaonarimanpianina recupera qualcosa a fronte dell'esito del tutto deludente, in quanto alla vigilia H. V. M aspirava a ben altro risultato tanto che tutti gli organi di informazione malgasci stanno scrivendo articoli su articoli in cui si sottolinea la "rumorosa debacle" che potrebbe anche segnare per sempre la sua carriera politica. Sul fronte dei "due leader battistrada" i voti intercettati cambiano, nel senso che scendono leggermente, allontanandosi - definitivamente - dalla soglia magica del 50%.

E il resto del plotone?

Tutto confermato. I 33 candidati non superano l'1%.


-Tensioni, accuse e ripicche all'ombra della "Grande Isola dalla Terra Rossa"


L'aria che si respira su tutto il territorio del Madagascar è a dir poco elettrica. Da una parte, la totalità dell'opinione pubblica è disillusa, se non addirittura attonita dopo il primo turno di queste Presidenziali 2018; in una sorta di attesa che potrebbe prendere qualsiasi direzione. Su tutto aleggia la delusione per i dati emersi in questa prima parte delle pubblicazioni da parte della Commissione Elettorale Nazionale Indipendente del Madagascar (CENI); delusione per quella richiesta di cambiamento che al momento sembra essere state disattese.
Contrariamente a quello che si potrebbe pensare i più attivi nel post-voto presidenziale non sono i cittadini ma i politici.

Paradossi africani e malgasci.

La lentezza della pubblicazione da parte della Ceni hanno dato la possibilità sopratutto ai due leader che risultano vincenti al termine del primo turno di ascriversi il vantaggio (a turno) più consistente.

Comportamento del tutto discutibile e pericoloso tanto che sempre, nella giornata di ieri, #10N, la delegazione di responsabili dell'Unione africana arrivati dalle parti di Antananarivo per osservare lo svolgimento regolare delle operazioni di voto; ha preso prepotentemente voce in capitolo, redarguendo, severamente, proprio i due leader che si trovano in vantaggio.

E' stato il capo missione dell'UA - Unione africana ha inviato un duro e deciso monito a tutti i candidati e ai loro rispettivi sostenitori di interrompere la pubblicazione dei risultati e di attendere quelli pubblicati della CENI.


"Sono ex capi di Stato. Sono soggetti agli obblighi di moderazione e rispetto della legge. Dovrebbero essere una fonte di pace. Non è nel loro interesse intraprendere azioni che possono portare a tensioni e disordini".


Perché questa presa di posizione da parte della missione UA?

La dichiarazione precisa e severa è stata pronunciata dal capo missione dell'osservazione elettorale UA non più tardi di ieri, 10 novembre, in risposta al metodo del candidato Ravalomanana che prevedeva di chiamare i suoi sostenitori a una manifestazione di piazza in Ambohijatovo.

E' il caos.

In tutto questo tira e molla tra minacce e ostentazioni di forza si inserisce il candidato Hery Rajaonarimanpianina punta il dito contro la Commissione Elettorale Nazionale Indipendente (CENI) denunciando il caso di abuso di voti, a suo dire, per cercare una spiegazione circa il suo deludente risultato in termini di voti.

Qualcuno invece, come Ramtane Lamamra, cerca di fare appello alla responsabilità collettiva sostenendo che: "Allo stato attuale, non è il momento di provocare un Movimento di protesta e ancor meno di causare problemi".


-Ha funzionato la macchina elettorale in Madagascar?

Dopo quattro giorni dal giorno delle Elezioni Presidenziali si può tentare un primo bilancio sulla macchina organizzativa elettorale.
Si tratta di un responso in chiaro-scuro di questa tornata elettorale. Non troppo bene a sentire  le voci critiche di quanti non hanno potuto esercitare questo diritto fondamentale di ogni cittadino che si rispetti.

Tra denunce di brogli e svolgimento regolare del voto del #7N cosa sostiene l'UA?


"Elezioni Presidenziali #7N rappresenta un significativo passo avanti nel consolidamento della democrazia e della stabilità. I cittadini malgasci potevano scegliere liberamente il loro Presidente della Repubblica".


Eppure qualcosa non torna.


-L'incredibile accusa del signor. Ravalomanana


Nelle ultime ore dunque, il termometro del nervosismo in Madagascar è pericolosamente in salita e, in questo senso, fa molto discutere l'infamante accusa nei confronti della Ceni da parte del 'Clan Ravalomanana' in tandem con il responsabile della campagna elettorale 2018, Rabenja Tsehenoarista; secondo quanto affermato pare che la Commissione Elettorale Nazionale Indipendente (CENI) avrebbe ricevuto una forte somma di denaro da parte di un candidato.
Sono dichiarazioni diffamatorie oppure il clan dell'ex presidente hanno prove e, se così fosse, sono state depositate agli organi competenti?

Se verrà confermata la diffamazione, Ravalomanana rischia una condanna ai sensi dell'Articolo 208 Legge organica n° 2018-008: "un candidato per le elezioni pubbliche tendenti a screditare l'amministrazione elettorale o la magistratura, o che tende a esercitare pressioni su di loro prima di decidere l'esito finale comporta la squalifica".

Si annunciano giornate esplosive da qui al giorno del ballottaggio in programma il 19 Dicembre la speranza di tutti è che la "Grande Isola dalla Terra Rossa" non piombi di nuovo nell'incubo di una repressione poliziesca se non in quella militare.
(Fonte.:midi-madagasikara)
Bob Fabiani
Link
-www.midi-madagasikara.mg       

   
   

sabato 10 novembre 2018

Somalia, ennesima strage di civili







Almeno 41 persone (per lo più civili) sono state uccise e più di 106 feriti, nella giornata di venerdì, a causa dell'esplosione di due autobombe piazzate dai miliziani di Al Shabaab: fonti locali, fanno sapere che un altro attentatore è morto suicida nei pressi di un hotel occupato della capitale somala, Mogadiscio.

Non c'è pace dunque per la Somalia che continua a passare le proprie giornate di dramma in dramma e di strage in strage, messe in atto dai "Signori della Guerra" che, per un motivo o per un altro, non accennano a retrocedere dai loro obiettivi di sterminio. La Somalia e la sua capitale bruciano nel disinteresse generale mentre, nel cosiddetto primo mondo si continua a parlare di Africa praticamente a senso unico, nell'unico modo che questi tempi reazionari conoscono, ossia, sempre a senso unico e nella paranoia dei "Migranti invasori" della ricca, cinica, disumana "Vecchia Europa".


Inoltre si è appreso che questo stesso hotel, era stato colpito in un attacco del 2015: per altro, si trova vicino allo svincolo K4, un posto affollato nel centro di Mogadiscio.
E' risaputo che questa zona è ricca di hotel - frequentati dai professionisti stranieri e dai politici del paese africano - e, proprio vicino al luogo dell'attentato, so trova la sede del Dipartimento di Investigazioni Criminali (CID).

L'obiettivo dei miliziani di Al Shabaab era il noto "Hotel Sahafi".
(Fonte.:jeuneafrique;afp)
Bob Fabiani
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-www.jeuneafrique.com;
-https://www.afp.com.fr    

venerdì 9 novembre 2018

#MadagascarDecide: E' 'testa a tasta' dopo il 1°turno alle Presidenziali del #7N tra Rajoelina e Ravalomanana.




A due giorni dalle elezioni presidenziali in Madagascar, si profila un serrato ballottaggio per incoronare il "nuovo-vecchio Presidente" che sarà chiamato a guidare la #ResIsland.

Il ballottaggio è previsto per il 19 dicembre, intanto, la Ceni - Commissione Elettorale Nazionale Indipendente del Madagascar conferma le "tendenze di voto" emerse a caldo, subito dopo la chiusura dei seggi (almeno dei malgasci che hanno potuto esercitare questo diritto ... irrinunciabile ... dato che, non sono state poche le denunce dei cittadini che hanno visto debellati i loro nominativi dalle liste elettorali); la Ceni  pubblica le intenzioni di voto, ossia, i risultati di 490 seggi (su 24.852 distribuiti in tutta l'isola).

Siamo evidentemente parlando di risultati provvisori ma, comunque indicativi (e chiari): Rajoelina ha guadagnato il 44,57% dei voti ed è seguito da Ravalomanana al 40,71% delle preferenze del voto popolare.
Terzo e sonoramente bocciato è Hery Rajaonarimanpianina capace di intercettare un misero 3,55% di consensi.
Il resto, ossia i 33 candidati ammessi al 1°turno oscillano tra l'1,01% (Paul Radary) e lo 0,12% (Arlette Romaroson).

Si apprende, per altro che la Ceni pubblicherà i risultati provvisori entro e non oltre il #20N eppure, molti analisti (del voto, anche stranieri) compresi gli organi di informazioni malgasci, sono certi che verrà disatteso.
(Fonte.:lexpressmada;midi-madagasikara)
Bob Fabiani
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-www.lexpressmada.com;
-www.midi-madagasikara.mg  

giovedì 8 novembre 2018

Quale America dopo il #midterms2018?



Le elezioni di metà mandato sono da sempre uno snodo per le amministrazioni americane; rappresentano uno spartiacque tra un "prima e un dopo" e, a maggior ragione dopo questa tornata di #midterms2018.
Le ragioni sono molte ma, la più evidente è rappresentata dall'impennata dell'affluenza ai seggi: tanto da renderla "la più importante di sempre", come hanno riconosciuto tutti i mezzi di informazione statunitensi.
In un primo momento il responso del voto è stato improntato sul "pareggio tra il #vecchioGop e i #DemUSA" ma, in realtà non si è trattato di un pareggio.

Non poteva esserlo perché #TheDonald aveva giocato la carta - alquanto disperata in verità - del "Referendum intorno e sul mio nome" e lo ha perso. La caduta, l'impasse, la battuta di arresto investe tutto ciò che rappresenta il #Trumpismo e, l'eccezionale affermazione di nuovi protagonisti della politica americana (tutti nelle file dei Democratici USA n.dt), giovani, donne, socialiste e musulmane nonché provenienti dalle file dei latinos (tra i più odiati da #TheDonald n.d.t) e persino dalle file della Somalia (tra i Paesi messi al bando in tema di migranti e migrazioni n.d.t).

A essere sconfitta è dunque la visione del mondo che sta dietro al #Trumpismo e già da oggi rischia di mandare in confusione il presidente che, è bene ricordarlo, è riuscito ad arrivare alla Casa Bianca senza il consenso popolare degli americani.
Non abbiamo dovuto attendere troppo e troppo a lungo per registrare il latente, strisciante nervosismo di Trump quando ancora le urne (e lo spoglio dei voti) non era stato ultimato; il presidente che si nutre di odio razziale e di spinte decisamente fasciste, ha pensato bene di metter mano ai suoi deprimenti "cinguettii" per redarguire - a suo dire - quella parte dei Repubblicani (alla Camera n.d.t) che non lo hanno seguito, assecondato e per questa ragione (secondo lo scolastico modo di pensare del presidente) hanno perso il controllo di uno dei rami del Congresso.
Nell'incontro con la stampa poi, ha inscenato la solita scomposta sceneggiata per ribadire la stessa cosa di sempre: "I mezzi di informazione hanno scritto e continuano a scrivere falsità e per questo alla Camera hanno vinto i Democratici"; non contento di aver veicolato, per l'ennesima volta, la destabilizzante idea estremista (tanto cara a quegli ambienti razzisti e suprematisti bianchi di cui si nutre il suo deprimente esercito ...) secondo la quale, tutti i mezzi di informazione sono falsi, falliti ( e dunque vorrebbe vederli per sempre chiusi, messi al bando ...); in un crescendo indegno di un presidente, ha intimato ai suoi cortigiani di chiudere il microfono alla giornalista che si era permessa di fargli notare come la sua crociata contro la #CarovanaMigrante sia stata la causa di tante affermazioni di donne che affondano le loro radici proprio da "storie migranti".

All'indomani della vittoria che lo portò alla Casa Bianca furono proprio le Donne americane a capire cosa poteva rappresentare la vittoria del #Trumpismo e furono sempre le Donne a organizzare la prima marcia contro il presidente più razzista e apertamente contro tutte le donne. Il risultato, due anni dopo arriva proprio dalle elezioni di metà mandato: è cresciuta una generazione di giovane donne attiviste e socialiste che hanno saputo rinnovare, scuotere (dal profondo e dal basso) tutti i capisaldi che tenevano ben saldo tra le mani quel partito che, all'indomani delle #Presidenziali2016 sembrava per sempre messo al tappeto.
Sono queste donne che arrivano da lontano, direttamente dal dramma delle migrazioni ad aver posto le basi per far trionfare un America diversa, solidale e disposta a lottare per far emergere il rispetto dei Diritti Umani; sono queste donne ad aver squarciato ( e punito severamente la presunzione, l'arroganza di questo presidente), la fitta e spessa coltre di nebbia che avvolge l'America e, infine aver posto le basi per abbattere quel #Trumpismo segno tangibile di un accertato declino per gli Stati Uniti d'America.

La strada è lunga e difficile ma ora il Partito Democratico USA deve seguire la strada tracciata da queste donne, da queste storie, da questa storia che affonda le radici in quel socialismo che, principalmente, si fa portavoce di chi non ha tutela; di chi si trova ai margini delle sfavillanti luce di plastica della pubblicità veicolo e cassa di risonanza di quel "Capitalismo morente" fautore di tanti drammi. I Democratici USA dovranno avere il coraggio di prendere sempre più posizioni di sinistra radicale per sconfiggere definitivamente il #Trumpismo senza avere rimpianti per le posizioni centriste e moderate, ormai fuori tempo.
Trump ha capito cosa lo aspetta: sa perfettamente che queste donne lo incalzeranno proprio sul suo terreno preferito e, inoltre sa che aver perso il controllo sulla Camera lo costringerà a dover dare conto dei tanti scandali dei conflitti di interesse che avvolgono il suo nome e, sopratutto sa benissimo che lo "scandalo del secolo", il #RussiaGate d'ora in avanti non sarà più contrastato dai parlamentari e, alla fine potrebbe travolgerlo: per questo a urne non ancora chiuse si è scagliato contro Session pretendendo le dimissioni.
E' evidente che la "guerra a bassa intensità" che vede contrapposti orde di suprematisti bianchi e gli antifascisti è destinata a divampare e dilagare ma, ora,ci sono un numero di nuove deputate che non si faranno intimorire perché hanno un compito importantissimo da svolgere, quello di cambiare profondamente questa America allo stremo, questa America ripiegata su se stessa e che è stanca di odio razziale e di apartheid.
(Fonte.:nytimes.com)
Bob Fabiani
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-www.nytimes.com



  

Madagascar, Elezioni Presidenziali: disattesa la richiesta di 'cambiamento' dei malgasci





Il #7Novembre i malgasci sono stati convocati alle urne per votare il nuovo presidente della Repubblica malgascia e, il responso - almeno quello relativo all'affluenza ai seggi - ha già emesso un verdetto: a votare sono stati il 47,18% degli aventi diritto al voto; per cui il dato evidenzia una bassa affluenza, secondo quanto riporta Ceni.




Questo dato è figlio della crisi istituzionale che si è materializzata in Madagascar nei mesi scorsi - di cui ci siamo ampiamente occupati su queste pagine virtuali - ; una crisi legata al fatto che la #GrandeIsolaDallaTerraRossa è attraversata da una insistente "voglia di cambiamento"; un cambiamento auspicato dalla maggioranza del popolo malgascio.

Nei mesi scorsi (leggi le manifestazioni di protesta andate in scena non solo nella capitale #Antananarivo n.d.r) sopratutto le nuove generazioni, gli studenti, ma anche le donne malgasce hanno fatto sentire la loro voce, in merito al fatto che, l'appuntamento elettorale coincidesse con l'inizio di un cambiamento reale che, finalmente, rispondesse concretamente ai bisogni sociali della società civile.

Ma tutto questo è stato ignorato, disatteso.



  


-Presidenziali per "Soliti Noti"


La bassa affluenza alle #Presidenziali2018  è dovuta anche dal fatto che si è deciso di votare in una giornata lavorativa quasi che le élite del Potere, quelli che detengono e dispongono di ingenti somme di denaro, al pari, di imprenditori senza tralasciare gli investitori stranieri sembra come se sia fatto a gara per creare una sorta di "zona cuscinetto" tra quello a cui aspira la popolazione malgascia (e i l resto ... evidentemente gli interessi non convergono); in pratica, dalle parti di Tana (come chiamano la loro città gli abitanti di #Antananarivo n.d.t) è andata in scena la solita "partita": da una parte il "Capitalismo morente" e dall'altra parte, dall'altra sponda, tutti gli altri che arrancano, disillusi e sempre più sfiduciati.

In un contesto del genere allora, oltre a questo dato dell'affluenza bassa, non può sorprendere che, al termine del primo turno di queste Presidenziali ci siano " i soliti noti", i candidati arcinoti e già perdenti, nel senso che, il loro fallimento - alla guida del Madagascar - è cosa già accertata dai fatti.

Al termine della giornata di voto - andata in scena il #7N - i risultati parziali dicono che i due candidati presidenziali, Andry Rajoelina e Marc Ravalomanana, sono i protagonisti di un "testa a testa" dopo i primi risultati, molto parziali, emessi dalla Commissione Elettorale malgascia.



E dunque chiunque vinca al prossimo ballottaggio - che si terrà nel mese di dicembre - sarà un qualcosa di già visto, già sperimentato e che non lascia molto spazio né può dare rassicurazione sul futuro del Madagascar.

La campagna elettorale è stata di basso livello - ma ormai questa è una costante in questi tempi malati e reazionari - e non costituisce certo una novità se nella #GrandeIsolaDallaTerraRossa si sia parlato poco e male degli interessi collettivi del popolo malgascio : a ogni latitudine, ormai, possiamo certificare che la Democrazia è in sofferenza tanto da essersi trasformata in qualcosa di molto diverso e inquietante, a maggior ragione durante una campagna elettorale che si svolge in #Africa.

Anche qui, a Tana, per tutta la giornata di ieri, si sono rincorse voci di brogli elettorali quel che sappiamo, al momento di scrivere questo post, sono le notizie inerenti al mancato diritto di voto che molti elettori malgasci hanno subito, causa molti uffici erano chiusi e quindi chi aveva necessità di ritirare i documenti validi per esprimere il proprio voto hanno dovuto rinunciare.

La domanda che dobbiamo porci è la stessa che su queste pagine avevamo avanzato quando, le autorità malgasce per sedare la rabbia popolare all'indomani della discutibile scelta di cambiare le regole per la partecipazione alle Elezioni del #7N; avevano messo in atto una repressione poliziesca: a chi fa paura la voglia di cambiamento del popolo malgascio?

A distanza di più di sette mesi siamo in grado di capire a chi, nel Madagascar, non è andato a genio che la società civile, i giovani, gli studenti e le donne, si siano spinti a chiedere un cambiamento radicale che metta al primo posto la democrazia, pari opportunità, giustizia ma anche possibilità di lavoro e di salari dignitosi oltre al rispetto dei diritti umani e sociali così a lungo disattesi.

Ma di tutto questo non si è parlato durante la campagna elettorale perché gli interessi degli investitori stranieri non collimano con quelli del popolo malgascio e anzi vanno nella direzione dell'austerità tanto cara ai "soliti noti" del Fondo Monetario Internazionale.

E la democrazia resta pura illusione e, nella più rosea delle aspettative resta sospesa, ingessata oppure si trasforma in qualcosa di ibrido, inquietante, diventando "Democratura".

Allora avanti con i "cavalli di ritorno" che rispondono al nome di Andry Rajoelina e quello di Marc Ravalomanana e tutto ciò rende queste elezioni sconfortanti e sicuramente, un occasione perduta.

E' dunque questo il dato che emerge dopo il voto popolare tra i più bassi mai registrati nella #GrandeIsola e, al termine di un primo turno con più ombre che luci. Il vantaggio se lo contendono l'ex Presidente della Transizione, Andy Rajoelina e l'ex Presidente Marc Ravalomanana, proprio lui, quello che sognava di passare alla storia come il "Migliore Presidente del Madagascar" e, per riuscirci, non lesinò l'idea di buttarsi a capofitto nell'"Affaire Daewoo".

Che cosa era questo affare?

Era il cosiddetto "Affare del secolo", la vendita - ma sarebbe più corretto dire il regalo, la svendita che si  doveva materializzare attraverso una "concessione di 99 anni" ai Sudcoreani  della Daewoo appunto - un regalo che avrebbe reso i rappresentanti di Seul gli unici padroni della totalità della Terra dell'Isola.

Un abuso di potere da parte di Ravalomanana senza precedenti, dal momento che la terra in Madagascar è considerata sacra e appartenente agli antenati per cui nessuno può arrogarsene il diritto di poterla vendere.

-Conclusioni

Questi due "soliti noti" della politica malgascia sono i principali protagonisti della crisi politica 2009 e, per questa ragione, non parteciparono alle elezioni del 2013.
Ma tutto cambia e tutto si ripresenta uguale a se stesso, l'importante salvaguardare gli interessi del Capitalismo morente.
(Fonte.:jeuneafrique;lexpressmada;africa24;madagascar-tribune)
Bob Fabiani
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-www.africa24.com;
-www.madagascar-tribune.com           

AfricaLand Storie e Culture africane riprende le pubblicazioni




Ai Lettori,
in questo lungo periodo in cui non abbiamo pubblicato post, la redazione ha lavorato a lungo sui futuri lavori che vedranno la luce su queste pagine virtuali, a partire da oggi.

AFRICALAND INFORMA:

Oggi leggerete i seguenti post:


  1. MADAGASCAR AL VOTO PER LE PRESIDENZIALI DEL #7N
  2. VIAGGIO IN AMERICA, ALL'INDOMANI DELLE ELEZIONI DI #MIDTERMS2018. QUALE AMERICA ESCE DALLE URNE? COSA ACCADRA' DEL#TRUMPISMO? QUALE FUTURO PER I #DEMUSA?


Buona lettura a tutti.
(Fonte.:africalnd)
Bob Fabiani
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