Nell'era in cui sembra inevitabilmente compromessa la democrazia come strumento di equità sociale e automaticamente "strumento di meritocrazia" per il cambiamento sempre più invocato da milioni di cittadini, il Madagascar a pochi mesi dalla tornata elettorale - l'elezione presidenziale e legislativa - il potere che detiene il destino del popolo malgascio per non lasciare la poltrona, lancia un pericoloso "guanto di sfida".
Se si getta un attento sguardo a ciò che sta accadendo in tutta l'Africa si assiste a un preoccupante "passo di lato" della qualità della democrazia in tutto il Continente.
La lista è lunga (e per motivi di spazio non è possibile elencarla qui in questa sede).
Il Madagascar si aggiunge a questa lista infinita: una sfilza di paesi africani in cui presunti leader - come abbiamo più volte riportato su questa pagine virtuali - si credono i padroni onnipotenti degli Stati che hanno l'onore e l'onere di guidare con discutibili equilibrismi che altro non sono se non "vulgate anti-democratiche" che rischiano di incendiare tutto il Continente nero, al Nord come al Centro-Africa come nell'Africa sub-sahariana.
Queste decisione scellerate portano alla reazione degli attivisti africani e dei cittadini come è accaduto nello scorso mese di aprile per le strade della capitale malgascia, Antananarivo.
Quando le autorità malgasce - tra queste anche il governo - hanno deciso di forzare le mani per introdurre le riforme delle regole elettorali (di fatto escludendo alcuni autorevoli esponenti dell'opposizione dalla corsa presidenziale), l'opinione pubblica malgascia si è data appuntamento per le strade della capitale per mandare un preciso messaggio alle stesse autorità: non è di questo che i malgasci hanno bisogno.
Paradossalmente, dalle parti di Antananarivo questa domanda pressante di cambiamento e di rafforzamento della qualità della democrazia è mal digerito. La qualità della democrazia significa mettere in campo più risorse per i diritti sociali in un contesto e in un paese dove, milioni di persone sono costrette a vivere di stenti.
Lo scorso 21 aprile 2018 la capitale malgascia è stata il teatro di alcune azioni delle forze armate della Grande Isola che hanno fatto sobbalzare sulla sedia molti osservatori (e forse la stessa Francia) : l'attuale presidente malgascio d'accordo con le altre autorità, ha deciso di mettere in campo una reazione muscolare che, non ha risparmiato neanche i militari.
A chi fa paura questa richiesta legittima del popolo malgascio sul fronte del cambiamento, un cambiamento che deve avvenire in tutti i settori della vita sociale dell'isola?
In quei giorni è così nato un nuovo movimento di protesta che, insieme alle opposizioni invoca le dimissioni del presidente che, imprudentemente, ha avallato queste pseudo-riforme costituzionali che non garantiscono la tenuta democratica del Madagascar.
Alcune settimane dopo quei cruenti scontri di aprile la situazione non è cambiata di molto. Seppure gli scontri tra manifestanti e agenti sono cessati, le posizioni restano distanti. Si è tentato di far partire una trattativa tra oppositori e leader governativi ma si è rivelata inconcludente.
In virtù di quest'impasse, l'opposizione malgascia non ha nessuna intenzione di sospendere le proteste anzi, quasi quotidianamente si ritrova in Place du 13 Mai, Antananarivo per rilanciare la proposta di dimissioni del presidente Hery Rajaonamampianina.
L'esponente dell'ONU, presente da diversi giorni sull'Isola dalla Terra Rossa boccia questa soluzione, bollandola come "posizione insostenibile".
Di fatto, in questo modo questa crisi politica ogni giorno che passa si avvita su stessa, rischiando di diventare esplosiva non più tardi delle prossime settimane.
Il Madagascar è sull'orlo del precipizio: pur di non accogliere le istanze di cambiamento di tutti i malgasci e, si preferisce avventurarsi in una "crisi al buio" che può favorire solo le élite e le varie istituzioni internazionali quali FMI - Fondo Monetario Internazionale e la Banca Centrale, le solite istituzioni schierate al fianco di quel "Capitalismo morente" che, per praticare politiche d'austerità e inique ha bisogno, in Africa come altrove di "svolte autoritarie".
Quando mancano pochi mesi alle elezioni presidenziali e legislative anche in Madagascar chi detiene il potere decide di cambiare le "regole del gioco" preparando il terreno per una "morte certa della democrazia".
(Fonte.:jeueneafrique)
Bob Fabiani
Link
-www.jeuneafrique.com/madagascar
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