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domenica 17 gennaio 2021

Dieci anni dopo le Rivolte arabe in Africa e Medio Oriente: passato e futuro. Pt.1


 




A dieci anni dalle prime proteste contro i regimi arabi, AfricaLand Storie e Culture africane riflette su cos'è cambiato : arrivando a una conclusione che i cittadini non si fermeranno e presto si aprirà una nuova fase.
(Bob Fabiani)


Nel decimo anniversario delle proteste arabe che volevano sostituire interi sistemi di governo con altri più efficienti, democratici e trasparenti, il bilancio sembrerebbe misero. Solo la Tunisia ha compiuto il passaggio a una democrazia costituzionale, mentre il Sudan è nel pieno di una fragile transizione triennale. Libano, Sudan, Iraq e Algeria sono ancora alle prese con imponenti proteste, mentre in Libia, Siria, Iraq e Yemen sono in corso gravi conflitti che coinvolgono forze locali e straniere.
La maggior parte degli altri paesi arabi è regredita verso un potere autoritario ancora più duro.

Questa idea convenzionale del mondo arabo dopo un decennio di proteste è però incompleta. Un'analisi più approfondita riconoscerebbe che in tutta fretta l'area continuano a verificarsi cambiamenti importanti che condizioneranno i futuri sistemi di governo. Dieci anni non sono un tempo sufficiente per valutare in modo credibile le sollevazioni rivoluzionare arabe : "sollevazioni" perché sono proteste civili spontanee, e "rivoluzionarie" perché aspirano a cambiare totalmente i sistemi di governo e le relazioni tra stato e cittadini, compresi i valori e le azioni dei singoli individui.

Per prima cosa è importante comprendere le due cornici temporali che hanno portato alle rivolte. La prima è il cinquantennio cominciato nel 1970, durante il quale i governi militari al potere nella regione hanno usato la ricchezza petrolifera per istituzionalizzare sistemi autoritari per lo più corrotti e inefficienti. La seconda cornice copre i cento anni trascorsi dalla prima guerra mondiale, che diede origine al moderno sistema regionale caratterizzato da stati instabili e sovranità deboli.
In modo simile ai movimenti Black Lives Matter e #MeToo negli Stati Uniti, anche le rivolte arabe derivano da decenni di infruttuose proteste minori da parte di cittadini politicamente inermi contro discriminazione, disuguaglianza e crescenti povertà e disperazione. Nella loro ampiezza, profondità e longevità, nelle rivendicazioni e nell'azione politica, le rivolte arabe sono parte di un processo a lungo negato di autodeterminazione nazionale e di costruzione dello stato che i cittadini arabi chiedono, e che oggi tentano di raggiungere, con risultati contrastanti, in questa prima fase di azione collettiva.

-Le stesse rivendicazioni

Questo decennio di rivolte è storicamente significativo per diversi aspetti, che la regione non aveva mai affrontato in modo così ampio e duraturo. Il più straordinario è la continuità. Dal 2010 ci sono state proteste in metà dei ventidue paesi della Lega araba. La diffusione regionale si combina con la portata nazionale delle rivendicazioni di una maggioranza dei cittadini all'interno dei singoli stati.
Questo è emerso con evidenza di recente in Libano, Algeria, Iraq e Sudan, dove diversi gruppi confessionali, etnici, ideologici e regionali che in passato avevano protestato separatamente si sono uniti in manifestazioni coordinate. Hanno imparato che tutti soffrono delle stesse difficoltà e disuguaglianze : poco lavoro, salari bassi, istruzione e sanità scadenti, povertà e inflazione in aumento, economie al collasso, corruzione sfrenata e incuria e incompetenza delle autorità.

Le preoccupazioni condivise sono evidenti nelle rivendicazioni identiche avanzate in ogni paese. A differenza delle proteste del 2010 che facevano appello a generiche nozioni di dignità e giustizia socialed, oggi i manifestanti chiedono una serie di passi specifici di trasformazione per creare governi più efficienti, democratici e trasparenti in uno stato di diritto. Tra questi : le dimissioni dei vertici del governo, un esecutivo di transizione che organizzi nuove elezioni, una costituzione che garantisca i diritti dei cittadini, una magistratura indipendente e meccanismi anticorruzione, l'incriminazione dei funzionari che si sono arricchiti a scapito della società e dell'economia.

Ambientalisti, attivisti per la giustizia sociale, per i diritti di genere e delle minoranze, per lo stato di diritto e altri per mesi hanno unito le forze facendo pressioni per un sistema di governo che li trattasse con equità. Singoli individui e gruppi organizzati hanno lavorato insieme nelle piazze per formulare rivendicazioni e proporre soluzioni. Questo ha generato due nuovi fenomeni importanti : molte persone che non si erano mai espresse in pubblico si sono unite alle proteste (studenti, insegnanti e abitanti delle province periferiche); e molti per la prima volta nella vita hanno sperimentato cosa vuol dire contribuire a plasmare le politiche nazionali.
Inoltre i cittadini hanno creato nuove organizzazioni, dalle piattaforme mediatiche ai sindacati ai centri comunitari.
Accanto a questi e ad altri segnali della lenta nascita di un nuovo cittadino arabo però, negli ultimi anni abbiamo visto anche la brutale reazione dei regimi e dei gruppi confessionali che si rifiutano di spartire o di cedere il potere. Ovunque i regimi da tempo consolidati hanno reagito alle prime sollevazioni con promesse di riforme limitate, tra cui un nuovo primo ministro, nuove elezioni o l'aumento della spesa sociale. I manifestanti le hanno respinte come concessioni di facciata e offensive che avrebbero perpetuato le strutture di potere e le loro politiche fallimentari, e hanno continuato a scendere in piazza per abbattere i regimi. Le élite al potere, insieme alle milizie e alle bande criminali confessionali, hanno risposto con la violenza politica o militare. Hanno sparato e ucciso centinaia di manifestanti, hanno incarcerato o incriminato i leader della protesta, hanno ridotto in cenere gli accampamenti degli attivisti e hanno lasciato che le economie moribonde dei loro paesi si aggravassero ancora di più.

Le dure reazioni dei governi non hanno placato le proteste. Ma l'ha fatto la pandemia di Covid-19 esplosa a marzo. Per gran parte del 2020 la rabbia e la paura covate dai cittadini non sono riuscite a imporre nuove politiche statali e la pressione delle proteste si è dissipata. Mentre i rallentamenti economici e i timori per la salutate causati dalla pandemia hanno interrotto gran parte delle proteste, alcuni governi hanno tentato di usare la loro risposta alla crisi sanitaria per recuperare legittimità agli occhi dei loro ex sostenitori che si erano uniti alle proteste. In tutta la regione le proteste oggi sono sospese, in attesa della fine della pandemia, e i manifestanti ne approfittano per ripensare le loro strategie, i punti di forza e le debolezze, per essere preparati quando le proteste riprenderanno.
(Fonte:alaraby)
-Fine Prima Parte-
Bob Fabiani
Link
-www.alaraby.co.uk     



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