Durante l'ennesimo naufragio al largo delle coste della Libia che rende quel tratto di mare Mediterraneo sempre più macabro emergono le voci di chi è riuscito a scampare al genocidio.
Almeno per il momento.
Non c'è tuttavia nulla da festeggiare in quei volti impauriti, stravolti e umiliati di questa migrazione sempre più disumana.
Essere scampati alla morte certa tra le onde del mare per questi africani significa tornare direttamente nel centro dell'inferno dei lager libici. Significa finire di nuovo in quelle prigioni, spesso illegali spuntate come funghi grazie ai lauti fondi, elargiti dal tandem UE-Italia; prigioni gestite dalle milizie e dalle mafie.
Queste sono le loro testimonianze.
Donna camerunense racconta :
"Il mio bambino ha un anno e mezzo, è nato nel deserto del Niger. In Libia siamo stati in prigione per 5 mesi a Sabratha con il bambino. Una donna è morta dopo aver partorito, il cordone era stato tagliato col filo perché non c'è niente: niente medicine, niente cure. Non ci si poteva lavare. Ci mettevano droga nel cibo, l'acqua non era potabile".
Le voci di queste testimonianze che arrivano direttamente dall'inferno libico, laddove l'umanità di tutti (nessuno escluso) sembra per sempre compromessa, sospesa; sono quelle delle donne d'Africa provate, umiliate, stuprate eppure, malgrado queste tragedie, riescono ad avere quel tratto tipico della "fierezza africana".
Le guardi dritto nei loro grandi occhi e il messaggio che arriva è quello di una speranza, di un tentativo di instaurare un "ponte di legalità" dove poter ripristinare quel minimo di diritti umani e civili che sono totalmente calpestati per questa umanità africana costretta a fuggire da altre tragedie, altre guerre, dalla povertà causata anche dai cambiamenti climatici al pari dei governi corrotti capaci di spedire tutti sul lastrico.
Ma questa è solo una parte di verità che si va a sommare al cinismo e ai diktat imposti dal cosiddetto primo mondo che considera l'Africa sempre come terra di conquista dove poter disporre a suo libero piacimento delle risorse e delle materie prime che, per esempio, in Europa latitano e non da oggi.
Le parole di denuncia di queste donne non sono parole spese a vanvera ma, al contrario sanno andare dritto al cuore del problema e, sono pronunciate senza filtri.
"La tratta dei neri esiste in Libia. In Libia tutti sono armati, anche i bambini. Si sentono spari dappertutto. Prendono le donne, le torturano, ti spogliano e ti perquisiscono. Gli uomini e i bambini vengono sodomizzati. Spezzavano le dita alle ragazze chiudendole nelle porte. I trafficanti ci hanno spinto in mare dicendoci 'andate a morire nel Mediterraneo'".
Nell'ultimo genocidio consumato nel tratto di mare davanti alle coste della Libia - naufragio accaduto negli ultimi giorni di novembre - i migranti sono stati divorati dagli squali e, tra essi c'erano 27 bambini. A sentire le voci dei migranti sbarcati a Catania - gli stessi scampati all'atroce fine di migranti bambini, donne e uomini diventati "pasto per pescecani" tra le onde del Mediterraneo ormai "Mare di morte" emergono anche altri indizi della tragedia delle violenze subite nei lager libici: "Dopo essere stati imprigionati in Libia molti di noi sono stati picchiati e torturati con i cavi elettrici" - raccontano i migranti e aggiungono "queste torture servivano ad estorcere soldi alle nostre famiglie rimaste in Africa".
Questa ultima testimonianza trova riscontro dalle voci di alcune donne eritree che spiegano: "I trafficanti mentre torturavano molti di noi erano in collegamento con i nostri parenti in Eritrea, in questo modo li costringevano a pagare".
Forse è anche per questa ragione che i migranti sbarcati a Catania, per esseri finalmente riusciti a uscire dall'inferno di quei lager libici che direttamente dal porto della città etnea hanno inscenato canti e balli, nella più autentica tradizione africana.
Le drammatiche condizioni dei migranti nel lager libico di Abu Salim
Esiste un filo conduttore che tiene unite tutte queste testimonianze infernali dei migranti: sono le denunce delle donne che, con le loro voci provate riemergono dall'inferno in terra, rappresentato dalla Libia condannata a essere uno "Stato fallito" dopo la guerra del 2011 voluta dagli europei, sopratutto dalla Francia allora guidata dal presidente Sarkozy smanioso di togliere di mezzo Gheddafi, l'unico in grado di tenere a bada quelle milizie che oggi invece detengono il potere in quello che resta della Libia.
Sono voci di migliaia di migranti - donne e bambini - costretti a stare reclusi in queste prigioni, in condizioni estreme. Tutto è avvolto in detenzioni arbitrarie che, tuttavia in Libia diventano legalizzate con la deplorevole connivenza di UE e della stessa Italia.
Sono avvolti dal silenzio e dal buio.
A migliaia questi "figli e giovani madri d'Africa" sono costretti a stare in gabbie, sbarre con temperature che sfiorano i 40 gradi : anche questa visione rimanda agli orrori delle odiose pratiche della schiavitù di due secoli prima quando, venivano venduti alle aste di "schiavi africani", una volta arrivati nel cosiddetto "nuovo mondo", ossia gli Stati Uniti d'America.
Ma oggi avviene tutto attraverso la tecnologia - come ha testimoniato l'importantissimo reportage di Cnn - dove, un numero imprecisato di migranti-schiavi sono comprati e venduti da questi mercanti-trafficanti che, per troppo tempo sono stati tutelati e sovvenzionati ai massi livelli di un paese come la Libia dove non esistono regole e, a imperare è solo il caos, un caos prodotto dall'assurda guerra del 2011 che ha replicato in Africa, i disastri americani in Medio Oriente e, in epoca più recente in Siria creando una serie di "Stati fantasma" dove a imperare è solo la violenza e i soprusi di ogni genere contro la popolazione inerme.
Nel distretto di Tripoli che prende il nome di Abu Salim (centro di detenzione) l'Oim - Organizzazione internazionale per le migrazioni, stima che siano almeno 6 mila i migranti detenuti ma si tratta di stime per difetto e comunque riferite al mese del giugno scorso. Nelle celle - che sono pensate per 4 persone - viene in realtà condiviso da 20 donne e 20 bambini, stipati uno accanto all'altro. Le mamme pettinano i capelli delle bambine. Non esistono giocattoli, né acqua sufficiente per tutti. I detenuti sono spesso costretti a defecare e urinare nelle loro celle.
Sono storie di dolore collettivo e al tempo stesso individuale dove, tuttavia emerge, con chiarezza come il prezzo più alto è pagato dalle donne, giovani madri e dai bambini, i minori indifesi. Queste storie sono testi di una umanità in fuga da guerre, fame e dittature che dopo aver attraversato il deserto subiscono lunghe detenzioni illegali gestito da milizie vicine a quel governo libico non riconosciuto in Libia ma imposto dall'ONU, UE e a cui l'Italia si appoggia per respingere e rimpatriare i migranti.
Sono detenzioni illegali concessi a bande di trafficanti di armi e droga, gli stessi che sono passati in massa a infoltire le fila della guardia costiera libica, armata e addestrata dalla Marina italiana usando fondi e risorse pubbliche dei cittadini italiani.
Dopo il drammatico reportage Cnn che ha squarciato il vergognoso silenzio che copriva le aste di migranti per vendere schiavi africani, al recente Summit UA-UE di Abidjan, i leader delle due istituzioni hanno capito che il problema deve essere affrontata seriamente. Il primo obiettivo è svuotare questi lager ma chissà se l'UE ha capito che è necessaria una strategia e non un intervento "in emergenza", come sottolinea Filippo Grandi dell'Unhcr.
Non sarà così facile riuscire nell'impresa: Federico Soda, direttore dell'ufficio del coordinamento per il Mediterraneo dell'Oim ammonisce : "E' dura sgomberare quelle prigioni. In gioco ci sono troppi soldi" e aggiunge "la Libia non ha formalmente alcun dovere nei confronti dei rifugiati, perché non ha mai firmato la Convenzione di Ginevra del 1951. Inoltre l'instabilità del governo locale rende tutto più problematica ogni operazione".
Lo stesso Soda sottolinea: "Puntiamo a organizzare un volo al giorno per i rimpatri", come ratificato al termine - pochi giorni fa - del Summit di Abidjan 2017.
(Fonte.:jeuneafrique;mondediplomatique;internazionale;espresso)
Bob Fabiani
Link
-www.jeuneafrique.com;
-www.monde-diplomatique.fr;
-www.internazionale.it;
-espresso.rep.it
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