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lunedì 10 agosto 2020

Viaggio in Mauritania tra deserto e mare Pt.3







Percorrendo la strada lungo la costa della Mauritania s'incontrano saline, dune e spiagge sconfinate. E popolazioni dal passato nomade che vanno incontro a un futuro ancora incerto.

Con la pubblicazione di questa terza parte si conclude il nostro viaggio nel paese africano: AfricaLand Storie e Culture africane dopo questo post si prende una pausa di due settimane dando appuntamento ai lettori virtuali di questo blog lunedì 31 agosto.



-Riempire il vuoto*

Il giorno in cui fu proclamata l'indipendenza della Mauritania, - era il 28 novembre 1960 - Nouakchott, la città destinata a diventare la capitale, non esisteva ancora. Era solo una duna in un deserto che un tempo era stato un fondale marino - conchiglie e sabbia - con una piccola fortificazione costruita dai francesi, all'interno della quale alloggiavano 15 soldati al comando di un sergente.
Sessant'anni dopo Nouakchott è la più grande città del Sahel.




Perché si decise di costruire una città in un luogo inospitale, battuto dal vento, senz'acqua dolce, senza una casa né una storia da raccontare?

Il primo presidente mauritano, Moktar Ould Daddah, voleva che lo stato creato su un territorio colonizzato dai francesi partisse da zero. Rompesse con il passato. Che si costruisse un'identità nazionale fino ad allora inesistente. Avrebbe potuto scegliere come capitale la città di Port-Etienne, oggi Nouadhibou, o Rosso, sul fiume Senegal.







Ma la prima era troppo a Nord e la seconda troppo a Sud. A Nord predomina il mondo arabo e berbero, a Sud il mondo nero africano. Costruire la capitale a metà strada era un modo per conciliare la diversità culturale del nuovo stato, dove tutto era ancora da fare.

Uno degli artefici della nuova città è stato l'architetto Tidiane Diagana. Quest'ultimo ricorda il suo primo viaggio con il presidente Daddah fino alla duna. Ricorda che le prime case furono delle khaima e che proprio in una di quelle tende si svolse il primo consiglio dei ministri. Che Nouakchott era chiamata la città dei cartelloni perché centinaia di cartelloni conficcati nella sabbia annunciavano quello che sarebbe stato costruito in seguito: la scuola, la moschea, il parlamento, l'ospedale.
Il generale Charles De Gaulle andò a visitare la duna nel suo tour attraverso i paesi africani che stavano ottenendo l'indipendenza dalla Francia. Improvvisamente si scatenò il panico. Non c'era un letto abbastanza grande per il generale - alto un metro e novantasei - e dovettero andare a cercare a Saint-Louis, in Senegal.
Di quegli anni Diagana ricorda sopratutto l'entusiasmo.
Non c'era nemmeno l'acqua, racconta, e dovettero portarla con i secchi da Rosso fino a quando i francesi scavarono - e pagarono - alcuni pozzi nella regione di Idini e poi si costruirono le condotte fino al fiume Senegal che oggi riforniscono la città.







Lasciamo Nouakchott per dirigerci a Sud. Viaggiamo in compagnia di un biologo di Madrid, José Manuel Baldò, detto Mané. Ci accompagna una forte tempesta di sabbia. A Tiguent troviamo Ivan e Goran. Uno è serbo, l'altro croato. Viaggiano in bicicletta. Vogliono ripercorrere la rotta dei migranti, ecco perché vanno da Sud a Nord, con il vento in faccia. In direzione contraria: è proprio quello che fanno mettendosi insieme un serbo e un croato che vogliono attirare l'attenzione sull'orrore della guerra e che decidono di intraprendere il viaggio di quelli che - com'è capitato a loro durante l'infanzia - oggi vivono nuove guerre.
All'incrocio per Legweichich ci fermiamo a chiacchierare con alcuni giovani tipografi e topografe dei lavori promossi dall'Organizzazione internazionale del lavoro.
Stanno costruendo una strada per semplificare  il trasporto di prodotti ittici. I loro genitori, spiegano, sono agricoltori e nomadi. Loro voglio un'altra vita. Binta parla delle difficoltà delle donne in un mondo dominato dagli uomini. Prima di diventare topografia non aveva le idee chiare. Ora, dice, ama la topografia perché le permetterà di essere indipendente.
Sta già progettando una vita in cui sarà lei a prendere le decisioni.

"Non voglio essere una moglie in una famiglia poligama".

Navighiamo lungo il delta del fiume in mezzo a una vegetazione di mangrovie e ogni sorta di uccelli. Gestendole bene, dice Mané, queste foreste di mangrovie potrebbero essere redditizie per la popolazione locale, che potrebbe "affittarle" alle aziende inquinanti per compensare le emissioni di gas serra, come prevede il protocollo di Kyoto.

Una famiglia di pescatori avanza senza motore, approfittando del vento, con una vela ricavata dai ritagli di una khaima sulla quale è ricamata la parola amore. Ci salutano con la mano. Alla fine del delta, nel bel mezzo del parco naturale la Cina ha cominciato a costruire un grande porto (come ha già fatto in altre parti del Continente).
C'è segretezza assoluta intorno a quest'opera faraonica, che comprende un porto militare, uno commerciale e un altro di pesca. Una baguette regalata a una delle  guardie ci permette di entrare nella zona dei lavori. Vediamo una nave militare.
Grandi edifici in costruzione. Piccole casette per gli operai. Un immenso appezzamento costellato di pannelli fotovoltaici.

In mare aperto, proprio davanti alla foce del fiume, è stato trovato un enorme giacimento di gas. Ora si teme che questa ricchezza naturale, che andrà divisa con il Senegal ed è estremamente necessaria a entrambi i paesi, possa essere una maledizione, alimentando la corruzione e modificando gli equilibri naturali senza alcun rispetto per l'ambiente.
La Mauritania, che ha poco più di 4 milioni di abitanti, ha oggi risorse sufficienti - oro, ferro, gas - per essere una "Norvegia del Sud".




N'Diago è l'ultima città mauritana prima di attraversare il fiume Senegal. Una città di pescatori tradizionali wolof. In questi ultimi mesi il livello del mare è salito tanto da portare via la prima fila di case. Non ci sono posti dove fermarsi a dormire, quindi raggiungiamo Kajara, un paesino tra dine bianche e palmeti. Amadou ci offre una casa. Dobbiamo lavarci. Un ragazzo va a cercare dei bidoni d'acqua. Si può mangiare? Andiamo dal capo del paese e ci presenta una donna che ci vende un pollo. E chi lo cucina? Nessun problema. Troviamo la donna che lo spennerà e lo metterà in padella. Con le cipolle va bene? Perfetto. Al risveglio Amadou si presenta con un vassoio di tè. Da lì a pochi giorni tornerà a pescare, ci spiega, è un capitano e ha la sua piroga. Magari verrà a trovarci in Spagna.

"Mi piacerebbe molto", dice salutandoci.

- Fine -
*Bru Rovira è un giornalista spagnolo. Per 25 anni è stato corrispondente del quotidiano catalano La Vanguardia. Oggi scrive sopratutto di temi sociali per vari giornali spagnoli. Il suo ultimo libro è Solo pido un poco de belleza (Ediciones B 2016).

(Fonte.:elpais)
Bob Fabiani
Link
-www.elpais.com/elpais/esp 



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