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lunedì 30 dicembre 2019

1619, 400 Anni dopo l'inizio della schiavitù in America. Pt.5








Quinta e ultima pubblicazione di AfricaLand Storie e Culture africane dedicato al "tema della schiavitù" negli USA.

Sono passati ben 400 anni da quando, negli Stati Uniti, hanno fatto la loro comparsa i primi schiavi che arrivavano dall'Africa : sono stati i neri, con le loro battaglie per l'uguaglianza e per i diritti universali, a difendere gli ideali della costituzione statunitense e a trasformare il paese in una vera democrazia.

Il reportage, di cui oggi pubblichiamo la e ultima parte è la summa di un lungo articolo, di uno speciale pubblicato dal New York Times Magazine sull'eredità della schiavitù negli Stati Uniti. Il titolo scelto è 1619, l'anno in cui i primi schiavi africani furono comprati dai coloni britannici della Virginia, in Nordamerica.
(Bob Fabiani)



Un unico popolo*











"Nella maggior parte dei casi i neri combattevano da soli. Ma non combattevano mai solo per se stessi. Le sanguinose lotte per la libertà del movimento per i diritti civili dei neri gettarono le basi di tutte le altre lotte per i diritti cvili dell'era moderna. I fondatori bianchi degli Stati Uniti avevano stilato una costituzione non democratica che emarginava le donne, i nativi americani e i neri, e non avevano garantito il voto e l'uguaglianza a tutti gli americani.
Le leggi nate della resistenza dei neri hanno invece liberato tutti e vietato qualsiasi discriminazione basata non solo sul colore della pelle ma anche sul sesso, sulla nazionalità, sulla religione e sulle abilità.
E' stato il movimento per i diritti civili, nel 1965, a portare all'approvazione dell'Immigration and nationality act, che modificò il sistema pensato per mantenere bianco il paese. Grazie agli americani neri, oggi gli immigrati di ogni colore provenienti da tutto il mondo possono entrare negli Stati Uniti e vivere in un paese dove le discriminazioni non sono consentite dalla legge.

Nessuno apprezza la libertà più di chi non l'ha avuta. E ancora oggi gli americani neri abbracciano gli idedali democratici del bene comune più di qualsiasi altro segmento della popolazione. Secondo i sondaggi, i neri sono i più favorevoli all'assistenza sanitaria per tutti e all'aumento del salario minimo, e sono i più contrari alle misure che danneggiano i più deboli. Un esempio : i neri sono i più colpiti dai crimini violenti, ma sono contrari alla pena di morte; il tasso di disoccupazione tra i neri è quasi il doppio rispetto a quello dei bianchi, ma i neri sono i più favorevoli ad accogliere i rifugiati.

La verotà è che tutta la democrazia di cui il paese gode è il frutto della resistenza dei neri. Probabilmente i nostri padri fondatori non credevano veramente negli ideali che avevano sposato, ma i neri sì.
Per dirla con il sociologo Joe R. Feagin : "Gli schiavi afroamericani sono stati i più grandi combattenti per la libertà che questo paese abbia mai prodotto". Per generazioni, noi neri abbiamo dato a questo paese una fiducia che non meritava. Abbiamo visto il peggio dell'America, eppure ancora crediamo nella sua parte migliore.


Il potere dei nomi


Si dice che il nostro popolo sia nato sull'acqua.

Nessuno sa per certo quando è successo. Forse è stato durante la seconda settimana, o la terza, ma sicuramente prima della quarta, quando quegli uomini e quelle donne non vedevano la loro terra né nessun'altra terra da così tanti giorni da aver perso il conto. E' stato dopo che la paura si era trasformata in disperazione, la disperazione in rassegnazione e la rassegnazione in profonda comprensione.
L'azzurra infinità dell'oceano Atlantico li aveva separati così completamente da quella che un tempo era stata la loro casa che era come se nulla fosse mai esistito prima, come se tutte le cose e le persone che amavano fossero semplicemente sparite dall'universo. Non erano più mbundu, akan o fulani. Quegli uomini e quelle donne di tanti paesi diversi, tutti incatenati insieme nella soffocante chiglia della nave, erano diventati un unico popolo.
Solo qualche mese prima avevano famiglie, fattorie, vite e sogni. Erano liberi.
Avevano anche un nome, naturalmente, ma i loro padroni non si erano presi la briga di registrarlo. Erano stati resi neri dalle persone che credevano di essere bianche.
Nel posto dove erano diretti, nero equivaleva a "schiavo" e lo schiavismo richiedeva che degli esseri umani fossero trasformati in proprietà, privati di qualsiasi elemento di individualità. Questo processo si chiamava seasoning : le persone portate via dall'Africa occidentale e centrale erano costrette, spesso con la tortura, a smettere di parlare la loro lingua madre e di praticare la loro religione d'origine.
Per quanto i bianchi fingessero di crederlo, i neri non erano oggetti. E perciò quel processo di adattamento forzato, invece di cancellare la loro identità, otteneva l'effetto contrario. Nel vuoto, abbiamo creato una nuova cultura tutta nostra.
Oggi anche il nostro modo di parlare ricorda le lingue creole inventate dagli schiavi per poter comunicare sia con gli africani che parlavano vari dialetti sia con gli inglesi che li avevano schiavizzati. Il nostro modo di vestire, quel pizzico di stile in più, nasce dal desiderio degli schiavi, privati di qualsiasi individualità, di affermare la propria identità. Oggi le nostre pettinature e la nostra moda all'avanguardia sono la conseguenza della volontà degli schiavi di sentirsi pienamente umani esprimendo se stessi.
L'improvvisazione tipica dell'arte e della musica nere nasce da una cultura che, sentendosi esclusa, non poteva aggrapparsi alle convenzioni. Perfino i nostri nomi, spesso contestati, sono atti di resistenza. I nostri cognomi appartengono ai bianchi che un tempo ci possedevano. Questo è il motivo per cui tanti americani neri, sopratutto i più emarginati, continuano a dare ai loro figli nomi di fantasia che non vengono né dall'Europa né dall'Africa, dove non siamo mai stati. Anche questo è un atto di autodeterminazione. Quando il mondo ascolta la tipica musica americana, sente la nostra voce. I tristi canti che intonavamo nei campi per lenire il nostro dolore fisico e sperare in una libertà che non ci aspettavamo di conoscere prima della morte sono diventati il gospel americano. Tra la violenza devastante e la povertà del delta del Mississippi abbiamo dato vita il jazz e il blues. Ed è stato nei quartieri impoveriti dove erano costretti a vivere i discendenti degli schiavi che adolescenti troppo poveri per comprarsi uno strumento hanno cominciato a usare vecchi dischi per creare la nuova musica chiamata hip-hop.
Il nostro modo di parlare e di vestire e il suono della nostra musica evocano l'Africa ma non sono africani. Nel nostro isolamento unico, sia dalle nostre culture d'origine sia dall'America bianca, abbiamo creato la cultura più originale e significativa di questo paese. Da parte sua, la società "dominante" ha invidiato il nostro stile, il nostro slang, la nostra musica, e ha cercato di appropriarsi dell'unica vera cultura americana. Come scriveva Langston Hughes nel 1926 : "Vedranno quanto sono bello / e si vergogneranno / anch'io sono l'America".


Su queste terre


Per secoli  gli americani bianchi hanno cercato di risolvere "il problema dei neri", dedicando migliaia di pagine a questa impresa. Succede ancora oggi che si parli del tasso di povertà dei neri, delle gravidanze fuori dal matrimonio, della criminalità e del basso numero di neri iscritti all'università, come se in un paese costruito su un sistema di caste questi fenomeni non fossero prevedibili. Ma non si possono leggere queste statistiche senza tener conto di un altro dato : negli Stati Uniti i neri sono stati schiavi più a lungo di quanto non siano stati liberi.

Ho 43 anni e faccio parte della prima generazione di neri americani nata quando gli afroamericani avevano già tutti i diritti di cittadinanza. Abbiamo sofferto per 250 anni, siamo giuridicamente "liberi" solo da cinquanta. Eppure, in questo breve periodo, nonostante le continue discriminazioni, e anche se non è mai stato fatto un vero tentativo di riparare ai torti subiti dagli schiavi e alle conseguenze della segregazione, i neri hanno fatto progressi sorprendenti, non solo per se stessi ma per tutti gli americani.
E se finalmente, dopo quattrocento anni, l'America capisse che noi non siamo mai stati il problema ma la soluzione?
Quando ero bambina, credo fossi in quinta elementare, un'insegnante ci assegnò un compito che serviva a esaltare la diversità del grande crogiolo americano.
Ci chiese di scrivere un breve testo sulla terra dei nostri antenati e poi disegnarne la bandiera. Mentre si girava per scrivere le istruzioni alla lavagna, io e l'altra bambina nera della classe ci guardammo. La schiavitù aveva cancellato qualsiasi legame avessimo mai avuto con un paese africano, e anche se avessimo cercato di reclamare come nostro l'intero continente, non esisteva nessuna bandiera "africana". Era già abbastanza difficile essere una delle due alunne nere della classe, e questo compito non avrebbe fatto altro che ricordarci la distanza tra noi e i bambini bianchi. Alla fine mi avvicinai al mappamondo che era accanto alla cattedra, scelsi un paese africano a caso e decisi che era il mio.
Ora vorrei poter tornare da quella bambina che ero per dirle che i suoi antenati avevano vissuto in America, su queste terre, e invitarla a disegnare con coraggio e orgoglio la bandiera a stelle e strisce.
Un tempo ci dicevano che, a causa della nostra schiavitù, non avremmo mai potuto essere americani : ma è proprio a causa di quella schiavitù che siamo diventati i più americani di tutti".

*Nikole Hannah-Jones è una giornalista d'inchiesta statunitense. Per il New York Times segue i temi che riguardano le discriminazioni razziali, in particolare nel sistema scolastico.
*Fine
(Fonte.:nytimes)
Bob Fabiani
Link
-www.nytimes.com



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