Terza pubblicazione di AfricaLand Storie e Culture africane dedicato al "tema della schiavitù" negli USA.
Sono passati ben 400 anni da quando, negli Stati Uniti, hanno fatto la loro comparsa i primi schiavi che arrivavano dall'Africa : sono stati i neri, con le loro battaglie per l'uguaglianza e per i diritti universali, a difendere gli ideali della costituzione statunitense e a trasformare il paese in una vera democrazia.
Il reportage, di cui oggi pubblichiamo la 3° parte è la summa di un lungo articolo, di uno speciale pubblicato dal New York Times Magazine sull'eredità della schiavitù negli Stati Uniti. Il titolo scelto è 1619, l'anno in cui i primi schiavi africani furono comprati dai coloni britannici della Virginia, in Nordamerica.
(Bob Fabiani)
-Costituzione ipocrita*
"Dalla mitologia fondante degli Stati Uniti è stato opportunamente cancellato il fatto che i coloni decisero di dichiarare l'indipendenza dalla Gran Bretagna anche e soprattutto perché volevano proteggere l'istituto della schiavitù. Nel 1776 la Gran Bretagna aveva ormai un rapporto profondamente conflittuale con il ruolo che aveva svolto nella nascita di quella pratica barbarica. A Londra in molti ne chiedevano l'abolizione. Se quelle proposte fossero state accolte l'economia delle colonie americane, sia al nord sia al sud, ne avrebbe risentito enormemente. La ricchezza che permise a Jefferson - che all'epoca della dichiarazione d'indipendenza aveva solo 33 anni - e agli altri padri fondatori di credere di poter uscire da uno dei più potenti imperi del mondo derivava proprio dai profitti generati dallo sciavismo.
In altre parole, forse i coloni non si sarebbero mai ribellati alla madrepatria se non avessero capito che era proprio la schiavitù a consentirglielo; e non lo avrebbero fatto se non fossero stati convinti che l'independenza era necessaria per garantire che la schiavitù continuasse. Non è un caso se dieci dei primi dodici presidenti degli Stati Uniti erano proprietari di schiavi.
Nella versione finale della dichiarazione d'indipendenza non si fanno cenni alla schiavitù. E undici anni dopo, quando arrivò il momento di scrivere la costituzione, i suoi autori elaborarono con cura un documento che preservava e difendeva la schiavitù senza neanche nominarla.
La costituzione degli Stati Uniti si occupa direttamente della schiavitù in sei punti, coma ha spiegato lo storico David Waldstreicher, mentre in altri cinque ne parla indirettamente. Il testo proteggeva le "proprietà" degli schiavisti, vietava al governo federale d'intervenire per mettere fine all'importazione di schiavi africani per un periodo di vent'anni, consentiva al congresso di mobilitare le milizie per sedare le rivolte degli schiavi e costringeva gli stati dove la schiavitù era illegale a consegnare le persone fuggite dagli stati schiavisti. Lo scrittore e abolizionista Samuel Bryan denunciò l'inganno contenuto nella costituzione dicendo : "Le sue parole sono oscure e ambigue, tanto che nessun uomo semplice e di buon senso le avrebbe mai usate, e sono chiaramente state scelte per nascondere all'Europa che in questo paese illuminato la pratica dello schiavismo ha i suoi sostenitori anche tra gli uomini che ricoprono le più alte cariche di potere".
Secondo molti studiosi, il paradosso di continuare il traffico di schiavi in un paese fondato sulla libertà individuale portò a un irrigidimento del sistema delle caste basato sull'appartenenza razziale. Questa ideologia, rafforzata non solo dalle leggi ma dalla scienza e dalla letteratura razziste, sosteneva che i neri erano subumani, permettendo agli americani bianchi di continuare a vivere nella menzogna. Secondo gli storici Leland Ware, Robert Cottrol e Raymond Diamond, gli americani bianchi, che fossero o meno coinvolti nello schiavismo, "investivano psicologicamente ed economicamente sulla dottrina dell'inferiorità dei neri". Mentre la libertà era un diritto inalienabile delle persone considerate bianche, la schiavitù e l'assoggettamento erano la condizione naturale delle persone che avevano anche una sola goccia di sangue "nero".
La legalità di questo concetto fu sancita dalla corte suprema nel 1857 : i giudici del massimo organo della giustizia statunitense decretarono che i neri, sia gli schiavi sia le persone libere, discendevano da una razza "schiava". Questo li rendeva inferiori ai bianchi e, di conseguenza, incopatibili con la democrazia statunitense. Questa teoria legittimò il razzismo endemico che gli Stati Uniti non sono ancora riusciti a estirpare. Se i neri non potevano mai diventare cittadini, se erano una casta separata da tutti gli altri esseri umani, non avevano bisogno dei diritti sanciti dalla costituzione, e così quel "noi" contenuto nella frase "noi il popolo" non era una bugia.
La soluzione di Lincoln
Il 14 agosto del 1862, solo cinque anni dopo la sentenza della corte suprema, il presidente Abraham Lincoln organizzò alla Casa Bianca un incontro con cinque stimati uomini liberi neri. Non succedeva spesso che dei neri entrassero nella residenza del presidente. La guerra civile tra il nord e il sud infuriava da più di un anno e gli abolizionisti neri, che facevano sempre più pressione su Lincoln perché abolisse la schiavitù, dovevano essere emozionati e orgogliosi per quell'invito.
La guerra non stava andando bene per Lincoln. La Gran Bretagna stava valutando la possibilità di intervenire al fianco della confederazione sudista, e Lincoln, che non riusciva a trovare abbastanza volontari bianchi da mandare a combattere, fu costretto a prendere in considerazione l'idea di arruolare americani neri tra le file dell'esercito nordista. Al momento della riunione con i leader neri Lincoln stava pensando a un proclama che emancipasse tutti gli schiavi negli stati che si erano staccati dall'unione se non si fossero arresi. Il proclama avrebbe anche permesso agli ex schiavi di arruolarsi nell'esercito dell'unione e di combattere contro i loro ex "padroni". Ma Lincoln era preoccupato per le conseguenze di una decisione così radicale. Come molti americani bianchi era contrario alla schiavitù, che considerava un sistema crudele in contrasto con gli ideali americani, ma era anche contrario a riconoscere l'uguaglianza dei neri.
Pensava che i neri liberi fossero una "presenza problematica" incompatibile con una democrazia destinata solo ai bianchi.
Quattro anni prima aveva detto : "Liberarli e renderli politicamente e socialmente nostri pari? Questo i miei sentimenti non lo accettano, e anche se lo facessero, sappiamo bene che la grande maggioranza dei bianchi non lo accetterebbe".
In quel giorno di agosto, quando arrivarono alla Casa Bianca, i cinque neri furono accolti dalla figura imponente di Lincoln e da James Mitchell, che otto giorni prima era stato nominato dal presidente commissario per l'emigrazione, una posizione appena creata nell'amministrazione. Dopo un breve scambio di convenevoli, Lincoln andò subito al punto e informò i suoi ospiti di aver convinto il congresso a stanziare i fondi per mandare via i neri dagli Stati Uniti una volta liberati.
"Perché i neri dovrebbero lasciare questo paese? Questa è forse la prima questione su cui ragionare", disse Lincoln. "Perché voi e noi apparteniamo a razze diverse. La vostra razza ha molto sofferto vivendo tra noi, mentre la nostra soffre per la vostra presenza. In poche parole, tutti soffriamo".
Potete immaginare il silenzio che cadde in quella stanza, mentre il peso di quello che il presidente aveva detto toglieva momentaneamente il respiro a quei cinque uomini neri. Erano passati esattamente 243 anni da quando i loro i primi antenati erano sbarcati su quelle spiagge, prima della famiglia di Lincoln e molto prima della prima della maggior parte dei bianchi che insistevano nel sostenere che i neri non potevano vivere in quel paese. L'unione non era scesa in guerra per mettere fine alla schiavitù ma per impedire che il sud si separasse, eppure molti neri si erano arruolati. Gli schiavi fuggivano dai loro campi di lavoro forzato - che ancora oggi chiamiamo piantagioni - e cercavano di unirsi ai combattimenti, servivano come spie, sabotavano i confederati, imbracciavano le armi per difendere la loro causa e quella dell'unità della nazione. E ora Lincoln li accusava di essere responsabili della guerra.
"Anche se a molti uomini impegnati da entrambe le parti non importa nulla di voi, senza l'istituto della schiavitù e la razza nera, la guerra non sarebbe scoppiata", disse il presidente. "E' meglio per tutti, quindi, se ci separiamo".
Quando Lincoln ebbe finito di parlare, Edward Thomas, che guidava la delegazione, lo informò, forse in modo un po' brusco, che intendevano consultarsi sulla proposta.
"Prendetevi tutto il tempo che volete", disse Lincoln. "Non c'è nessuna fretta".
Gli anni della speranza
Circa tre anni dopo quell'incontro, il generale Robert E. Lee, comandante delle truppe confederate, si arrese all'esercito nordista. All'improvviso quattro milioni di neri americani stavano per diventare liberi. E, contrariamente a quello che pensava Lincoln, la maggior parte di loro non aveva nessuna intenzione di andarsene, in linea con una risoluzione presentata a un convegno di leader a New York decine di anni prima : "Questa è la nostra patria e il nostro paese. Sotto la sua terra giaccionole ossa dei nostri padri. Qui siamo nati e qui moriremo".
Il fatto che gli ex schiavi si rifiutassero di lasciare il paese è una sorprendente dimostrazione della loro fedeltà agli ideali fondanti degli Stati Uniti. Come scrisse lo storico nero W.E.B. Du Bois : "Pochi uomini hanno venerato la libertà come hanno fatto i neri americani per due secoli". I neri invocavano da tempo l'uguaglianza ed erano convinti, come scrisse l'abolizionista Martin Delany, che "Dio ha dato lo stesso sangue a tutti i popoli che vivono sulla faccia della terra".
Così, finita la guerra, non volevano vendicarsi dei loro oppressori, come temevano Lincoln e tanti altri americani bianchi. Al contrario, tra il 1865 e il 1877 (il periodo successivo alla guerra conosciuto come "ricostruzione") gli ex schiavi s'impegnarono per migliorare il processo democratico. Mentre le truppe federali cercavano di arginare la violenza dei bianchi, i neri del sud aprirono sedi della Equal rights league - una delle prime organizzazioni del paese per la difesa dei diritti umani - per combattere le discriminazioni e mobilitare gli elettori. Andarono in massa alle urne, riuscendo a eleggere degli ex schiavi nei saggi che erano stati dei loro padroni.
Per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, il sud cominciò a somigliare a una democrazia, con i neri che ricoprivano cariche politiche a livello locale, statale e federale. Al congresso ne arrivarono sedici, tra cui Hiram Revels del Mississippi.
Più di seicento neri entrarono nei parlamenti degli stati del sud e centinaia ricoprirono incarichi a livello locale.
Questi deputati neri si unirono ai repubblicani bianchi, alcuni dei quali venivano dal nord, per scrivere le costituzioni statali più ugualitarie che il sud avesse mai avuto. Contribuirono all'approvazione di norme fiscali più eque e di leggi che proibivano qualsiasi discriminazione sui trasporti pubblici e nel mercato immobiliare.
La loro maggiore conquista fu la creazione della più democratica delle istituzioni statunitensi : la scuola pubblica".
*Nikole Hannah-Jones è una giornalista d'inchiesta statunitense. Per il New York Times segue i temi che riguardano le discriminazioni razziali, in particolare nel sistema scolastico.
**Fine Terza Parte
(Fonte.:nytimes)
Bob Fabiani
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-www.nytimes.com
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