AfricaLand Storie e Culture africane, a partire da oggi, 24 dicembre pubblica un #reportage dedicato "all'anno dell'Africa", l'anno in cui (nel 1960) 17 paesi dell'Africa Subsahariana diventarono indipendenti nel giro di 12 mesi. Di questi, 14 erano possedimenti francesi.
-Dream in progress
Era l'anno in cui Roma ospitava i Giochi olimpici e John Fitzgerald Kennedy venne eletto presidente degli Stati Uniti : anno di grazia, 1960 e 17 paesi dell'Africa Subsahariana diventarono indipendenti - uno dopo l'altro - in appena 12 mesi, liberandosi dal dominio coloniale europeo. Tra questi, 14 erano possedimenti francesi.
"Un errore profondo, una colpa della République" , affermò Emmanuel Macron.
E' il 1960, l'alba di un decennio che sarà ricordato per la sua fiducia nel progresso e nella speranza di futuro : a queste latitudini, a cavallo dell'Equatore, passa però alla storia come "l'Anno dell'Africa".
Oggi, sei decenni dopo quell'incredibile e serrata sequenza di dichiarazioni d'indipendenza - dal Camerun alla Mauritania passando per il Madagascar - l'anno dedicato agli anniversari della liberazione, ai bilanci del lascito coloniale e della transizione, e alle celebrazioni delle nuove conquiste è stato stravolto dal Coronavirus.
Sessant'anni dopo, per il miliardo e più di abitanti subsahariani, non tutto corrisponde al libro dei sogni inaugurato con la proclamazione dell'indipendenza, quando "l'Africa e gli africani cominciarono a scrivere la propria storia", per dirla con le parole di Patrice Lubumba, padre della libertà congolose dal giogo coloniale del Belgio e icona rivoluzionaria del continente, evocato durante le proteste del Lives Matter (branchia europea n.d.t) di questa estate (dopo il brutale assassinio di George Floyd in USA n.d.t). Negli anni, le pagine di quel libro dei sogni sono spesso state macchiate da guerre e genocidi, sgualcite da storie di corruzione sistemica e sfruttamento delle risorse naturali (e favorite dai "padroni di ieri" ossia, le potenze colonialiste che, una volta lasciata la "stretta oppressiva" dall'oggi al domani; non hanno consentito ai vari paesi africani di preparare e formare una classe dirigente che fosse pronta alla grande sfida ...), stracciate dalla morsa della povertà (conseguenza inevitabile ...) e di un potere autoritario e repressivo (doloroso epilogo di quei leader che un tempo erano stati protagonisti delle guerre di liberazioni contro gli Stati colonialisti e poi, una volta arrivati al potere rivelatesi spesso, addirittura peggiore degli oppressori bianchi ...).
Eppure oggi, nonostante la pandemia che ha innescato nel continente la prima recessione in 25 anni, la mappa multicolore dell'Africa ha anche un volto fatto di un'integrazione regionale sempre più articolata e ambiziosa, di transizioni democratiche acciaccate ma non deragliate, della seconda industria cinematografica del mondo - la nigeriana Nollywood - e di una crescente digitalizzazione low cost fatta di smartphone made in China venduti a meno di 100 dollari, app economy, sistemi di pagamento cashless in rapida ascesa e abbonamenti Netflix modellati sui device mobili.
Non tutti gli Stati sono uguali e i trend tendono ad apparire sensibilmente diversi anche in realtà confinanti : se la Nigeria è la prima economia del continente, il Niger è in fondo alla classifica dello Human Development Index dell'ONU. Le trasformazioni sociali, politiche ed economiche sono tuttavia trainate da un dato demografico significativo : in Africa, l'età media è 18 anni (in Europa viaggiamo oltre i 40 ...). Secondo le stime, entro il 2100 quasi la metà dei bambini sotto i quattro anni presenti al mondo sarà concentrata qui.
E questo indubbiamente spaventa tutti i suprematisti bianchi sparsi nel mondo ma, al tirar delle somme, se si deve guardare al futuro nel XXI secolo, non si potrà non farlo rivolgendo lo sguardo verso Sud. Probabilmente non sarà un "classico affare" (almeno non con la chiave di lettura del Neoliberismo e della dittatura del Neocapitalismo n.d.t) ma è indubbio che l'avvento dell'Era dell'Africa è solo una questione di tempo.
-Eppur si muove
Un tratto paradossale, quello anagrafico, che fa a pugni con la realtà del potere ancora in mano a una generazione di leader anziani e inamovibili : il continente più giovane ha i governanti più avanti negli anni (magari sponsorizzati da quei stessi Stati colonialisti, ossia gli ex "padroni colonialisti" per tenere in scacco il continente), ma anche sfidanti 40enni (seppure sul finire di questo 2020, 60esimo dell'Anno dell'Africa uno di essi, Ahmed, primo ministro etiope ha deluso molti dopo aver dato inizio all'ennesima guerra tra Etiopia e Tigray che rischia di innescare una crisi senza fine e di difficile lettura previsionale).
Molti riponevano grandi speranza in Abiy Ahmed : 41 anni al momento dell'elezione come premier d'Etiopia (una ventata di speranza dopo lo storico accordo con l'Eritrea e il Nobel per la pace n.d.t), è il volto nuovo tra over-60.
Autocrati in carica da tre decenni o più, che sono riusciti a modificare le Costituzioni per eliminare i limiti di mandato, come hanno fatto nei mesi scorsi i leader di Guinea (Alpha Condé) e della Costa d'Avorio (Alassane Ouattara, che per ingraziarsi gli agricoltori ha aumentato i prezzi del cacao, di cui il paese africano è il primo produttore al mondo e che da solo rappresenta il 15% del Pil) ma la lista è lunga e lo spazio a nostra disposizione non consente di elencarli tutti.
Talvolta, come nel caso dell'eritreo Isias Afwerki, si tratta dell'unico presidente che il paese abbia mai conosciuto (lascito drammatico della dominazione italiana n.d.t), mentre altri hanno messo in piedi un vero sistema dinastico, dal Gabon dei Bongo al Togo dei Gnassingbé.
Se nei primi trent'anni dell'indipendenza i cambi di leadership attraverso le urne sono stati una discreta rarità, dagli Anni Novanta in poi molti paesi hanno visto l'avvento del multipartitismo e di opposizioni agguerrite : un recente dell'ISPI di Milano, ha tracciato l'identikit del potere africano e ha messo in luce come la permanenza al potere si sia progressivamente ridotta, normalizzando anche successioni e alternanza. Nel 2015 Muhammadu Buhari è diventato il primo leader della Nigeria proveniente dall'opposizione, battendo il presidente uscente (seppure deludendo i nigeriani dato che il suo fallimento nella lotta contro Boko Haram è ormai acclarata e anche la sua blanda opposizione alle violenze della polizia denunciata dal nuovo movimento di giovani cittadini non solo a Lagos, non più tardi di tre settimana fa).
Gli ultimi anni, poi, hanno visto il tramonto di discussi "monarchi repubblicani" : fra tutti, Robert Mugabe dello Zimbabwe, destituito nel 2017 (con un golpe che ha poi portato però al potere il "Coccodrillo" Mnangagwa n.d.t) e morto nel 2019, ma anche l'angolano José Eduardo dos Santos e il congolose Joseph Kabila. Fino a Ibrahim Boubacar Keita, l'ultimo della lista : l'uomo forte del Mali è stato scalzato ad agosto da un golpe arrivato al termine di mesi di proteste "ascoltate" dai militari : i manifestanti invocavano un cambio di passo, riforme istituzionali e politiche incisive. Un copione andato in scena anche in Burkina Faso e ancor prima in Sudan (qui la fine del regime del terrore di Omar al-Bashir è stata accompagnata dall'abolizione della sharia n.d.t). Dopo aver tentato invano di trovare una mediazione tra piazza, governo e esercito, i leader delle nazioni vicine, riuniti nell'Ecowas - la degli Stati africani occidentali - hanno deciso di imporre sanzioni contro il paese, salvo sospenderle dopo l'insediamento dell'esecutivo di transizione. C'è chi vi ha visto il timore di un effetto domino nell'area.
"Ma è anche un segnale della sempre più importante dimensione regionale delle relazioni intra-africane", spiega Bernanrdo Venturi, responsabile di ricerca dello IAI di Roma, dove si occupa di Africa.
-L'ultima scommessa
L'Ecowas non è l'unico esempio di comunità economica su scala regionale. L'Unione africana (AU), che mette insieme tutti gli Stati del continente, si suddivide al suo interno in altre 7 realtà, spesso oper-burocratizzate (come nel resto del mondo), che riuniscono gli Stati con varie sovrapposizioni geografiche.
"L'UA ha dimostrato di poter fare una cosa che a noi occidentali non riesce molto bene : guardare lontano. Mentre il nostro orizzonte programmatico pensa di solito al decennio successivo, nel 2013 l'UA ha adottato l'Agenda 2063, che prevede una serie di iniziative rivolte alla costruzione di un'Africa prospera, pacifica e che possa diventare una forza dinamica nell'arena globale", aggiunge Venturi.
L'obiettivo di rilevanza storica oggi a portata di mano è la costruzione dell'area di libero scambio più grande al mondo, l'African Continental Free Trade Area (Afcfta), che creerà un mercato interno sull'esempio di quello europeo e libererà l'energia potenziale incamerata nel continente. L'entrata in vigore era attesa per metà 2020 : la pandemia l'ha riprogrammata per inizio 2021; secondo la banca mondiale, rappresenterebbe una crescita di 450 miliardi di dollari capace di proiettare 30 milioni di persone al di fuori della povertà estrema in 15 anni. Un'importante opportunità per l'industria africana e per la libera mobilità nel continente, mentre crescono i collegamenti aerei diretti. Nonostante l'alterata percezione europea, la migrazione in Africa - spesso legata anche ai cambiamenti climatici - resta una questione decisamente interna al continente, con flussi che rappresentano fino all'80% del totale, come dimostra la controversa costruzione, per ora sospesa, di un muro al confine fra Guinea Equadoriale e Camerun.
-Un Mondo che cambia
Come già 60 anni fa, il ruolo della Francia negli ex possedimenti africani continua a evolversi : a maggio Parigi ha annunciato la fine del franco CFA, valuta retaggio del passato coloniale nella Françafrique e la sostituzione con una nuova moneta, l'ECA; resta in piedi il cambio fisso con l'euro. Se l'Eliseo fa ancora leva sul soft power della francofonia e i partenariati per la sicurezza (come la missione nel Sahel dove, detto per inciso è presente anche l'Italia, contro terroristi e trafficanti ... soluzioni che in realtà non risolvono nulla come nel clamoroso del "caso Mali n.d.t), è la UE che in questo turbolento 2020 ha provato a rilanciare le proprie relazioni, in un rapporto fra pari con l'Unione Africana.
Ma c'è di più. "Fino a qualche tempo fa gli americani parlavano dell'Africa come di un affare europeo", aggiunge Venturi. Oggi però il continente rientra a pieno titolo nelle dinamiche di un mondo multipolare in cui Cina, Russia, Turchia, India e monarchie del Golfo (MO) assumono un ruolo maggiore : relazioni che possono sembrare una novità, ma che erano là già mille anni prima dell'avvento delle potenze coloniali europee. Mosca guarda con interesse alla cooperazione in materia di sicurezza e gli occhi di Ankara sono puntati sull'est. Ma è Pechino ad avere le più sviluppate relazioni commerciali e politiche con tutti i paesi africani : spazia dalla costruzioni di teatri a quella dei ponti, strade e altre infrastrutture.
Progetti che rientrano nella bretella africana della Via della Seta che sostiene le ambizioni geopolitiche cinesi. Nel piccolo Gibuti - meno di un milione di abitanti ma una posizione strategica che dal Corno d'Africa si tuffa nel Mar Rosso - la Cina stabilito la sua prima base militare all'estero, in un paese in cui si trovano già strutture militari USA ma anche europee, saudite e giapponesi. La Cina, nel solo Madagascar (prima dello scoppio della pandemia) ha deciso di investire qualcosa come 60 miliardi di euro : fonti di Pechino confermano questi investimenti che doteranno la Grande Isola dalla Terra Rossa di infrastrutture necessarie per rendere l'isola moderna e al passo con i tempi.
Il continente è grande, ma è apparecchiato per molti appetiti : quelli di sempre.
(Fonte:jeuneafrique:monde-diplomatique)
Bob Fabiani
Link
-www.jeuneafrique.com;
-www.monde-diplomatique.fr
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