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domenica 29 ottobre 2017

Retrospettiva e riflessioni dopo i recenti attentati in Somalia


 



Quattordici giorni dopo la mattanza più cruenta mai registratisi nel martoriato paese africano, la Somalia, causa un attacco terrorista che ha lasciato sul selciato oltre 358 morti e 228 feriti oltre, a 56 dispersi, a Mogadiscio ieri, è stato un altro sabato drammatico.
La strage di ieri - sabato 28 ottobre 2017 - seppure più contenuto nel numero di vittime innocenti, ha fatto registrare l'immediata copertura degli organi di informazione italiani.  Come mai questa clamorosa diversità nel coprire una notizia decisamente drammatica, proprio su quel fronte - del terrorismo di matrice islamista -  che, quando, colpisce e miete vittime nel cosiddetto "primo mondo"  raccoglie grande copertura mediatica e, quando invece fa altrettanto, non viene minimamente preso in considerazione e, non da oggi e, non solo per i drammatici fatti di Mogadiscio (la capitale) della Somalia?

La domanda di fondo dunque è : perché questa disparità nel "coprire" una notizia (molto rilevante dal punto di vista giornalistico) internazionale? Semplicissimo.  Nel drammatico attentato di ieri in Somalia si è verificato uno di quei spunti che, da questa parte del Pianeta - il civilissimo e modernissimo occidente - ha consentito di modificare il modo di "coprire la notizia". A Mogadiscio ieri i miliziani jihadisti di Al Shabaab (in lingua somala che corrisponde all'italiano "i Ragazzi" e in arabo "Hizb al-Shabab, Partito della Gioventù), hanno prontamente rivendicato la nuova strage e, di conseguenza, i media italiani hanno potuto riportare la notizia senza per questo dover entrare nel merito di ciò che si cela dietro la strage del 14 ottobre 2017 - che può benissimo essere classificata come un vero e proprio genocidio di cittadini somali - e, più in generale in Somalia. 

L'avevamo già scritto alla nascita di questo blog : AfricaLand - Storie e Culture africane nasceva dall'esigenza di poter scrivere quotidianamente di Africa e, in questo senso allargare la lente di approfondimento e di ingrandimento in modo del tutto diverso, andando a recuperare, la lezione della controinformazione, strumento utile per tentare di inquadrare i fatti ben oltre la cronaca o ancor di più, secondo la "lettura che ne dà il Potere, qualunque sia il governo che lo detiene".

Gli attentati di ieri sono andati in scena con modalità che potremmo definire "classico" (almeno per ciò che concerne l'Africa e il Continente nero n.d.r), usando l'autobomba fatta esplodere nella capitale somala davanti a un hotel causando 25 morti e oltre 30 feriti. L'hotel in questione è il Nasa-Hablod e, i jihadisti e miliziani di Al Shabaab lo hanno preso di mira perché frequentato da politici e alti militari (anche internazionali) e, da ultimo, lo hanno scelto perché si trova a pochi passi dalla sede dell'ex parlamento somalo. 

Questo ci consente di inquadrare meglio "il campo" come se dovessimo orientarci sul posto e volessimo condurre (alla vecchia maniera) una vera e propria "indagine giornalistica", ossia un reportage a 360° gradi, senza tralasciare nulla di quello che avremmo trovato se ci fossimo spinti nell'inferno della capitale somala.

Arrivati a questo punto della nostra retrospettiva (e prima di addentrarci nell'analisi vera e propria) possiamo tracciare un bilancio di quello che abbiamo appreso fino a questo punto del percorso. Gli elementi in nostro possesso sono dunque questi : ieri in Somalia è stato un altro "Sabato di sangue" stavolta, a differenza della precedente mattanza, quella del 14 ottobre scorso, abbiamo anche la rivendicazione dei miliziani di Al Shabaab. 

Cosa ci manca per mettere insieme tutti i puzzle di questa drammatica storia africana, una storia somala?

Quello che dobbiamo scoprire e quindi tentare anche di interpretare (senza demagogia e partigianeria) è : la condotta (e la strategia) dell'offensiva dietro le "nuove stragi" di Al Shabaab. Esiste un punto di partenza che ci aiuta a capire meglio la condotta dei miliziani : quale ragione induce i jihadisti sunniti a non rivendicare la più grande strage portata in porto, a fronte invece di quella da rivendicare, pur avendo centrato dimensioni molto più contenute da far sembrare la scelta dei terroristi come un clamoroso autogol?
Non sorprenda questa decisione e questa condotta.
E' bene fare un po' di ordine prima sulla storia di questa organizzazione terroristica e poi allargare il campo alla situazione della Somalia, tanto più che questo discorso che andremo ad affrontare per il paese somalo può essere facilmente allargato al resto dell'Africa. 

Procediamo con ordine e partiamo inevitabilmente dall'organizzazione terroristica Al Shabaab. Si tratta di un gruppo terroristico di matrice islamista attivo in Somalia a partire dal 2006. Il gruppo nacque in seguito alla sconfitta dell'Unione delle Corti Islamiche (UCI) ad opera del Governo Federale di Transizione (GFT) e dei suoi sostenitori, in primo luogo i militari dell'Etiopia, durante la guerra civile in Somalia. Ma come vedremo non sono gli unici. L'altro aspetto fondamentale da tenere a mente è che siamo di fronte a una cellula di Al Qaeda, riconosciuta dall'organizzazione fondata da Osama Bin Laden a partire dal 2012. 

Questo aspetto è decisivo e ci rimanda al punto centrale di tutta questa vicenda che, nessun organo d'informazione (a parte quelli di controinformazione) riportano e, dimenticano un po' troppo spesso.
Ricordo perfettamente le mie ricerche - indispensabili per il romanzo che stavo scrivendo nel 2015 e che presto verrà pubblicato. In quel romanzo stavo ricostruendo proprio la cosiddetta "questione interna all'Islam" di cui mai si tiene né il punto di partenza né quello di approdo. Il mio prossimo romanzo è una storia che abbraccia Parigi e il Madagascar (l'ex colonia francese n.d.r) ed è una storia che ricostruisce (in parallelo) i guasti di questi tempi moderni dove, sia nei paesi cosiddetti "moderni e civilizzati" sperimentano (come quelli del cosiddetto "Terzo mondo" e dell'Africa in particolare) la "perdita dei diritti fondamentali" in nome e per conto dell'austerità. 
Era questa la base di partenza da cui ero partito: mettere in parallelo la "crisi di democrazia" che sempre più spesso viene sacrificata in nome del cosiddetto "pareggio di bilancio" rincorso a tutti i costi in Francia come in Madagascar e nel resto del mondo. Inevitabilmente ci si trova di fronte, a un contesto in cui, i diritti fondamentali (e con essi sopratutto quelli sociali) diventano un pallido ricordo per tutti. Accade in Francia ma accade anche negli Stati Uniti e, questa situazione somiglia sempre più a quei continenti in cui, i popoli (in Africa ma anche in America Latina senza tralasciare l'Asia n.d.r) di quella parte di mondo, sono condannati a non vederli mai applicati.
Mano a mano che procedevo nel mio lavoro, e nelle mie ricerche che mi portarono inevitabilmente ad occuparmi della "questioni delle questioni" ossia, il problema - ma sarebbe meglio definirla tragedia - dei migranti che dall'Africa (ma anche da altri terreni dove impazzano le guerre imperialiste come in Siria, Iraq, Afghanistan e quella dello Yemen che, geograficamente non dista poi molto dalla stessa Somalia e, in qualche modo lega il destino sia dei somali sia degli yemeniti come vedremo n.d.r) arrivano a bussare alla porta della ricca Europa; la mie ricerche andarono a sfociare sulla "questione della guerra interna all'Islam" dato che, quelli erano i giorni degli attacchi a Parigi e, chiamavano inevitabilmente in causa i musulmani. 

Ma le apparenze non sono mai quelle che appaiono a una vista superficiale di quanti si accingono a studiare una determinata situazione e un determinato "fatto". 

A partire dall'estate 2015 appariva chiaro che l'Europa, i vari stati membri dell'UE non potessero essere così impavidi di cedere alle pressioni delle destre xenofobe che, nel frattempo rialzavano la testa e la voce fino a spingersi a rendere "esecutiva" l'occupazione delle "agende politiche dei vari governi europei" nella fobia di far crescere un sentimento razzista nei confronti dei migranti da respingere senza tanti complimenti.
Nel frattempo che questa diventava l'attualità (del tutto inaccettabile) della civilissima Europa le mie ricerche mi condussero nel "cuore del problema". Di pari passo alle voci sempre più sguaiate e stonate dei "tromboni" anti-migranti che, nell'occasione tornavano a riproporre concetti e parole d'ordine degne delle dittature fasciste e naziste degli anni '20 e '30 del Novecento gli studi e i documenti che mi accingevo a studiare mi proponevano un quadro d'insieme del tutto diverso dal "mantra" che ogni giorno, ora dopo ora, i canali di "all news" - senza distinzione tra Stati Uniti, Europa, compresa l'Italia - riversavano e portavano nelle case di quanti seguivano le televisioni e i telegiornali (diciamo in forma classica, ossia, di quella parte della popolazione che non si informa quotidianamente né via web né legge un quotidiano e meno che mai, può accedere a siti d'informazioni non convenzionali, ma che tuttavia esistono).

I lettori mi perdoneranno se qui riporto, per questo specifico tema un punto decisivo: qui si annida - a mio avviso - l'inizio di tutti i problemi di questa epoca che vorrebbe essere moderna ma, in realtà si riscopre vecchissima se, come, si assiste ormai quotidianamente, l'informazione che viene irradiata e propagata presenta gravi falle, anzi siamo di fronte all'imperversare di una "informazione drogata, falsa" e clamorosamente coincidente con le destre razziste, xenofobe che hanno a cuore il solo odio nei confronti delle minoranze etniche. 

Italia compresa : e per questa ragione se ci si vuole informare si deve inevitabilmente orientare la nostra attenzione verso le testate giornalistiche internazionali sia europee sia americane (ma stando bene attenti e avendo bene a mente che non ci si può accontentare della prima e unica tesi sempre e comunque coincidente con il "pensiero unico di Regime").

Mentre il mio lavoro sul romanzo si andava sviluppando tra Parigi e Antananarivo (la capitale malgascia del Madagascar) incrociai le ricerche sul "mondo del jihadismo islamista" - quello che nel vecchio continente i paladini delle destre estreme si sforzavano a descrivere "Islam radicale" che, naturalmente, nell'Islam vero, nell'Islam autentico non trova né basi né ha motivo di esistere - e di conseguenza, posai le mie attenzioni su un articolo del New Yorker in cui si ricostruiva la "vera posta in gioco"  insita nella galassia dell'Islam sia in Africa sia in Medio Oriente. Secondo la ricostruzione del New Yorker era in atto una guerra per prendere il comando e il sopravvento e, se questa era la situazione, l'aggravarsi degli attacchi terroristi sia in Europa, Africa sia l'Asia e lo stesso Medio Oriente vedeva contrapposti le due anime del jihadismo. Da una parte Daesh ( meglio conosciuto in occidente come Isis o Stato Islamico) e Al Qaeda. 

Ecco un altro aspetto decisivo : era in atto (senza esclusione di colpi) una serie di azioni terroristiche per prendere la leadership all'interno della galassia jihadista di cui, l'Africa è (da sempre) il primo e più drammatico avamposto come del resto, il Medio Oriente. E se ci si sofferma su questo aspetto ossia, la contrapposizione tra Daesh e Al Qaeda, si deve tornare a un documento scottante, scritto di suo pugno da Osama Bin Laden, dal rifugio in Pakistan laddove, gli Stati Uniti arrivarono a stanarlo e a ucciderlo sotto la regia della Casa Bianca guidata dal primo presidente afroamericano della storia degli Stati Uniti, Barack Obama. 

-Il testamento di Osama Bin Laden 

Le linee guida per altro ben illustrate nell'articolo a firma del New Yorker risultarono preziose per la "mia storia" del tutto funzionale al mio romanzo. E tornano del tutto fondamentali anche per la situazione della Somalia. 
Il testamento di Bin Laden richiamava all'"unità del jihadismo" in chiave e nella visione di Al Qaeda che, in qualche modo richiamava tutti i miliziani a mettere al centro della questione il "bene primario"  - così lasciò scritto Osama Bin Laden - per "portare il supporto necessario" ai cittadini sia in Africa sia in Medio Oriente. Era il richiamo al riconoscimento dei "diritti sociali"  di milioni di persone che, secondo quello che lasciò scritto Osama Bin Laden, doveva portare Al Qaeda a farsi carico delle istanze in tema di diritto al lavoro, al riconoscimento della libertà di voto, e addirittura del supporto al diritto alla salute. Con questa "svolta sociale" ebbe subito un risultato diretto: era Al Qaeda a riprendere il sopravvento per la leadership della galassia jihadista a danno di Daesh. Non è un caso se alcune organizzazioni tra le più spietate in Africa come appunto Al Shabaab (Somalia, Kenya) e Boko Haram (Nigeria, Niger, Mali, Camerun, Senegal), si sono affrettate a chiedere "ospitalità e affiliazione" alla casa madre, Al Qaeda. 
Questa svolta solo sognata da Osama Bin Laden (perché avvenuta dopo la sua morte) era stata pianificata dal fondatore dell'organizzazione facendo perno su un aspetto non del tutto secondario e, che ritroviamo anche nelle spinte decisioniste dei miliziani somali: battersi contro l'oppressione di quanti, in nome del colonialismo e del nuovo imperialismo che, in nome del petrolio e delle materie prime arrivano qui, sopratutto in Africa, comportandosi come se fosse tutto dovuto alle potenze colonialiste, le stesse di sempre.

-Somalia, trent'anni di guerra senza quartiere

Inquadrata la situazione e scoperto le motivazioni per cui Al Shabaab è confluita in Al Qaeda e appurato il fatto che l'organizzazione fondata da Osama Bin Laden ha tracciato (prima di essere giustiziato dalle squadre speciali americane n.d.r) la strada per occupare un vuoto anche delle istituzioni e, con questo mettere in risalto anche le connivenze, la corruzione dei governi africani sempre troppo collaborativi con le multinazionali che per esempio, qui in Africa, hanno sostituito (in tutto) le potenze coloniali nell'annettersi tutte le preziose materie prime che mancano in Europa e nel resto dell'occidente. A questo punto, della nostra indagine possiamo dedicarci alla Somalia. 
Quando nel mese di febbraio 2017, fu eletto il nuovo presidente Mohamed Abdullahi Mohamed, detto Farmajo, si pensava che la Somalia finalmente avesse imboccato un periodo di grandi svolte che aiutasse il paese africano a superare il perenne stato affossato dalla lunga guerra durata più di 30 anni. Il problema maggiore è che questo governo e questo presidente, è riconosciuto solo a livello internazionale, in una sorte che accomuna la situazione somala a quella della Libia, un altro stato africano fallito, inesistente. Lo stesso presidente, è un ex rifugiato politico negli Stati Uniti ed è letteralmente inviso ai miliziani jihadisti somali che, con i continui attentati riaffermano il governo di Mogadiscio è strutturalmente fragile e corrotto, inevitabilmente indebolito da incessanti lotte interne: non passa certo sotto silenzio, alcune dimissioni eccellenti nel governo, non più tardi del 9 ottobre quindi qualche giorno prima della drammatica mattanza - la più grande strage in Somalia con 358 morti - e, si tratta di dimissioni che hanno investito il ministro della difesa, Abdirashid Abdullahi Mohamed e, il capo delle forze armate, il generale Mohamed Ahmed Jimale che, seppure non hanno motivato il gesto eclatante, hanno però sottolineato la denuncia del fallimento del nuovo presidente somalo. 

Tuttavia, va da sé che questa serie di attentati ravvicinati e cruenti mostrano una serie di complicità sfruttate ad arte dai miliziani di Al Shabaab ed è altrettanto certo che queste complicità sono sia di matrice interna e portano molto lontano da Mogadiscio. 
Chi appoggia i miliziani jiahdisti?
Rispondere a questa domanda non è troppo difficile. Per una serie di ragioni. Intanto l'attentato del 14 ottobre è avvenuto dove c'era la sede della Croce rossa, l'immancabile hotel e una serie di piccoli negozi e, quello di ieri 28 ottobre invece è avvenuto a quattro passi da un altro hotel, il Nasa-Hablod che dista pochi passi dall'ex parlamento somalo. 
La forza brutale e a tutto campo spiega anche molte cose e, involontariamente ci dice che l'appoggio decisivo di cui nutrono i miliziani islamisti di Al Shabaab conducono direttamente alla solita Arabia Saudita e agli stessi Emirati arabi ecco perché la situazione somala è strettamente collegata alla situazione disperata dello Yemen anche vicino geograficamente, sono due teatri della stessa medaglia e riconducono a quella "guerra civile" di cui aveva parlato e scritto anche Osama Bin Laden e che, in nome di una divisione tra Islam sunnita e Islam sciita sta letteralmente spargendo sangue e odio in Medio Oriente sia in Africa. E sullo sfondo, questa serie di attentati cruenti nascondono anche l'invisibile rivalità che vedete su posizioni contrapposti il Qatar e l'onnipresente Arabia Saudita che sfrutta anche la nuova posizione (una vera mina vagante) dell'America di Trump sempre più impegnato a distruggere i lasciti di Obama e quindi, il famoso storico accordo sul nucleare con l'Iran. 
E se questo è quanto più vero la Somalia si ritrova a pagare anche la vendetta di Riyadh. Di cosa si tratta? Rispondere correttamente a questo quesito ci riporta al 2016 quando, la stessa Somalia aveva sostenuto l'Arabia Saudita nella guerra contro gli houthi in Yemen in cambio, aveva ottenuto da Riyadh la somma di 50 milioni di dollari. Ora che la Somalia non è entrata nell'alleanza anti-Qatar il paese africano scopre che l'aspetta l'inferno interno nello scacchiere che si gioca sulla pelle dei somali ma ha interessi molto distanti da Mogadiscio. 
Ma non c'è solo l'Arabia Saudita in questa storia. Per esempio, diventa decisiva la casella occupata dagli Emirati arabi. Nel tempo gli Emirati avevano sempre avuto una base strategica sulla spiaggia di Mogadiscio ma, non erano molto accettati né apprezzati dalla popolazione e, forse, prendendo la palla al balzo, ora hanno optato per altri porti quelli di Berbera (Somaliland) e un'altra a Bosaso (Puntland). 
In questo vuoto lasciato dagli Emirati si sono inseriti la Turchia del "Sultano del Bosforo", quell'Erdogan che ha schierato la Turchia a supporto del Qatar portandosi dietro anche la Somalia (a suon di investimenti promessi e stanziati). Detto e fatto. Non più tardi del 30 settembre 2017, il paese turco ha aperto la più grande base militare d'oltremare con un costo di 50 milioni. Questo cambia le carte in tavola perché la Turchia nella base ha stabilito tre scuole militari distribuite su 400 ettari e dove, potranno essere addestrati 10 mila soldati somali. Ma questa è solo una fase. La Turchia è presente in Somalia già dal 2010 costruendo scuole ed ospedali.
Non poche voci nelle ore immediate del dopo-attentato vedono come possibile obiettivo questa mega base turca ma per un qualche motivo, i miliziani hanno dovuto desistere e ripiegare nella mattanza del centro di Mogadiscio. 
E' dunque questo il motivo per cui Al Shabaab non ha rivendicato l'attentato spettacolare (dal punto di vista dei miliziani jihadisti n.d.r)?
Si deve dare credito a queste voci che per altro sono state alimentate in ambienti ai massimi livelli delle forze armate somale ma, sullo sfondo c'è anche dell'altro.
Tre giorni prima della grande mattanza, a Mogadiscio era andato in scena l'incontro (ai massimi livelli) di esponenti del Comando delle forze Usa in Africa (Africom) con lo stesso presidente somalo. Voci incontrollate hanno sparso la notizia del disimpegno ormai deciso da Trump ma non ci sono riscontri anche perché, gli americani da queste parti, hanno una serie di presidi (non ufficiali, nel senso che non sono dichiarati) e, per esempio in Somalia sembrerebbe situato a Balid Dogle base sfruttata e usata per la "guerra non dichiarata" i miliziani jihadisti di Al Shabaab. 

-Conclusioni

Non si può scartare nessuna di queste piste anche se, al momento, la più accredita vede la Somalia vittima designata nel durissimo scontro (senza risparmio) tra Qatar e Arabia Saudita. 
(Fonte.:jeuneafrique;bbc;lemonde;guardian;aljazeera;nytimes;newyorker)
Bob Fabiani
Link
-www.jeuneafrique.com;
-www.bbcafrica.com;
-www.lemondeafrique.fr;
-www.theguardian.uk;
-www.aljazeera.com;
-wwwnytimes.com;
-www.newyorker.com 
  

         
       
    

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