E' una domenica elettorale quella che si sta svolgendo in #Mali: al momento, non arrivano notizie particolari, assenti qualsiasi focolaio di problemi legati a disordini di ordine pubblico.
I seggi sono stati regolarmente aperti da questa mattina alle 8 ora locale per consentire a 8 milioni di maliani di poter esprimere il sacrosanto diritto del voto. Eppure queste elezioni presidenziali 2018 arrivano in momento particolarmente difficile per il #Mali.
Il paese che oggi va al voto per il primo turno delle elezioni presidenziali, mostra tutti i segni della svolta mancata. A distanza di 5 anni dall'avvio dell'intervento militare franco-africano è evidente il fallimento che penalizza la comunità maliana.
E' un paese attanagliato dalla corruzioni e dal declino sociale e politico che fa di questa tornata elettorale una grande incognita.
Tra gli analisti è stato tutto un crescendo di preoccupazioni per l'alto rischio che il voto presidenziale si porta con sé, nel segreto dell'urna.
Il #Mali è un paese in chiara sofferenza che mostra un preoccupante deficit di democrazia (anzi a ben vedere in tutto il paese africano si sono ridotti gli spazi democratici n.d.t) e, il conto alla fine risulta particolarmente salato. Per tutti.
Il #Mali oggi risulta uno dei luoghi più pericolosi al mondo.
Il lascito della "guerra infinita" - lanciata cinque anni orsono dalla classe dirigente maliana con il supporto di #Parigi - lascia un vuoto spaventoso senza aver minimamente risolto nessuno dei problemi, compreso quello per cui era stata lanciata (in tutta fretta), ossia, la definitiva sconfitta dei jihadisti che oggi, 5 anni dopo, sono più forti che mai. In compenso però, il ritorno a una "finta normalità" ha fatto scoprire una amara realtà ai maliani: il paese è sempre più sprovvisto di infrastrutture e di servizi (anche i più elementari).
I gruppi armati che fanno riferimento ai jihadisti sono diventati quasi gli "unici padroni " del #Mali e, questa triste realtà è confermata anche dall'ultimo rapporto dell'Institute for Security Studies.
Ecco uno dei passaggi salienti:
"Il Mali oggi è il crocevia dell'instabilità regionale e il terreno privilegiato per le potenze occidentali", scrive senza tanti giri di parole l'Iss.
-Voto blindato
A vigilare sul corretto svolgimento delle operazioni di voto nei seggi di tutto il paese africano sono ben 7 mila caschi blu della missione ONU "Minusma". Saranno presenti anche i soldati francesi della missione "Barkhane" coadiuvati da 30 mila militari maliani.
I candidati alla tornata presidenziale sono 24 e sfideranno il presidente uscente Ibrahim Boubacar Keita (detto Ibk).
La rielezione non è scontata perché Ibk arriva all'appuntamento con le urne avendo alle spalle la peggior crisi di sempre. L'elettorato e il resto della popolazione è stanco di guerra e, non ne può più della fame che umilia pressoché l'intera comunità.
Nulla è andato nella casella giusta e il paese - cinque anni dopo - dall'avvio della cosiddetta "guerra del nord" è al punto di partenza. La crisi securitaria è drammaticamente uguale a quella del 2013: gran parte del territorio del centro e del nord resta sotto l'arcigno dominio dell'alleanza jihadista, Jama'at nusrat al islam wal muslim (su questo specifico tema stiamo preparando un reportage che pubblicheremo nelle prossime settimane anche perché a urne chiuse chiunque vincerà dovrà tener conto della cosiddetta "questione jihadista n.d.t).
I beni informati fanno sapere che in realtà il risultato che verrà fuori dalle elezioni presidenziali di questa domenica 29 luglio, alla fine saranno a tutto vantaggio dei miliziani jihadisti: sarebbe l'epilogo peggiore per il #Mali già crocevia dei traffici (peggiori) tra Europa e Sahel con le rotte dei #migranti che da tutta l'Africa fuggono da tutti i problemi che affliggono lo stesso #Mali e, che neanche la guerra franco-africana ha saputo minimamente scalfire.
(Fonte.:jeuneafrique;journaldumali)
Bob Fabiani
-www.jeuneafrique.com;
-www.journaldumali.com
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