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sabato 9 febbraio 2019

Se i militari tengono sotto scacco lo Zimbabwe







La situazione sociale in #Zimbabwe è sempre più disperata. Le cose sono precipitate quando il governo e il presidente Mnangagwa annunciarono rincari senza precedenti sui carburanti scatenando la rivolta dei cittadini, scesi in piazza per far sentire la loro voce contraria alle decisioni in tema di politica economica da parte del presidente che aveva promesso sviluppo e benessere nel "post- Mugabe" per intercettare la voglia, la pretesa di cambiamento invocato in tutto lo Zimbabwe.
Il problema però che la realtà dello Zimbabwe non consente di tenere fede alle promesse di Emmerson Mnangagwa dato che, il paese africano si trova in una situazione ben precisa, stretto nell'abbraccio mortifero della recessione anche per colpa delle politiche portate avanti durante il "regime Mugabe".
All'indomani della vittoria presidenziale di Mnangagwa si era già capito che la svolta tanto attesa e invocata, sopratutto dai giovani non sarebbe andato in porto: quella vittoria presidenziale era in qualche modo "benedetta" da quei stessi militari che, all'indomani del "Golpe soft" - come era stato ribattezzato - avevano imposto "politiche neoliberiste" che consentissero di tenere a galla lo Zimbabwe tramite, il sostegno delle istituzioni internazionali (su tutte l'FMI n.d.t) a fronte di "sacrifici lacrime e sangue" sulla pelle dei cittadini.





-Cronache da un distastro

Il Pil pro capite del paese ammonta, secondo dati riferiti al 2017, a 1079 dollari. Nel 1981, poco dopo la guerra di liberazione condotta da Robert Mugabe, che aveva abbattuto il regime razzista della Rhodesia sostenuto dal Sudafrica, era di 1100 dollari. Sempre nel 1981, la produzione di farina era pari a 325.000 tonnellate; è scesa a 20.000 nel 2016.
L'iperinflazione ha portato i prezzi a crescere del 1200% nel 2006, toccando il +66.200% nel 2007 e un terrifficante +7.900.000.000% l'anno successivo, praticamente un raddoppio quotidiano dei prezzi. Dal 2009 la Reserve Bank non stampa più il dollaro zimbabwiano; le transazioni economiche avvengono in dollari, euro, sterline, yen, rand e altre valute.






-La morsa dei militari che tiene sotto scacco lo Zimbabwe


"L'aumento del 150% del prezzo del carburante è stato l'ultimo chiodo piantato nella bara di una lunga sofferernza", lo afferma, con parole amare il fotoreporter KB Mpofu, una delle "voci della protesta" che hanno invaso lo Zimbabwe, da quel 14 gennaio queste voci stanno raccogliendo testimonianze drammatiche di una durissima, spietata repressione militare nel tentativo di ridurre al silenzio la rivolta popolare.






Sta accadendo di tutto: arresti, stupri, violenze e torture per le strade di Harare, la capitale ma, questa sistematica violazione dei diritti umani anche a Bulawayo, Domboshawa, nei sobborghi urbani e nei villaggi.

Purtroppo l'eco di questi soprusi hanno avuto poca eco sia in Italia ma anche nel resto del mondo.





         



-L'arresto del reverendo Evan Mawarire, il "Martin Luther King dello Zimbabwe"


Dopo settimane di brutale repressione da parte dei militari e su ordine preciso di Mnangagwa, il pastore e reverendo Evan Mawarire, già portabandiera della fazione antigovernativa del 2016, era stato arrestato lo scorso 16 gennaio  - a due giorni dall'inizio della rivolta - nella sua casa di Harare.



Accusato dal regime di Mnangagwa di "sovversione" e "incitamento alla violenza" per aver              pubblicato un appello allo sciopero generale, attraverso i social network; ora, due settimane dopo, su richiesta dei suoi avvocati, Mawarire ha lasciato il carcere di massima sicurezza a Chikurubi, sobborgo di Harare.

Intanto si apprende che il leader dell'opposizione Nelson Chamisa, ha rispedito al mittente la richiesta di dare il via al "dialogo politico" da parte del presidente Emmerson Mnangagwa : dall'enturage del leader dell'opposizione hanno recapitato un unico messaaggio al presidente dello Zimbabwe.

"Fermi le violenze immediatamente" dice Chamisa che poi aggiunge "e si metta al servizio del popolo accogliendo le richieste dei manifestanti". 

In molti pensano che la mossa di Mnangagwa sia stata fatta senza una reale volontà di dialogare ma soltanto per mettere in evidenza la chiusura di Chamisa e del suo partito. La scelta però è sembrata del tutto obbligata dopo la lunga scia della brutale repressione contro la rivolta popolare.
(Fonte.:jeuneafrique;newzimbabwe)
Bob Fabiani
Link
-www.jeuneafrique.com;
-https://www.newzimbabwe.com

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