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domenica 15 marzo 2020

Albert Camus: "Come si resiste ai giorni più neri"








In questi momenti così difficili dove, il mondo - nella sua globalità - è alle prese con la drammatica pandemia da coronavirus tornare a rileggere e studiare le pagine di Albert Camus - a partire dalle pagine de La peste - può aiutare i cittadini costretti a stare in casa nel tentativo di sconfiggere il virus.

AfricaLand Storie e Culture africane pubblica oggi la lettera scritta da Albert Camus, di cui proprio quest'anno ricorre il 60esimo anniversario della morte, nel 1943 quando la Francia era occupata dai nazisti. Intitolata "Da un intellettuale nella Resistenza" e pubblicata in Francia da Le Figaro, è la risposta di Camus al Comitato di Liberazione nazionale di Algeri, che gli chiedeva di descrivere i sentimenti dei francesi.

Leggere e rileggere Camus oggi nel pieno di una epidemia trasformatosi in pandemia può essere l'antidoto migliore per resistere e sopravvivere come del resto, la Cultura quale segno di rinascita da questo momento buio e difficile.
(Bob Fabiani)


-Da un intellettuale nella Resistenza (Lettera 1943)*






Riassumo qui in breve i sentimenti di un intellettuale francese di fronte alla situazione attuale quale può essere osservata dall'interno del paese. Per chiamare le cose con il loro nome, il suo stato d'animo prevalente sarebbe l'angoscia. La mia convinzione profonda è che la forma di guerra adottata dalla Francia metropolitana e nella quale siamo tutti coinvolti può portare tanto alla rinascita di questo popolo quanto al suo declino definitivo.
E non in maniera spettacolare, ma per il normale sviluppo di un fenomeno storico che tutti i francesi consapevoli intravedono oggi con dolorosa acutezza. Un intellettuale non può ignorare che una nazione muore nel momento in cui scompaiono le sue élite (posto che esistono soltanto due élite: quella del popolo e quella dell'intelligenza). Il bagno di sangue della Prima guerra mondiale ci ha insegnato che una nazione poteva  essere uccisa, svilita e mutilata insieme con il corpo dei suoi figli. E tuttavia c'è, nell'assurdità di ogni guerra, il vantaggio dell'assurdità stessa. La guerra colpisce a caso, e il caso è capriccioso. Ma nella forma di guerra in cui siamo impegnati si selezionano da sé i migliori. E sono proprio le élite a designarsi e all'occasione a morire.

Una nazione muore perché le sue élite scompaiono. Ma possiamo definire élite l'unione degli uomini le cui parole scaturiscono da un'esperienza reale e conservano il loro peso di carne. Questo le élite del nostro paese l'hanno capito, e per poter parlare sono entrate in una guerra di liberazione. Ma per poter parlare bisogna accettare l'idea di scomparire. E a forza di scomparire succede come nel 1919, e forse come domani, che le élite per l'appunto non possono più parlare. Perciò come nel 1919, e forse come domani, sono gli altri a parlare, quelli che si definirono i testimoni e che sono stati soltanto i pavidi. Ma se questo ci appare come un fenomeno storico, se si manifesta in modo particolare nella vita della nostra nazione e se oggi lo riscontriamo nella sua forma più pressante, non è tuttavia a nostro avviso qualcosa di fatale.

Gli uomini sono in grado di capirlo. E la sola possibilità che abbiamo di contrastarlo è fare di tutto, predisporre ogni cosa e vigilare instancabilmente per abbreviare la durata di una simile prova. Ciò riguarda coloro che devono leggere questa testimonianza. Ma i futuri lettori si guardino bene dal reputare eccessivo il carattere pressante di questo appello. Poiché la vita e la lotta dei francesi migliori ha assunto la forma di una corsa contro il tempo che essi pagano giorno dopo giorno non soltanto con la vita, che è insostituibile, ma anche come è ben evidente con il futuro stesso del paese e di conseguenza con quello della società europea per la quale lottiamo, e se menziono questa angoscia non è soltanto perché la proviamo in maniera acutissima, ma anche perché mi permette di dire che questa corsa contro il tempo e questa spaventosa distruzione dell'élite di un paese devono essere costantemente presenti alla mente e all'immaginazione degli uomini che vivono fuori del territorio nazionale e che rappresentano la Francia. Un uomo che dà il giusto peso tanto all'esperienza di una vita quanto alla riflessione su questa stessa esperienza sa che la fiducia, l'entusiasmo, la solidarietà, la chiara volontà di quel che si vuole non sono sentimenti costanti. Ma noi vorremmo che queste eclissi fossero il più rare possibili e che il pensiero di coloro che sono fuori accompagnasse costantemente coloro che sono dentro, non per ragioni sentimentali, ma per abbreviare quanto più la dura prova della Resistenza francese e assicurare nel contempo il futuro del paese.

Non si può negare, infatti, che la nostra angoscia sia attraversata da molti dubbi. C'è, sul piano temporale, uno scarto evidente tra l'organizzazione della Resistenza e le azioni militari all'esterno. Non possiamo pronunciarci riguardo a problemi militari o diplomatici di cui ignoriamo i dati di fondo, ma possiamo senz'altro rilevare che l'allargamento della Resistenza all'azione diretta e armata è stato prematuro poiché oggi, a distanza di più un anno, non è sostenuto da un'azione militare all'esterno.

Il secondo sentimento è l'incertezza. Al momento attuale, l'ideologia della Resistenza francese è pressoché nulla. Il motivo è apparentemente semplice, i compiti materiali sono troppo urgenti. Ma in realtà le cose sono più complesse. Non può infatti esserci un'ideologia separata dalla condizione storica e, al momento, i francesi che riescono comunque a trovare il tempo di riflettere ignorano i dati esteriori di un problema che pure li riguarda in modo specifico.

Perché è indubbio che quel che ha mosso la maggior parte di noi dagli anni Trenta fino a oggi, attraverso gli sconvolgimenti politici più singolari e le circostanze più disparate, è stato insieme al desiderio evidente di giustizia un'esigenza profonda di libertà che va perfino oltre il piano storico.

E' in nome di questi due valori che continuiamo a pensare e ad agire. Se dovessimo formulare una dottrina (ma non è questo il luogo), essa incarnerebbe un tale equilibrio di giustizia e di libertà, certo difficile da realizzare ma che è la sola cosa di cui abbiamo bisogno.

La giustizia però presuppone la risoluzione, la trasformazione totale, strutturale, di un sistema economico che si è giudicato da sé, e la revisione totale, strutturale, di un sistema costituzionale i cui limiti sono sotto gli occhi di tutti.

Ma, d'altra parte, la libertà presuppone la realizzazione nella costituzione e nell'economia di un equilibrio fra lo Stato e l'individuo suscettibile di essere costantemente rivisto, corretto e adattato.

Questi principi elementari valgono per le loro conseguenze e la loro applicazione in una esperienza storica. Tali sviluppi non possono beninteso essere presi in considerazione qui. E' però evidente che si tratta di principi alla base del nostro atteggiamento come di quello di molti altri francesi. Ora, qual è la risposta che la storia, fuori, dà a queste esigenze?

Quel che è avvenuto in Nordafrica, innanzitutto, ha destato in noi grande inquietudine e continua ad allarmarci poiché non vediamo compiersi neppure i primi passi verso l'ideale di giustizia, la rivoluzione intelligente e la liquidazione totale del vecchio regime. A seguito di influenze e circostanze a noi ignite, la stragrande maggioranza del vecchio personale politico e alcuni degli interessi capitalistici più evidenti (nella stampa di Algeri in particolare) sono tuttora rappresentati e continuano a pesare.
Non dimentico la resistenza che il governo di Algeri ha opposto in talune occasione a questa situazione di fatto. Ma il minimo che si possa dire, e lo dico senza mezzi termini, è che la politica straniera, per esempio americana, dà la netta impressione di ignorare le rivendicazioni profonde del popolo francese e intende proporgli un futuro politico che assomiglia un po' troppo a un passato, e che noi non vogliamo a nessun costo. Con il pretesto della libertà, una parte sceglie di accontonare deliberatamente la giustizia.

Dall'altra parte vediamo invece delinearsi un movimento di cui possiamo apprezzare ancor meno le intenzioni. Ma è evidente che i francesi, pur disposti a una politica di intesa profonda e fraterna con la Russia, sono assai poco inclini ad accettare l'idea di uno Stato preponderante da cui scomparirebbe ogni libertà. Il dramma della Russia è stato quello di aver dovuto conciliare, prima nella storia su un territorio così vasto, la giustizia e la libertà. In ciò risiede la grandezza della sua impresa. Il dramma l'ha provvisoriamente risolto dando la priorità alla giustizia rispetto alla libertà. Oggi essa sembra promettere di voler conciliare l'una e l'altra esigenza. Se così sarà, non potremo che rallegrarcene.

L'esperienza russa e il prodigioso apprendistato cui la Russia si è sottoposta per venticinque anni serviranno allora a tutti i popoli.
Ma non è possibile, forse, considerare le esperienze storiche di una nazione per procura, forse questa esperienza dobbiamo proseguirla fino in fondo e in tal caso dobbiamo compierla da soli. Dovremo allora preservare attraverso gli avvenimenti storici questa idea di libertà che non confondiamo con la liberazione e che il paese intero, con i suoi uomini migliori, dovrà conciliare con le esigenze delle giustizia sociale. Ma, anche qui, la nostra incertezza è grande.

Preservare l'idea di libertà in tutta la sua purezza. Siamo impegnati in una lotta che per protrarsi nella forma attuale, lo sappiamo, sceglierà il meglio delle forze vive del paese, consapevole di due esigenze fondamentali che non trovano alcun riscontro nella situazione esterna. E questo duplice stato d'animo di angoscia e di incertezza descrive bene il clima in cui vive buona parte dei francesi. Sarebbe puerile pensare che ciò possa indurre allo sconforto. Accade esattamente il contrario, ma, ancora una volta, che coloro che si fanno carico all'estero del destino del paese non ignorino lo smarrimento che pervade la maggior parte degli uomini. Si renderanno conto allora che i due stati d'animo si coniugano e richiedono le stesse soluzioni. Giacché preservare l'idea di libertà in tutta la sua purezza, cioè insieme nelle sue esigenze e nei suoi limiti, presuppone che se ne sia fatta l'esperienza. E noi ne facciamo l'esperienza ogni giorno all'interno della Francia, e solo i francesi, uniti tutti dalla stessa speranza ai quattro angoli del paese, potranno dare una una forma a questa libertà. E' una parte di loro che occorre preservare. Se abbiamo ancora una possibilità, essa sta tutta in una gelosa economia delle vite e delle energie umane: nulla andrebbe suggerito o ordinato che non sia di utilità immediata. La morte del singolo è poca cosa, per certi versi, e questo presumo che la maggior parte dei combattenti francesi lo sappia. Ma lo spreco sistematico degli individui validi di un paese uccide insieme con il paese le idee feconde e vive che gli permettono di credere in un avvenire.
Questo occorre evitare e questa situazione occore ricordare ogni giorno, ogni ora se è necessario, negli articoli, nei programmi, nei congressi, nei proclami, all'indirizzo di coloro che stabiliscono l'andamento di questa guerra. Il resto riguarda noi.
*Albert Camus
(fonte.:lefigaro;repubblica)
Bob Fabiani
Link
-www.lefigaro.fr;
-www.repubblica.it
  






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