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domenica 1 marzo 2020

Quei fondi europei che pagano i lavori forzati in Eritrea






Questa è una storia che chiama in causa i fondi europei rei di "pagare" i lavori forzati in Eritrea: l'Europa ha dato decine di milioni di euro ad Asmara per investimenti nello sviluppo. Lo scopo è convincere gli eritrei a non emigrare, ma i progetti finanziari fanno discutere.

In questo #Reportage AfricaLand Storie e Culture africane analizza nel dettaglio la difficile situazione del popolo eritreo costretto a convivere con una delle dittature più cruente dell'intera Africa - fatta eccezione per l'Egitto - ; nel paese africano e non da oggi, gli eritrei vivono in un regime che non riconosce né rispetta i diritti umani.
(Bob Fabiani)


I fondi europei pagano i lavori forzati in Eritrea


Nel 2019 l'Unione europea ha destinato circa 22 milioni di euro all'Eritrea nella speranza di arginare l'esodo di migranti da uno dei principali paesi di provenienza dei richiedenti asilo.
Questo denaro è servito a comprare attrezzature e materiali per costruire una strada, un progetto all'apparenza innocuo.

Il problema?

Molte delle persone impiegate nel cantiere stanno svolgendo il servizio militare obbligatorio a tempo indeterminato e l'Unione non ha nessuno strumento per verificare come viene portato avanti il progetto.

La decisione di assegnare fondi all'Eritrea ha suscitato lo sdegno delle organizzazioni in difesa dei diritti umani. Questo però non ha impedito a Bruxelles di destinare, a dicembre, altre decine di milioni di euro al paese africano, finanziando così un sistema di arruolamento forzato che le Nazioni Unite equiparano alla schiavitù. La seconda quota di aiuti è stata di 95 milioni di euro, una somma senza precedenti e un esempio stridente del dilemma che l'Europa deve affrontare quando cerca  di ridurre drasticamente l'immigrazione.

In Eritrea, un paese del Corno d'Africa con circa cinque milioni di abitanti, chiuso ai rapporti con l'esterno, l'Unione ha scarso controllo sui progetti che finanzia e ha deciso di non condizionare gli aiuti alla promessa di riforme democratiche. Questo denaro proviene da un fondo fiduciario dell'Unione europea per l'Africa da 4,6 miliardi di euro, creato al culmine della crisi dei migranti del 2015 per "affrontare le cause profonde delle migrazioni". Anche se il progetto ha un ampio consenso e il suo obiettivo è per molti positivo, il modo in cui viene realizzato lo sta screditando e fa nascere perfino il dubbio che possa essere diventato controproducente.

Il numero di eritrei che scappano dal paese per chiedere asilo politico all'estero è costantemente alto: dal 2010 almeno cinquemila all'anno hanno presentato richiesta d'asilo in Europa. Nel 2015 e nel 2016 sono stati trentamila all'anno. Secondo l'Eurostat, l'istituto di statistiche europeo, l'80 per cento di queste domande viene accolto. Significa che nella grande maggioranza dei casi i paesi europei riconoscono agli eritrei il diritto alla protezione umanitaria.

I funzionari europei e gli esperti di migrazioni sostengono che gli eritrei continueranno ad arrivare a migliaia, anche se il loro numero è in calo rispetto al picco della metà del decennio scorso. Ma il calo dipende dall'inasprimento dei controlli alle frontiere e dagli accordi con la Libia e la Turchia più che dai soldi spesi in Africa e in Medio Oriente.






Rispetto all'Eritrea i funzionari europei adottano un "approccio a doppio binario": si dialoga con il governo e allo stesso tempo gli si concede denaro, indipendente dal risultato. In totale l'Eritrea ha ricevuto 200 milioni di euro con l'obiettivo di risollevare l'economia locale, creare posti di lavoro, convincere gli eritrei a rimanere in patria e rafforzare l'accordo di pace con l'Etiopia. Nel calcolo però non rientra la pessima reputazione del governo eritreo, considerato uno dei peggiori al mondo per le violazioni dei diritti umani.

Il presidente Isaias Afewerki mantiene in vigore uno stato d'emergenza dal 2000, quando finì una guerra di confine con l'Etiopia. E' questo stato d'emergenza a giustificare il servizio militare obbligatorio, universale e a tempo indeterminato, che non è stato abolito neanche dopo l'accordo di pace del 2018 con l'Etiopia.




"In Eritrea la situazione dei diritti umani resta drammatica", dice Laetitia Bader di Human rights watch. "Il governo continua ad arruolare gran parte della popolazione in un servizio di leva illimitato, e rinchiude in carcere in condizioni disumane moltissimi prigionieri politici".

Gli eritrei sono intrappolati in questo sistema, e nel paese, perché per andarsene è necessario un visto d'uscita. Molti continuano il servizio obbligatorio fino ai quarant'anni, svolgendo attività civili o militari per una paga esigua.

Secondo le organizzazioni per i diritti umani e le Nazioni Unite si tratta di lavoro forzato. Gli Stati Uniti hanno sospeso da tempo aiuti e finanziamenti allo sviluppo destinati all'Eritrea. La Commissione europea ha dichiarato di essere stata "informata" dal governo di Asmara che nella costruzione della strada sarebbero stati impiegati dei coscritti. Ma il progetto è stato concepito in modo che l'Unione non risulti come quella che paga direttamente gli operai impiegati nei lavori.

"Il progetto copre solo l'acquisto dei materiali e delle attrezzature per ripristinare le strade", è stata la risposta della Commissione europea quando è stata interpellata dai reporter del New York Times.
In ogni caso sia le autorità europee sia l'Ufficio dell'ONU per i servizi e i progetti - a cui è stata affidata la supervisione dei lavori - hanno assicurato "che sono garantiti gli standard minimi per la salute e la sicurezza dei lavoratori". Ma l'agenzia dell'ONU non ha un ufficio in Eritrea e segue il progetto partecipando a visite organizzate dal governo eritreo. Alla domanda su quanti coscritti lavorino al progetto e quanto siano pagati l'agenzia dice di "non avere accesso a questa informazione".
 I reporter del quotidiano statunitense hanno chiesto anche se non crei problemi facilitare un progetto in cui sono coinvolti dei coscritti, e l'agenzia ha detto di "rispettare i principi fondamentali delle Nazioni Unite, tra cui l'eliminazione di ogni forma di lavoro forzato o obbligatorio", ma di aver deciso di procedere ugualmente.

La corsa al Corno d'Africa

Il cambiamento di linea dell'Università europea sull'Eritrea va letto come un tentativo di non perdere terreno in un momento di crescente interesse tra le potenze mondiali per il Corno d'Africa e per la lunga costa eritrea sul mar Rosso. Gli Emirati Arabi Uniti negli ultimi anni hanno creato una grande base su quel tratto di costa per dirigere le operazioni di guerra nello Yemen. Il mar Rosso è anche un punto di passaggio per le navi cariche di merci e petrolio che vanno in Europa attraverso il canale di Suez.

I funzionari respinsabili della politica europea verso l'Eritrea dicono che l'Unione non voleva restare fuori dai "giochi", cominciati dopo la pace con l'Etiopia e l'abolizione delle sanzioni dell'ONU contro Asmara.

"Con il riavvicinamento all'Etiopia e l'abolizione delle sanzioni l'Unione può tentare di favorire lo sviluppo dell'agonizzante economia eritrea e di convincere il governo ad abbandonare le sue pratiche repressive attraverso il dialogo e la pazienza", afferma William Davison dell'International crisis group.

Afewerki ha comunque mantenuto il controllo del paese senza scendere a compromessi e senza dare ascolto alle richieste di cambiamento. Solo di recente il governo di Asmara ha annunciato che il servizio di leva potrebbe essere progressivamente ridotto, quando si creeranno posti di lavoro per i coscritti. L'Unione europea dice di disapprovare il servizio militare obbligatorio di durata illimitata e di "continuare a chiedere la sua riforma attraverso un dialogo più stretto con il governo". "I diritti umani", aggiunge la Commissione, "sono al centro delle politicher esterne dell'Unione".


Il contesto (dalla scuola all'esercito)

Ad agosto del 2019 l'ong Human rights watch ha pubblicato un rapporto sul sistema repressivo usato dal governo eritreo per controllare la popolazione, che coinvolge anche i ragazzi e le ragazze delle scuole superiori. Nel documento, che si basa sulle interviste a decine di studenti e insegnanti eritrei scappati all'estero, si legge che il governo di Asmara costringe ogni anno migliaia di studenti dell'ultimo anno delle superiori a partecipare a corsi di addestramento materiale. "La situazione nel paese non è sempre stata così drammatica. Dopo l'indipendenza fu creato un sistema scolastico gratuito per tutti fino alla scuola secondaria. Ma dal 2003 il governo costringe una parte significativa della popolazione a partecipare a un servizio nazionale di durata illimitata in cui coscritti a svolgere attività militari o civili per una paga misera. Inoltre gli studenti dell'ultimo anno delle superiori vengono mandati a seguire un addestramento militare nel campo di Sawa, nel nord del paese. Il campo è gestito dall'esercito e gli studenti devono rispettare una dura disciplina, subiscono maltrattamenti e punizioni fisiche anche per le più piccole infrazioni, e sono costretti a lavorare. Succede quindi che alcuni studenti si facciano bocciare apposta per restare nelle classi inferiori, oppure abbandonino la scuola, vivendo però nella puara di essere scoperti: quando un ragazzo viene fermato per strada e non ha la carta dello studente rischia di finire direttamente a Sawa. Dopo il diploma, per molti di questi ragazzi comincia il servizio militare a tempo indefinito. Alcuni riescono a iscriversi all'università e possono aspirare a ottenere incarichi governativi. Ma poi finiscono a fare gli insegnamenti per i giovani del servizio nazionale, con paghe basse e destinati a fare quel lavoro per tutta la vita".
(Fonte.:nytimes; hrw)
Bob Fabiani
Link
-www.nytimes.com;
-https://www.hrw.org 

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