Mentre l'epidemia da COVID-19 avanza incontrastato in tutto il Continente Nero, le pubblicazioni di AfricaLand Storie e Culture africane si soffermano oggi, sulla difficile prova del Nord Africa al coronavirus.
La problematica più urgente riguarda gli ospedali: in Marocco, Algeria e Tunisia è allarme. Più passano i giorni e più la preoccupazione è alta nel Maghreb.
"Se la sanità europea rischia il collasso, come si potrà far fronte all'emergenza qui da noi, senza strutture?".
Partiamo da questo quesito in questa inchiesta.
-Aspettando l'apocalisse
"Quando vediamo cosa sta succedendo in Francia e in Italia, i cui sistemi sanitari, tra i migliori in Europa e nel mondo, sono al limite della saturazione, ci chiediamo : come possono le nostre sanità, già fragili, affrontare una crisi come questa, evitando il massacro delle popolazioni, in gran parte costituite da poveri?", si allarma un medico del Rif, regione povera del Nord del Marocco, per ora risparmiata dall'epidemia.
La preoccupazione è alta in Maghreb dove l'epidemia del COVID-19 sta avanzando (rapidamente). Come nel resto dell'Africa, Marocco, Algeria eTunisia si stanno preparando al peggio. Al momento la situazione è questa: Algeria 367 casi Marocco 275 casi Tunisia 200 casi.
E' opinione diffusa che la situazione sia ancora più catastrofica.
-Marocco
Il Marocco, 36 milioni di abitanti, è stato il primo paese ad adottare misure drastiche nella regione, reagendo anche prima di molti paesi europei e chiuedendo le frontiere terresti e, in due tempi, lo spazio aereo. E' stato anche uno dei primi paesi africani a indire il coprifuoco e a impiegare i militari per le strade per far rispettare il lockdown.
Una decisione radicale che ha valso al Marocco molte critiche, ma che era inevitabile. Il Marocco accoglie in media 13 milioni di turisti ogni anno. E viaggiare, ormai nessuno lo ignora più, significa diffondere il COVID-19 su larga scala. Gli ospedali del paese vivono una situazione drammatica, con una palese mancanza di personale e mezzi.
"Le capacità degli ospedali sono limitate. Il numero di letti in Marocco, con una media di 1,1 posti letto per mille abitanti, è molto basso", spiega il medico epidemiologo Youssef Oulhote.
Secondo l'associazione Tafra è molto probabile che "il numero reale di casi sia da dieci a 100 volte superiore a quello ufficiale". Il dottor Oulhote si aspetta "decine di migliaia di casi in Marocco nelle prossime. Il Marocco - ipotizza - potrebbe aver bisogno di 400 mila letti di ospedale, di cuiuna gran parte di terapia intensiva e rianimazione. Ma oggi il Marocco conta solo tra 30 mila a 40 mila letti e mancano medici e infermieri".
Altre misure sono state prese : sono stati vietati gli assembramenti, sono state chiuse scuole e università, poi caffè, ristoranti, cinema, hammam e anche le moschee. Le cinque preghiere quotidiani più quella del venerdì sono state annullate provocando l'ira degli islamisti radicali. Restanoaperti solo i negozi essenziali, supermercati, alimentari, banche, farmacie. I trasporti pubblici sono disinfettati "più volte al giorno".
"Non c'è ancora panico, ma si sono verificate scene già viste in tutto il mondo, con i negozi e le farmacie presi d'assalto", racconta un'abitante di Casablanca, che non esce mai di casa.
Il sociologo Mehdi Alioua ritiene che confinare i marocchini nelle loro case "rischia di essere la soluzione peggiore e la più inefficace". Sarebbe meglio, secondo lui, realizzare test generalizzati e confinamenti mirati come sta facendo la Corea del Sud, che ha uno dei tassi di mortalità più bassi, pur essendo uno dei paesi più colpiti dal contagio. Un'opzione che non sembra essere privilegiata dalle autorità, che puntano piuttosto al confinamento generale e hanno realizzato meno di 300 test, mentre l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha ancora ripetuto l'importanza dei test sistematici.
"In un paese come il Marocco - precisa Mehdi Alioua - milioni di persone fanno la spesa giorno per giorno, in funzione di quanto guadagnano. Non hanno risparmi, né entrate stabili. Molti non hanno accesso all'acqua corrente e all'elettricità. Le persone delle classi popolari e medie, che hanno redditi più stabili e una casa, non guadagnano abbastanza per far scorte sufficienti".
In Marocco, come negli altri paesi in via di sviluppo, dove la stragrande maggioranza della popolazione è povera, le famiglie vivono accalcate in locali molto piccoli, in cui convivono diverse generazioni, figli, genitori, nonni.
"Se le persone sono costrette a star chiuse in casa con la forza - aggiunge Alioua - nelle grandi città si rischia la rivolta. Ci sarebbero scene di panico e saccheggi".
Giovedì 19 marzo, è stato dichiarato lo stato di emergenza sanitaria.
-Algeria
L'Algeria, 42 milioni di abitanti, è il primo paese africano ad aver segnalato un caso di COVID-19, il 25 febbraio. Si trattava di un italiano arrivato ad Algeri a metà mese. Da allora l'epidemia sta avanzando pericolosamente in diverse regioni.
In Algeria, dove solo un ospedale è abilitato a realizzare i test, sono stati effettuati 1.200 tamponi, secondo i dati del ministero della salute. Se l'Algeria ha più posti letto del Marocco (una media di 1,9 posti per mille abitanti), la situazione degli ospedali non è meno critica. Gli ospedali algerini, dove dilaga la corruzione, dove mancano farmaci, risorse e personale (più di 10 mila medici si sono esiliati in paesi esteri, tra cui la Francia n.d.t), riflettono tutti i mali dell'Algeria, impoverita dai 20 anni del regime di Bouteflika.
Anche se il paese investe il 10% del suo budget pubblico nel settore sanitario (quasi il doppio rispetto al Marocco n.d.t) e la sanità si basa sul principio della gratuità, il sistema sanitario algerino si deteriora anno dopo anno. In Algeria ci sono appena 400 letti di rianimazione. Il 12 marzo, già troppo tardi, il presidente Abdelmadjid Tebboune ha annunciato una nuova batteria di misure, chiudendo i confini terrestri, marittimi (tranne il traffico delle merci) e lo spazio aereo. Sono state sospese le preghiere e chiuse le moschee. Vietati anche gli assembramenti e i cortei. Una misura che tocca particolarmente l'Hirak, il movimento anti-regime nato più di un anno fa, che ha rovesciato l'ex presidente Bouteflika. Da giorni i militanti dell'Hirak sono divisi come non mai dall'inizio della protesta, nel febbraio 2019 : bisognava continuare o no la rivoluzione, che riunisce ancora migliaia di persone? "Gli algerini sono andati a manifestare martedì scorso ad Algeri a dispetto del buon senso e delle raccomandazioni degli scenziati", ha scritto su Facebook il giornalista Farid Alilat.
"Non sono un politico, né una figura dell'Hirak. Sono un giornalista libero che racconta agli algerini e al mondo questa rivoluzione eccezionale. Da domani smetto di seguirla per il bene di tutti", ha twittato anche Khaled Drareni "Inventiamo un nuovo modo di lottare, restando a casa, nell'attesa di poter scendere di nuovo nelle strade", ha implorato l'attivista per i diritti umani Said Salhi. Anche gli algerini si precipitano nei mercati e negli alimentari per fare scorte di semola, farina pasta, riso, acqua minerale.
I prezzi sono saliti alle stelle. Non si trovano più gel per le mani né mascherine. Ma le persone, un po' alla volta, cominciano a restare a casa e a rispettare la distanza di sicurezza. I medici lanciano appelli sui social alla prudenza. Il 19 marzo il governo ha chiuso bar e ristoranti, fermato i treni e i trasporti pubblici e chiesto al 50% dei dipendenti pubblici di restare a casa.
-Tunisia
In Tunisia, 12 milioni di persone, dove il sistema sanitario è in crisi e il contesto economico è molto fragile, le autorità prendono misure anti contagio preparandosi al peggio. Fino a pochi giorni fa, a Tunisi, i più temerari continuavano a uscire al mattino nelle strade deserte per fermarsi a bere un "capucin" nei bar, aperti fino alle 16.
Il 18 marzo, il presidente Kais Saied ha annunciato che il coprifuoco sarebbe stato esteso a tutto il territorio nazionale, dalle 18 alle 6 : "Dobbiamo fare sacrifici e mostrarci solidali". Il 20 ha annunciato il blocco totale. I tunisini hanno dimostrato resilienza in quest'ultimo caotico decennio, tra rivoluzione 2011, crimini politici, attentati e crisi economiche, politiche e sociali. I consigli di buon senso che circolano sui social e la creazione dell'hashtag #Cheddarek ("Resta a casa") mostrano che le persone cominciano a prendere coscienza di quanto sia importante preoteggere se stessi, i propri cari e gli anziani. In molte famiglie tunisine, la tradizione vuole che i figli continuino a vivere con i genitori anche una volta sposati. La cura e il rispetto degli anziani sono valori essenziali in molte famiglie. Selim, docente universitario di 40 anni, vive a Susa, nell'appartamento sopra a quello dei suoi genitori : "Vado io a fare la spesa per loro. Metto mascherina e guanti e uso il gel per le mani. Disinfetto sempre tutto. Esco solo per passeggiare al mare quando non c'è nessuno. Preferisco - dice - che mi diano del matto piuttosto che dell'irresponsabile". Leila Ben Gacem, 50 anni, tiene dei bad & breakfast nella medina di Tunisi. Ma ha dovuto sospendere la sua attività e si è messa in quarantena con i suoi genitori : "Loro vivono a Beni Khalled, poco lontano da Nabeul, ma non volevo restassero soli. Preferisco saperli con me a Tunisi e ho mostrato loro l'esempio mettendomi io stessa in quarantena". Il padre, 80 anni, è diabetico. La madre, che soffre di ipertensione, ha 72 anni. "Mio padre mi dice che ha più paura di me che del virus perché controllo tutto quello che fa!".
I genitori di Leila, come gli altri anziani, hanno dovutocambiare le loro abitudini. "Ci stiamo organizzando con le associazioni locali perché gli anziani non debbano più andare alla posta per ritirare la pensione", dice. A Biserta, dei volontari si sono offerti per fare la spesa agli anziani.
La Tunisia ha adottato misure di sicurezza anche prima dei paesi europei. Sono state chiuse le moschee durante le preghiere e sospesa la preghiera del venerdì. L'orario di lavoro giornaliero è stato ridotto. Sono stati limitati i voli con l'Italia e la Francia, soppressi i voli commerciali e chiuse le frontiere marittime. A livello locale, i comuni, incluso quello di Tunisi, aumentano i controlli per disinfettare le strade e verificare che i caffè non vendano il famoso narghilè, simbolo nazionale, il cui uso è vietato per un mese. I tunisini che vivono all'estero hanno lanciato delle collette per raccogliere fondi per gli ospedali e il governo ha istituito un fondo di solidarietà. I medici tentano di allertare la popolazione : il sistema sanitario è a corto di risorse da più di 10 anni. Con solo 331 letti di rianimazione negli ospedali pubblici del paese, la Tunisia avrà difficoltà a far fronte alla crisi. Come nel resto del Maghreb, le conseguenze sanitarie, economiche e sociali potrebbero essere gravissime.
(Fonte.:mediapart)
Bob Fabiani
Link
-www.mediapart.fr
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