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mercoledì 25 marzo 2020

Manu Dibango un Sax 'Negropolitano'








"Al paese mi considerano un europeo e l'Europa mi tratta da americano.
Per lo zio Sam sono un africano che fa musica africana. Ma è una musica
che non esiste di per sé"
                           (Manu Dibango)




Nella giornata di ieri 24 marzo 2020 è arrivata la notizia dolorosa della dopartita del grande musicista camerunense che, a causa del COVID-19, a Parigi, ha perso la sua battagila.
AfricaLand Storie e Culture africane con questo post rende omaggio al grande sassofonista Afro-Jazz.

-Manu Dibango, un sax panafricano

La storia della grande musica è fatta (suonata e scritta) da musicisti che sanno parlare un linguaggio universale, al di là delle mode, dei vari stili e delle collocazioni geografiche.
Manu Dibango, è statto sassofonista, compositore e decano dei musicisti afropolitani anche se Manu preferiva dire "Negropolitani", alludeva alla diaspora, ai cosiddetti "pancia vuota" capaci di cambiare, per sempre, il volto (a cominciare naturalmente da quello sonoro) di Parigi : a partire dal secondo dopoguerra.

Manu Dibango è deceduto ieri a Parigi all'età di 86 anni quando il suo respiro si è interrotto dall'infezione da COVID-19 diagnosticato in ospedale nei giorni scorsi.

E' stato punto di riferimento per intere generazioni di africani e di musicisti : era Makossa Man, Papy Groove forse il "musicista africano" (si doveva stare attenti a non pronunciare mai la parola "africano" da sola, altrimenti, in un attimo, il solare artista si arrabbiava ...) più popolare di sempre, magari dopo la grande Miriam Makeba anche grazie alla presenza ( anche se per un attimo ... diventato però immortale ...) all'inizio degli anni '70, in vetta alle classifiche americane.

Aveva un personalissimo "groove" e lo si poteva trovare nell'insensato contrappasso per quanto fiato ha spinto tra l'ancia e il bocchino del suo sax, preferibilmente tenore, un vecchio e molto parigino Semer fedele all'icongrafia calssica del Jazz.
Artista che non ammette confronti, tanto personale era il modo di porsi: purtroppo non lascia eredi dal punto di vista musicale, al di là dei puri steccati geografici che, la musica  - qualla con la M maiuscola  - rifiuta sdegnata.
Custode ultimo di un'antica forma tradizionale eppure capace - in anticipo sui tempi e le inevitabili mode - di una precoce esploratore di una musica plurale - ahinoi questa a rischio di estinzione - che, alla fine, lo hanno imprigionato nella stretta, indigesta prigione della "world music".

-"Tre chili di caffè"





 Personaggio solare, quando decise di lasciare per la prima volta il Camerun e Douala - dove era nato nel 1933 se li portò dietro per pagarsi il primo mese di affitto, una volta arrivato a Parigi : aveva solo 15 anni e, molto tempo dopo, quei tre chili di caffè divennero il titolo dell'autobiografia che scrisse con Danielle Rouard.
Erano passati giusto 40 anni.

Se cercherete sul web oppure sulle enciclopedie il suo nome troverete scritto che "era il padre della world music e/o dell'afrojazz ma anche l'autore del primo brano-disco : Soul Makossa, un hit del 1972 originariamente faceva parte del "retro", o come si diceva allora "facciata B" dell'inno calcistico camerunense per la Coppa d'Africa capace di conquistare il mondo intero.






Con le sue note un'intera generazione ha ballato fino allo svinimento sia questo brano sia gli altri e, da quel momento, per tutti, in Africa come in Europa e in America divenne Papy Groove, il "signore del ritmo.
Cosciente della fisicità del suono era sovente spiegare che : "l'Africa è terra, il beat è il battito del suo cuore". Nascva da qui quella rivoluzione radicale in musica alla base dell'Afrobeat promosso, inventato e plasmato da Fela Kuti, altro grande sassofonista della Grande Madre Terra, col quale suonò ripetutamente.

Manu Dibango era un musicista che amava collaborare e dialogare con gli altri artiusti e, nella sua carriera ha suonato e lavorato con Nino Ferrer, Quincy Jones, Herbie Hancock, Serge Gainsbourg, Bill Laswell, Sly e Robbie, Eliades Ochoa.

-Un giorno del 1960 a Bruxelles

In Belgio Manu Dibango, nell'anno più importante per l'Africa - quel 1960 che portò in diote la tanto sospirata, sognata e inseguita indipendenza per la gran parte delle nuove e giovani Nazioni africane - incontra Joseph Kabasele, l'uomo capace proprio in quell'anno di far ballare il Congo con la famosa "Independance cha cha" : fu una traccia irrinunciabile. La strada maestra; una strada di ritorno verso l'Africa. Accadde di tutto. Vi trovò in quel ritorno sfarzi, incarichi ufficiali, intrighi di palazzo, esaltazioni e improvvisi collassi. Ma ha saputo sempre ripartire. Senza perdersi d'animo: dalla Costa d'Avorio al neonato Zaire e anche al suo ingrato Camerun.

Un andare e ritornare forsennato, senza quasi respiro con l'Europa almeno fino ai primi anni '80 quando, si stabilì a Parigi detentrice di una scena più che effervesciente, ponendosene al centro esatto. Senza esitazioni.


-Marchio di fabbrica ("mako-mako-ssa") e la Harlem ispanica

Subito dopo l'incontro con Kabasele passò dal repentino trionfo all'Olympia al vedere l'America dal finestrino di una limousine grazie a Soul Makossa, il suo marchio di fabbrica a dispetto della quantità di musica all'altezza e anche migliore che ha realizzato in seguito. Quel brano entro in una scia di emozioni "nuyoricane" e derive afro con tempismo inaspettato. E così accadde che la Harlem ispanica e quella nera depongono le lame se in pista c'è "mako-mako-ssa".

"Che importa se non capiscono le parole? Evoca loro l'Africa della città (...). Al paese mi considerano un europeo e l'Europa mi tratta da americano. Per lo zio Sam io sono un africano che fa musica africana, è una musica che non esiste di per se stessa".

Il brano - croce, delizia e stemma indelebile - sarà costretto a declinarlo in reggae makossa, funky makossa, electro makossa e via abbinando. Unico denominatore come un ritmo tradizionale del Camerun che per sua stessa ammissione è citato a malapena di striscio. Ma del resto lo "showbiz" quando decide di affibbiare un'etichetta finisce con l'appiattire tutto oppure, se preferite metabolizzare tutto e di tutto fare un "minestrone sonoro" così accadde che il brano divenne esempio monumentale di disco music pure essendo del tutto avulso a quel contesto e a quello stile perché "la disco" era cosa ben differente.

Era partito dagli African Jazz da cui era partito, tutto suonavano tranne che Jazz in senso compiuto ma, Manu Dibango il Jazz lo conosce (è anche un discreto vibrafonista n.d.t), sa anche come usarlo per tornare a un'Africa delle diversità politiche e poliritmiche che balla sotto lo stesso cielo.
Il Jazz non è un mezzo  - come forse la frequentazione di Nino Ferrer negli anni '60 e le collaborazioni electro con Bill Laswell vent'anni dopo - ma un modo d'intendere e di creare musica. E' allergico alla ripetizione, che si parli di antenati o dell'arrangiamento di un brano compreso Soul Makossa.

"Il successo sarà memorabile. Guarda cosa mi doveva capitare...".

-Tam-Tam pour l'Ethiopie





Ha saputo rinnovarsi abbianando sperimentazione e innovazione fino al terzo millennio : ora scegliendo un suono elettrico, poi elettronico, poi di nuovo jazz e rumba, tutto-makossa ovviamente.
E' sempre stato in anticipo sui tempi e guascone come un personaggio di Alain Mabanckou finendo col diventare abbastanza destabilizzante da incarnare le ombre di un eroe pst-esotista, non si farà mancare una certa dose di impegno civile ai tempi di Tam-tam pour l'Ehiopie suonando per la fame in Etiopia e la liberazione di Nelson Mandela , cui segue la disillusa certezza, anticipatrice dei futuri LiveAid per poi scoprire che senza cambiare musica nelle politiche globali i concerti servono a poco e a pochi.

Nel 1974 riunì a Khinshasa B.B.King, James Brown e Miriam Makeba per celebrare la nuova costituzione dello Zaire e la memorabile sfida Muhammad Ali-George Foreman. Venti anni dopo, nel 1994 volle in "Wakafrica" Youssou N'dour e Peter Gabriel, Salif Keita e King Sunny Ade, Geoffrey Oryena e Ray Lama, Ladysmith Black Mambazo e Angelique Kidjo, Toure Kunda e Papa Wemba : un capolavoro panafricano.

-Roma, Concerto Primo Maggio 2008






A conclusione di questo post in ricordo di Manu Dibango  scrivo qui un mio personale ricordo quando grazie a un altro sassofonista di Napoli, Enzo Avitabile ha voluto fare un regalo inaspettato: chiamare sul palco del Primo Maggio - il cosiddetto Concertone che si tiene ogni anno nel primo giorno di maggio in quello che una volta si celbrava come Festa dei Lavoratori - il grande musicista camerunense per inscenare un duello di sax sudati e sudisti. Un momento magico.


-5 Canzoni per ricordare Manu Dibango

Segnaliamo questa piccola tracklist per scoprire o riscoprire il groove del grande musicista di Douala.

  1. Soul Makossa
  2. Big Blow
  3. Pepe Soup
  4. Afro Soul
  5. Matapo


(Fonte.:jeuneafrique;nyt;rollingstone;musicajazz)
Bob Fabiani
Link
-www.jeuneafrique.com;
-www.nytimes.com;
-www.rollingstone.com;
-www.musicajazz.it    
    

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