La giunta ha deposto il presidente del Mali Ibrahim Boubakar Keita, il 18 agosto scorso, ha affidato al colonnello in pensione Bah N'Daw la direzione della transizione verso un nuovo regime civile. Il paese è al quarto golpe dall'Indipendenza, nel 1960. L'intervento dell'esercito rivela la fragilità dei regimi politici stretti nella morsa delle istituzioni finanziarie internazionali.
In tutta l'Africa francofona, a partire da questa domenica, 18 ottobre, inizia un periodo di appuntamenti elettorali presidenziali : quanto è accaduto in Mali potrebbe rappresentare un avvertimento sugli scenari futuri dato che, questi appuntamenti si stanno svolgendo in un clima ad alta tensione.
(Bob Fabiani)
-Mali, colpo di Stato in un paese senza Stato
Colpo di Stato? Colpo di grazia? Colpo di genio? La stampa maliana si sfida con giochi di parole per definire gli eventi del 18 agosto 2020, quando un gruppo di ufficiali superiori ha deposto il presidente Ibrahim Boubacar Keita e il suo primo ministro Boubou Cissé. Non sorprende affatto che gli ammutinati respingano la definizione di colpo di Stato, affermando invece con maggiore eloquenza di essersi "assunti (le proprie) responsabilità" di fronte al "caos", all'"anarchia" e all'"insicurezza" che regnano nel paese a "causa degli uomini incaricati della sua sorte".
In compenso, la riluttanza di attori politici e sociali di primo piano a utilizzare questa espressione la dice lunga sul disagio in cerca di sollievo di molti maliani. Nei fatti, l'operazione militare, svoltasi rapidamente e pressoché senza scontri, chiude per ora un periodo di tensioni politiche e sociali particolarmente teso. I risultati contestati delle legislative di aprile, dal mese di giugno hanno impedito la formazione di un nuovo governo, mentre grandi manifestazioni organizzate dalla piattaforma di opposizione che include il Movimento del 5 giugno e il Raggruppamento delle forze patriottiche (M5-Rfp), chiedevano, dal centro della capitale Bamako le dimissioni del capo dello Stato o, quanto meno, del suo governo. I golpisti, del resto, dichiarano di essere parte di una rivolta "popolare", forti anche del plauso dell'imam salafita Mahmoud Dicko, figura di spicco della contestazione contro il potere.
In compenso, all'indomani del 18 agosto, giungono fermissime condanne dalle organizzazioni panafricane e internazionali. L'Unione Africana (UA) e la Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale (Cedeao) ritengono che sia stata oltrepassata una "linea rossa" ed esigono il ripristino dell'"ordine costituzionale". "E' ormai lontana l'epoca dei colpi di Stato", afferma bruscamente il presidente dell'Unione Africana, Moussa Faki Mahamat. La sanzioni sono immediate : il Mali è sospeso dall'Unione (UA) e dalla Cedao, viene decretato un embargo su tutte le transazioni economiche e commerciali.
Washington e Parigi seguono con pridenza il movimento di condanna.
Dal canto suo, l'avvocato Mountaga Tall, esponente del M5-Rfp, replica : "Sono i maliani a riconoscere legittimità alle autorità del Mali. (...) E solo i maliani".
Cheick Oumar Sissoko, figura di spicco dell'opposizione di sinistra, si mostra ancor più aggressivo e rinnega l'organizzazione sub-regionale : "Spezzeremo la linea rossa della Cedeao in nome del benessere del continente (...) Chi ci sta dietro non è democratico. Vogliono solo impedire la nostra libertà".
Ad eccezione del Raggruppamento per il Mali, il partito presidenziale, nessun'altra forza politica sembra rimpiangere Keita, sebbene egli avesse goduto di un importante sostegno alle elezioni del 2013. Al massimo, adottano un silenzio attendista. Il principale gruppo di opposizione, l'Unione per la Repubblica e la democrazia, ritiene che "l'ammutinamento sia solo la conseguenza della gestione caotica del paese da parte del presidente Ibrahim Boubacar Keita e del suo regime". A preoccupare la classe politica, gli opinionisti e la popolazione è la natura, civile o militare, oltre alla durata, della transizione verso un nuovo regime.
I giovani blogger maliani hanno lanciato l'hashtag #MaTransition, mentre il Comitato nazionale per la salvezza del popolo (Cnsp), che riunisce i militari golpisti, organizza una serie di ampie consultazioni con i partiti e le associazioni, sotto lo sguardo attento del M5-Rfp.
-Una gestione caotica
Dopo Dakar, l'ex ministro degli esteri del Senegal, vicepresidente dell'Assemblea nazionale, Cheikh Tidiane Gadio, riassume così questa testa a testa : ritiene "insensata" la reazione della Cedeao, che "punisce un paese fratello, sostenendo di volerlo aiutare" (Radiodiffusione televisione senegalese, 23 agosto 2020). "Strangolare un paese economicamente in ginocchio" equivale a "far soffrire il suo popolo", ritiene colui che dirige, oltretutto, l'Istituto panafricano di strategia. L'embargo colpisce duramente l'allevamento (il 5,4% dei proventi dell'esportazione del Mali), poiché proibisce la vendita di animali o di alimenti per animali nella sub-regione.
Nelle settimane successive al colpo di Stato, la sua revoca, parziale o totale, è stato oggetto di intense trattative.
I dirigenti dell'Unione Africana (UA) e della Cedeao applicano alla lettera gli statuti delle rispettive organizzazioni che, nell'intento di interrompere la lunga serie di colpi di Stato in Africa (quasi 200 dal 1960), vietano ogni forma di cambiamento costituzionale attraverso la forza. Queste due organizzazioni auspicano, con regole chiare, un radicamento del movimento di democratizzazione avviato dal continente dopo la fine della guerra fredda del 1991 e la predisposizione, attraverso la promozione di società politiche pacificate, di buone condizioni per lo sviluppo. Ma l'irruzione dei colonnelli maliani - a solo otto anni dal golpe del capitano Amadou Sanogo nel 2012 - sottolinea la fragilità delle istituzioni politiche, in particolare nell'Africa francofona. Suona quasi come un monito proprio quando si profilano elezioni presidenziali particolarmente teste in Guinea (oggi, 18 ottobre), in Costa d'Avorio (31 ottobre), in Burkina Faso (22 novembre), in Niger (27 dicembre) e nella Repubblica Centrafricana (27 dicembre).
Lo scrutinio in Costa d'Avorio, paese dal grande peso economico nella sub-regione, è particolarmente seguito per le violenze post-elettorali scatenatesi nel 2010-2011.
A Conakry e a Yamoussoukro, i presidenti Alpha Condé e Dramane Ouattara ambiscono al terzo mandato eludendo, con argomenti pretestuosi, la regola costituzionale che ne autorizza solo due (essendo stata definita nel corso del loro primo mandato, Condé e Ouattara ritengono che questo non debba essere tenuto da conto). Le manifestazioni di protesta hanno già provocato la morte di diverse decine di persone nei due paesi. In Senegal, Macky Sall, che nel 2022 si troverà nella stessa situazione dei propri omologhi, è incalzato dal proprio staff affinché ricorra una terza volta ai voti degli elettori. Diversi capi di Stato dell'Africa francofona hanno, in epoca recente, ceduto alla tentazione di distorcere la Legge fondamentale per restare al potere, anche a costo di ricorrere alla violenza come accaduto in Repubblica del Congo, Togo e Camerun. "Un colpo di Stato non è solo e sempre opera dei militari", desume l'avvocato senegalese Bakary Diallo "E non ha come unico obiettivo la conquista del potere, può anche mirare a mantenerlo o rafforzarlo. Esistono colpi di Stato che si presentano sotto forma non di azione ma di decisione; una decisione chiaramente illegale. (...) In questo caso, si tratta di un colpo di Stato che parte dell'esecutivo in rottura con l'ordine costituzionale".
Sulla stessa linea, Mohamed M. Diatta, politologo al centro di ricerche Institute for Security Studies (Iss), con sede ad Addis Abeba, ritiene che l'autoritarismo dirigenti favorisce l'"instabilità istituzionale" e ostacola il "radicamento di norme e pratiche democratiche" nelle società in questione.
(Fonte.:monde-diplomatique;maliactu;financialafrik;issafrica)
Bob Fabiani
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