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martedì 12 novembre 2019

1619, 400 Anni dopo l'inizio della schiavitù in America. Pt.1









AfricaLand Storie e Culture africane, con questo post inizia una serie di pubblicazioni dedicati al "tema della schiavitù" negli USA.

Sono passati ben 400 anni da quando, negli Stati Uniti, hanno fatto la loro comparsa i primi schiavi che arrivavano dall'Africa : sono stati i neri, con le loro battaglie per l'uguaglianza e per i diritti universali, a difendere gli ideali della costituzione statunitense e a trasformare il paese in una vera democrazia.

Il reportage che iniziamo a pubblicare oggi è la summa di un lungo articolo, di uno speciale pubblicato dal New York Times Magazine sull'eredità della schiavitù  negli Stati Uniti. Il titolo scelto è 1619, l'anno in cui i primi schiavi africani furono comprati dai coloni britannici della Virginia, in Nordamerica.
(Bob Fabiani)






La conquista dell'America*



"Mio padre faceva sempre sventolare una bandiera degli Stati Uniti nel nostro giardino. La vernice azzurra della casa a due piani era perennemente scrostata; la staccionata, la ringhiera delle scale e la porta d'ingresso, erano vecchie e rovinate, ma quella bandiera era sempre perfetta. Vivevamo in una casa isolata lungo il fiume, che nella nostra cittadina dell'Iowa divideva la zona dove vivevano i neri da quella dei bianchi. Sul bordo del prato, in cima a un'asta di alluminio, sventolava la bandiera, che mio padre sostituiva a ppena mostrava anche il minimo strappo.

Era nato da una famiglia di mezzadri in una piantagione bianca di Greenwood, nel Mississippi, dove i neri stavano piegati sulle piante di cotone dalle ore ancora buie del mattino alle ore già buie della sera, esattamente come avevano fatto i loro antenati schiavi fino a non molto tempo prima. Il Mississippi della giovinezza di mio padre era uno stato dove c'era la segregazione razziale e dove i neri, che erano quasi la maggioranza della popolazione, venivano sottomessi con incredibili atti di violenza. I bianchi del Mississippi linciavano più nerì di quelli di qualsiasi altro stato del paese, e i bianchi della contea di mio padre ne linciavano più di quelli di qualsiasi altra contea del Mississippi, spesso per "reati" come entrare in una stanza dove c'erano donne bianche, scontrarsi involontariamente con una ragazza bianca o cercare di fondare un sindacato.
La madre di mio padre, come tutte le persone nere di Greenwood, non poteva votare né entrare nella biblioteca pubblica. E non poteva fare un lavoro che non fosse nei campi di cotone o nelle case dei bianchi. Perciò negli anni quaranta prese i suoi pochi averi e i tre figli piccoli e si unì alla marea di neri del sud che fuggivano a nord. Scese dal treno delle ferrovie dell'Illinois a Waterloo, nell'Iowa, solo per rendersi conto che le speranze su una mitica terra promessa erano un'illusione e per accorgersi che la segregazione non finiva quando si usciva dal sud.

Trovò una casa in un quartiere della zona est della città abitato solo da neri. Trovò anche un lavoro, l'unico considerato adatto a una nera, come donna delle pulizie a casa di una famiglia di bianchi.
Anche mio padre cercò invano la terra promessa. Nel 1962, a 17 anni, si arruolò nell'esercito. Lo fece per sfuggire alla povertà ma anche per un altro motivo, comune a molti neri : sperava che, se lo avessero servito, forse un giorno il suo paese lo avrebbe trattato come un americano. Non andò così. Nell'esercito gli fu negata qualsiasi opportunità e le sue ambizioni furono soffocate. Fu congedato per motivi poco chiari e lavorò a servizio per il resto dei suoi giorni. Come tutti gli uomini e le donne della mia famiglia, credeva nel duro lavoro, ma come tutti gli uomini e le donne della mia famiglia non riuscì mai a fare carriera. Perciò da giovane pensavo che quella bandiera davanti a casa nostra non avesse senso. Come poteva quell'uomo, che aveva vissuto sulla sua pelle il razzismo contro i neri, essere fiero della bandiera statunitense? Non capivo il suo patriottismo. Anzi, mi metteva profondamente in imbarazzo.

A scuola avevo imparato che la bandiera non era veramente nostra, che la storia del nostro popolo era cominciata con la schiavitù e che noi afroamericani avevamo contribuito poco al successo di questa grande nazione. Sembrava che la cosa più vicina all'orgoglio culturale dei neri americani andasse cercata in un vago legame con l'Africa, un posto dove non eravamo mai stati. Che mio padre si sentisse onorato di essere americano mi sembrava un segno della sua umiliazione, della sua accettazione del fatto che eravamo subordinati.

Come molti giovani, pensavo di capire tutto, mentre in realtà capivo molto poco. Quando alzava la bandiera mio padre sapeva esattamente quello che faceva. Sapeva che il contributo del nostro popolo alla costruzione del paese più ricco e più potente del mondo era indelebile, che gli Stati Uniti senza di noi semplicemente non sarebbero esistiti.


Le fortune dei bianchi


Nell'agosto del 1619, appena dodici anni dopo che gli inglesi si erano insediati a Jamestown, in Virginia, un anno prima che i pellegrini puritani sbarcassero a Plymouth Rock e circa 157 anni prima che i coloni inglesi decidessero di fondare un loro paese rompendo i legami con la corona britannica, gli abitanti di Jamestown comprarono una trentina di schiavi africani dai pirati inglesi. I pirati li avevano rubati da una nave portoghese che li aveva trascinati via con la forza da quello che oggi è l'Angola. Gli uomini e le doinne che scesero a terra in quel mese di agosto segnarono l'inizio della schiavitù americana. Erano i primi dei 12,5 milioni di africani che furono rapiti e trasportati in catene dall'altra parte dell'oceano Atlantico nella più grande migrazione forzata di massa della storia prima della seconda guerra mondiale.
Quasi due milioni di persone morirono durante quel viaggio estenuante.

Gli africani venduti negli Stati Uniti prima dell'abolizione della tratta internazionale degli schiavi furono 400mila. Quelle persone e i loro discendenti trasformarono le terre su cui erano stati trascinati con la forza nelle colonie più ricche dell'impero britannico. Si spezzarono la schiena per disboscare tutta la regione del sudest. Insegnarono ai coloni a piantare il riso. Coltivarono e raccolsero il cotone che al culmine dello schiavismo era la merce più preziosa del paese, visto che in quel periodo gli Stati Uniti producevano il 66 per cento del cotone mondiale. Crearono le piantagioni dei padri fondatori degli Stati Uniti, tra cui George Washington, Thomas Jefferson e James Madison : enormi tenute che oggi attirano migliaia di visitatori affascinati dalla storia della più grande democrazia del mondo. Gettarono le fondamenta della Casa Bianca e del palazzo del congresso. Posarono le pesanti rotaie delle ferrovie che attraversano il sud e trasportavano il cotone fino alle fabbriche tessili del nord, alimentando la rivoluzione industriale. Costruirono vaste fortune per i bianchi del nord e del sud, tanto che a un certo punto il secondo uomo più ricco del paese era un mercante di schiavi del Rhode Island. I profitti del lavoro rubato ai neri aiutarono il paese appena nato a pagare i suoi debiti di guerra e finanziarono alcune delle sue università più prestigiose.
Lo schiavismo fece prosperare il settore bancario, assicurativo e commerciale di Wall street e trasformò New York nella capitale della finanza mondiale.
Ma sarebbe sbagliato parlare solo del contributo materiale dei neri per creare ricchezza. Gli americani neri sono stati, e continuano a essere, fondamentali per l'idea di libertà del paese. Più di qualsiasi altro gruppo  di persone, noi neri abbiamo svolto, generazionbe dopo generazione, un ruolo sottovalutato ma fondamentale : siamo stati noi a perfezionare la democrazia statunitense.
Gli Stati Uniti sono un paese fondato su un ideale e al tempo stesso su una menzogna. La dichiarazione d'indipendenza dalla corona britannica, ratificata il 4 luglio 1776, afferma che "tutti gli uomini sono creati uguali" e "dotati dal loro creatore di alcuni diritti inalienabili". Ma gli uomini bianchi che hanno scritto queste parole non credevano che valessero anche per centinaia di migliaia di neri che all'epoca costituivano un quinto della popolazione.
Eppure, anche se gli venivano negate libertà e giustizia, i neri avevano una fede cieca nel credo americano. Resistendo e protestando abbiamo aiutato il paese a essere all'altezza degli ideali su cui era fondato. E non lo abbiamo fatto solo per noi : le lotte per i diritti dei neri hanno aperto la strada alle lotte per altri diritti, compresi quelle delle donne, degli omosessuali, degli immigrati e dei disabili. Senza l'impegno coraggioso, idealistico e patriottico degli americani neri, molto probabilmente oggi gli Stati Uniti sarebbero una democrazia diversa, forse non sarebbero neanche una democrazia.
La prima persona a morire per questo paese durante la rivoluzione americana fu un nero che non era libero. Crispus Attucks era uno schiavo fuggiasco, ma diede la vita per una nazione che nel secolo seguente avrebbe negato la libertà al suo popolo. I neri sono stati in prima linea in tutte le guerre combattute dagli Stati Uniti, e oggi sono il gruppo più presente nell'esercito statunitense.

Mio padre, uno dei tanti neri che risposero alla chiamata del loro paese, sapeva una cosa che io avrei impiegato anni a capire : che per la storia americana il 1619 è importante quanto il 1776; che i neri americani sono i "padri fondatori" quanto lo sono gli uomini ritratti nelle statue a Washington. E che nessuno ha più diritto di noi a rivendicare quella bandiera".
*Nikole Hannah-Jones è una giornalista d'inchiesta statunitense. Per il New York Times segue i temi che riguardano le discriminazioni razziali, in particolare nel sistema scolastico.
**Fine Prima Parte
(Bob Fabiani)
Link
-www.nytimes.com





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