Dopo l'annullamento delle elezioni dell'8 agosto 2017 causa brogli per il Kenya si apriva in modo "ufficiale" un lungo periodo di instabilità e incertezza che va a tutto svantaggio dei keniani. Quel giorno di agosto si sarebbero dovute svolgere e portare a compimento le elezioni presidenziali keniane dove, come avviene un po' in ogni angolo del Continente nero, meglio noto con il nome di Africa; chi detiene il potere non vuole lasciarlo per nessuna ragione al mondo, in questo caso è Uhuru Kenyatta che ha fatto in modo e in maniera di restare in sella anche e sopratutto l'"election day-bis" quello andato in scena il 26 ottobre 2017 dove in pratica sulla scheda elettorale, i keniani, hanno trovato il suo nome che risaltava in splendida solitudine...certificando, di fatto, un lungo percorso incerto per il paese africano.
Perché il nome del presidente uscente - appunto quello di Uhuru Kenyatta - era l'unico che i keniani potevano votare in queste elezioni-bis?
Una volta accertato che le elezioni presidenziali dell'agosto scorso furono elezioni sostanzialmente "truccate" - nel senso che i brogli erano cosa nota - e incentrate nell'ennesima prova di forza da chi deteneva il potere e per questo riusciva a "modellarsi la contesa elettorale a sua immagine e somiglianza", erano state dichiarate nulle. A ridosso dell'annullamento del voto presidenziale dell'8 agosto scorso, tutti pensavano che fosse stata centrata una grande vittoria da parte delle opposizioni in Kenya.
Ma le cose non stavano in questi termini se, a pochi giorni dall'elezione-bis - andata in scena giovedì scorso 26 ottobre - il candidato dell'opposizione Raila Odinga, con un colpo di teatro dichiarava di ritirarsi dalla contesa elettorale.
-Kenya diviso a metà (e sull'orlo del baratro)
In queste condizioni si arrivava dunque al giorno del bis dell'elezione presidenziale. E le cose non sono andate per il verso giusto, per una serie di fatti. Le operazioni di voto di giovedì scorso sono state accompagnate da violenze diffuse in tutto il paese africano. Sono stati episodi gravi e tra questi, i più cruenti si sono registrati nella provincia occidentale di Nyanza, roccaforte Nasa (la compagine dell'opposizione). Qui, almeno quattro manifestanti sono rimasti sul selciato dopo gli scontri mortali con le forze dell'ordine (schierate massicciamente e fedelissime all'attuale presidente rieletto). Altri dimostranti sono stati giustiziati dalla polizia a Kisumu, peraltro epicentro delle proteste anti-Kenyatta. Anche a Homa Bay e Bungona si sono registrati dei decessi anche se la dinamica dei fatti, non ha ancora stabilito se sia trattato di scontri con le forze dell'ordine oppure invece, se sia trattato di disordini causate da qualcuno che abbia agito in sostegno di Kenyatta, il presidente rieletto...per mancanza di avversari.
Tutto questo avveniva a una ventina di chilometri a Sud-Est della capitale Nairobi.
In questa situazione confusa e allarmante dove appariva chiaro che qualunque fosse stato l'esito di un "voto monco", l'elezione-bis aveva già emesso il suo inequivocabile verdetto: questa ripetizione delle presidenziali (andate in scena il 26 ottobre 2017 n.d.r) certifica che la democrazia in Kenya è all'angolo e brancola pericolosamente verso altre forme che, non promettono nulla di buono per i keniani; c'era un altro dato che non può essere né contraddetto né sottovalutato dal presidente (rieletto) Kenyatta: l'astensionismo dei cittadini elettori. Mentre l'8 agosto 2017 avevano votato oltre l'80% degli aventi diritto al voto, il 26 ottobre 2017, giorno dell'elezione-bis, il dato scendeva a un drammatico 38%. Questi dati - che certificano un fallimento senza appello - erano stati diffusi nell'immediato dopo-voto (il giorno seguente) dalla Commissione elettorale keniana.
Tutte le incertezze sono racchiuse in questi dati e da soli sembrano allarmare l'intera comunità keniana perché, appare chiaro che da qui in avanti la situazione può evolvere in qualsiasi direzione ma non certo a favore dei cittadini. Non ci saranno soluzioni indolori. Le richieste di cambiamento e di sviluppo invocate dai cittadini non sono all'ordine del giorno dell'agenda presidenziale di Kenyatta, il quale si appellerà al fatto che è stato rieletto con il 98% dei voti...della minoranza che ha partecipato all'elezione-bis.
Quale conseguenze può portare questa situazione e che cosa accadrà ora in Kenya?
Procediamo con ordine e riannodiamo tutti i fili in nostro possesso di questa gravissima crisi istituzionale nel cuore dell'Africa. Torniamo per un attimo al leader dell'opposizione, Raila Odinga che dopo aver deciso di ritirarsi dalla contesa dell'elezione-bis, nelle stesse ore di quel 26 ottobre 2017, ha invitato i suoi sostenitori a "rimanere a casa" e "pregare" per quelle che ha descritto come una "mascherata elettorale". Secondo Odinga, non esistevano le condizioni per un voto credibile e trasparente ma, tuttavia, la sua scelta di abbandonare la "contesa elettorale-bis", non ha giovato a nessuno e, paradossalmente ha spianato la strada al presidente rieletto con appena il 38% dei voti e, al tempo stesso condannando il Kenya al salto nel buio. Dietro l'angolo per il paese africano potrebbe materializzarsi l'incubo della guerra civile.
Tuttavia, resta il grave "colpo di mano" di Uhuru Kenyatta che ha calpestato la Costituzione e la speranza di cambiamento per le nuove generazioni di keniani. La situazione sociale del paese africano pare immobile: i problemi causati dalla frustrazione e l'emarginazione non sono state mai risolte né affrontate.
Il Kenya ha vissuto dopo l'avvento dell'Indipendenza (era il 1963 n.d.r) sotto la guida con tre presidenti (su un totale di quattro n.d.r) provenienti dai gruppi etnici Kikuyu, che dominano anche l'economia del paese.
A fronte di questo, il presidente IEBC - la Commissione elettorale del Kenya - in qualche modo aveva ammesso che la Commissione, non poteva garantire un voto credibile, rafforzando dunque la decisione di Odinga di boicottare le elezioni-bis.
Se la rielezione di Uhuru Kenyatta porterà a conseguenze estreme lo diranno le prossime settimane e mesi, intanto ha prodotto già il primo risultato: la "sistemazione" della Corte suprema keniana. Sono entrate in vigore dallo scorso 3 novembre 2017 gli emendamenti alla legge elettorale che fanno parte di quelle "conseguenze radicali pro-Kenyatta" che riducono i poteri della Corte suprema mentre rafforzeranno quelli della Commissione elettorale. La soluzione era stata decisa d'imperio dal parlamento kerniano nello scorso mese di ottobre e aveva prodotto la definitiva rottura tra il presidente in carica Uhuru Kenyatta è l'opposizione guidata dal suo storico avversario, Raila Odinga.
A fronte dello storico annullamento dell'elezione presidenziale dell'8 ottobre 2017, causa "palesi irregolarità" accertate dalla Corte suprema ecco che ora si decide di "sistemare e normalizzare" questa istituzione non senza qualche remora per le sorti della democrazia in Kenya. Secondo le nuove regole, chiunque d'ora in poi denunci brogli e irregolarità nelle operazioni di voto (in pratica ciò che sosteneva il ricorso di Odinga n.d.r) dovrà dimostrare che esse abbiano alterato l'esito del voto.
Una decisione che rischia da sola di rendere la convivenza in Kenya (politica e sociale) davvero difficile ed esplosiva. La risposta di Odinga non si è fatta certo attendere. Sempre nella giornata del 3 novembre 2017 Odinga ha dato seguito ai propositi di boicottaggio delle aziende riconducibili al presidente o considerate a lui vicine: il leader della Super alleanza nazionale (Nasa) ha dunque invitato i suoi sostenitori a colpire tre delle maggiori aziende del paese: la società casearia caseificio Brookside (di proprietà della famiglia Kenyatta n.d.r), il produttore di olio da cucina Bidco e la compagnia di telefonia mobile Safaricom.
Come superare queste pericolose fratture politiche?
La soluzione potrà avvenire solo se Uhuru Kenyatta saprà tendere una mano nei confronti dei suoi avversari ma siamo nel campo delle ipotesi irrealizzabili. Dietro l'angolo per il Kenya si intravede un periodo di grave instabilità (proprio a causa di queste fratture) e che potrebbero essere il preludio per l'ennesima soluzione muscolare e militare. In pratica Uhuru Kenyatta si chiuderà ancora più massicciamente nel "fortino del comando presidenziale" senza esitare a schierare l'esercito pur di ristabilire una "qualsiasi pace sociale".
Ancora una volta, in Africa, preverrà l'interesse dell'"uomo solo al comando" a danno dell'intera comunità.
(Fonte.:jeuneafrique)
Bob Fabiani
Link
-www.jeuneafrique.com/politique/presidentielle-au-kenya-retour-en-images-sur-une-journee-de-violences
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