Sempre più spesso in questa parte di mondo che fa capo all'occidente si sente ripetere, fino alla nausea, la stucchevole frase - a proposito di Africa e di africani - e ancor di più se si vuole abbracciare la tragedia delle migrazioni e dei migranti : "aiutiamoli a casa loro". Non si tratta evidentemente solo e soltanto di una frase con connotazioni razziste ma un vero e proprio "progetto politico" perseguito (con caparbietà) dall'UE su vari fronti e, guarda caso, si tratta di una nuova forma colonialista di dominazione nei confronti dell'Africa e delle sue risorse.
Quando i vari leader politici europei usano la frase "bisogna aiutarli a casa loro" in realtà vogliono dire che, lo stato di turno europeo s'impegna in quella stucchevole politica imperialista per sottrarre risorse ai popoli africani. Uno dei "capitoli" che più fanno gola al cosiddetto mondo civilizzato ed europeo è l'agricoltura africana.
Oggi, dalle pagine di AfricaLand - Storie e Culture africane parlando di "Geopolitica d'Africa" allarghiamo la nostra lente d'ingrandimento sulla minaccia del "libero scambio" che incombe sull'agricoltura del Continente nero ospitando il punto di vista dell'Economista Jacques Berthelot , esperto di Africa e delle problematiche legate al "libero scambio" tra UE e Africa.
(Bob Fabiani)
-Jacques Berthelot: "L'agricoltura africana nella tenaglia del libero scambio"*
"Sul continente nero soffia forte il vento del libero scambio. Da un lato, l'Unione europea aumenta la pressione sulle capitali africane per arrivare alla firma degli accordi di partenariato economico (Ape) e abolire le preferenze commerciali non reciproche: per mantenere l'esenzione dei diritti doganali sulle loro esportazioni verso l'Europa, gli africani dovranno eliminare l'80% di quelli che applicano alle importazioni provenienti dal Mercato comune. D'altro canto, l'Unione africana avvia negoziati in vista della creazione di una zona di libero scambio continentale (Zlsc). A Niamey (Niger), il 16 giugno 2017, i ministri del commercio africani hanno già deciso di sopprimere man mano fino al 90% dei diritti doganali fra i paesi del continente.
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Quest' entusiasmo libero-scambista lascia perplessi, in particolare nel settore agricolo. Si prenda il caso dell'Africa dell'Ovest, che deve far fronte alla triplice sfida di un deficit alimentare in costante aumento, dell'esplosione demografica e dei cambiamenti climatici. Il deficit alimentare è passato da 144 milioni di euro in media nel 2000-2004 a 2,1 miliardi di euro nel 2013-2016 ma senza il cacao, che non è un prodotto alimentare di base, il deficit è schizzato da 2,5 a 7,5 miliardi di euro. La situazione potrebbe ulteriormente aggravarsi con il previsto raddoppio della popolazione da qui al 2050, proprio mentre nello stesso periodo un aumento della temperatura di 2° C potrebbe ridurre del 10% i raccolti agricoli nell'Africa subsahariana, secondo le Nazioni unite.
Gli Ape chiesti dall'Unione europea devono azzerare, a partire dal quinto anno di applicazione, i diritti doganali sui prodotti alimentari di base come i cereali (riso escluso) e il latte in polvere. Questo potrebbe non solo aumentare fortemente la dipendenza alimentare ma anche rovinare gli allevatori da latte e i produttori di cereali locali (miglio, sorgo, mais) e di altri amidacei (manioca, igname, platano).
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La Commissione di Bruxelles presenta le Ape come accordi "win-win". Ma se è così, perché la maggior parte dei paesi dell'Africa, Caraibi, Pacifico (Acp) ha rifiutato di firmarli formalmente, dopo aver dichiarato l'intenzione di farlo? E' il caso in particolare della Nigeria, che nel 2016 totalizzava il 72% del prodotto interno lordo e il 52% della popolazione dell'Africa dell'Ovest. Il suo presidente, Muhammad Buhari, ha dichiarato davanti al Parlamento europeo il 3 febbraio 2016 che l'Ape regionale avrebbe rovinato il programma di industrializzazione del paese. Nell'Africa dell'Est, i dirigenti di Tanzania e Uganda mostrano gli stessi timori. Se gli Ape sono così benefici, perché l'Unione europea ha rifiutato di divulgare i tre studi di impatto (aprile 2008, aprile 2012 e gennaio 2016) che si riferiscono all'Africa dell'Ovest?
La Commissione di Bruxelles trascura totalmente l'agricoltura locale quando afferma, in un rapporto del 2016, che gli Ape aumenterebbero del 10,2% le esportazioni cerealicole e dell'8,4% quelle di carne bovina dell'Africa dell'Ovest. I cereali sono le principali importazioni della sub-regione: nel 2013 queste erano state pari a 16,1 milioni di tonnellate, di cui 2,8 milioni provenienti dal Mercato comune (3,4 milioni di tonnellate nel 2016). Nel 2016 l'Unione europea ha importato solo 22 tonnellate di carne bovina dall'Africa dell'Ovest, mentre ne ha esportate ben 84.895 tonnellate.
Un'apertura prematura
In realtà, le perdite annuali relative ai diritti di dogana e all'imposta sul valore aggiunto (Iva) della sub-regione quanto alle importazioni dell'Europa passerebbero da 66 milioni di euro nel primo anno a 4,6 miliardi di euro nell'ultimo anno (2035), e le perdite cumulate arriverebbero a 32,2 miliardi. Perdite lontane dall'essere compensate dagli aiuti europei previsti per il periodo 2015-2020: 6,5 miliardi del programma Ape per lo sviluppo (Paped), che del resto non sono che un riorientamento degli aiuti normalmente accordati, come ha dichiarato la direzione cooperazione della Commissione. Le prospettive sono ancora più fosche visto che il Regno unito, che contribuiva per il 14,5% al Fondo europeo di sviluppo (Fes), lascia l'Unione, e la Francia ha già ridotto il proprio bilancio per la cooperazione di 140 milioni di euro nel 2017.
In Europa sono in gioco interessi potenti che esercitano forti pressioni sui responsabili politici nazionali ed europei per la conclusione degli Ape. Le imprese francesi fanno parte delle principali società agroalimentari interessate da questi mercati: la Compagnie fruitière di Robert Fabre produce ed esporta la gran parte delle banane e degli ananas di Costa d'Avorio, Ghana e Camerun; i Grands Moulins di Abidjan, quelli di Dakar e le Compagnie sucrière del Senegal erano di proprietà del gruppo Mimran che li ha appena ceduti a un gruppo marocchino; il gruppo Bolloré controlla le infrastrutture portuali del golfo di Guinea e si occupa fra l'altro dell'esportazione dei prodotti verso l'Europa".
-Fine Prima parte-
*Jacques Berthelot
(Fonte.:mondediplomatique)
Bob Fabiani
Link
-www.monde-diplomatique.fr
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