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domenica 26 novembre 2017

Inchiesta sul BLM-Black Lives Matter





- Terza e ultima parte : Nuovi scenari per il Movimento antirazzista all'ombra dell'America di oggi al tempo di Trump


Si conclude oggi l'inchiesta che AfricaLand Storie e Culture Africane (sezione "Afroamerican") ha pubblicato per tutto il mese di novembre. Si è trattato di un reportage che ha stabilito come, gli attivisti del #BlackLivesMatter ha modificato e diversificato le modalità di proteste e mobilitazione popolare nell'America che, sotto la guida del peggiore presidente della storia degli Stati Uniti, Donald Trump; si riscopre razzista e pericolosamente intollerante non solo contro  le minoranze etniche quanto invece, sotto la spinta di  #TheDonald torna in auge la galassia della "destra suprematista" - quella più vicina al Ku Klux Klan - che sogna addirittura il ritorno ai "tempi della schiavitù" per ribadire il più classico degli "sport nazionali a stelle e strisce", ossia la "caccia al nero" mai evidentemente cessata con la complicità delle forze dell'ordine.
Ne consegue - come abbiamo scritto durante le due puntate già pubblicate su queste pagine virtuali - che gli attivisti del movimento BLM la ricerca di una nuova strategia anche per fronteggiare lo scenario del cambiamento del clima, decisamente ostile al Black Lives Matter.
Tuttavia, non tenendo conto di tutto questo, negli USA è montato un dibattito-processo contro il BLM : detrattori e analisti - sopratutto quelli più vicini ai canali dei media della destra razzista e suprematista - che hanno inscenato il "de profundis" del movimento già dato per spacciato.
Ma così non stanno le cose come abbiamo visto durante questa inchiesta.

In conclusione lasciamo volentieri la parola e lo spazio a uno dei più autorevoli e seguiti scrittori statunitensi e afroamericani, Ta-Nehisi Coates. Il giornalista dice la sua su un aspetto che abbiamo approfondito nel reportage: la modalità e il gradimento delle proteste dei neri. L'intellettuale spiega come le "proteste della comunità nera non devono per forza piacere a tutti" in un contesto come l'attuale che obiettivamente rende la vita molto difficile per gli attivisti neri.
(Bob Fabiani) 



  

Ta-Nehisi Coates: "Le proteste dei neri non devono piacere a tutti"*

"Negli ultimi mesi sono sempre di più gli atleti statunitensi che s'inginocchiano durante l'inno nazionale prima delle partite per denunciare la discriminazione degli afroamericani. Questa forma di protesta, nata da un'iniziativa del giocatore di football Colin Kaepernick, è stata criticata da diverse persone, che la giudicano troppo divisiva. Il conduttore televisivo statunitense Joe Scarborough ha scritto su Twitter: "Molti mi criticheranno, ma questa è una realtà politica: ogni giocatore di football dell'Nfl (la lega del football americana; n.d.r) che si rifiuta di alzarsi in piedi durante l'inno nazionale non fa che aiutare Donald Trump".
Secondo Scarborough il comportamento dei giocatori è così irrispettoso che Trump riesce  facilmente a strumentalizzarlo con la sua demagogia. Chi, come Scarborough, sostiene che questi atleti si stanno dando la zappa sui piedi, ricorda anche che in altre epoche la protesta dei neri è stata una forza unificante capace di far cambiare idea ai bianchi dalla mentalità più aperta. Il giornalista David Leonhardt ha parlato di questo concetto in articolo sul New York Times: "In uno dei suoi discorsi più importanti, durante il boicottaggio degli autobus a Montgomery nel 1955, Martin Luther King parlò della "gloria dell'America, con tutti i suoi difetti", scrive Leonhardt. "In occasione della marcia su Washington King parlò di 'un sogno profondamente radicato all'interno del sogno americano'. Prima di concludere, recitò i primi sette versi della canzone patriottica My country, 'tis of thee, concludendo il suo intervento con la frase 'lasciate risuonare la libertà!'. Un anno e mezzo dopo, i manifestanti alla marcia da Selma a Montgomery sventolarono la bandiera statunitense, mentre i segregazionisti portarono la bandiera sudista. Sei mesi dopo Lyndon Johnson firmò la legge che permetteva ai neri di votare".
Leonhardt contrappone questo genere di attivismo, che metteva insieme il movimento per i diritti civili e i simboli statunitensi, a quello degli atleti, che sembra esprimersi in opposizione a questi simboli. Leonhardt sta dalla parte di Kaepernick, ma al suo atteggiamento "arrabbiato" preferisce quello "intelligente" del movimento per i diritti civili. Con la sua critica Leonhardt sottintende che Martin Luther King e altri pionieri dei diritti civili riuscirono a coinvolgere i bianchi americani meglio di Kaepernick. Leonhardt cita un sondaggio di YouGov, secondo il quale solo il 36 per cento degli statunitensi considera "opportuna" la protesta. Potrebbe essere un'obiezione giusta, se non fosse che il movimento per i diritti civili a cui fa riferimento Leonhardt all'epoca era considerato altrettanto inopportuno, se non peggio. Come ha ricordato il Washington Post, il 60 per cento degli statunitensi era contrario alla marcia su Washington. Nel 1966 il 63 per cento aveva un'opinione negativa di Martin Luther King. Anche il suo omicidio va inserito in un contesto di ostilità.
Leonhardt è un opinionista intelligente e mi sorprende che sposi questa interpretazione mitica del movimento per i diritti civili. In realtà il suo obiettivo è criticare la sinistra radicale di Bernie Sanders: "Agire in modo intelligente significa rinviare i contrasti interni e unirsi contro il programma di Trump. Significa capire, come fecero i leader del movimento per i diritti civili, che i simboli dell'America sono  un alleato prezioso", scrive. La storia però lo contraddice.
Gli attivisti per i diritti civili - come gli attivisti neri di oggi - non riuscirono a coinvolgere la maggioranza. Il processo non fu mai ordinato né unificante e infatti distrusse il Partito democratico di Franklin Delano Roosevelt e Harry Truman. Ci furono molte violenze, che misero in imbarazzo il paese. Alla fine i militanti riusciranno a sfruttare questa vergogna pubblica per ottenere un cambiamento. E sopratutto, riuscirono a far cambiare idea ai figli dei bianchi che li criticavano.
E così arriviamo al vero bersaglio della protesta di Kaepernick. Il suo scopo non è convincere quelli che fischiano quando una squadra s'inginocchia prima dell'inno, ma  sensibilizzare i loro figli. Il suo obiettivo è il futuro. Kaepernick non ha lanciato la sua iniziativa per far eleggere più democratici moderati. Ovviamente, neanche lui è immune del compromesso. Quando le sue prime iniziative sono state criticate, Kaepernick ha parlato con un gruppo di veterani dell'esercito per trovare un modo migliore per portare avanti la sua protesta. Da quel dialogo è nata la scelta di inginocchiarsi, e il fatto che anche questo abbia alimentato le critiche è il sintomo di un problema più grande.
Se l'idea che un ragazzo provi a salire su un autobus è inaccettabile, se riunirsi al National mall di Washington è vietato, se predicare la nonviolenza spinge qualcuno ad ammazzarti, se una protesta nata da un colloquio con i veterani è offensiva, dobbiamo chiederci cosa sia accettabile nell'America bianca. Forse il problema non è il modo in cui si protesta, ma il motivo per il quale lo si fa".
*Ta-Nehishi Coates - scrittore e giornalista afroamericano 
** Questo articolo è apparso sulle colonne di Atlantic in Usa e su Internazionale in Italia
(Fonte.:theatlantic;thenation;nytimes;washingtonpost;internazionale)
Bob Fabiani
Link
-www.thenation.com;
-www.theatlantic.com;
-www.nytimes.com;
-www.washingtonpost.com;
-www.internazionale.it          

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