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martedì 5 maggio 2020

Alaa Salah, canto di protesta un anno dopo







Durante le storiche e drammatiche giornate della rivoluzione in Sudan  - giusto un anno fa - che portarono alla destituzione e alla caduta del dittatore Omar al Bashir, Alaa Salah, in una delle tante manifestazioni (era l'aprile 2019 n.d.t) salì sul tetto di una macchina e cominciò a cantare e, da quel momento diventò il simbolo della rivoluzione per un Sudan moderno finalmente libero dal cappio del regime brutale del desposta che guidò il paese africano con il terrore e il pugno di ferro.

Chi è oggi Alaa Salah? Scopriamola meglio in questo post.
(Bob Fabiani)


-Canto di protesta*


Per essere un'icona, si muove tanto. Alaa Salah parla e gesticola, e quando le mani stanno ferme è il suo viso a muoversi. Gli occhi le brillano, sempre all'erta. Per quanto iconica, non sarà mai la Gioconda della rivoluzione sudanese, ma piuttosto la sua Beyoncé, una ragazza che vive il presente. E' diventata un'icona un anno fa, all'apice della rivolta. Il 6 aprile 2019 una folla di decine, poi centinaia di migliaia di persone ha invaso il quartier generale delle forze armate nel centro della capitale Khartoum per chiedere l'uscita di scena di Omar al Bashir, il generale e dittatore alla guida del Sudan dal 1989, l'anno del colpo di stato. Trent'anni di regno durante i quali l'islamismo duro e puro degli inizi aveva ceduto il passo a un islamismo violento, dominato dalle milizie militari.
La rivoluzione era cominciata il 19 dicembre 2018 ad Atbara, nel nord del paese, dopo che il governo aveva annunciato di voler triplicare il prezzo del pane. In poco tempo si era allargata a tutto il territorio, e le rivendicazioni avevano finito per ridursi a un solo slogan contro Omar al Bashir: tesgot bass (vattene e basta!).

"I primi giorni non dicevo ai miei genitori che andavo a manifestare", ha raccontato Salah a marzo al Festival del film e forum internazionale sui diritti umani di Ginevra, dov'era ospite. "Quando mi hanno proibito di uscire, li ho convinti che non si poteva rimanere a casa a non fare niente, che eravamo dei morti viventi. Tanto valeva morire per qualcosa".

La protesta ha resistito al coprifuoco, allo stato d'emergenza, alla censura di internet, alla repressione e alla tortura fino al sit-in del 6 aprile 2019, che le ha dato un nuovo slancio.
Alaa Salah all'epoca aveva solo 22 anni e ogni giorno usciva vestita di bianco, un abbigliamento riservato alle donne rispettabili e un riferimento alla rivoluzione del 1964. L'8 aprile ha indossato anche un paio di orecchini dorati.

"Non avrei mai potuto immaginare quello che sarebbe successo dopo", ricorda.

E' salita sul tetto di un'auto e ha intonato un canto di sostegno della rivoluzione.

"Era una poesia scritta da uno studente durante le manifestazioni del 2013, nelle università è famosa", spiega con semplicità.

Tra una strofa e l'altra, la folla scandiva thawra (rivoluzione). Ripreso dai telefoni, il video è diventato popolare su internet. Con l'abito immacolato, i sandali con il tacco e il trucco curato, Salah incarna la donna sudanese in tutta la sua dignità, combattività e grazia.



   


Già all'inizio di marzo era stata organizzata una manifestazione per omaggiare l'impegno delle donne nella rivoluzione in corso. L'8 marzo, Omar al Bashir aveva ordinato la liberazione delle donne arrestate per avere partecipato alle manifestazioni. Ma il gesto non era servito a calmare la folla, perché le prigioniere appena liberate avevano raccontato la pena di 20 colpi di frusta inflitta ad alcune di loro. Nell'immediato quel quarto d'ora di celebrità è costato ad Alaa Salah, che ha ricevuto minacce di morte sui social network. Ma qualche giorno dopo, l'11 aprile 2019, Omar al Bashir è stato spinto alle dimissioni dal suo entourage e messo agli arresti domiciliari. E Salah ha tirato un sospiro di sollievo. Nel resto del mondo è diventata il volto della più bella delle rivoluzioni arabe, la più femminile, solidale e pacifica, quella di un paese immenso e sconosciuto, troppo arabo per essere africano e troppo nero per essere arabo.

-Generazione senza diritti

"Quello che ha scatenato la rivoluzione, più che il prezzo del pane, è stato l'annuncio nell'estate del 2018 che Al Bashir si sarebbe candidato alle presidenziali 2020 anche se aveva promesso di lasciare il potere", spiega Salah. "Sentivo i miei genitori parlare dei bei tempi andati, della loro gioventù, e non capivo perché la mia generazione non ne avesse diritto".

Originaria di una famiglia numerosa del quartiere di Hajj Yusuf, Salah appartiene alla piccola borghesia di Khartoum, quella classe media di cui il regime di Bashir ha perso il sostegno a colpi di svalutazioni e aumenti dei prezzi. Nel 2011 la secessione del Sud Sudan ha privato il paese dei suoi introiti petroliferi e, mentre il Sudan sprofondava, l'avidità della classe dirigente ha spinto la popolazione in uno stato di agitazione permanente, represso con ferocia. La famiglia Salah è più fortunata della media perché il padre, un ingegnere, ha lavorato a lungo nei ricchi paesi del Golfo in Medio Oriente. Alaa ha studiato per diventare architetta.
Ma non basta maneggiare il compasso e manifestare per strada per essere considerata al pari degli uomini. Il regime di Al Bashir ha ostacolato l'emancipazione femminile: due leggi del 1991 e del 1998 sull'ordine pubblico hanno proibito alle donne sudanesi di uscire senza un garante familiare maschio che ne disciplini la sessualità, il corpo e l'abbigliamento.

"Ho un'amica che è stata molestata dalla polizia per aver indossato i pantaloni", racconta Salah.

Molto spesso i poliziotti hanno abusato di queste leggi per ottenere soldi o commettere violenze sessuali. Alcuni casi sono stati raccontati dai mezzi di informazione, come quello di Noura Hussein, condannata a morte per aver ucciso il marito violento, con cui era stata costretta a sposarsi a 16 anni, o la giornalista Loubna al Hussein, che ha rischiato quaranta colpi di frusta per aver indossato i pantaloni. Entrambe sono state assolte grazie alle campagne internazionali in loro favore, ma la maggior parte delle sudanesi subisce il dominio maschile.
Il regime non è l'unico responsabile.
La società è molto conservatrice, e l'infibulazione è ancora una pratica diffusa (tuttavia, sabato scorso 2 maggio, il Sudan ha finalmente approvato una legge contro queste pratiche...un passo decisivo verso quel cambiamento alla base della rivoluzione dello scorso anno).
Qualche anno prima della rivoluzione è nato Minbar Chat, un gruppo Facebook di sole donne. All'inizio doveva servire a verificare se i potenziali fidanzati erano affidabili. Poi è diventato un forum femminista.

"Lo usavamo per darci appuntamento alle manifestazioni. E anche per identificare le spie dei servizi di sicurezza", spiega Salah.

Minbar Chat è diventato anche la cassa di risonanza dei comitati di quartiere dell'Associazione dei professionisti sudanesi, il sindacato clandestino che ha guidato la rivolta. Ma se quella sudanese è stata la più femminile delle rivolte arabe, lo deve sopratutto alle figure misconosciute della storia, in particolare a Fatima Ibrahim, militante femminista e dirigente comunista. Morta a 84 anni, i suoi funerali a Khartoum il 16 agosto 2017 sono stati le prove generali della rivoluzione.
Con la caduta di Al Bashir, la legge sull'ordine pubblico del 1998 è stata abolita e oggi due donne siedono al consiglio sovrano, che dirige la transizione, mentre altre due sono state nominate ministra degli esteri e procuratrice generale, una novità nel mondo arabo (e in misura minore in Africa n.d.t).

Ma non è che un primo passo: tutti in Sudan sono consapevoli che la strada verso la democrazia e il rispetto dei diritti civili è ancora lunga e difficile.

Il consiglio legislativo, non ancora istituito, dovrà essere composto per il 40 per cento da donne.

Alaa Salah non ha il bagaglio politico di Fatima Ibrahim. Lo sa e non vuole impegnarsi in politica, anche se ha ricevuto delle proposte. Perché dopo il tempo della rivoluzione è arrivato quello più tortuoso della transizione, prima delle elezioni generali previste per il 2022. E' l'ora del disincanto, dei colpi bassi e dei calcoli opportunistici tra civili e militari che si dividono il potere durante la ricostruzione di un paese esangue. L'ombra del generale Mohamed Hamdan Dagalo, soprannominato "Hemeti", capo di una milizia di stato più potente dell'esercito, pesa sul futuro dei rivoluzionari: dopo essersi attribuito i meriti della caduta di Al Bashir e averlo abbandonato al momento giusto, ha fondato uno stato nello stato negando ogni responsabilità nella guerra nel Darfur e nella sparizione di circa 200 manifestanti, senza contare lo stupro per mano dei suoi uomini di 70 donne nel centro di Khartoum il 3 giugno 2019.
Alaa Salah si è presa un anno di pausa dagli studi per rappresentare la rivoluzione sudanese nel mondo.

"Dio mi ha affidato questa missione", spiega aggiustandosi il velo, "devo andare ovunque e chiedere che sia fatta giustizia, e che siano processati Omar al Bashir e tutti quelli che hanno servito il suo sistema corrotto. Solo allora potremo costruire un nuovo Sudan, dove regneranno pace, libertà e uguaglianza".

Ma al momento, la minaccia più immediata per il fragile Sudan è il coronavirus. Il paese ha solo 200 respiratori per 40 milioni di abitanti e 678 contagi e 41 decessi.
*Christophe Ayad
(Fonte.:lemonde)
Bob Fabiani
Link
-www.lemonde.fr   

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