La notizia tanto attesa della liberazione della cooperante milanese, Silvia Romano arriva alle 17,17 di sabato 9 maggio 2020 è il presidente del consiglio italiano, Giuseppe Conte che dall'account Twitter e subito dopo rilanciata da tutte le agenzie di stampa italiana.
Finisce così il lungo incubo di questa ragazza arrivata in Africa, in Kenya per lavorare per l'Onlus marchigiana Africa Milele: un progetto a sostegno dell'infanzia e con i bimbi dell'orfanotrofio.
Era il 20 novembre 2018 quando il rapimento viene portato a compimento nel villaggio di Chakama, 80 Km da Malindi dal gruppo di etnia wardei.
Da quel momento passeranno 535 giorni prima che possa riassaporare la libertà. La liberazione avviene in Somalia, a Mogadiscio, la capitale somala.
Le prime parole di Silvia : "Sono stata forte".
Appena liberata è stata trasferita nel compound delle Nazioni Unite situato nella capitale somala.
-Trattativa e riscatto
Non appena si diffonde la notizia, in Italia, si viene a conoscenza che i servizi segreti di Roma, l'AISE ossia, l'intelligence a cui fa riferimento il premier Conte che, in un primo "cinguettio" non aveva però menzionato anche gli altri artefici di questa operazione: i somali e i turchi (in particolare) salvo poi, rimettere tutto "in ordine" scrivendo un secondo "cinguettio" che tutta l'operazione, è stata portata a compimento dall'"intelligence esterna".
Passano le ore e tutta la vicenda è più chiara.
La cooperante milanese è stata liberata grazie al prezioso aiuto della Turchia di Erdogan che a Mogadiscio e nel resto d'Africa è ormai una presenza solida e vincente. Probabilmente, senza l'azione "congiunta" con Ankara, il finale di questa storia avrebbe scritto una sceneggiatura molto diversa e forse tragica.
-Dai 3 ai 6 covi della prigionia
Dopo il rapimento nel villaggio keniano - uno dei posti non particolarmente pericolosi del paese africano - i responsabili wardei "cedono" il prezioso ostaggio ai miliziani jihadisti di Al Shabaab, affiliati ad Al Qaeda. Inizia un periodo di spostamenti: dal Kenya alla Somalia. Sono giornate molto difficili per la cooperante e, massacranti dal punto di vista fisico. Questi viaggi avvengono a piedi e a volte in moto. Tranne l'ultimo, a Mogadiscio quando, i suoi carcerieri la fanno spostare in auto.
Seguendo il filo degli spostamenti, l'intelligence mista italo-turca-somala sono in grado di seguire i "passaggi di mano" tra due gruppi di Al Shabaab.
-Ricostruzione e prigionia di Silvia
Ripercorriamo le tappe del sequestro:
- 20 novembre 2018, rapimento al villaggio di Chakama. Primo periodo di prigionia interamente in Kenya
- Si allentano le maglie della sorveglianza: è trasferita in Somalia. E' qui che avviene il primo passaggio tra carcerieri. Subentra il primo gruppo di Al Shabaab. Rimane nel Sud della Somalia.
- Più tardi è di nuovo trasferita nella zona della città portuale di Marka.
- Qui, sabato 9 maggio 2020, i turchi e i somali riescono a condurre in porto lo scambio tra l'AISE e i miliziani di Al Shabaab.
Appena arrivata a Roma, Silvia Romano, nella deposizione agli inquirenti ha però parlato di almeno altri tre spostamenti avvenuti in altrettanti appartamenti. Ci sarà tempo per ricostruire tutta la prigionia della cooperante.
-Le parole di Silvia/Aisha
La cooperante della Onlus Africa Milele ha subito voluto spiegare la sua decisione di convertirsi all'Islam.
"Ho trovato Allah, leggendo il Corano durante la prigionia. Mi sono convertita all'Islam ora, il mio nome è Aisha".
Una scelta non causale perché il suo nuovo nome, Aisha, apparteneva alla moglie favorita del Preofeta, Maometto.
In un attimo, Silvia/Aisha fa in modo che le sue parole fossero utili a riannodare i fili dei ricordi, il nastro così si riavvolge e declina in un racconto-odissea.
"Non ho subito nessuna violenza fisica, sessuale o psicologica. I primi tempi non ho fatto altro che piangere, poi però mi sono fatta coraggio e ho trovato un equilibrio interiore. Piano piano è cresciuta dentro di me una maturazione che mi ha convinto a convertirmi all'Islam. (...) Ho avuto sei covi e sei carcerieri. Non mi hanno mai bendata né legata, mangiavo quel che c'era, una volta mi hanno preparato persino gli spaghetti".
Durante i lunghi 18 mesi di prigionia la ragazza ha scritto un diario.
"Scrivere mi ha aiutato. Ho chiesto dei libri, mi hanno portato il Corano. Mi rassicuravano continuamente che prima o poi sarei stata liberata. Avevo il permesso di muovermi per casa, ma non potevo fare nient'altro che leggere".
-Il lungo jilbab (breve storia dell'abito indossato al suo rientro a Roma)
E' l'abito che viene dall'Islam del Golfo e adottato dai tradizionalisti in ogni angolo d'Africa. Non è un semplice velo a coprire il capo ma un lungo e largo jilbab verde chiaro che le rivestiva tutto il corpo, lasciando scoperto solo il suo sorriso e la sua felicità, una volta abbracciata la famiglia. Si è convertita all'Islam, lo dice il suo jilbab prima ancora che potesse parlare agli inquirenti. Perché quell'abito lungo, proveniente dall'area geografica del Golfo è riuscito ad arrivare nei diversi angoli dell'Africa islamica: la globalizzazione del resto investe anche il mondo islamico, dove simboli e costumi circolano, si sovrappongono e si affollano. Lo si può vedere in Marocco come in Somalia, anche se non è il tipico vestito tradizionale di questi paesi, ma di un Islam che viene da lontano (e tuttavia non da oggi). Il messaggio che vuole trasmettere è uno passando da un'interpretazione dell'Islam che mette al centro il corpo della donna: un corpo da coprire, proteggere, mutilare dalle sue forme femminili, volto a contrastare con lo spirito della modesta il peccato, haram.
(Fonte.:ansa;ilmanifesto;ilfattoquotidiano;larepubblica;lastampa;theguardian)
Bob Fabiani
Link
-www.ansa.it
-www.ilmanifesto.it
-www.ilfattoquotidiano.it
-www.repubblica.it
-www.lastampa.it
-www.theguardian.co.uk
Nessun commento:
Posta un commento