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venerdì 1 maggio 2020

La lotta "diversificata" del Burkina Faso al Covid-19









Negli ultimi giorni la pandemia del coronavirus in Africa ha raggiunto e superato i 38 mila casi con i decessi arrivati a oltre 1,600.
I paesi africani dove ha fatto la sua comparsa il virus sono ormai 53 su un totale di 54: l'ultimo ad aggiungersi alla lista  - che vede sempre il Sudafrica come paese più colpito 5,647 seguito dall'Egitto con 5,537 poi Algeria, Ghana, Nigeria, Camerun e Guinea - è Comore dove, nelle ultime ore, è stato confermato il primo caso di contagio.
E' innegabile che in Africa tuttavia, il virus stia avanzando piano, ma se si aggiunge alla fame (e al debito) il quadro diventa disastroso.

Oggi, AfricaLand Storie e Culture africane si sofferma sul Burkina Faso.


-Diversamente Covid*






Il Covid-19 in Africa non ha lo stesso volto che ha in Europa e in altre parti del mondo. E questo non solo perché ci sono diversi ceppi (alcuni studi ne individuano più di trenta), ma anche perché i contesti sono totalmente diversi e, quindi, diverse e diametralmente opposte sono sono le possibilità, la capacità e le risorse per il suo contenimento.
In Africa, poi, il virus ha ben 54 volti, tanti quanti sono i paesi che compongono questo variegato continente. In Burkina Faso il contesto culturale-tradizionale, la situazione socio-conomico-sanitaria e di sviluppo è totalmente diversa dal Sudafrica o dalla Tanzania o dagli altri paesi dell'Africa dell'ovest.
Non esiste un unico piano di prevenzione valido per ogni Stato.

Il nemico che risponde al nome di coronavirus ha fatto la sua prima comparsa in Burkina Faso intorno ai primi di marzo: il primo caso è stato registrato il 9. Dopo 50 giorni sono stati confermati 645 casi, la maggior parte a Ouagadougou, la capitale. Al momento non si registrano casi in brousse o nei piccoli villaggi: non ci sono o non si conoscono?
Questa è la domanda che fa tremare i polsi un po' a tutti. Il numero delle guarigioni cresce di giorno in giorno: 476 persone testate positive e sottoposte a trattamento hanno lasciato l'isolamento per riunirsi alla famiglia o sono state trasferite in altri reparti ospedalieri.
In totale si contano 42 decessi (6,6%): meno di uno al giorno.

In base ai dati ufficiali, sebbene siano i più alti dell'Africa occidentale, il contagio sembra procedere molto lentamente. Il Covid-19 al momento non si è mostrato aggressivo come in Europa.

Quali sono le ragioni? Si tratta di un caso? Una mutazione?
In Africa da molto tempo sono abituati a contrastare la malaria assumendo farmaci a base di clorochina: è dunque questa una delle spiegazioni?      
Il caldo, come sfianca tutto e tutti, ha sfiancato anche il virus? Al suo arrivo si registravano dai 40° in su. Una possibile spiegazione di quanto sta avvenendo potrebbe essere insita nell'abitudine dei burkinabé (come a volte vengono chiamati gli abitanti del Burkina Faso n.d.t), di contrastare epidemie di diverse entità: dall'ebola alla meningite, alla varicella, alla rosolia (tra l'altro, in questi ultimi giorni sono stati registrati molti casi di varicella e rosolia n.d.t).
Da queste parti si fa molto ricorso all'uso della fitoterapia (qui chiamata farafin-fura n.d.t) per la prevenzione di ogni tipo di malattia.

Quando il Covid-19 è arrivato in Burkina Faso aveva già fatto il giro del mondo e, sia le autorità che gli abitanti, non sono stati colti di sorpresa. Erano chiare le cose da evitare e sopratutto come incastrare questo mostro invisibile.
Il Burkina Faso, come altri paesi africani, si è mosso su due piani, ambedue iscritti nel capitolo "prevenzione".
Del resto qui in Africa bisogna "prevenire" perché non ci sono strumenti per "curare". Forse, stavolta, il continente ha saputo trarre vantaggio dalle sue mancanze storiche e croniche. Potrebbe essere questa la risposta a tutti i nostri quesiti e, al tirar delle somme, rivelatesi vincente. Forti della consapevolezza di quanto accadeva in Europa e nel resto del mondo, si è deciso di prepararsi bene. Per tempo. Anche l'Africa ormai è connessa. Anche da queste parti si legge, si naviga (nell'infinito mondo della rete e dei nuovi social), si fanno ricerche, si ascolta la radio e non solo per la musica.

L'Africa è sicuramente un continente impoverito ma resta connesso.

Due piani, quindi: informazione e contenimento. Prima del 9 aprile, sono iniziati gli spot in tutte le lingue locali con tre comandamenti da seguire: lavarsi le mani spesso e bene; usare la mascherina, o meglio il cache-nez come si chiama qui; mantenere le distanze, non stringersi le mani e non darsi i consueti 4 baci di accoglienza.
La gente, poiché seguiva alla tv le notizie provenienti dall'Europa, ha bloccato le mani che istintivamente andavano a stringere altre mani incontrate per strada, al mercato, nel vicinato. Bisogna sottolineare che in Burkina Faso il saluto è sacro. E' una liturgia, un rituale. Non è semplice comprendere quale sia stato il sacrificio dei burkinabé se non si è mai stati da queste parti. Ma gli abitanti hanno disciplinatamente rinunciato subito al gesto sacro, senza proteste né recriminazioni.

Invece in altri posti, in altri continenti, quelli ritenuti più evoluti e moderni, nonostante i consigli e gli appelli, si facevano le ole allo stadio e i party di compleanno.
Nonostante il caldo afoso qui si usciva con i cache-nez e chi poteva non ha rinunciato alla solidarietà mettendo a disposizione davanti alla porta della propria bottega un bidone di acqua e del sapone per lavarsi le mani.
In tutto il Burkina Faso il contenimento ha mostrato il volto della lungimiranza dei poveri. Se il virus si diffonde a macchia d'olio o di leopardo e i malati si aggravano, non c'è alcuna possibilità di assisterli con sofisticate apparecchiature mediche. Posti limitati negli ospedali e scarsi mezzi inducono a prevenire.
Immediatamente, le autorità hanno istituito il confinamento: scuole chiuse dal 16 aprile; coprifuoco e mercati chiusi subito dopo; uffici e amministrazione con personale e orario ridotto.
La parola d'ordine: stare il più possibile a casa. Certo, anche qui, come nel resto dell'Africa mettere in pratica questa ordinanza governativa non è stato per nulla facile. Si è rivelato problematico, tuttavia, non impossibile.
Tutti gli abitanti del Burkina Faso - al pari delle autorità - non hanno nascosto che il rispetto di questa raccomandazione significa pagare un prezzo alto: qui si mangia solo se si lavora. Lo Stato ha chiesto e continua a chiedere sacrifici e in cambio offre agevolazioni per tutti e sostegno per le categorie più colpite: innanzitutto i poveri che vivono alla giornata, ma anche commercianti, ristoratori, trasportatori.
La situazione è drammatica eppure, la gente, in un passaparola muto, si dice con gli occhi: "Se non ci uccide il virus ci uccide la fame"
La fame quella che uccide già in abbondanza in Burkina Faso ed in Africa. Quella che è alla base di tante malattie che poi uccidono. Quella che uccide ancor di più in tempo di Covid-19.
E' la fame che consuma tutto e tra poco incombe la stagione delle piogge e nessuno sa cosa seminare. E' il grande quesito che tutti si pongono: non ci sono risparmi a cui attingere e i prezzi sono schizzati alle stelle.
Sullo sfondo poi c'è anche da registrare l'arrivo del Ramadam e il mese di digiuno della religione più diffusa nel paese scandisce e condiziona la vita sociale. Il coprifuoco, ancora necessario ma non più proponibile dalle 19, è stato modificato e portato alle 21. Il bisogno reale della gente e la temuta reazione a lungo andare costringe a rivedere la chiusura dei mercati che si riaprono, uno dopo l'altro, un po' ovunque ma con delle misure di precauzione.
Non ci sono certezze e qui, come nel resto del continente, si teme il divampare delle rivolte sociali: a fronte di questo, le autorità nel dare il via libera alle riaperture hanno anche suggerito l'indicazione di mantenere almeno 2 metri tra una postazione e l'altra e di ricevere i clienti uno alla volta.

Ma come spesso accade la realtà è un po' diversa da come può apparire in superficie: c'è paura tra la cittadinanza e si cerca di seguire al massimo i consigli. L'annunciata riaperture delle scuole preoccupa, perché si annunciano misure di sicurezza ma non c'è traccia della loro realizzazione, a partire dall'intento di fornire ogni allievo, ogni insegnante e tutto il personale scolastico, di due mascherine lavabili.

Ma davvero è stato dato lo scacco matto al Covid-19 oppure, il virus, misteriosamente e in modo invisibile prepara una mossa che inchioderà all'angolo i burkinabé? Al momento è impossibile rispondere in modo serio a questa domanda: quel che è certo che si capirà meglio quale sia la reale situazione nelle prossime settimane tenendo bene a mente che, il picco, in tutta l'Africa, è previsto nel prossimo mese di giugno.
Il lockdown intanto ha piegato ulteriormente il paese africano già messo in ginocchio dal terrorismo islamico e dalle migliaia di profughi radunati e accolti in campi improvvisati, sovraffollati, promiscui, che si allagano alla prima pioggia.  
La quotidianità che si prospetta qui in Burkina Faso - e nel resto del mondo - costringerà le perone costantemente col viso coperto perché l'uso della mascherina è stato dichiarato obbligatorio nelle scuole, nei mercati, sui bus, nei servizi pubblici.

Sarà possibile?

Il pensiero corre veloce ai lavoratori dei cantieri o nei campi sotto il sole cocente, imbavagliati con la mascherina.








-Il debito che soffoca il Burkina Faso

Il Burkina Faso soffre ed è schiacciato anche dal debito pubblico, quel debito denunciato coraggiosamente a metà degli anni '80 dall'allora presidente Thomas Sankara come ingiusto, schiavizzante, depredante.
In un momento drammatico come l'attuale torna attuale quel discorso che, con il senno di poi è una delle chiavi che portarono al suo assassinio perché la denuncia del debito ingiusto dell'Africa torna anche oggi che, i paesi ricchi hanno ancora una volta voltato le spalle all'Africa.
Sogno spezzato di un intero continente finiva per sempre a metà degli anni'80, il sogno di essere libero e autonomo, ricco di se stesso.
Eppure questa epidemia di Covid-19 si è anche rivelata un po' amica, imponendo una battuta di arresto al delirio di onnipotenza di ogni abitante, in ogni continente. Questo virus ci ricorda che non serve corre a perdifiato ogni giorno perché non sempre rende felici, che la terra, questo pianeta va rispettata, che siamo tutti fratelli, che un doppio filo rosso lega ogni parte del mondo all'altra, che non c'è andata senza ritorno, che l'eccessivo sviluppo di una parte del mondo e l'impoverimento dell'altra parte non è equilibrio, che ogni istante va vissuto come se fosse l'ultimo.
*Grazia Le Mura, vive e gestisce da quasi 30 anni in Burkina Faso dove gestisce una casa famiglia in un villaggio non distante da Bobo Djoulasso, la seconda città del paese.
(Fonte.:ilmanifesto)
Bob Fabiani
Link
-www.ilmanifesto.it     

    

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