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lunedì 4 marzo 2019

La lotta comune degli afroamericani e dei palestinesi per abbattere il razzismo. Un intervento di Sylvie Laurent ( Seconda Parte)*






Si conclude oggi l'intervento di Sylvie Laurent che ricostruisce la lunga e storica "lotta comune" degli afroamericani e dei palestinesi per il rispetto dei diritti civili e l'abbattimento del razzismo e dell'apartheid sia in USA sia in Palestina.
(Bob Fabiani)



-Sylvie Laurent: "Quello che la Palestina mi ha insegnato sul razzismo negli Stati Uniti"(Seconda Parte)*









"Cruse aggiunge, dov'è questa empatia per l'oppresso quando si tratta di denunciare l'occupazione isrealiana in Palestina? "Qual è la posizione degli intellettuali ebrei della rivista Commentary sul sionismo?" Dalla risposta, prosegue, i neri in cerca di giustizia dovrebbero farsi domande sulla legittimità del paternariato con gli ebrei degli Stati Uniti.

La rivista neoconservatrice è tirata in ballo per sottolineare lo spostamento, alla fine degli anni 1960, di una parte degli intellettuali ebrei statunitensi, come Norman Podhoretz, verso una duplice tensione: su scale nazionale verso i neri, ai quali ritirano ogni appoggio, e su scala internazionale verso Israele, che ormai sostengono incondizionatamente.  Mettendo in collegamento i due ambiti, sostengono che il modello sociale statunitense, liberale e universalista  - quello che ha permesso agli ebrei di americanizzarsi - è minacciato da chi condanna razzismo e dominio, negli Usa come in Medioriente.



Una diaspora di spossessati



La risoluzione 3379, adottata nel 1975 dall'Assemblea generale delle Nazioni unite (Onu), che condanna proprio il sionismo come una "forma di razzismo e discriminazione razziale" (10), suscita polemiche negli Stati Uniti, tanto più in quanto si inserisce in questo contesto.  Particolarmente indignato l'ambasciatore statunitense all'Onu, Daniel Patrick Moynihan. Egli conosce i meccanismi della discriminazione di Stato. Dieci anni prima, quando era docente e vicino a Lindon Johnson, aveva scritto un celebre rapporto facendo appello a politiche sociali ambiziose a favore dei neri americani, dei quali aveva mostrato l'esclusione strutturale. Diventato neoconservatore, tira le orecchie a chi parla del "razzismo" di Israele.


Occorre dunque capire le ripercussioni della questione palestinese presso i neri americani alla luce dei rapporti di forza interni che si ridisegnano negli Stati uniti all'indomani del movimento per i diritti civili.  In quest'ottica, gli attori rivisitano le questioni chiave della lunga storia del paese  - in primo luogo, la natura imperiale della Repubblica statunitense e l'esclusione delle sue minoranze dal campo della cittadinanza.  Affermare il sostegno alla Palestina significa proclamare il diritto alla dissidenza nei confronti della potenza americana che, dopo aver confiscato terre e potere a neri, messicani e nativi, replica questo dominio in Medioriente.  Coscienti di questa eco della storia nazionale, ebrei e arabi statunitensi si impegnano nel 1968 nei rispettivi movimenti di affermazione politica ispirati dal movimento americano per i diritti civili.  E' ad esempio il momento in cui il rabbino Meir Kahane, fondatore nel 1968 della Jewish Defense League (Lega per la difesa ebraica) e futuro leader di estrema destra, evoca il concetto di Jewish power ("potere ebraico").  Nello stesso anno, l'intellettuale Edward W. Said pubblica "The Arab portrayed" (11), precursore del suo lavoro sull'orientalismo, che invita già a comprendere la costruzione "raziale" dell'altro.


Il regime dell'apartheid in Sudafrica suscita grandi mobilitazioni nei campus, ma anche nei quartieri popolari, grazie ai militanti che non hanno abbandonato il ghetto. Simbolo del dominio coloniale e capitalista, il potere sudafricano è sostenuto e armato dagli Stati uniti e da Israele, che si schiera sempre di più nel campo degli oppressori. Così si parla dell'"apartheid israeliano" (12).  E i palestinesi diventano parte della diaspora degli spossessati.  Come per il Sudafrica, gli attivisti chiedono boicottaggio, condanna e disinvestimenti da parte di ogni istituzione statunitense, dalle università al dipartimento di Stato.





Nel 1979, il militante dei diritti civili Andrew Young perde il posto di ambasciatore statunitense presso le Nazioni Unite per aver incontrato i dirigenti dell'Olp l'anno prima.  Con questo gesto, il presidente James Carter, già irritato dalle reticenze dell'ambasciatore nei confronti della sua politica pro-isrealiana, si attira i fulmini dei rappresentanti neri statunitensi.  James Baldwin reagisce sul settimanale The Nation, il 29 settembre 1979: "Lo Stato di Israele non è stato creato per la salvezza degli ebrei; è stato creato per salvare gli interessi occidentali. (...) I palestinesi pagano per la politica coloniale britannica del 'divide et impera' e per il senso di colpa che assilla l'Europa cristiana da più di trent'anni".  Ma, dal momento che la questione è meno geopolitica che interna, diversi neri, in particolare Jesse Jackson (un altro veterano della lotta per i diritti civili e figura promettente del Partito democratico), puntano subito il dito sul ruolo degli ebrei statunitensi in queste dimissioni forzate. Le accuse di antisemitismo fioccano, e le affermazioni di Jackson rispetto agli ebrei di New York (che sono "ossessionati da Israele" ) e che dominano in una "Hymie Town" - "città ebraica", in senso spregiativo) peggiorano la situazione. Questo fiero sostenitore di un'ampia coalizione fra tutte le minoranze cercherà di chiudere la piaga, ma invano.  E quando Louis Farrakhan, leader nero della Nation of Islam, notoriamente antisemita fin dagli anni 1970, lo appoggia, la critica antisionista dei neri statunitensi finisce fatalmente per risultare screditata.








Negli anni 1990, in assenza di un movimento afroamericanoabbastanza potente, la lotta comune fra neri e palestinesi si affievolisce. Il ritorno dei principali leader neri alla moderazione democratica, lo sfaldarsi degli ultimi rivoluzionari del Black Panther Party insieme alle speranze di pace in Medioriente suscitate dalla firma degli accordi di Oslo nel 1993, hanno la meglio sulla critica all'imperialismo che tanto caratterizzò la liberazione nera statunitense.


La fraternizzazione con i palestinesi riprende davvero solo nel 2015-2016, quando la rivolta di Ferguson viene domata malgrato gli accertati crimini compiuti dalla polizia contro diversi giovani neri disarmati.








Riprendendo il vessillo del Sncc, Black Lives Matter articola nuovamente la questione razziale con le logiche del dominio mondiale.  Le reti sociali rianimano la solidarietà assopita  - un gruppo Facebook si chiama Black for Palestine.  Nel 2017, il gruppo antirazzista Dream Defenders organizza un viaggio di artisti neri nei territori occupati, e nei campus statunitensi si svolgono convegni  durante i quali gli appelli a boicottare Israele sollevano regolarmente contestazioni. (13).


Le iniziative sono prese da piccoli gruppi di attivisti e universitari, ma l'unione fra neri e palestinesi nella lotta è ormai sostenuta da una nuova generazione.





Vic Mensa, giovane idolo del rap originario di Chicago, ha visitato i territori occupati nel 2017, raccontando la propria desolazione in un editoriale dal titolo "Che cosa la Palestina mi ha insegnato del razzismo statunitense" (14).




Egli descrive il senso di immedesimazione provato davanti alla scena di un giovane palestinese che un soldato israeliano stava apostrofando. Dapprima sollevato per il fatto di non trovarsi nei panni del sospettato, si rende conto che là "i neri sono loro".

- Fine -

*Sylvie Laurent, Ricercatrice associata alle università di Harvard e Stanford, docente a Sciences Po, autrice di Martin Luther King. Une biographie intellectuelle et politique, Seuil, Parigi, 2015.

**Questo articolo è comporso sulle colonne de Le Monde diplomatique, Febbraio 2019

Note

  (1) Angela Davis, Freedom is a Constant Struggle: Ferguson, Palestine and the Foundations of a Movement, Haymarket Books, Chicago, 2016.

(2) When I See Them, I See Us, Black Palestinian Solidarity.

(3) Malcolm X, "Zionist logic", The Egyptian Gazette, Il Cairo, 17 settembre 1964.

(4) James Baldwin, "The Harlem ghetto: Winter 1948", Commentary, New York, febbraio 1948.

(5) Alex Lubin, Geographies of Liberation: The Making of an Afro-Arab Political Imaginary, The University of North Carolina Press, coll. "John Hope Franklin Series in African American History and Culture", Chappel Hill, 2014.

(6) Citato da Douglas Robinson, "New Carmichael trip", The New York Times, 19 agosto 1967.

(7) Huey P. Newton, "On the Middle East: September, 1970", in To Die For the People, Random House, New York, 1972.

(8) Murray Friedman, What Went Wrong? The Creation & Collapse of the Black-Jewis Alliance, The Free Press, New York, 1995.

(9) Harold Cruse, The Crisis of  the Negro Intellectual, William Morrow, New York, 1967.

(10) Adottata da 72 paesi contro 35 (con 32 astensioni, è stata revocata dalla risoluzione 46/86, richiesta da Israele per partecipare alla conferenza di Madrid e adottata il 16 dicembre 1991.

(11) Edward W. Said, "The Arab portrayed", in Ibrahim Abu-Lughod (a cura di), The Arab-Israeli Confrontation of June 1967: An Arab Perspective, Northwestern University Press, Evanston (Illinois), 1970.

(12) Si legga Alain Gresh, "Dal Sudafrica si guarda alla Palestina", Le Monde diplomatique, settembre 2009.

(13) Si legga Alain Gresh, "La lobby israeliana negli Stati Uniti, il documentario proibito", Le Monde diplomatique, settembre 2018.

(14) "Vic Mensa: What Palestine taught me about American racism", Time, New York, 12 gennaio 2018.    

(Fonte.:monde-diplomatique)
Bob Fabiani
Link
-www.monde-diplomatique.fr;
-www.blackpalestiniansolidarity.com

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