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lunedì 25 marzo 2019

Se l'Africa impone la "Democratura" per risolvere le sfide delle elezioni democratiche. Il "#CasoCongo"





Dopo le elezioni nella Repubblica Democratica del Congo, svoltesi con due anni di ritardo, ha avuto un epilogo del tutto particolare che, a ben vedere, non ha riscontri e nessun rapporto con la realtà delle urne.
Questo epilogo - scrive il giornalista di Le Monde diplomatique, François Misser - ha prvocato in Africa nuove pericolose divisioni e, da sole illustrano le trasformazioni politiche in atto nel Continente Nero.
(Bob Fabiani)


-Congo, la politica del fatto compiuto. (Ripercussioni regionali di un voto contestato)*


"Per una volta, la manipolazione delle elezioni generali tenutesi il 30 dicembre 2018 nella Repubblica democratica del Congo (Rdc) ha determinato una spaccatura in Africa: da un lato chi voleva far prevalere la verità delle urne; dall'altro chi - in primo luogo il Sudafrica - privilegiava la decisione "sovrana" del paese.
Una divisione inedita che rivela i nuovi rapporti di forza nel continente e il dibattito che lo attraversa.

L'annuncio dei risultati provvisori da parte della Commissione elettorale nazionale indipendente (Ceni) il 10 gennaio ha suscitato immediatamente polemiche. Dopo aver chiesto il riconteggio dei voti, l'Unione africana ha dovuto accettare la decisione del Consiglio costituzionale, il 20 gennaio 2019.  A sorpresa,  in questo scrutinio uninominale a un turno,  è stato  proclamato vincitore con il 38,57%  dei  voti  Félix Tshisekedi,  candidato della coalizione  Cap pour  le  changementh  (Cach), davanti  al candidato  dell'altra  coalizione  di opposizione,  Lamuka  ("Svegliatevi"),  Martin Fayulu (34,8%)  e  al delfino  del presidente  uscente  Joseph Kabila, Emmanuel Ramazani Shadary (23,84%).

Eppure, non sembrerebbero esserci dubbi.  In un rapporto pubblicato il 18 gennaio,  l'informatissima e autorevole  Conferenza episcopale nazionale dei vescovi congolesi (Cenco) (1)  dava conto  di un risultato molto diverso:  Fayulu con il 62,11%,  Tshisekedi  con il 16,93 e  infine Ramazani  Shadary con il 16,88%.  Il metodo  utilizzato  per  questo  conteggio  è stato  testato in Ghana (2011 e 2016) , in Nigeria (2011 e 2015), in Tunisia (2014), e in Burkina Faso e Costa D'Avorio nel 2015.



Accordo  improbabile





Il risultato ufficiale è stato in effetti negoziato all'ultimo momento fra Kabila e Tshisekedi. Messo davanti al fallimento del suo candidato, Kabila ha preferito trovare un accordo con il secondo arrivato, concedendogli la poltrona presidenziale, mentre le elezioni legislative, organizzate contestualmente e convalidate dalla Ceni, davano ai sostenitori del presidente uscente una comoda maggioranza di oltre 300 deputati su 500.


Tshisekedi, meno brillante e carismatico del padre Etienne, figura della vita politica congolese morto nel 2017, sembrava più malleabile del candidato primo arrivato.  Privo di risorse finanziarie o di particolari titoli di studio, aveva cercato più volte di avvicinarsi allo schieramento di Kabila. Al contrario, Fayulu, ex dirigente di Exxon Mobil, carriera politica priva di compromessi - né con il regime di Joseph Mobutu (che regnò nel paese dal 1965 al 1997) né con la dinastia dei Kabila -, sembrava non controllabile. Il sostegno accordatogli da due personalità molto popolari, l'exgovernatore del Katanga Moise Katumbi e l'ex vicepresidente Jean-Pierre Bemba, accresceva la sua capacità di nuocere al potere. Così, la scelta da parte di quest'ultimo si è rapidamente imposta.


Fatto nuovo in un continente dove le autorità stendono spesso un velo pietoso sulle manipolazioni elettorali (2), quest'improbabile accordo è stato accolto da una cautela inaspettata. Fra le autorità congolesi, le organizzazioni continentali e alcune  potenze regionali come il Sudafrica si è avviato un dibattito a distanza sull'atteggiamento da adottare. In questo dialogo interafricano, le critiche sulle cifre ufficiali espresse dal ministro francese degli affari esteri, Jean-Yves Le Drian, sono rapidamente passate in secondo piano.




Dopo la pubblicazione dei risultati provvisori, il 10 gennaio, il capo dello stato zambiano Edgar Lungu, presidente della Comunità di sviluppo dell'Africa australe (Cdaa) - di cui fa parte la Rdc -, ha evocato pubblicamente "seri dubbi"  spiegando: "Il nuovo conteggio sarebbe in grado di rassicurare al tempo stesso vincitori e perdenti". Denis Sassou Nguesso, leader del Congo Brazzaville e presidente della Conferenza internazionale sulla regione dei Grandi laghi (Cirgl) - della quale fa parte anche la Rdc-, ha consigliato a Konshasa di "prevedere un nuovo conteggio per garantire la trasparenza dei risultati". Dal canto suo, l'Unione africana ha espresso le proprie riserve e annunciato l'intenzione di mandare a Kinshasa, il 21 gennaio, una delegazione guidata dal suo presidente, il capo di stato del Ruanda Paul Kagame.


In questo concerto di razioni scettiche, un'unica voce dissonante, ma di peso: quella del vicepresidente sudafricano Cyril Ramaposa, che si è subito congratulato con i congolesi per aver garantito un processo elettorale pacifico, "senza ingerenze né impressioni".  Il 14 gennaio, il ministro sudafricano delle relazioni internazionali e della cooperazione, Lindiwe Sisulu, chiedeva alla "comunità internazionale" di "rispettare i processi interni legali". Il 20 gennaio, alla vigilia dell'annunciata visita di una delegazione dell'Unione africana, la Corte costituzionale congolose fischiava la fine della partitaproclamando la vittoria definitiva di Tshisekedi. Dopo il Sudafrica, tutti i paesi africani hanno riconosciuto il nuovo capo di Stato della Rdc.


Questa vittoria del fatto compiuto, certo scioccante dal punto di vista dei valori democratici, si spiega con la storia movimentata e dolorosa della Rdc. Il paese non ha conosciuto alcuna alternanza democratica a partire dall'indipendenza, nel 1960, un anno prima dell'assassinio del primo ministro Patrice Lumumba da parte dei servizi belgi.



Secondo la Costituzione, Kabila - al potere dal 2001 - avrebbe dovuto lasciare il potere nel dicembre 2016, ma le presidenziali sono state rimandate per due anni, ufficialmente per "problemi logistici" (3). In questo contesto, lo svolgimento, pur contestabile, delle elezioni può accolto con sollievo... in attesa di qualcosa di meglio.


Alla fine la preoccupazione di salvaguardare la stabilità della Rdc è stata più importante del rispetto dell'imperativo democratico. Questo paese, per le sue dimensioni e la sua posizione al centro del continente, ha per tutta l'Africa un'importanza cruciale, accresciuta dalla vastità delle sue risorse. Ha le più importanti riserve idriche del continente e il maggiore potenziale idroelettrico, è il primo produttore mondiale di cobalto, un grande produttore di rame, potrebbe diventare "l'Arabia saudita del litio", il metallo indispensabile nella produzione delle batterie per le automobili elettriche. Ma questo gigante economico reca ancora le ferite dei due conflitti che l'hanno devastato fra il 1996 e il 2002 e che sono stati definiti "guerre mondiali africane" poiché hanno coinvolto Stati vicini (in particolare Ruanda, Uganda, Angola) ma anche più lontani (Namibia, Ciad e Zimbabwe).



I paesi limitrofi continuano a temere che un ulteriore deterioramento della sicurezza e della situazione umanitaria nella Rdc possa provocare un afflusso di rifugiati. Timori non infondati. Nelle province del Kivu, l'instabilità provocata da una miriade di gruppi armati, nazionali e stranieri, ma anche da elementi indisciplinati delle Forze armate della Repubblica democratica del Congo (Fardc), è tale che le operazioni elettorali non hanno potuto svolgersi dappertuttto. Nelle circoscrizioni di Beni e Butembo, nel Nord Kivu, semplicemente i seggi non sono stati aperti. Nel Sud Kivu, i ribelli burundesi delle Forze nazionali  di liberazione (Fnl) affrontano di tanto in tanto l'esercito di Bujumbura. Gli operatori umanitari stimano il numero degli sfollati interni in oltre 4,5 milioni, 1,3 dei quali nella sola regione Grande Kasai, al centro del paese, dove dal 2016 gli scontri con le Farc hanno provocato 3.000 morti. Alcune centinaia di migliaia di abitanti del Kasai sono fuggiti verso l'Angola, dove le concessioni diamantifere delle province di Luanda Norte e Luanda Sul sono state invase dai garimpeiros (cercatori clandestini di pietre preziose) congolesi.  Luanda, invocando il diritto a proteggere le proprie risorse minerarie, ha esplose fra settembre e dicembre 2018 oltre 400mila persone, in maggioranza congolesi, nel corso di un'operazione chiamata "Transparencia".


Tshisekedi, appartiene all'etnia dei Luba del Kasai, suscita nel paese la speranza di una soluzione pacifica di questa crisi. Alla fine di gennaio, meno di una settimana dopo il giuramento del nuovo presidente, circa 600 miliziani, riconoscibili per le bandane rosse, hanno deposto le armi: fucili AK47, fucili da caccia, machete, bastoni, frecce e perfino feticci e amuleti.




Il Congo Brazaville, venti volte meno popolato della Rdc che conta 80 milioni di abitanti, scruta ansiosamente la situazione sull'altra sponda del fiume Congo, temendo di essere sommerso da un'ondata di rifugiati. La volontà di gestire i flussi migratori si è già tradotta nell'espulsione brutale di oltre 179.000 cittadini della Rdc in situazione illegale, con l'operazione "Mbata ya bakolo" ("Schiaffo dei fratelli maggiori"), nel 2014 (4). Un'altra grave crisi si è verificata a metà dicembre 2018 con gli scontri di Yumbi, nella provincia del Mai-Ndombe, dove le operazioni elettorali sono state ugualmente sospese. Almeno 890 abitanti sarebbero stati uccisi e 16.000 persone si sono rifugiate nel Congo Brazzaville, secondo l'Alto Commissariato per i rifugiati dell'Organizzazione della Nazioni unite (Onu). La stessa preoccupazione di prevenire un esodo della Rdc si manifesta in Ruanda, che alla fine di dicembre 2018 secondo le stime ospitava già oltre 79.000 rifugiati congolesi, arrivati in successive ondate (5).





In questa complessa partita dai tanti giocatori, il Sudafrica fa la propria parte. Convalidando il processo elettorale congolose, riafferma il proprio attaccamento al principio di sovranità degli Stati e a una diplomazia ostile all'ingerenza e all'imperialismo.
Eletto come membro non permanente del Consiglio di sicurezza dell'Onu per il 2019-2020, in nome del principio di non ingerenza ha contribuito a sabotare la riunione organizzata dalla Francia il 4 gennaio sulle elezioni nella Rdc, impedendo l'adozione di un comunicato comune. Pretoria ha ricevuto il sostegno degli altri due membri africani dell'istanza onusiana: Costa d'Avorio e Guinea equatoriale.



Il Sudafrica protegge la propria posizione


L'atteggiamento non è privo di una dose di cinismo. L'accordo con Tshisekedi, in effetti, mantiene l'influenza di Kabila nel paese. Per otto anni, il presidente congolese uscente è stato un partner accomodante per il Sudafrica. Nel 2013, un trattato internazionale ha attribuito alla compagnia sudafricana di elettricità Eskom oltre 2.500 megawatt provenienti dalla futura diga Inga III (6), ovvero più di metà della sua potenza. Kabila ha assegnato permessi petroliferi senza appalto a diverse società sudafricane.
Una di queste ha ottenuto concessioni nel dipartimento della Cuvette, a ridosso del parco nazionale della Salonga. Il Sudafrica, secondo fornitore commerciale della Rdc dopo la Cina, protegge la propria posizione. La quasi titalità del rame e del cobalto congolese transita ancora per i porti sudafricani, malgrado la crescente concorrenza dei corridoi di Benguela, in Angola, e di Walvis Bay, in Namibia.


Per l'Unione africana, gli sviluppi del feuilleton congolese sono incontestabilmente un affronto. Nel 2002, quando succede all'Organizzazione per l'unità africana (Oua) creata nel 1963, l'Ua precisa che "elezioni trasparenti e credibili sono un elemento chiave per garantire il diritto fondamentale e universale alla governance partecipativa e democratica (7)". L'Unione prevede anche missioni di osservazione incaricate di valutare l'indipendenza delle commissioni elettorali nazionali, il regolare svolgimento del voto e l'uso dei fondi pubblici.  Comunque, in pratica, in gran parte delle situazioni si preferisce affidare il ruolo alleorganizzazioni sub-regionali.


Il coinvolgimento dell'Unione africana nelle elezioni congolesi è dunque un tentativo inedito (ma fallito) di risoluzione di una crisi. Certo, gioca un ruolo la personalità del suo presidenteuscente, Paul Kagame. Il capo di Stato ruandese rimprovera a Kabila di accogliere ribelli hutu sul proprio territorio. E' certamente per ingraziarselo che Kinshasa ha consegnato a Kigali il colonello Ignace Nkaka, portavoce delle Forze democratiche di liberazione del Ruanda (Fdlr), e il luogotenente Théophile Abega, capo dell'intelligence militare dell'organizzazione ribelle, arrestati il 15 dicembre dall'esercito congolese a Bunagana (Nord Kivu).

In Africa e altrove, tutti accettano la vittoria di un candidato che forsde non ha ottenuto più del 17% dei voti.
Ma la popolazione congolese accetterà quello che Fayulu ha chiamato 'golpe elettorale' ?"

*François Misser, giornalista

**Questo intervento è apparso su le colonne de Le Monde diplomatique, Marzo 2019


Note

(1)  Si legga "La chiesa congolese contro Kabila",  Le Monde diplomatique, aprile 2018.

(2)  Si legga Tierno Monénembo, "In Africa, il ritorno del presidente a vita",  Le Monde diplomatique, dicembre 2015.

(3)  Si legga Sabine Cessou, "Repubblica democratica del Congo, transizione ad alto rischio", Le Monde diplomatique, dicembre 2016.

(4)  "République du Congo. Les expulsions collectives de ressortissants de la Rdc pourraient constituer des crimes contre l'humanité" (Repubblica del Congo. Le espulsioni collettive dei cittadini della Rdc potrebbero costituire crimini contro l'umanità), Amnesty International, Londra, 2 luglio 2015.

(5)  "Refugees and  asylum seekers from DRC", Alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, http://data2.unhcr.org

(6)  Cfr. La Saga d'Inga. L'histoire des barrages du fieve Congo, L'Harmattan-Musée royal de l'Afrique centrale, coll."Cahiers africains", Parigi-Tervuren (Belgio), 2013.

(7) Déclaration sur les principes régissant lesé lections démocratiques en Afrique, Oua/Ua, Durban, 8 luglio 2002.

(Fonte.:monde-diplomatique)
Bob Fabiani
Link
-www.monde-diplomatique.fr  


 




 
    

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