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sabato 9 marzo 2019

Lotta di classe in Francia, al tempo dei #GiletsJanues (Pt.1)*





Continua la serie di approfondimenti intorno e sul movimento dei #GiletsJaunes : oggi ci soffermeremo su un aspetto forse decisivo per comprendere fino in fondo quello che sta avvenendo in Francia in queste settimane. Oggi ospiteremo un intervento del direttore di Le Monde-diplomatique, Serge Halimi e Pierre Rimbert
Un intervento che cerca di chiarire quale sia la "reale" tattica di Macron: secondo questi due firme di punta del mensile francese, dietro la risposta del capo di Stato di indire un "grande dibattito nazionale" per disarcionare la forza del movimento dei #GiletsJaunes deve essere letta come un tentativo, non si sa quanto concreto di "cambiare la narrazione" delle richieste del movimento di protesta che sta scoperchiando parecchie zona d'ombra e, da ultimo, un profondo malessere della qualità della democrazia in Francia
Il tentativo di Macron di ridurre tutta la questione  - secondo Halimi e Rimbert - al mero "problema di comunicazione ... tra governo e i suoi oppositori" - è alquanto azzardata.





#GiletsJaunes, #atto17

Per il 17° week-end consecutivo, i Gilets Jaunes si sono ritrovati a Parigi e nel resto della Francia, a una settimana prima della "grande azione del #16M", al termine del grande dibattito nazionale.
L'atto 17 ha registrato tensioni sui #ChampsElysees, la polizia reprime duramente e cerca di disperdere i #GiletsJaunes.
(Bob Fabiani)


-Lotta di classe in Francia (ricomposizionepolitica e sociale)*




      


"La paura. Non quella di perdere le elezioni,  di non riuscire a "riformare" o di veder crollare le proprie azioni in borsa, ma quella dell'insurrezione, della rivolta, della distituzione. Erano cinquant'anni che le élite francesi non provavano un sentimento simile. Sabato 1° dicembre 2018 improvvisamente la paura è tornata a raggelare alcune coscienze. "E' importante che la gente torni subito a casa",  dice agitata la giornalista-vedette della Bfm Tv Ruth Elkrief.  Sugli schermi del suo canale scorrono le immagini di "gilet gialli" determinati a conquistarsi una vita migliore.

Qualche giorno più tardi, il giornalista di un quotidiano vicino al mondo dell'impresa. L'Opinion, rivela in uno studio televisivo quanto sia stata forte la bufera: "Tutti i grandi gruppi distribuiranno dei bonus, perché i loro dirigenti a un certo punto hanno davvero temuto che la propria testa finisse su una picca.  Ah sì, le grandi aziende, quando c'è stato quel sabato terribile, con tutte le devastazioni, hanno chiamato il presidente del Medef, Geoffroy Roux de Bézieux, e gli hanno detto: "Lascia perdere tutto! Lascia perdere tutto, perché altrimenti ..." Si sentivano minacciati, fisicamente".

Seduto accanto al giornalista, il direttore di un istituto demoscopico parla a sua volta di "grandi imprenditori effettivamente molto preoccupati" e di un'atmosfera "che assomiglia a quello che ho letto sul 1936 o sul 1968. Arriva un momento in cui si dice:  "Bisogna saper rinunciare a grandi somme, se non si vuole perdere l'essenziale (1)".
Benoit Franchon, segretario generale della Confederazione generale del lavoro (Cgt) ai tempi del Fronte popolare, ricordava in effetti che durante i negoziati che avrebbero portato agli accordi di Matignon, seguiti a un'ondata di scioperi selvaggi con occupazioni di fabbriche, il patronato aveva "ceduto su tutti i punti".

Simili disfatte della classe possidente sono rare, ma hanno come corollario una lezione che resta sempre valida: chi ha avuto paura non perdona né chi gli ha fatto paura né chi è stato testimone della sua paura (2). Il movimento dei "gilet gialli" - durevole, inafferrabile, senza leader, con un linguaggio estraneo alle istituzioni, tenace nonostante la repressione, popolare nonostante la malevola mediatizzazione dei danneggiamenti  - ha quindi provocato una reazione ricca di precedenti. Nei momenti di cristallizzazione sociale, di schietta lotta di classe, ognuno deve scegliere da che parte stare.  Il centro scompare, la palude si prosciuga.  E a quel punto,  anche i più liberali, i più istruiti, i più distinti dimenticano il teatrino del vivere-insieme.
Presi dalla paura, perdono il loro sangue freddo, come Alexis de Tocqueville quando evoca, nei suoi Ricordi, i giorni del giugno 1848. Gli operai di Parigi ridotti in miseria furono allora massacrati da una truppa che la borghesia al potere, convinta che "solo il cannone può risolvere le questioni (del) nostro secolo (3)", aveva spedito contro di loro.




Descrivendo il dirigente socialista Auguste Blanqui, Tocqueville dimentica le sue buone maniere: "L'aria malata, cattiva e immonda, un pallore di sporcizia, l'aspetto di un corpo muffito (...) Pareva che fosse vissuto in una fogna l'effetto di un serpente cui avessero stretta la coda".

La stessa metamorfosi della civiltà in furore si verifica in occasione della Comune di parigi. In quella circostanza la si può osservare in molti intellettuali e artisti, a volte anche progressisti  - ma preferibilmente in tempi tranquilli. Il poeta Leconte de Lisle se la prende con "questa lega di tutti i declassati, di tutti gli incapaci, di tutti gli invidiosi, di tutti gli assassini, di tutti i ladri".
Per Gustave Flaubert, "il primo rimedio sarebbe farla finita con il suffragio universale, la vergogna dello spirito umano".  Rasserenato dal castigo (20.000 morti e quasi 40.000 arresti), Emile Zola ne trarrà degli insegnamenti per il popolo di Parigi: "Il bagno di sangue a cui abbiamo assistito è stata forse un'orribile necessità perché a qualcuno si calmassero i bollenti spiriti (4)".

-Fine prima parte-

(Fonte.:monde-diplomatique)
Bob Fabiani
Link
-www.monde-diplomatique.fr

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