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mercoledì 13 marzo 2019

Lotta di classe in Francia al tempo dei #GiletsJaunes (Pt.3)*





Con la pubblicazione della terza parte, si conclude il prezioso e istruttivo intervento di alcune delle firme di punta de Le Monde diplomatique, Serge Halimi e Pierre  Rimbert su un tema centrale, diremmo del tutto decisivo per comprendere quanto sta accadendo in Francia al tempo del movimento dei #GiletsJaunes.
(Bob Fabiani)



-Lotta di classe in Francia (ricomposizione politica e sociale)*








"Il movimento dei "gilet gialli"  è la dimostrazione del fallimento di un progetto nato alla fine degli anni '80 e da allora supportato dagli evangelisti del liberalismo sociale: quello di una "repubblica del centro"  che si sarebbe sbarazzata delle convulsioni ideologiche espellendo le classi popolari dal dibattito pubblico e dalle istituzioni politiche (8).  Ancora maggioritarie, ma troppo turbolente, tali classi avrebbero dovuto cedere il posto  - completamente - alla borhesia colta.

Con la "svolta rigorista"  in Francia (1983),  la contro-rivoluzione liberista in Nuova Zelanda da parte del Partito laburista (1984) e poi, alla fine degli anni '90, la "terza via" di Anthony Blair, William Clinton e Gerhard Schroder, questo disegno è sembrato realizzarsi. Man mano che la socialdemocrazia si faceva strada nell'apparato dello Stato, prendeva le misure dei media e occupava i consigli di amministrazione di grandi aziende, relegava sempre più ai margini del gioco politico la sua base popolare di un tempo.
Negli Stati Uniti, non sorprende che, di fronte a un'assemblea di finanziatori della sua campagna elettorale, Hillary Clinton affermi che i sostenitori popolari del suo avversario siano "persone patetiche".

Ma la situazione francese non è molto migliore. In un libro di strategia politica, Dominique Strauss-Kahn, un socialista che ha formato collaboratori dell'attuale presidente francese, spiegava già diciasette anni fa che la sinistra avrebbe dovuto appoggiarsi ai  "membri della classe intermedia, costituita per lo più da quei dipendenti avveduti, informati e istruiti che formano la spina dorsale della nostra società. La classe intermedia, infatti, assicura la stabilità sociale grazie (...) al suo attaccamento all'"economia di mercato".  Quanto agli altri  -  meno "avveduti"  - il loro destino era segnato: "Dal gruppo più svantaggiato, purtroppo, non ci si può attendere una serena partecipazione alla democrazia parlamentare. Non è che disinteressi della storia, ma a volte vi irrompe in forma violenta" (9).

Di queste persone, quindi, ci si sarebbe dovuti preoccupare solo una volta ogni cinque anni, in generale per rimproverarle di aver votato per l'estrema destra. Dopodiché, sarebbero sprofondate nuovamente nel nulla, nell'invisibilità  -  la sicurezza stradale d'altronde non richiedeva ancora a tutti gli automobilisti il possesso di un gilet giallo.

La strategia ha funzionato.  Attualmente le classi popolari sono escluse dalla rappresentanza politica. Il numero di deputati operai o impiegati, già basso, negli ultimi cinquant'anni si è ridotto di due terzi. Queste fasce sono escluse anche dal cuore delle metropoli: con il 4% di muovi proprietari operai o dipendenti ogni anno, la Parigi del 2019 assomiglia alla Versailles del 1789. Escluse, infine, dagli schermi televisivi: il 60% delle persone che compaiono nei programmi d'informazione appartengono al 9% della popolazione attiva con il grado di istruzione più alto (10).  Agli occhi del capo di Stato, inoltre, queste classi non esistono.  A suo avviso, l'Europa è solo un "vecchio continente di piccolo borghesi che si sentono al riparo nei loro confort materiali (11)".  Ma ecco che questo mondo sociale cancellato, ritenuto recalcitrante di fronte allo sforzo scolastico e alla formazione e quindi responsabile del proprio destino, è ricomparso all'improvviso sotto l'Arco di trionfo e sugli Champs-Elysées.  Confuso e costernato, il consigliere di Stato e costituzionalista Jean Eric Schoettl non ha potuto fare altro che diagnosticare, sul sito del Le Figaro (11 gennaio 2019),  una "ricaduta in una forma primitiva di lotta di classe".


Intorbidamento ideologico


Se il progetto di far sparire dal campo politico la maggioranza della popolazione sta andando incontro a una disfatta catastrofica, un altro punto del programma delle classi dirigenti, quello che mirava a rendere sempre meno distinguibili la destra e la sinistra, sta avendo invece un successo inaspettato.  L'idea iniziale, diventata dominante dopo la caduta del muro di Berlino, nel 1989, consisteva nel tacciare di estremismo qualsiasi posizione che mettesse in discussione il "cerchio della ragione" liberista  - un'espressione coniata dal saggista Alain Minc.  La legittimità politica non si baserebbe su un modo di vedere il mondo, capitalista o socialista, nazionalista o internazionalista, conservatore o emancipatore, autoritario o democratico, ma sulla dicotomia tra ragionevoli e radicali, aperti e chiusi, progressisti e populisti.
Il rifiuto di distinguere destra e sinistra, un rifiuto che i professionisti della rappresentazione rimproverano ai "gilets gialli", riproduce in seno alle classi poplari la politica di intorbidamento perseguita da decenni dal blocco borghese.

Questo inverno, le rivendicazioni riguardanti la giustizia fiscale, il miglioramento del tenore di vita e il rifiuto dell'autoritarismo del governo sono salite alla ribalta, ma la lotta contro lo sfruttamento salariale e la critica della proprietà privata dei mezzi di produzione sono quasi del tutto assenti. Ora, né la reintroduzione dell'imposta di solidarietà sul patrimonio, né il ritorno ai 90 chilometri all'ora sulle strade secondarie, né il controllo più stretto delle note spese dei rappresentanti, né il referendum di iniziativa cittadina rimetteranno in causa la subordinazione dei dipendenti all'interno delle imprese, l'attuale distruzione dei redditi o il carattere fittizio della sovranità popolare all'interno dell'Unione europea e nella globalizzazione.

Naturalmente, i movimenti imparano camminando;  si fissano nuovi obiettivi man mano che percepiscono ostacoli imprevisti e opportunità inaspettate: al tempo degli Stati generali, nel 1789, i repubblicani in Francia erano solo una manciata.  Sottolineare la propria solidarietà con i "gilet gialli" significa quindi agire affinché la loro azione si orienti sempre più verso la giustizia e l'emancipazione.  Questo senza dimenticare, tuttavia, che altri stanno lavorando per un'evoluzione opposta, nella speranza che la rabbia sociale possa avvantaggiare l'estrema destra nelle elezioni europee del prossimo maggio.


 Tale risultato sarebbe favorito dall'isolamento politico dei "gilet gialli", che il governo e i media si stanno impegnando a rendere infrequentabili esagerando la portata di atti reprensibili ma isolati. L'eventuale successo di questa opera di squalificazione convaliderebbe la strategia perseguita dal 2017 da Macron, che consiste nel ridurre la vita politica a uno scontro tra liberisti e populisti (12). Una volta imposta questa polarizzazione, il presidente della repubblica potrebbe trattare i suoi avversari di destra e di sinistra come un'unica ignominiosa compagine, associando ogni contestazione interna all'azione di un'"Internazionale populista" di cui farebbero parte, insieme all'ungherese Viktor Orban e all'italiano matteo Salvini, i conservatori polacchi e i socialisti britannici, gli attivisti francesi di La France Insoumise e i nazionalisti tedeschi.

Il presidente francese dovrà però risolvere un paradosso. Sostenuto da una base sociale risicata, potrà attuare le sue "riforme" dei sussidi di disoccupazione, delle pensioni e del servizio pubblico solo al prezzo di un maggiore autoritarismo politico, servendosi della repressione poliziesca e del "grande dibattito sull'immigrazione".



  


 Dopo aver fatto la paternale ai governi "illiberali" di tutto il pianeta, Macron, finirebbe così per plagiarne le ricette..."

*Serge Halimi e Pierre Rimbert

- Fine -

Note

(1) "L'info du vrai", Canal Plus.  13 dicembre 2018.

(2) Cfr. Louis Bodin e Jean Touchard, Front populaire, 1936, Armand Colin, Parigi 1961.

(3) Auguste Romieu, Le Spectre rouge de 1852, Ledoyen, Parigi 1852, citato in Christophe Ippolito, "La fabrique du discours politique sur 1848 dans  L'Education sentimentale" Op. cit.., n° 17, Pau 2017.

(4)  Paul Lidsky,  Les Ecrivains contre la Commune, La Découverte, Parigi 1999 (prima edizione 1970).

(5)  Rispettivamente: Twitter, 29 dicembre 2018; Marianne, Parigi, 9 gennaio 2019 e 4 dicembre 2018;  Le Point, Parigi,  13 dicembre 2018 e 10 gennaio 2019;  Le Journal du dimanche, Parigi, 9 dicembre 2018;  Le Fifaro, Parigi, 7 gennaio 2019; Le Point, 13 dicembre 2018;  Le Parisien, 7 dicembre 2018;  Le Figaro, 10 dicembre 2018.

(6)  Si legga Bruno Amable, "Francia. Maggioranza sociale, minoranza politica", Le Monde diplomatique, marzo 2017 e, dello stesso autore, con Stefano Palombarini,  L'Illusion du bloc burgeois. Alliances sociales et avenir du modèle français, Raisons d'agir, Parigi 2018.

(7)  Faustine Vincent,  "Pourquoi le quotidien d'un couple de "gilet jaunes" dérange une partie de nos lecteurs" Le Monde, 20 dicembre 2018.

(8)  Si legga Laurent Bonelli,  "Gli architetti del socio-liberismo",  Le Monde diplomatique/il manifesto, settembre 1998.

(9)  Dominique Strauss-Kahn, La Flamme et la Cendre, Grasset, Parigi 2002. Si legga Serge Halimi, "Fuoco borghese, cenere proletaria", Le Monde diplomatique/il manifesto, marzo 2002.

(10)  "Barcomètre de la diversité de la societé française.  Vague 2017", Conseil supérieur de l'audiovisuel, Parigi, dicembre 2017.

(11)  "Emmanuel Macron - Alexandre Duval-Stalla - Michel Crépu, l'histoire redevient tragique (une rencontre)",  La Nouvelle Revue française, n° 630, Parigi, maggio 2018.

(12)  Si legga  "Liberali contro populisti, una contrapposizione ingannevole",  Le Monde diplomatique/il manifesto,  settembre 2018.



**Questo intervento è apparso sulle colonne de Le Monde diplomatique, Febbario 2019

(Fonte.:mondediplomatique)
Bob Fabiani
Link
-www.monde-diplomatique.fr

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