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lunedì 30 novembre 2020

FOTO DEL GIORNO - I colori dell'Africa


 


AfricaLand Storie e Culture africane nelle prossime settimane pubblicherà una serie di #focus sul Continente Nero: storie, testimonianze, cultura per raccontare in modo diverso l'Africa. Parleremo dei popoli, delle montagne, dell'arte africana con uno sguardo sulla musica che si produce in tutto il Continente.

(Fonte:africalandilmionuovoiblog)

Bob Fabiani

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-https://africalandilmionuovoblog.blogspot.com/foto-del-giorno

domenica 29 novembre 2020

La Francia "En Marche" contro il governo Macron (e la legge "sicurezza globale")


 



E' una nuova onda di protesta quella che invade tutta la Francia contro le violenze della polizia nei confronti dei migranti e contro la legge sulla "sicurezza globale" di Macron. Alla "marcia delle libertà" movimenti antirazzisti, sindacati e giornalisti. Una giornata importante che parla a tutta l'Europa.

La protesta antirazzista varca anche i confini, con manifestazioni contro la nuova legge francese anche in Olanda e a Berlino.

Le ultime violenze della polizia, a place de la République nello sgombero degli esiliati e il pestaggio razzista ai danni del produttore musicale Michel Zecler nel XVII arrondissement, tutti documentati da registrazioni video che la legge sulla "sicurezza globale" vorrebbe con l'articolo 24 fortemente limitare e potenzialmente impedire nella pratica, hanno spinto ieri decine di migliaia di persone a partecipare in Francia alle "marce della libertà".

Bordeaux, Lione, Lille, Tolosa, Reims, Montpellier, Rennes, Marsiglia, Clermont-Ferrand, Strasburgo e Grenoble, un centinaio di manifestazioni hanno avuto luogo ieri non solo nelle grandi città ma anche in comuni più piccoli.

Venerdì sera Nantes e Besançon avevano già anticipato la giornata di lotta. A Parigi c'è stata la manifestazione più grande, migliaia di persone di tutte le età (46mila per il ministero), hanno risposto all'appello dei sindacati dei giornalisti, di collettivi di avvocati, delle organizzazioni di difesa dei diritti umani, di associazioni impegnate nella società.

"Siamo qui" hanno scandito dei gilet gialli nel corteo. Il prefetto Didier Lallement, che assieme al ministro degli Interni Gérald  Darmanin è il volto della repressione decisa dall'alto, aveva proibito il corteo e imposto solo un sit-in a place de la République. Ma un ricorso all'autorità amministrativa ha avuto la meglio e il corteo è stato autorizzato fino alla Bastiglia.

Gli slogan erano tutti contro le violenze della polizia e in difesa della libertà di informare. In Bld Files du calvaire sono stati esposti i ritratti disegnati dei 388 deputati a favore della legge "sicurezza globale" martedì scorso. Un gruppo di fotografi dell'associazione Reporters en colère, con un'azione simbolica, hanno posato a terra la macchina fotografica. Il sindacato dei giornalisti ha inviato una lettera al primo ministro Jean Castex : "la libertà di informare è in difficoltà". Reporters sans frontièrs ha denunciato Lallement, per i fatti violenti dello sgombero degli esiliati. Nel corteo, anche un centinaio di eletti, parlamentari o politici locali, venuti per "testimoniare nel caso ci siano violenze".

Lallement ha invitato i poliziotti a "tenere la linea repubblicana" e prima che iniziasse il corteo si è detto sicuro di poter "contare sulla probità, sul senso dell'onore e sull'etica" delle forze dell'ordine.


  



Ci sono stati degli scontri sul percorso del corteo, in Bld Beaumarchais, poi una dispersione problematica a Bastiglia, fino a sera, con lanci di oggetti da parte di gruppetti violenti (con la protesta dei manifestanti, "ci rubate la manifestazione") e lacrimogeni (ma la polizia è stata meno aggressiva del solito).

Alcune personalità hanno preso la parola. Edwy Plenel, fondatore e direttore del sito Mediapart, si è rivolto al governo : "siamo qui per difendere  esattamente ciò che voi calpestate". L'importanza  delle "Marce della libertà" di ieri è un elemento destinato a pesare nella grave crisi politica attuale. La maggioranza è a pezzi, sul voto in prima lettura all'Assemblée nationale sulla legge "sicurezza globale" ci sono stati 40 dissidenti nella République en Marche (30 astensioni, 10 contro). Il presidente dell'Assemblée (Richard Ferrand, Rem), assieme al suo omologo al Senato, ha fatto piegare il primo ministro, che ha dovuto chiarire e ridimensionare il ruolo della "commissione" che ha nominato giovedì per "riscrivere" il contestato articolo 24, che prevede di proibire la diffusione di immagini di poliziotti se c'è l'intenzione "manifesta" di nuocere (e che nei fatti apre la strada alla censura): a decidere sarà il Parlamento, che avrà l'ultima parola (la legge passa al Senato a gennaio, poi tornerà all'Assemblée ...).

Anche nel governo si sono già alzate voci per chiedere di sopprimere l'articolo 24 : "bisogna filmare", ha detto Eric Dupont-Moretti, ministro della Giustizia. "A volte rinunciare è più saggio che ostinarsi" suggerisce il vice-presidente dell'Assemblée, Hugues Rensen (Rem). Ma ci sono anche altri articoli problematici, il 21 e il 22, che legalizzano l'uso di droni nelle manifestazioni, "minacciano una sorveglianza di massa" per i manifestanti.


 


Nessuno difende Gérald Darmanin. "La linea Darmanin rende isterico il dibattito" commenta l'eurodeputato Renew Pascal Canfin. Emmanuel Macron, che si era già detto "scioccato" dalle immagini di Zeclair, ha pubblicato un testo su Facebook, dove ha parlato di "immagini inaccettabili" che "ci fanno vergognare".

Il presidente chiede al ministro degli Interni e al Prefetto "una polizia esemplare" e al governo ingiunge di "presentare rapidamente proposte per riaffermare la linea di fiducia che deve naturalmente esistere tra i francesi e chi li protegge".

Sul tavolo c'è la riforma della Igpn (Ispezione generale della polizia nazionale), che dovrebbe diventare indipendente e non più dipendere dal ministero degli Interni (è una domanda della sinistra), ma anche una riforma profonda della polizia, dalle gerarchie fino alle assunzioni.

(Fonte:liberation;mediapart)

Bob Fabiani

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-www.liberation.fr

-www.mediapart.fr

News for Africa n°29 (il continente informa)


 




Il nuovo appuntamento di AfricaLand Storie e Culture africane con le notizie da tutto il Continente Nero con i quotidiani, siti e settimanali africani e da tutto il mondo.

In questo numero:

  • Madagascar, rifiuta immunizzazione vaccino anti-Covid
  • Egitto, Regeni, Zaki e gli altri
  • Etiopia, l'esercito federale annuncia la presa di Makallè
  • Sahara Occidentale, tornano a parlare le armi
  • Burkina Faso, voto parziale


-Madagascar, rifiuta immunizzazione vaccino anti-Covid




Il Madagascar decide di non partecipare all'iniziativa globale Covax per l'accesso al vaccino Covid-19 una volta che saranno stati approvati e autorizzati. Il portavoce del governo di Antananarivo, ha confermato che l'isola ricorrerà alla sua miscela tradizionali scoperto all'inizio del 2020 dagli scienziati malgasci. Il Madagascar vuole aspettare di vedere l'efficacia del vaccino prima nei paesi che lo useranno per primi, lo ha ribadito lo stesso portavoce governativo. L'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) non aveva approvato ma le autorità malgasce lo avevano messo in vendita in diversi paesi africani. La miscela tradizionale a base della pianta artemisia, ha riconosciute proprietà antimalariche.

(fonte.:africanews)


-Egitto, Regeni, Zaki e gli altri


 


"La situazione dei diritti umani in Egitto solleva questioni legate alla collaborazione tra Il Cairo e Roma", scrive Mada Masr. Il sito egiziano cita tre "motivi di preoccupazione" : lo stallo sulle indagini di Giulio Regeni, avvenuto al Cairo nel 2016; l'arresto di tre esponenti dell'ong Iniziativa egiziana per i diritti della persona (Eipr) e il rinnovo della detenzione di Patrick Zaki, studente egiziano dell'università di Bologna arrestato al Cairo il 7 febbraio 2020. Il 4 dicembre scadono i termini delle indagini sul caso Regeni e la procura di Roma chiederà il processo per i cinque agenti dei servizi segreti egiziani accusati del sequestro del ricercatore italiano, anche se Il Cairo non ha mai fornito i domicili a cui notificare gli atti dell'inchiesta, un passaggio fondamentale per l'azione penale. Sul secondo punto Mada Masr spiega che il 18 e il 19 novembre sono stati arrestati Gasser Abdel Razek, direttore esecutivo dell'Eipr, e Karim Ennarah, responsabile dell'unità di giustizia penale, che avevano denunciato il mancato rispetto dei diritti umani in Egitto. E' in carcere dal 15 novembre anche Mohamed Basheer, direttore amministrativo dell'Eipr. Infine il 22 novembre è stata rinnovata per 45 giorni la detenzione preventiva di Patrick Zaki, che il portavoce di Amnesty Italia, Riccardo Noury, ha definito "accanimento del potere giudiziario egeziano".

(fonte.:madamasr)


-Etiopia, l'esercito federale annuncia la presa di Makallè




Nella giornata di ieri, il governo locale del Tigray aveva riferito di pesanti bombardamenti a Makallè, a sancire l'inizio dell'offensiva per riconquistare la città.  Ore dopo, quando in Etiopia, erano scese le prime ombre della sera, Abiy Ahmed era tornato a parlare alla nazione : "L'esercito federale ha il pieno controllo di Makallè", che poi ha ringraziato chi nel Tigray "ha fatto del suo meglio per sostenere le forze di difesa etiopi, accelerando la sconfitta del Tplf". Ora - ha proseguito - "faremo tutto il possibile per aiutare la gente del Tigray a tornare alla vita normale". Abiy ha dunque  chiesto alla comunità internazionale di "unirsi alla ricostruzione per dare alla gente l'assistenza umanitaria e la sicurezza che merita". E conclude "la polizia federale continuerà nella ricerca dei criminali del Tplf e li porterà davanti alla giustizia". Intanto Makallè (500.000 abitanti) sarebbe finita sotto bombardamenti pesanti, ne da conto anche la Reuters : l'artiglieria pesante avrebbe colpito anche il centro della città e, a seguito di questo, nel Tigray, le autorità della regione ribelle situata nel Nord dell'Etiopia, invitano la comunità internazionale a condannare gli attacchi aerei e i massacri commessi. La situazione tuttavia a seguito di questo conflitto è drammatica : dopo tre settimane di scontri (armati), ci sono 43.000 rifugiati ma, al momento, non è possibile contare i decessi.

(fonte.:reuters;nationalbreakingafrica;theguardian)


-Sahara Occidentale, tornano a parlare le armi



   

Per il settimanale marocchino Tel Quel l'intervento del 13 novembre delle forze marocchine nella zona di Guerguerat, al confine con la Mauritania, è "un successo militare" e una "vittoria diplomatica". I soldati marocchini sono entrati nel territorio controllato dai militanti indipendentisti del Fronte Polisario per ripristinare la circolazione dei camion. Tel Quel, che come molti mezzi d'informazione marocchini sposa la linea ufficiale di Rabat sul Sahara Occidentale, sostiene che rompere il cessate il fuoco sia servito a riparare a un errore, cioè "un posto di frontiera controllato dai sahrawi". Il rischio è che ora il conflitto s'inasprisca. Il Fronte Polisario ha proclamato lo "stato di guerra" e spiega di aver ripreso le armi per rompere uno stallo trentennale, ma vuole anche ricorrere a "tutti i mezzi legali per permettere al popolo colonizzato di esercitare il diritto all'autodeterminazione".Sono anni che le Nazioni Unite promettono di organizzare un referendum in cui i sahrawi possano pronunciarsi sulla sovranità di questo territorio conteso.

(fonte.:telquel.ma)


-Burkina Faso, delusione per il presidente Kaboré dopo le elezioni presidenziali


 


Almeno 300mila elettori burkinabé non hanno potuto votare alle elezioni legislative e presidenziali del 22 novembre per la minaccia dei gruppi jihadisti. Nonostante questa minaccia il voto si è svolto "nella calma", fa notare il quotidiano Le Pays, che esorta le forze politiche ad accettare il risultato popolare. "Il paese non ha bisogno di una crisi postelettorale". Il partito di Kaboré non ottiene la maggioranza assoluta in assemblea anche se il presidente uscente, Marc Roch Christian Kaboré è stato rieletto per un secondo mandato presidenziale. A questo punto, il partito del presidente per poter governare dovrà cercare di mettere in piedi un esecutivo di coalizione che si preannuncia molto complesso.

(fonte.:lepays.bf)

Bob Fabiani

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sabato 28 novembre 2020

Etiopia, la guerra ostacola la lotta alle locuste


 





L'offensiva militare del governo etiope nel Tigary potrebbe provocare una carestia, perché ha interrotto gli sforzi per fermare lo sciame di locuste più grande degli ultimi 25 anni.

Hanno marciato su altipiani erbosi e pendii rocciosi, battendo il terreno con i bastoni e sparando in aria colpi di fucile. 

"Non avevamo mai visto una cosa simile", dice Mulualem Berthe, un contadino di 54 anni, mentre scuote una bottiglia di plastica piena di sassolini. Gli alberi dietro di lui sono avvolti da un fumo denso. Poco più in là arriva un pick-up con il cassone carico di ragazzini che gridano e soffiano nei fischietti. Quasi tutti gli abitanti dell'area rurale di Debrekal, vicino ad Adua, nel Nord dell'Etiopia, sono impegnati nella battaglia contro le locuste, che sono arrivate a miliardi a ottobre e hanno già distrutto moltissimi campi.

Dopo una stagione insolitamente piovosa, che ha creato le condizioni perfette per la riproduzione di questi insetti, quello che le Nazioni Unite hanno definito "il peggior sciame in venticinque anni" è tornato a devastare il Corno d'Africa.

Mulualem ha un piccolo appezzamento di terreno in cui coltiva il teff, un cereale tipico della regione, e ha due buoi per ararlo. Ma è stato sfortunato : l'intero raccolto è stato distrutto.

"I nostri nonni ci dicevano : se fai rumore, le locuste andranno via. Ma ora sono troppe", osserva. 

Nel 2019 in Etiopia le locuste hanno distrutto 350 mila tonnellate di cereali e 1,2 milioni di ettari di pascoli. Le previsioni per il 2020 sono peggiori. Da gennaio gli insetti hanno devastato più di 200mila ettari di colture. Con le piogge, stima la Fao, il numero di locuste è aumentato di ottomila volte. Dall'inizio di novembre gli sforzi per tenerle sotto controllo sono complicati dalla guerra scoppiata nel Nord dell'Etiopia tra le autorità regionali del Tigray, dove si trova Adua, è il governo federale del primo ministro Abiy Ahmed.

I duri combattimenti, nel bel mezzo di un'invasione di locuste, mettono in pericolo l'intera regione. Ci sono sciami in Kenya e altri più piccoli sono stati segnalati a Gibuti, in Eritrea, in Sudan e in Somalia. Ma nessun paese è colpito quanto l'Etiopia. E nessuno svolge un ruolo altrettanto importante per fermare l'infestazione.

-Non tutto è perduto

Il vicino Yemen, dove le locuste sono presenti tutto l'anno, è tormentato dalla guerra da anni non riesce più a controllarne la proliferazione. Lo stesso vale per la Somalia, dove l'instabilità è diffusa. Si teme che la situazione sfugga di mano anche in Etiopia. Due settimane fa l'agenzia di stampa Reuters ha ottenuto un documento dell'ONU secondo cui gli sforzi contro le locuste in Tigray si sono interrotti a causa del conflitto. Le operazioni aeree di sorveglianza e distribuzione di pesticidi sono sospese. I giovani che fino a poche settimane fa erano coinvolti nella lotta alle locuste oggi vengono reclutati per la guerra.

I combattimenti compromettono una situazione umanitaria già fragile. Secondo la Fao, all'inizio di aprile la crisi delle locuste era tale che un milione di persone in tutta l'Etiopia dipendeva dagli aiuti alimentari. Oggi in Tigray le banche sono chiuse, tutte le vie di rifornimento sono bloccate e circa 600mila persone sopravvivono solo grazie agli aiuti.

Non tutto è perduto. Finora nella lotta alle locuste in Etiopia non sono state usate tecnologie avanzate, ma tanta manodopera. Sopratutto nel Tigray, dove è stata ben organizzata. Inoltre dall'inizio di novembre gli altipiani del Nord del paese hanno avuto tregua, perché gli sciami si sono diretti a Sud e a Est, verso la Somalia e il Kenya. Le autorità hanno tempo di riorganizzarsi prima di un possibile peggioramento della situazione, previsto per l'inizio del 2021. Tuttavia i contadini di Debrekal sono sconfortati.

"Il governo federale non ci sostiene. Anzi, cerca di ucciderci", dice Mulualem.

"Non riceviamo alcun sostegno", aggiunge Haregot Gebremedhin, sacerdote e contadino di 72 anni, mentre raccoglie frettolosamente le piante di teff sotto la minaccia incombente di un grande sciame di locuste. "Non abbiamo mai visto niente di simile in vita nostra", dice sua moglie Belaynesh Woldemikael, battendo con un bastone un pezzo di lamiera ondulata, mentre sua figlia prepara un fuoco per tenere lontani gli insetti. "E' forse un castigo per i nostri peccati?" .

(Fonte:theguardian)

Bob Fabiani

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-www.theguardian.com/africa/ethiopia

  

 

Quel violento pestaggio della polizia razzista a Parigi contro il produttore musicale Michel Zecler


 






E' crisi politica in Francia dopo il disgustoso pestaggio razzista della polizia a Parigi ai danni del produttore black Michel Zecler. Conseguenza di una assurda "Loi censure globale" presentata dal governo Macron che vorrebbe "vietare le riprese visive" di abusi di potere degli agenti francesi. E' scoppiata una crisi politica nella maggioranza francese, ormai divisa apertamente, con deputati sempre più in preda al dubbio sulla legge sulla "sicurezza globale" dopo l'ultimo gravissimo episodio di violenza della polizia : l'aggressione al produttore musicale Michel Zecler, unita agli immancabili insulti razzisti, avvenuta sabato scorso e rivelata da un video giovedì e diventata, in poco tempo, virale sui social media francesi (ma non solo).

Un'altra scena scena barbara che si aggiunge alle immagini della repressione violenta - ai danni dei migranti, come vedremo più avanti in questo post - in place de la République, andata in scena lunedì.

Dicevamo, crisi politica che è scoppiata nella compagine di governo, con alcuni ministri che prendono chiaramente le distanze dal responsabile degli Interni ( e ci mancherebbe altro ...), come Elisabeth Moreno, ministra dell'eguaglianza, "scioccata come ministra, scandalizzata come donna".

E' crisi istituzionale (inevitabile ...), tra i presidenti di Assemblea (Richard Fernand, Rem, la compagine che fa capo al presidente francese) e Senato (Gérard Larcher, Républicain, uno dei partiti della destra francese ...) tutti contro il governo e il primo ministro, costretto a precisare che la commissione, con l'incarico di trovare una via d'uscita sul controverso articolo 24 della legge sulla sicurezza globale - quello che proibisce di diffondere le immagini dei poliziotti - avrà solo compiti di "chiarimenti" e non dovrà riscrivere il testo di legge, prerogativa esclusiva del Parlamento.

Ma è sopratutto crisi morale nella polizia (sempre più sfacciatamente razzista e violenta ...), che appare in preda a derive violente, senza freni gerarchici, dove il voto di estrema destra (quella guidata da Mari Le Pen ...) è forte, mentre alcuni sindacati di poliziotti per la prima volta esprimono imbarazzo.

E' crisi sociale : oggi ci sono nuove manifestazioni contro le violenze della polizia, l'articolo 24 e tutta la legge della sicurezza globale ... e tutti qui in Francia trattengo il respiro ... angosciati su quel che potrebbe accadere ancora.

Intanto l'Eliseo batte un colpo e fa sapere che Emmanuel Macron è "più che scioccato" per la sequenza di atti violenti e ha chiesto al ministro degli Interni, Gérald Darmanin, di agire con "sanzioni chiare". Il presidente non è intervenuto direttamente finora sulla legge sulla sicurezza, ma potrebbe esprimersi e, i sempre ben informati fanno trapelare la collera del presidente della Repubblica. Il direttore di gabinetto dell'Eliseo, Patrick Strzoda, giovedì ha ricevuto Claire Hédon, difensore dei diritti, che aveva espresso forte preoccupazione sulle ultime derive, inaccettabili.

Anche le star del calcio (Antoine Griezmann e Sanuel Umititi del Barcellona, Julies Kounndé del Siviglia, Benjamin Mendy del Manchester City, Alexandre Lacazette dell'Arsenal e Kylian Mbappé del Psg, oltre all'ex difensore della nazionale Lilian Thuram) sono scese in campo per protestare. Il governo è debole, la polizia inebriata di potenza, dopo il ruolo di protezione del potere svolto ai tempi dei gilet gialli (che peraltro su questo blog, abbiamo puntualmente raccontato e denunciato).

I quattro poliziotti coinvolti nel pestaggio e insulti razzisti contro Michel Zecler ieri sono stati posti in stato di fermo. Per Darmanin, se la colpa verrà confermata, dovranno essere espulsi dalla polizia. In pochi giorni, il ministro è stato costretto a fare dei passi indietro : dopo la repressione degli esiliati in de la République ha coperto il prefetto Lallement, poi è stato convocato all'Eliseo.

Nel frattempo, sono stati visti migliaia di volte i video (di una camera di sorveglianza e di alcuni testimoni) sull'aggressione contro Michel Zecler, con il volto insanguinato : trascinato dentro i locali della sua società, i Black Gold Corp Studios, picchiato con un centinaio di colpi, insultato con "sporco negro", un lacrimogeno fatto esplodere all'interno dello studio. Sembra che a far scattare la furia degli agenti, sabato a Parigi, sia stato il fatto che Michel Zecler non avesse messo la mascherina anti-Covid, i poliziotti hanno inventato una storia su una reazione violenta di Zecler, che non ha però retto alla prova delle immagini video, ma che è servito sabato a mettere il produttore musicale in stato di fermo. Ora i poliziotti sono incriminati per "violenze con arma", per "falso", per "razzismo".

E' crisi politica e istituzionale. La maggioranza è in rivolta contro il governo e Jean Castex, che ha tentato di aggirarla con la trovata della "commissione indipendente" sulla legge sulla sicurezza globale. Dopo la protesta scritta di Richard Ferrand (Rem) sull'aggiramento del Parlamento, il vice-presidente dell'Assembée nationale, Hugues Rensen (Rem) si è rivolto a Castex e Darmanin : "A volte rinunciare è più saggio che ostinarsi".

L'articolo 24 sembra sotterrato.

L'opposizione ha puntato sopratutto il dito contro l'Igpn, la "polizia della polizia", un'autorità amministrativa interna che giudica i reati dei poliziotti, ne chiede la sostituzione con un'stanza indipendente.


-Sicurezza brutale


 

  

In Francia dunque infuriano le polemiche anche a causa del violento sgombero di un accampamento di migranti organizzato a place de la République, nel centro di Parigi. Le persone accampate protestavano contro l'altrettanto brutale evacuazione del campo di Saint Denis, il 17 novembre. A seguito di questa disgustosa performance degli agenti, anche il ministro degli Interni Gérald Darmanin ha definito "sconvolgenti" le immagini dell'operazione. 

Come fa notare Libération, le violenze arrivano mentre in Parlamento si discute un disegno di legge sulla sicurezza globale del tutto criticata e fuori luogo.


Da tutte le parti piovono critiche mentre la presidenza di Emmanuel Macron è accusata, senza mezzi termini di voler mettere in atto una "deriva securitaria".

(Fonte:liberation)

Bob Fabiani

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-www.liberation.fr 

venerdì 27 novembre 2020

Il valore del riso jollof per la Nigeria


 




Il riso jollof, conosciuto anche come benachin o cin il nome inglese di jollof rice, è una popolare ricetta di tutta l'Africa Subsahariana. La sua origine verrebbe dal gruppo etnico woolof, presente in Senegal e Gambia. Ma anche paesi come il Ghana e la Nigeria ne contendono la paternità.

La spesa necessaria per preparare il riso jollof, un piatto molto diffuso nell'Africa Occidentale, può illustrare bene quanto pesa sull'economia della Nigeria l'aumento dei prezzi dei generi alimentari, scrive Quartz.

Secondo il jollof index, un indice costruito dalla società di ricerche di mercato Sbm Intel con i prezzi degli ingredenti del piatto, negli ultimi quattro anni il suo costo è raddoppiato. Un dato preoccupante per il popoloso paese africano, che è alle prese con una grave recessione e dove almeno 90 milioni di persone vivono in condizioni di povertà estrema. Secondo l'istituto di statistica nigeriano, nel 2019 la spesa alimentare assorbiva il 56,6 per cento dei consumi di una famiglia media, la percentuale più alta del mondo.

Infine la crescente svalutazione della naira, la moneta nazionale (all'inizio del 2020 per un dollaro statunitense ci volevano 362 naira, oggi ne servono 475 n.d.t), non aiuta certo un'economia che dipende molto dalle importazioni.

(Fonte:qz)

Bob Fabiani

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-www.qz.com/africa

mercoledì 25 novembre 2020

Massacro di civili nel Tigray: 600 uccisi da miliziani


 





Seicento civili massacrate in una sola notte. 

In Etiopia il confronto militare tra il premier Abiy Ahmed e i dissidenti della regione del Tigray (nel Nord del paese) rischia di trasformarsi in un bagno di sangue, di vendette incrociate dove le vittime sono sopratutto civili.

La carneficina è avvenuta la notte del 9 novembre nella cittadina tigrina di Mai Kadra e sarebbe opera, secondo un rapporto preliminare d'inchiesta, di una milizia informale di giovani tigrini.

Domenica sera il premier ha lanciato ai dirigenti tigrini un ultimatum di 72 ore per arrendersi.

(Fonte.:jeuneafrique)

Bob Fabiani

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-www.jeuneafrique.com  

martedì 24 novembre 2020

Trump autorizza transizione (pur non ammettendo sconfitta elettorale)


 




E alla fine #TheDonald autorizzò la transizione : dopo sedici lunghissimi giorni ha deciso che non si poteva andare oltre con la farsa del dopo-presidenziali. Non c'è nulla da rallegrarsi perché, quella che, almeno nelle precedenti elezioni presidenziali americani, era la prassi : la transizione, cioè la presa di conoscenza da parte del "vincitore" dei dossier più delicati e, insieme, preparare il passaggio dei poteri.

La transizione dell'amministrazione Trump a quella Biden è cominciata, con ritardo, ma è cominciata.

Tutt'intorno però, il trumpismo lascia macerie di democrazia. Anche se Trump, il cui comportamento è di difficile interpretazione, pur avendo dato luce verde al processo di transizione, continua a non ammettere la vittoria di Biden (col solito cinguettio su Twitter).

A ben vedere però sullo sfondo si delinea la massiccia "presa" del vecchio Gop : Trump vuole tenere saldamente tra le sue mani il Partito Repubblicano e, non è un caso se, tra le tante chiacchiere a vuoto di #TheDonald, a proposito dello scippo elettorale e dei relativi brogli (mai emersi) c'è l'idea (già consistente) di una ricandidatura per la corsa alla Casa Bianca del 2024.

(Fonte.:theatlantic)

Bob Fabiani

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-www.theatlantic.com   

giovedì 19 novembre 2020

La disperazione dei profughi del Tigray


 




La drammatica guerra civile scoppiata tra Etiopia e Tigray ha causato - in due settimane di scontri - 27mila profughi. Queste persone sono fuggite in Sudan passando attraverso i varchi di frontiera di Hamdayet, Lugdi e Abdarafi

Un terzo sarebbero eritrei che risiedevano nei 4 campi profughi ONU del Tigray che in tutto ospitavano 96mila persone. 

Intanto, Amnesty international ha denunciato il massacro di 500 civili nella cittadina di Mai-Kadra sarebbero tutti Amhara uccisi dall'esercito tigrino. Un secondo massacro sarebbe avvenuto a Zalambessa dove i morti sarebbero 56, tutti tigrini uccisi dall'esercito federale : tuttavia, queste informazioni ancora necessitano di conferme e verifiche, scrivono i reporter della Bbc.

L'Unhcr parla di 4 mila rifugiati al giorno in Sudan e aggiunge: "Si va verso una grave crisi umanitaria".

(Fonte.:bbcafrica)

Bob Fabiani

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-www.bbc.com/africa/ethiopia

martedì 17 novembre 2020

La guerra civile in Etiopia sembra inarrestabile


 





La crisi tra Etiopia e Tigray che ha scatenato una cruenta guerra civile rischia di incendiare tutto il Corno d'Africa: è questo ciò che si teme dopo che gli scontri armati - attraverso fitti bombardamenti - hanno raggiunto l'Eritrea e Asmara; per questa ragione la diplomazia africana sta tentando di far cessare il conflitto che ha già prodotto massacri e migliaia di profughi.

Tuttavia, le notizie che arrivano dall'Africa parlano sostanzialmente di mediazioni ferme al palo. E' stata smentita l'opera di mediazione che era stata annunciata dal presidente ugandese Yoweri Museveni sul conflitto in corso nel Nord dell'Etiopia

Anche la missione delle ultime ore dell'ex presidente nigeriano Obasanjo è destinata a misurarsi con la ferma volontà del governo centrale etiope di andare fino in fondo nell'offensiva militare lanciata lo scorso 4 novembre contro le autorità del Tigray.

Intanto ieri è stata annunciata la conquista della città tigrina di Alamata. Secondo la task force istituita dal premier Abiy Ahmed per gestire la crisi, i combattenti del Tpfl "sono fuggiti portando con sé circa 10 mila prigionieri".

(Fonte:jeuneafrique)

Bob Fabiani

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-www.jeuneafrique.com



sabato 14 novembre 2020

News for Africa n°29 (il Continente informa)


 





Il nuovo appuntamento con le notizie dall'Africa con i siti, quotidiani, settimanali africani e da tutto il mondo. In questo numero:

  • Costa d'Avorio, violenze post-voto
  • Tanzania, l'ONU condanna le violenze dopo il voto
  • Senegal, scomparsi in mare
  • Libia/1, riparte il dialogo
  • Libia/2, 94 migranti muoiono nei nuovi naufragi





-Costa d'Avorio, violenze post-voto




Dopo che il 9 novembre il consiglio costituzionale ivoriano ha convalidato i risultati presidenziali - boicottate dall'opposizione e vinte dal presidente uscente Alassane Ouattara con il 94,27 per cento dei voti - l'Unione Africana (AU) e la Comunità economica degli stati dell'Africa occidentale si sono congratulate con Ouattara per il terzo mandato, che invece è duramente contestato dai suoi avversari. Il 9 e 10 novembre nel paese ci sono state nuove violenze, con 12 morti, scrive Jeune Afrique. Da agosto questi scontri hanno causato una cinquantina di vittime.

(fonte.:jeuneafrique)


-Tanzania, l'ONU condanna le violenze dopo il voto


 




L'alta commissaria per i Diritti umani delle Nazioni Unite, Michelle Bachelet, ha condannato le violenze avvenute in Tanzania dopo le elezioni, che si sono tenute nel paese africano a fine ottobre. L'opposizione aveva denunciato brogli e violenze intimidatorie durante le consultazioni elettorali, che avevano visto la rielezione del presidente tanzaniano, John Magufuli, accusato di aver trasformato la Tanzania in una dittatura. Secondo le Nazioni Unite, dopo le proteste dovute al risultato delle elezione, le forze governative hanno arrestato 150 persone.

(fonte.:bbcafrica)


-Senegal, scomparsi in mare





I senegalesi hanno lanciato sui social network gli hashtag #LeSenegalEnDeuil, #WhatHappeningInSenegal e #DeuilNationalSN per discutere delle conseguenze delle migrazioni irregolari e per ricordare i giovani connazionali morti nel tentativo di raggiungere l'Europa passando per le isole Canarie (che fanno parte della Spagna). Dal 24 ottobre almeno 480 senegalesi sono stati dichiarati morti o dispersi in almeno cinque naufragi avvenuti al largo delle coste nazionali. "Il lutto impossibile", titola il quotidiano senegalese Libération, che ha raccolto le testimonianze di alcuni familiari delle vittime e di un ex trafficante di esseri umani. Gli attivisti di internet il 13 novembre hanno indetto una giornata di lutto nazionale per ricordare coloro che hanno perso la vita nella traversata, ma anche per spingere il governo guidato dal presidente Macky Sall ad affrontare la questione con più fermezza. Le autorità sono infatti accusate di non fare abbastanza per garantire ai giovani un'istruzione e opportunità di lavoro migliori (sopratutto nel settore della pesca), e per fermare il traffico di esseri umani.

(fonte.:liberationsenegalonline)


-Libia/1, riparte il dialogo


 



A Tunisi il 9 novembre è ripreso il dialogo per favorire una soluzione politica della crisi in Libia. I colloqui, promossi dalle Nazione Unite, coinvolgono 75 personalità libiche che rappresentano le varie aree geografiche e correnti politiche del paese. Queste persone devono designare i componenti di un governo unitario (composto da rappresentanti dell'est e dell'ovest) che accompagni il paese a nuove elezioni e sorvegli l'operato del consiglio presidenziale. I 75 partecipanti hanno promesso di non candidarsi a cariche politiche, precisa il quotidiano panarabo Al Araby al Jadid. Intanto il 10 novembre a Bengasi è stata uccisa in una strada trafficata e in pieno giorno, l'avvocata Hanan al Barassi, 46 anni, nota per la sua attività in difesa dei diritti delle donne. Poco prima di essere uccisa aveva pubblicato su internet un video in cui denunciava alcuni gruppi armati vicini al generale Khalifa Haftar per le violenze sulle donne.

(fonte.:alaraby)



-Libia/2, 94 migranti migranti muoiono in nuovi naufragi





Davanti alle coste libiche si susseguono i naufragi che alimentano il genocidio di migranti, nei giorni scorsi, l'Oim - Organizzazione internazionale per le migrazioni hanno denunciato : "900 morti dall'inizio dell'anno". Solo nell'ultima settimana (quella che si chiude tra oggi sabato 14 e domenica 15 novembre) si sono registrati ben due naufragi con 94 decessi. Dopo il naufragio di mercoledì al largo di Sabrata dove, nonostante l'intervento della ong spagnola Open Arms,hanno perso la vita sei migranti, tra i quali un neonato di 6 mesi (Joseph), originario della Guinea. La stessa ong mostra un video in cui la mamma di Joseph esprime tutta la sua disperazione. 

L'Oim inoltre fa sapere che più di 11 mila migranti sono state riportate nel paese nordafricano, ed esposte al rischio di dover affrontare violazioni dei diritti umani, detenzione, abusi e tratta di esseri umani.

(fonte.:theguardian)

Bob Fabiani

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venerdì 13 novembre 2020

Mattanza in Mozambico


 






I mezzi d'informazione mozambicani denunciano un nuovo violento attacco degli Al Shabaab, i miliziani jihadisti affiliati al gruppo Stato islamico (Daesh), il 7 novembre in un villaggio del distretto di Muidumbe, nella provincia settentrionale di Cabo Delgado. Secondo Pinnacle News, una cinquantina di persone, tra cui numerosi ragazzi, sono state radunate in un campo da calcio e uccise, e i loro corpi sono stati mutilati.

La situazione è molto grave in questa provincia ricca di gas e il governo di Maputo ha chiesto aiuto all'estero per fermare l'insurrezione.

(Fonte:pinnaclenews)

Bob Fabiani

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-www.pinnaclenews,net

giovedì 12 novembre 2020

Coronavirus, l'Africa ha gestito meglio la pandemia di Europa e USA


 




In tutta l'Africa, con i suoi 1,2 miliardi di abitanti, il Covid-19 ha fatto circa tanti morti quanti in Italia: 40mila. I numeri sono ballerini anche qui, ma non posso nascondere l'anomalia di un continente che il mondo dava per travolto dal nuovo coronavirus e invece al momento sembra aver reagito molto meglio di Stati Uniti ed Europa

La prima ragione di questa apparente stranezza è che l'Africa è un continente giovane, l'età media è 20 anni, età in cui non si muore di Covid-19. Se l'età media di morti in Italia è di 82 anni, in Kenya è di 50 anni. E' pur vero che nelle megalopoli africane si stanno sviluppando a dismisura malattie non trasmissibili come diabete, obesità, malattie cardiovascolari e infiammatorie croniche, che sono noti fattori di rischio per il Covid-19. Alcuni gruppi di ricerca, fra cui quello del ricercatore napoletano basato all'Università di Glasgow, Pasquale Maffia, stanno studiando proprio questi casi.

"Le ricerche sulle malattie non trasmissibili che conduciamo insieme ai colleghi africani cercano di capire gli aspetti immunitari coinvolti nell'epidemia. Certo è che la malattia è più diffusa nei paesi più grandi e urbanizzati. Negli ospedali non ci sono molti casi gravi, ma questi sono riferibili a pazienti affetti anche da 'malattie del benessere' che fino a poco tempo fa non credevamo frequenti in Africa".

Come le morti anche i casi confermati sono relativamente pochi : 1.700mila dei 51 milioni globali. Si dirà che visti gli scarsi mezzi diagnostici i positivi sono certamente sottostimati, ma ci sono anche altre spiegazioni possibili.

"L'esposizione alla tubercolosi e ad altre malattie infettive - fra cui altri coronavirus - potrebbero aver stimolato una risposta immunitaria che difende anche dal Covid-19. C'è anche l'ipotesi non confermata al momento, che il vaccino Bcg contro la tubercolosi sia protettivo" spiega Kinyari Teresa Mwendwa, epidemiologa dell'Università di Nairobi e componente della Covid tasck force kenyota.

"Stiamo studiando anche i fattori genetici della popolazione e dei tipi virali che hanno raggiunto il continente".

Sia come sia, sta di fatto che il 93 per cento dei casi accertati è asintomatico e, secondo alcuni studiosi, se la porzione dei casi gravi e delle morti si mantenesse basso, in Africa potrebbe aver senso a perseguire una immunità diffusa.

Il primo caso africano è stato il 14 febbraio in Egitto, mentre il primo caso dell'Africa subsahariana è stato un uomo d'affari italiano a Lagos il 28 febbraio. Si pensava che il contagio sarebbe arrivato dalla Cina, principale partner commerciale dell'Africa, invece dalle analisi del genoma virale risulta provenire dall'Europa. La risposta all'epidemia è stata inaspettatamente rapida e coordinata centralmente dall'Unione Africana (AU). Già dai primi giorni di gennaio alcuni stati come la Costa d'Avorio, Mauritius e Rwanda hanno prima cominciato a controllare gli arrivi dagli aeroporti, poi hanno soppresso i voli da e per la Cina e altre destinazioni a rischio. Dei 53 paesi che compongono il continente quasi tutti hanno iniziato a comunicare i dati quotidiani del contagio al Center for Disease Control (Cdc).

-La sanità territoriale

La prima ondata africana ha avuto il suo picco a luglio per scendere verso fine agosto. L'epidemia si è sviluppata più lentamente che in Europa anche per la presenza di una robusta sanità territoriale: centinaia di migliaia di operatori sanitari di comunità, fra cui anche i corpi di volontari sanitari, sono stati formati dal Cdc per eseguire campagne di test capillari.

L'Unione Africana ha a sua volta stabilito una piattaforma di acquisto di reagenti tamponi e mascherine al servizio di tutti i paesi dell'Unione, anche grazie a donazioni internazionali, fra cui 20 milioni di dollari donati dalla Fondazione Bill & Melinda Gates.Secondo molti commentatori l'iniziativa ha funzionato meglio dell'analogo tentativo fatto dall'Unione Europea, poco considerata dai membri anche per difficoltà di ordine burocratico. L'Unione Africana invece ha lasciato gestire la distribuzione del materiale sanitario a operatori privati guidati dall'imprenditore miliardario dello Zimbabwe Strive Masiyiwa. Non sono mancate inoltre "innovazioni frugali", come un test rapido sviluppato in Senegal (ricordate ne parlammo su questo blog a marzo ...) all'inizio della pandemia per diagnosticare il Covid-19 in 10 minuti e del costo di 1 dollaro, o l'uso di droni usati in Ghana per sanificare dall'alto mercati e altri spazi pubblici. 

L'Africa è "un museo di malattie infettive", e questo ha fatto sì che non venisse colta di sorpresa dall'ennesima malattia che andava ad aggiungersi a malaria, tubercolosi, Hiv, colera, febbre di Lassa, morbillo ed Ebola.

Con pochi mezzi e maniere spicce, molti paesi hanno giocato d'anticipo con lockdown decisamente precoci. Dal 20 marzo l'Unione Africana ha disposto infatti che superati i 100 casi i paesi avrebbero imposto un lockdown stretto per "appiattire la curva". Cosa che effettivamente è stato fatto fra luglio e settembre, anche se a costo di un impoverimento stimato fra il 2 e il 5 per cento del Pil continentale.

"La gente comincia a patire per queste chiusure e vorrebbe tornare alla normalità. Non è facile far rispettare le regole"  continua Teresa Mwendwa. "In questi mesi non sono mancati i progressi: nelle campagne sono stati potenziati i servizi di acqua potabile, per rendere possibile il lavaggio delle mani. Le 47 contee del Kenya sono state dotate di 300 letti d'ospedale ciascuna per i casi più gravi e anche di cisterne di ossigeno". Come ha raccontato il virologo John Nkengasong, a capo del Cdc, "all'inizio dell'epidemia alcuni paesi non avevano nemmeno un respiratore. Abbiamo dovuto approntare un sistema di emergenza in pochi mesi". Ma le cose sotto pandemia cambiano in fretta. Il 27 ottobre Nkengasong dichiarava che era ora di riaprire e far ripartire l'economia. Quattro giorni dopo il messaggio è diverso : "L'Africa deve prepararsi a una seconda ondata, poiché i casi aumentano in Europa e in alcuni paesi dell'Unione Africana".

Tutto il mondo sembra sincronizzarsi sotto la pressione del Covid-19. Ma l'Africa resta, insieme ai paesi ipertecnologici dell'Asia pacifica, la meno colpita e ha qualcosa da insegnare all'Europa e agli Stati Uniti.

-Nordafrica, la pandemia riprende a correre

Le ultime notizie che arrivano dal continente parlano di una ripresa (sostenuta) del virus in Tunisia e Algeria. I governi dei due nordafricani hanno emanato nuove misure volte a rallentare l'espandersi di Covid-19

In Tunisia il primo ministro Hichem Mechichi ha imposto un nuovo coprifuoco notturno vietando spostamenti da una città all'altra. In Tunisia i casi accertati sono ormai 70mila su una popolazione di 11,5 milioni, i decessi ufficialmente sono 1.920, ma secondo il governo potrebbero essere tra 6 e 7 mila.

In Algeria i casi accertati sono 62.692, mentre i decessi registrati 2.062 per arginare la nuova ondata di contagi, il governo ha imposto un coprifuoco di due settimane dalle 20.00 alle 0.5.00 in 29 delle 48 prefetture del paese. Inoltre sono stati sospesi i trasporti pubblici e privati in tutta l'Algeria durante i fine settimana; le autorità hanno vietato anche gli spostamenti collettivi fra una prefettura e un'altra.

(Fonte:jeuneafrique;editorialedomani;africa-express)

Bob Fabiani

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Conflitto Etiopia/Tigray, a causa della guerra migliaia di profughi fuggono verso il Sudan


 





L'esercito federale etiope nella giornata di martedì si è impadronito dell'aeroporto situato vicino alla città di Humera, nella regione di Tigray. Mercoledì scorso il primo ministro Abiy Ahmed, aveva lanciato un'offensiva militare nel Nord dell'Etiopia

Mentre scriviamo questo post è in atto un cruento bombardamento da parte di Addis Abeba che costringe migliaia di profughi della regione - considerata ribelle dal governo centrale - a fuggire verso il Sudan.

Secondo il premier etiope, il partito di governo nel Tigray, il Tigray People's Liberation Front, è responsabile di un attacco contro una base militare federale. Il Tpfl è un partito di opposizione al governo del premier e a settembre aveva deciso di tenere le elezioni regionali nel Tigray, nonostante l'esecutivo etiope le avesse proibite - anche a causa della pandemia di Covid-19 -. 

La decisione dell'invio di truppe armate nel Tigray è fonte di allarme per la comunità internazionale, e può compromettere la stabilità della zona.

Tuttavia le notizie sono scarne, al momento si sa che l'esercito federale, nei giorni scorsi ha conquistato le città di Maidali, Dansha, Baker e Ligudi oltre la già citata Humera, per altro questa è una città vicina al confine con l'Eritrea

Si teme che la stessa Eritrea possa in qualche modo inserirsi nel conflitto : e a proposito di questo, le stesse fonti "interessate" raccontano di truppe tigrine allo sbando che si consegnano alle guardie di frontiera del paese vicino.

Il primo ministro Abiy Ahmed, nella stessa giornata di martedì ha ribadito che "l'operazione prosegue come previsto e terminerà solo quando la giunta criminale sarà disarmata e un'amministrazione legittima verrà insediata".

Il premier ha anche aggiunto che i vertici rivoltosi dello stato regionale verranno affidati alla giustizia e che tutti questi obiettivi sono ormai "a portata di mano".

Le pressioni internazionali sono andate a vuoto, il governo di Addis Abeba, le ha rispedite al mittente.

La situazione ai confini settentrionali del paese africano inizia a essere drammatiche. Dalla frontiera col Sudan giungono anche notizie di sequestri di armi in entrata. Sul fronte dei profughi esiste una fosca proiezione ONU che parla di 9 milioni di persone che potrebbero fuggire dall'Etiopia se non si riesce a fermare questo conflitto tra Addis Abeba e Tigray.

La decisione di Ahmed - già premio Nobel per la Pace - di dichiarare guerra alla regione ribelle sembra non pesargli più di tanto, secondo il premier "è sacrosanto ristabilire il diritto di tutti gli etiopi a vivere in pace"

Peccato però che questa pace, Ahmed, voglia raggiungerla (a ogni costo) ricorrendo alla guerra.

(Fonte:jeuneafrique)

Bob Fabiani

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mercoledì 11 novembre 2020

#Election, Trump si barrica alla Casa Bianca e blocca la transizione



 




Non sarà una transizione semplice quella che aspetta gli Stati Uniti. #TheDonald non ha a cuore le istituzioni democratiche e non vuole sentire ragioni : non solo non ha riconosciuto la sua sconfitta ma, una settimana dopo il "super martedì" dell'Election Day, insiste col suo mantra, sempre più fosco e lugubre : "Brogli, elezioni truccate. Mi hanno scippato la vittoria col voto postale".

Stando così le cose, non c'è quella che è una prassi politica consolidata, il passaggio graduale di poteri dal voto al 20 gennaio successivo, è anche una voce di bilancio e l'attuale amministrazione sta facendo di tutto impedirla.

Il procuratore generale Barr, trumpiano di ferro, ha dato il via libera ai procuratori statali per avviare indagini sui brogli che vede solo lui, mentre il segretario di Stato Pompeo dice che l'unica transizione è quella verso un secondo mandato di Trump

Come se nulla fosse successo.

Una strategia folle, quella repubblicana, pericolosa per un paese già spaccato a metà, armato, con un buon 48% dei suoi cittadini convinto che Biden abbia scippato la presidenza al loro messia.

(Fonte:theatlantic)

Bob Fabiani

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martedì 10 novembre 2020

Cosa cambia per l'Africa dopo l'elezione di Joe Biden?


 




Il popolo americano  - chi ai seggi chi usando il contestato voto postale (dal tycoon) - si è alla fine espresso eleggendo il candidato Dem Joe Biden : oggi AfricaLand Storie e Culture africane cerca di indagare cosa cambierà per l'Africa col cambio della guardia alla Casa Bianca. La domanda di fondo è : dopo gli anni di Trump che ha ignorato (sistematicamente) l'Africa cosa farà il neoeletto 46esimo presidente USA? Proseguirà su questa falsa riga oppure cambierà qualcosa?

Scopriamolo.

L'elezione di Joe Biden alla presidenza degli Stati Uniti pone le basi per un deciso cambio di rotta negli orientamenti di politica internazionale della superpotenza americana. Se si guarda all'Africa, però, il capovolgimento sarà verosimilmente ben più contenuto.

Dall'inizio del nuovo millennio, infatti, le politiche africane degli Stati Uniti hanno mostrato elementi di continuità. Da George W. Bush - che avviò un inatteso ampliamento dell'impegno americano incarnato anzitutto in lotta al terrorismo, diversificazione degli approvvigionamenti energetici e aiuti allo sviluppo - fino a Barack Obama - complessivamente meno attivo di quanto ci si attendesse - le priorità di Washington nel continente africano hanno fatto registrare variazioni spesso limitate ai toni e allo stile impiegati.



 



-Gli anni di Trump

Nei quattro anni di amministrazione Trump, l'Africa non ha rappresentato una priorità per Washington, e la definizione di "shithole countries" ("Paesi spazzatura" anche se l'espressione del tycoon era più colorita) con cui il presidente avrebbe designato gli stati africani nel 2018 ne ha dato eloquentemente dimostrazione. La stessa scelta del leader americano di escludere l'Africa dalle destinazioni delle visite istituzionali - il primo presidente a non posare piede sul continente dai tempi di Ronald Reagan - è stato un chiaro segnale. Poche anche le delegazioni africane ricevute alla Casa Bianca.

Il compito di compensare il disinteresse del presidente per i dossier africani è stato lasciato sopratutto al sottosegretario di Stato per gli affari africani, Tibor Nagy, tardivamente nominato solo nel luglio del 2018.

La principale chiave retorica della politica dell'amministrazione Trump in Africa ha rinviato alla necessità di controbilanciare la presenza cinese e il crescente attivismo russo, nel quadro di una competizione tra potenze globali nella quale gli stati africani sarebbero poco più che attori passivi.




-Bilanciare Cina e Russia


Alcune specifiche posizioni di Trump rispetto ai paesi africani sono invece direttamente legate al sistema di alleanze mediorientali degli Stati Uniti. E' in quest'ottica, per esempio, la recente decisione di rimuovere il Sudan dalla lista di stati sponsor del terrorismo. Il coinvolgimento diretto di Washington nei negoziati tra Etiopia, Sudan ed Egitto per lo sfruttamento delle acque del Nilo ha visto il governo statunitense assumere un ruolo percepito dall'Etiopia come non imparziale, favorevole al Cairo e all'Egitto.

La recente presa di posizione di Trump, che ha paventato la possibilità che l'Egitto intervenisse militarmente per distruggere la nuova Grande diga del rinascimento etiope (Gerd), è suonato come la conferma di una politica estera mirata a sfruttare la crisi nella regione in una direzione funzionale agli obiettivi strategici americani.

Sul fronte della politica commerciale, a fronte di un relativo declino nei rapporti economici con gli stati africani, il varo del programma Prosper Africa riporta di nuovo almeno in parte, al desiderio di contrastare la narrazione sino-russa e stimolare scambi e investimenti supportando le imprese americane. Gli Stati Uniti, di contro, continuano ad avere una indubbia centralità sul fronte degli aiuti allo sviluppo e restano il primo donatore in Africa nonostante le proposte di tagli al piano di aiuti esteri, chiesti dal presidente e respinti dal Congresso.

E' nel campo della sicurezza che sono emersi segnali di una potenziale discontinuità. Il segretario alla Difesa, Mark Esper (peraltro licenziato dal tycoon non più tardi di 24 ore fa perché in estate aveva detto no all'idea di schierare l'esercito contro le proteste del movimento Black Lives Matter; n.d.t), ha annunciato la volontà di ridurre considerevolmente la presenza militare in Sahel e in Somalia. In concreto, tuttavia, le resistenze del Pentagono e del Congresso hanno ostacolato i programmi di riorganizzazione della presenza militare in Africa e i circa 6.000 militari attualmente dispiegati sono in linea con i numeri degli anni dell'Amministrazione Obama.

La continuità di fondo della politica africana di Washington è in gran parte dovuta al consenso parlamentare bipartisan che ne fa materia in larga misura estranea allo scontro pratico, e si è tradotta nella conferma delle principali iniziative politiche, sociali ed economiche già in vigore. Questa stessa tendenza suggerisce che nei prossimi quattro anni di presidenza Biden potrebbe cambiare poco.

A vantaggio del continente però, dovrebbero rivelarsi il ritorno ad un approccio multilaterale per le questioni globali - dal clima alla salute - , l'adozione di uno stile presidenziale più convenzionale e un dialogo più diretto per ripristinare relazioni più solide con i partner africani.

(Fonte:theatlantic;ispionline;jeuneafrique;editorialedomani)

Bob Fabiani

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lunedì 9 novembre 2020

News for Africa n°28 (il Continente informa)


 




Nuovo appuntamento - spostato eccezionalmente al lunedì a causa delle elezioni USA - con le notizie più importanti da tutto il Continente Nero apparse sui media africani e del resto del mondo. In questo numero :

  • Costa d'Avorio, una vittoria in dubbio
  • Algeria, referendum fallimentare
  • Camerun, rapiti undici insegnanti
  • Malawi, premiati giudici dell'alta corte
  • Egitto, rinviata al Cairo udienza per Zaki 
  • Tunisia, navi e aerei italiani per fermare migranti (con l'avallo francese)



-Costa d'Avorio, una vittoria in dubbio





Il 3 novembre la commissione elettorale ivoriana ha proclamato Alassane Ouattara - già presidente per due mandati - vincitore al primo turno delle presidenziali del 31 ottobre, con il 94,27 per cento dei voti. L'affluenza alle urne è stata ufficialmente del 53,9 per cento, anche se in realtà nella roccaforte dell'opposizione, che aveva invitato gli elettori a boicottare il voto, i seggi erano deserti, mentre nei feudi di Ouattara la partecipazione è stata altissima. Gli osservatori del Carter center e dell'Electoral institute for sustainable democracy in Africa (Eisa) hanno espresso "seri dubbi sulla credibilità delle elezioni", vista la situazione politica e di sicurezza, scrive il quotidiano indipendente Le Sursaut. La candidatura di Ouattara a un terzo mandato, dopo la morte a luglio del suo successore designato, era stata duramente contestata dai suoi avversari. Da agosto una quarantina di persone è morta nelle violenze legare al voto e il 2 novembre l'opposizione ha annunciato la creazione di un consiglio nazionale di transizione, presieduto dal principale avversario di Ouattara, Henri Konan Bédié.

(fonte:lesursaut.ci)


-Etiopia, venti di guerra nel Tigray



 

In Etiopia si acuiscono le tensioni politiche e tra i gruppi etnici. Una cinquantina di persone, in gran parte amhara, sono state brutalmente uccise il 1 novembre nella zona di Guliso, nell'ovest del paese, in un attacco attribuito ai ribelli dell'Esercito di liberazione oromo. Tre giorni dopo il premier Abiy Ahmed ha proclamato lo stato d'emergenza e ha dato il via a operazioni militari nel Tigray, la regione del nord del paese abitata in maggioranza da tigrini, scrive Al Jazeera. Abiy accusa il governo locale (guidato dal Fronte popolare di liberazione del Tigray) di aver attaccato una base delle truppe federali a Mekelle e di aver rubato equipaggiamenti militari. Il presidente dello stato, Debrestion Gebremichael, ha denunciato "l'aggressione del governo federale". Sono mesi, spiga il sito Eritrea Hub, che le tensioni con Addis Abeba continuano a salire. A settembre il Tigray aveva organizzato delle elezioni che il governo centrale si era rifiutato di riconoscere.

(fonte:aljazeera;eritreahub)



-Algeria, referendum fallimentare




Il referendum del 1 novembre sulla riforma costituzionale algerina si è rivelato un "fiasco", scrive il quotidiano Liberté. Era stato indetto dall'esecutivo per calmare le proteste del movimento popolare che da un anno chiede il cambiamento del sistema politico, ma ha registrato un'affluenza di appena il 23 per cento, un dato che mette in ombra la vittoria del sì. Per il presidente Abdelmadjid Tebboune (attualmente ricoverato in Germania; n.d.t) è stato "uno schiaffo", scrive Liberté. "La mobilitazione che ha cambiato l'Algeria ha cambiato anche il senso dell'astensione : prima rispecchiava l'apatia degli algerini davanti a una classe politica immutabile, ora è una scelta consapevole".

(fonte:liberte-algerie)


-Camerun, rapiti undici insegnanti





Undici insegnanti sono stati rapiti il 3 novembre in una scuola a Kumbo, nella regione del Nordovest. L'attacco è attribuiti ai separatisti anglofoni aveva anche causato la morte di alcuni bambini-studenti. La situazione in Camerun è sempre molto complessa e la guerra civile tra militari dello stato centrale e ribelli separatisti che sognano un Camerun Anglofono sta causando anche altre tragedie, come quella dei milioni di profughi interni, scrive Jeune Afrique.

(fonte:jeuneafrique)




-Malawi, premiati giudici dell'alta corte





Il 26 ottobre il think tank Chatham house ha premiato i giudici dell'alta corte per "il coraggio nella difesa della democrazia". A febbraio avevano annullato le presidenziali del maggio 2019, vinte con i brogli dal presidente Peter Mutharika.

(fonte:internazionale)


-Egitto, rinviata al Cairo udienza per Zaki







Patrick Zaki resta in carcere. L'udienza che vede coinvolto lo studente egiziano dell'Università di Bologna, prevista a Il Cairo, è stata rinviata al 21 novembre. La comunicazione arriva dall'Egyptian Initiative for Personal Rights, ong egiziana che monitora passo passo il caso del ventottenne, che dà la notizia tramite un tweet. La sua legale, Hoda Nasrallah, ha precisato che non si tratta di un "prolungamento" della custodia e che il suo assistito non ha potuto partecipare  alla stessa udienza "per motivi di sicurezza legati alle elezioni politiche".

(fonte:ilfattoquotidiano)


-Tunisia, navi e aerei italiani per fermare i migranti (con l'avallo francese)


 


Navi e aerei italiani posizionati nelle acque di fronte alla Tunisia per intercettare i barchini con i migranti. Il piano, approvato dalla Francia con l'intento in chiave antiterrorismo. Il piano prevede delle vere e proprie "brigate italo-francesi" in territorio africano. Ecco dunque che si apre un'altra inquietante pagina, nella guerra contro chi è costretto a migrare per necessità e disperazione. E' la risposta muscolare dopo i recenti attentati in Francia. Tuttavia, Tunisi deve ancora esprimersi sul via libera ma, qualora dovesse arrivare, i nostri mezzi sosteranno in acque internazionali e avranno il compito di intercettare i natanti che partono dal paese Nordafricano diretti verso l'Italia, segnalandoli alle autorità tunisine che si muoveranno per bloccarli e riportarli indietro.  Di fatto la Guardia costiera tunisina è chiamata a fare lo stesso lavoro che da anni svolge la cosiddetta Guardia costiera libica con i disperati che partono da quel paese. In questo modo l'Italia e l'Europa potranno affermare di non effettuare i respingimenti vietati dal diritto internazionale, avendo delegato ad altri il compito di riportare indietro i migranti.

(fonte:aljazeera;lemondeafrique;jeuneafrique;ilmanifesto)

Bob Fabiani

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domenica 8 novembre 2020

#Election2020, Kamala Harris, volto dell'America migliore (prima Donna afroamericana-indiana alla vicepresidenza USA)






"Anche se potrei essere la prima donna in questo ufficio, non sarò l'ultima perché ogni bambina che guarda stasera la televisione vede che questo è un paese di possibilità"

(Kamala Harris)


Kamala Harris è la prima donna ad entrare alla Casa Bianca come vicepresidente, ed è anche la prima afroamericana e la prima americana-indiana a riuscire nell'impresa. 

Per l'occasione Kamala Harris è di bianco vestita per ricordare le suffragette : 100 anni dopo il voto riconosciuto alle donne in USA, una donna arriva alla vicepresidenza parlando del ruolo fondamentale che hanno avuto le donne nel passato e in queste elezioni.

Nessuno più di lei impersona l'America multietnica e multiculturale, diversità ben presente e impressa sulla sua pelle fin dalla nascita e che la rende doppiamente "orgogliosa di essere americana".

Porta il cognome del padre, nero giamaicano, professore di Economia a Stanford che lasciò il tetto coniugale quando Kamala Harris aveva solo sette anni Il nome (Kamala) è quello in sanscrito di una divinità hindu, lo ha scelto la madre, Shyamala, biologa migrante dall'India

La passione per il diritto e la politica l'ha ereditata dal nonno materno (un diplomatico), nelle strade di Oakland ha imparato la legge spietata della strada. 

Kamala era riuscita a scrivere altre pagine storiche (ben tre) : prima donna procuratore distrettuale di San Francisco, prima procuratrice generale della California, prima senatrice black a rappresentare la California al Congresso di Washington.

In fondo al tunnel più cupo e disperato dunque l'America - grazie anche al voto Black Lives Matter e della comunità afroamericana - riesce a porre fine alla presidenza di Trump e al suo razzismo portando alla Casa Bianca Joe Biden e Kamala Harris

Ora un nuovo percorso di ricostruzione può partire anche se le insidie saranno molteplici ma la storia di Kamala Harris è la garanzia migliore per i prossimi quattro anni (ma anche delle prossime settimane, dato che il tycoon continua a non riconoscere la vittoria del candidato Dem e non lo ospiterà alla Casa Bianca : per lui, il risultato delle elezioni è truccato causa brogli ...).

Con Kamala Harris alla Casa Bianca gli afroamericani si sentiranno più garantiti, ma la metà degli americani che hanno votato per Trump tenteranno di complicare il lavoro della Harris. Lei si dice pronta alla battaglia e, in questa impresa sarà accompagnata - con incarichi di primo piano - altre grandi donne afroamericane : Esther Ongeri, Symone Sanders, Erin Wilson perché, in fondo, la democrazia USA è Donna.

(Fonte:theatlantic)

Bob Fabiani

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sabato 7 novembre 2020

#USA2020, Joe Biden è il nuovo presidente degli Stati Uniti


 



Joe Biden è il 46esimo presidente degli USA : è stato eletto con il 50,6% dei voti, Trump si ferma al 47,7%. Il nuovo presidente raggiunge e supera i 270 grandi elettori portandone a casa 290. Il tycoon ne intercetta solo 214 e così, i Democratici dopo 4 anni tornano alla Casa Bianca. La svolta si è materializzata dopo la conquista della Pennsylvania e del Nevada.

Appena si è avuta la certezza della vittoria, il nuovo presidente ha rilasciato una breve dichiarazione : "Onorato di guidare il nostro grande paese"

Si apprende che tra poco meno di due ore, Joe Biden, parlerà all'America.

#TheDonald - come era ampiamente previsto - non riconosce la sconfitta e rilancia : "Non mi fermerò".

(Fonte:theatlantic)

Bob Fabiani

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