TAG - AfricaLand Storie e Culture africane

AFRICA - Anc - DIASPORA - Segregazione razziale - - DIRITTI UMANI - migrazioni - TORTURE - RAZZISMO - Lotte anti-Apartheid - AFRIKANER - Afroamerican - LIBIA - lager libici - Libertà - Rwanda - genocidio rwandese - Namibia - genocidio dimenticato - Donald Trump - trumpismo - NELSON MANDELA - APARTHEID - SUD AFRICA - THOMAS SANKARA - Burkina Faso - rivoluzione burkinabé - STEVE BIKO - MARTIN LUTHER KING - i have a dream - slavers 2017-2018 - schiavitù - SCRITTORI D'AFRICA - Negritudine - PANAFRICANISMO - AFROBEAT - FELA KUTI - NIGERIA - BLACK MUSIC - BLACK POWER - BLACK LIVES MATTER - SELMA - Burundi - referendum costituzionale - Pierre Nkurunziza - presidente onnipotente - Madagascar - Place du 13 Mai - Antananarivo - Madagascar crisis - Tana Riot -Free Wael Abbas - Egitto- Piazza Tahir- Rivoluzione2011- Al Sisi - Italia - Esecutivo Giallo-Verde - osservatorio-permanente - Storie-di-Senza-Diritti-Umani - Barack Obama - Obama Years- Dakar2021 - World Water Forum - ChinAfrica - Brics - ambiente - Climate Change - FOTO DEL GIORNO - REGGAE -#mdg2018 - #MadagascarDecide - 'AL DI LA' DI OGNI RAGIONEVOLE DUBBIO' - IL ROMANZO - #GiletsJaunes - Afroitalian - Walter Rodney - Brexit - Coronavirus - #LEDITORIALE - News For Africa - I Can't Breathe - #USA2020

martedì 10 novembre 2020

Cosa cambia per l'Africa dopo l'elezione di Joe Biden?


 




Il popolo americano  - chi ai seggi chi usando il contestato voto postale (dal tycoon) - si è alla fine espresso eleggendo il candidato Dem Joe Biden : oggi AfricaLand Storie e Culture africane cerca di indagare cosa cambierà per l'Africa col cambio della guardia alla Casa Bianca. La domanda di fondo è : dopo gli anni di Trump che ha ignorato (sistematicamente) l'Africa cosa farà il neoeletto 46esimo presidente USA? Proseguirà su questa falsa riga oppure cambierà qualcosa?

Scopriamolo.

L'elezione di Joe Biden alla presidenza degli Stati Uniti pone le basi per un deciso cambio di rotta negli orientamenti di politica internazionale della superpotenza americana. Se si guarda all'Africa, però, il capovolgimento sarà verosimilmente ben più contenuto.

Dall'inizio del nuovo millennio, infatti, le politiche africane degli Stati Uniti hanno mostrato elementi di continuità. Da George W. Bush - che avviò un inatteso ampliamento dell'impegno americano incarnato anzitutto in lotta al terrorismo, diversificazione degli approvvigionamenti energetici e aiuti allo sviluppo - fino a Barack Obama - complessivamente meno attivo di quanto ci si attendesse - le priorità di Washington nel continente africano hanno fatto registrare variazioni spesso limitate ai toni e allo stile impiegati.



 



-Gli anni di Trump

Nei quattro anni di amministrazione Trump, l'Africa non ha rappresentato una priorità per Washington, e la definizione di "shithole countries" ("Paesi spazzatura" anche se l'espressione del tycoon era più colorita) con cui il presidente avrebbe designato gli stati africani nel 2018 ne ha dato eloquentemente dimostrazione. La stessa scelta del leader americano di escludere l'Africa dalle destinazioni delle visite istituzionali - il primo presidente a non posare piede sul continente dai tempi di Ronald Reagan - è stato un chiaro segnale. Poche anche le delegazioni africane ricevute alla Casa Bianca.

Il compito di compensare il disinteresse del presidente per i dossier africani è stato lasciato sopratutto al sottosegretario di Stato per gli affari africani, Tibor Nagy, tardivamente nominato solo nel luglio del 2018.

La principale chiave retorica della politica dell'amministrazione Trump in Africa ha rinviato alla necessità di controbilanciare la presenza cinese e il crescente attivismo russo, nel quadro di una competizione tra potenze globali nella quale gli stati africani sarebbero poco più che attori passivi.




-Bilanciare Cina e Russia


Alcune specifiche posizioni di Trump rispetto ai paesi africani sono invece direttamente legate al sistema di alleanze mediorientali degli Stati Uniti. E' in quest'ottica, per esempio, la recente decisione di rimuovere il Sudan dalla lista di stati sponsor del terrorismo. Il coinvolgimento diretto di Washington nei negoziati tra Etiopia, Sudan ed Egitto per lo sfruttamento delle acque del Nilo ha visto il governo statunitense assumere un ruolo percepito dall'Etiopia come non imparziale, favorevole al Cairo e all'Egitto.

La recente presa di posizione di Trump, che ha paventato la possibilità che l'Egitto intervenisse militarmente per distruggere la nuova Grande diga del rinascimento etiope (Gerd), è suonato come la conferma di una politica estera mirata a sfruttare la crisi nella regione in una direzione funzionale agli obiettivi strategici americani.

Sul fronte della politica commerciale, a fronte di un relativo declino nei rapporti economici con gli stati africani, il varo del programma Prosper Africa riporta di nuovo almeno in parte, al desiderio di contrastare la narrazione sino-russa e stimolare scambi e investimenti supportando le imprese americane. Gli Stati Uniti, di contro, continuano ad avere una indubbia centralità sul fronte degli aiuti allo sviluppo e restano il primo donatore in Africa nonostante le proposte di tagli al piano di aiuti esteri, chiesti dal presidente e respinti dal Congresso.

E' nel campo della sicurezza che sono emersi segnali di una potenziale discontinuità. Il segretario alla Difesa, Mark Esper (peraltro licenziato dal tycoon non più tardi di 24 ore fa perché in estate aveva detto no all'idea di schierare l'esercito contro le proteste del movimento Black Lives Matter; n.d.t), ha annunciato la volontà di ridurre considerevolmente la presenza militare in Sahel e in Somalia. In concreto, tuttavia, le resistenze del Pentagono e del Congresso hanno ostacolato i programmi di riorganizzazione della presenza militare in Africa e i circa 6.000 militari attualmente dispiegati sono in linea con i numeri degli anni dell'Amministrazione Obama.

La continuità di fondo della politica africana di Washington è in gran parte dovuta al consenso parlamentare bipartisan che ne fa materia in larga misura estranea allo scontro pratico, e si è tradotta nella conferma delle principali iniziative politiche, sociali ed economiche già in vigore. Questa stessa tendenza suggerisce che nei prossimi quattro anni di presidenza Biden potrebbe cambiare poco.

A vantaggio del continente però, dovrebbero rivelarsi il ritorno ad un approccio multilaterale per le questioni globali - dal clima alla salute - , l'adozione di uno stile presidenziale più convenzionale e un dialogo più diretto per ripristinare relazioni più solide con i partner africani.

(Fonte:theatlantic;ispionline;jeuneafrique;editorialedomani)

Bob Fabiani

Link

-www.theatlantic.com

-www.ispionline.it

-www.jeuneafrique.com

-www.editorialedomani.it 

Nessun commento:

Posta un commento