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domenica 7 aprile 2019

Charles Habonimana:"Non ho dimenticato né i rumori, né le parole, né le immagini del genocidio tutsi"







Nel mese di Aprile 1994, su una collina il capo degli assassini, senza una logica precisa gli concesse una scorciatoia per sopravvivere all'abbisso: alla fine di quella furia distruttiva,  perché, nelle intenzioni dei massacratori "sarebbe stato l'unico a salvarsi fino a quando i tutsi non fossero stati sterminati in giro per il Ruanda". 

Andò esattamente così per Charles Habonimana : sopravvisse all'apocalisse e, un quarto di secolo dopo, venticinque anni; ha scritto una Storia del Genocidio in Ruanda. Sono le pagine toccanti di Io l'ultimo tutsi (Plon, con Daniel Le Scornet), che descrive in brevissimi capitoli, con misurata distanza, senza cadere nella facile retorica del vittimismo.
Un racconto in presa diretta  mentre, lo stava vivendo con gli occhi di suo figlio.





Aspettare venticinque anni per raccontare una tragedia

"Ho testimoniato per molti anni, quasi tutti i giorni - spiega Charles Habonimana - attraverso il Gruppo sopravvissuti ai genocidi (Garge) ho viaggiato in tutto il mondo e ho condiviso questa storia per via orale. In Ruanda siamo più cantastorie che scrittori, anche se a inizio anni 2000, ho iniziato a scrivere la mia testimonianza in Kinyarwanda.
Alla fine del 2016, ho incontrato Daniel Le Scornet a Dieucefit in Ardèche, durante una conferenza per studenti di una scuola superiore.
L'idea di scrivere la mia testimonianza in un libro nacque col giorno".






Ricordi indelebili

 

"Tutto quel che accadde in quei cento giorni sono rimasti per sempre stampati nella mia mente. Non ho dimenticato nulla. Né i rumori né le parole o le immagini del genocidio tutsi. La mia storia si concentra sugli eventi dell'aprile 1994".



Sebuhuke, il capo dei massacratori hutu


"Non so darmi una spiegazione del perché, Sebuhuke, ha scelto proprio me. Quella decisione, paradossalmente, mi ha salvato dalla morte.
All'alba, gli assassini, avevano arrestato tutti, compreso io, i miei genitori e i miei sette fratelli e sorelle: prima di condurci nel luogo deputato al nostro calvario.
Esisteva un piano, nazionale o comunale, per mantenere un tutsi vivo? E' dovuto al caso?
Non ho risposte certe se non la decisione fu presa: ero salvo, seppure temporaneamente".






Furia assassina

"Solo il 19 Aprile accade l'indicibile e tutto avviene nel giro di 24 ore. Sindikubwabo quel giorno tenne un discorso a Butare dove incoraggiava a "lavorare" (ossia, nel linguaggio criptico del genocidio quello rappresentava la parola d'ordine per dare il via alla mattanza e al massacro).
Tutti, a quel punto si diedero da fare. I nostri vicini hutu, spaventati a morte da quel discorso, la stessa notte si organizzarono. Ancora oggi non so spiegarmi il perché di quella furia assassina se, a Mayunzwe, oggi come prima del genocidio, mangiamo insieme, balliamo insieme, beviamo insieme nei locali di cabaret".


Trionfo di umanità

Il capo degli assassini Sebuhuku era sposato con due mogli: Florida e Francine. La prima, nutriva un odio smisurato verso i miei confronti e, mentre ero ferito gravemente alla testa, si rifiutò di farmi entrare nella loro casa. Per fortuna e grazie a Dio, c'era anche Francine, suo nonno aveva una qualche ' vicinanza con i tutsi' della nostra regione. Mi aiutò e con grande umanità fece in modo di proteggermi. Quando lei si trova a Kigali viene sempre a visitarmi e così faccio io, se sono a Mayunzwe, non posso fare a meno di andarla a trovare".







Ritrovare, dopo il genocidio, una giovane donna che nel 1994, lo denunciò agli assassini


"Mi ritrovai nella stessa classe al college con quella ragazza, all'epoca del massacro, dodicenne come me; che mi denunciò. Ero in sofferenza nel vedere colei che denunciò la mia famiglia. Mi sentivo strano e pronto a colpirla ma, il suo urlo lancinante, mi ricordò l'urlo di mio padre prima di morire, davanti ai miei occhi... Era  troppo giovane all'epoca del processo al tribunale del Gagaga e io, l'ho menzionata nella mia testimonianza. Oggi è una donna sposata.
Ma in Ruanda, a parte quelli chiamati abarenzi w'igihango (giusti), quelli che hanno protetto i perseguitati, gli hutu evitano di parlare di quel che accadde durante il genocidio".


Riconcillazione

"Inizialmente ero sconvolto. Tra il 2002-2003, la maggior parte degli assassini di Mayunzwe iniziarono a uscire di prigione. A quel punto, ho preferito fuggire dal mio villaggio e tornai solo quattro anni dopo".


Il discorso di Kagame

"Il presidente ruandese rassicura i sopravvissuti, ma io ci ho messo molto tempo per accettare questa politica, che ha permesso a molti assassini di uscire prematuramente dalla prigione e trovare la loro collocazione, il loro posto nella comunità. Oggi abbiamo iniziato a rinnovare i fili della pacifica convivenza, a cominciare dal dialogo tra i figli dei sopravvissuti e quelli degli assassini, quelli dei soldati uccisi in combattimento e quelli nati da uno stupro..."





Anche così è potuta ripartire la rinascita per un nuovo Ruanda, con la speranza che non accada mai più.
(Fonte.:jeuneafrique)
Bob Fabiani
Link
-www.jeuneafrique.com       







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