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domenica 7 aprile 2019

#GenocidioRuanda:Quelle nuove accuse di complicità che macchiano la bandiera francese





La Francia era davvero all'oscuro dei progetti di sterminio in Ruanda? Il dibattito è ancora aperto.

Nel 1994, prima del genocidio, il Ruanda aveva più di sette milioni di abitanti, l'85 per cento di etnia hutu (che aveva ottenuto il potere politico dopo l'indipendenza), il 24 per cento tutsi (l'aristocrazia ai tempi della colanizzazione belga n.d.t) e l'1 per cento twa.
Dall'aprile al lugio di quell'anno furono uccise 800mila persone - in grande maggioranza tutsi, ma anche hutu moderati - in uno dei massacri più rapidi della storia.
Questo non sarebbe stato possibile, scrive David Servenay su Le Monde, senza un'accurata operazione di pianificazione del genocidio, lanciata  almeno due anni prima, dall'Akazu, un piccolo gruppo di estremisti hutu che controllava le leve del potere.

Alcune figure di primo piano di questo gruppo di génocidaires vivono ancora in libertà.  E' il caso di Félicien Kabuga, un uomo d'affari che aveva stretti legami familiari con il presidente Juvénal Habyarimana. Con l'aiuto di persone come Kabuga, l'Akazu riuscì a creare dei sistemi clandestini per accumulare denaro e finanziare da una parte il costoso conflitto contro i ribelli del Fronte popolare ruandese (Fpr), che nel 1990 avevano attaccato l'Uganda, e dall'altra la propaganda genocidaria, nonché l'addestramento e l'equipaggiamento delle milizie hutu interahamwe che, al momento dovuto, avrebbero dovuto mettere in atto lo sterminio. In quegli anni il Ruanda era un paese povero e indebitato, che aveva accettato le politiche d'austerità del Fondo monetario internazionale (Fmi) e dalla Banca mondiale in cambio di aiuti.

Uno dei modi per finanziare il genocidio fu accantonare fondi neri all'interno delle imprese statali. Nella fabbrica di fiammiferi Sorwal, per esempio, fu creato un sistema di doppia contabilità. Il denaro accumulato fu impiegato per coprire i costi dell'addestramento delle milizie e per lanciare la radio Mille collines, il principale veicolo della propagande genocidaria.
Le aziende di Kabuga invece importano enormi quantità di machete dalla Cina: 25 tonnellate nel novembre del 1993 e altri 50mila pezzi nel marzo del 1994.

Gli estremisti hutu ruandesi al governo riuscirono anche a dirottare i fondi dell'Fmi e della Banca mondiale  - destinati a scopi civili, come l'acquisto di nuoive ambulanze o di camion per il ministero dei trasporti - trasferendoli alla difesa. Secondo i calcoli dell'ex senatore belga Pierre Galand, che dopo il genocidio fu incaricato di realizzare uno studio sui conti della Banca nazionale del Ruanda, nel 1992 le spese militari assorbivano il 52 per cento del bilancio stradale.

Acquisti sospetti 


L'inchiesta di Le Monde accusa inoltre banche francesi come la Bnp Paribas di aver permesso, mentre gli stermini erano in corso ed era già in vigore l'embargo sulle armi decretato dall'ONU, alcune transazioni finanziarie, respinte da altre banche, che permisero ai génocidaires di comprare nuove armi. Grazie alla Bnp Paribas, 80 tonnellate di armi provenienti dalle Seychelles sarebbero  state consegnate alle forze hutu a Goma, nella Repubblica Democratica del Congo, vicino al confine ruandese.

Questa si aggiunge a una lunga seriev di accuse rivolte alla Francia, compresa quella di aver usato l'operazione militare Torquoise per far scappare dal paese soldati e miliziani coinvolti nei massacri. Il resoconto di alcuni dispacci diplomatici pubblicato recentemente da Mediapart mette in evidenza che all'inizio degli anni novanta il governo francese era già stato informato dei rischi di "un'eliminazione totale dei tutsi" e della preparazione di un "programma di purificazione etnica". Eppure Parigi continuò a sostenere il governo di Kigali nascondendosi dietro al pretesto che, come molti politici francesi hanno sempre affermato "la Francia era all'oscuro di tutto".
(Fonte:lemonde;mediapart)
Bob Fabiani
Link
-www.lemonde.fr;
-https://www.mediapart.fr  






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