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lunedì 8 aprile 2019

Libia, la "guerra totale" non risparmia i migranti (per ordine di Al-Serraj)





La capitale libica, Tripoli è investita dal ritorno della guerra e appare sfibrata. Stanca di guerra. Mentre le armi tornano a far sentire il loro suono di morte, nessuno è al sicuro né qui a Tripoli né nel resto della Libia.

A Airport Road, la strada che porta al vecchio aeroporto internazionale - chiuso ormai dal lontano 2014 - è lo stesso aeroporto che Haftar tenta di conquistare ma, sopratutto, qui, è situata la sede del bunker del ministro dell'interno, nuovo "uomo forte" di Tripoli, Fathi Bishaga.
E' lui, insieme a Fayez al-Serraj e al vicepresidente di quel governo di Unità nazionale che qui, nessuno riconosce né rispetta; Ahmed Maitig, l'artefice principale della nuova svolta: ribattere e rispondere colpo su colpo, bombardamento dopo bombardamento, consci che il tempo è scaduto e, convinti che non ci sia spazio per alcuna trattativa.





Dopo l'iniziale fase di attesa - che era servita per capire le reali intenzioni di Haftar - , Bishaga ha rotto gli indugi e messo da parte ogni forma di diplomazia, rilasciando parole dure: "Haftar è un fuorilegge, ha violato accordi che aveva preso con noi e la stessa comunità internazionale. Non gli permetteremo di prendere il controllo militare di Tripoli".

La dichiarazione rilasciata dal ministro dell'interno di Al-Serraj non lasciano spazi a dubbi: siamo nel pieno della "resa dei conti", in una "guerra civile" che non si esaurirà velocemente.


Rischi e nuove alleanze

L'escalation del conflitto libico rischia di incendiare tutto il Nordafrica: nel tentativo di stanare le milizie fedeli al maresciallo Haftar, gli uomini di Al-Serraj hanno condotto una di quelle manovre ardite che da sole, potrebbero dare il via a una "guerra allargata", coinvolgendo Algeria e Tunisia. Proprio al confine tunisino c'è la base di Wattiya, distante circa 1.550 chilometri, a Est di Tripoli.
Bombardando questa base, il cosiddetto triumvirato (Serraj-Bishaga-Maitig), ha voluto gettare un guanto di sfida nei confronti di Haftar, l'uomo sempre più forte (e temuto) nell'intera Libia. Del resto, le azioni decise del "Signore della guerra e della Cirenaica", dimostrano che ormai, è lui l'interlocutore scelto da molti, a livello internazionale.

Il maresciallo può contare su un nutrito nucleo di sponsor più o meno dichiaratamente usciti allo scoperto: oltre a quelli di vecchia data, ossia, l'Egitto del dittatore Al-Sisi e alla Francia di Macron (in chiave anti-italiana) bisogna registrare, la Russia di Putin (in chive anti-Ue e anti-Nato), ma c'è un nuovo sponsor che potrebbe cambiare del tutto le carte in tavola e decidere il futuro assetto della Libia.

E' l'Arabia Saudita.

Il nuovo interesse dei sauditi per l'Africa (di cui abbiamo parlato su questo blog, a fine gennaio 2019 n.d.t) riguarda anche la Libia (in chiave anti-cinese e anti-Russia) e potrebbe sconvolgere gli equilibri.

Un primo risultato lo ottiene immediatamente: creare una pericolosa coalizione che dall'Egitto, metta insieme la Francia e gli Stati Uniti (anche se apparentementeessi si ritirano da Tripoli, questa manovra deve essere letta, non come un abbandono ma un "riposizionamento").
Una coalizione a guida saudita: speculare a quella in essere nello Yemen.

Haftar oggi non è più solo l'uomo forte di una parte della Libia, altrimenti, non avrebbe mai attaccato proprio nel giorno in cui, a Tripoli, si trovava il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guiterres.

La Libia insieme al resto dell'Africa torna a essere teatro di una pericolosa "guerra fredda" che, guarda caso, oggi come allora,  è alimentata in chiave "anti-Mosca" ma anche contro la Turchia del "Sultano del Bosforo", al secolo, Erdogan.

L'irrompere dell'Arabia Saudita è un'offensiva a tutto campo che può realizzarsi proprio in nome di Haftar: l'uomo che può rappresentare sia Riad sia Washington e, al tempo stesso, questa coalizione permette agli USA, a guida Trump, di fare un passo laterale a Tripoli e, sempre in chiave "anti-Ankara", essere presenti sempre più incisivamente dalle parti della Somalia e a Mogadisco (laddove sono forti gli interessi economici di Erdogan n.d.t), con il pretesto di sempre, oissia quella "guerra al terrorismo" di matrice islamica radicale e contro la nuova Al Qaeda e anti Al-Shabaab.
Del resto, anche il presidente americano, non ha mai nascosto la sua voglia di combattere contro gli islamisti e, anzi, a più riprese, ha fatto capire di volerli stanare senza andare troppo per il sottile; senza esclusioni di colpi, come stanno a dimostrare i raid americani sempre più frequenti, in questa parte di Africa, lasciando sul selciato, un numero sempre più alto, di vittime civili e innocenti senza per questo doverne rendere conto a nessuno.


Migranti usati come "carne da macello"




  

Al-Serraj ha deciso di giocarsi il tutto per tutto nella resa dei conti con Haftar e, per questa ragione ha ordinato, ai suoi collaboratori di reclutare (contro la loro volontà ... ma evidentemente, per il premier libico, il leader che è riconosciuto a livello internazionale, a cominciare proprio dall'ONU, la vita, di queste persone contano meno di niente) migranti che si trovano nei disumani lager libici.

Sono stati arruolati, con vecchie divise militari libiche tutti i sudanesi e gli eritrei che, in Sudan e in Eritrea svolgevano un lungo, estenuante servizio militare. Sono stati reclutati con la promessa (assai improbabile) di riacquistare la libertà perduta
Ultimo disumano schiaffo per chi èdetenuto illegalmente e, continuamente privato di ogni diritto umano.

Ultimora

Mentre staimo scrivendo questo post, le notizie che arrivano dalla capitale libica sono sempre più drammatiche: infuria la battaglia con raid aerei delle forze di Haftar che bombardano l'aeroporto di Mitiga, uno scalo ancora funzionante a Tripoli e, nella stessa città, ci sono quartieri senza luce elettrica e si segnalano almeno 53 vittime, molti sono i civili che stanno scappando dall'infernale capitale libica.
(Fonte.:theguardian)
Bob Fabiani
Link
Bob Fabiani
-https://www.theguardian.com.uk/africa

   

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