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giovedì 12 settembre 2019

Libia, tra il ricatto dell'acqua e l'incubo di una "guerra su larga scala" (per procura)






Che cosa sta accadendo in Libia? A che punto è la "guerra civile" scatenata dall'uomo forte della Cirenaica, Haftar? E ancora : possiamo ancora chiamarla una guerra civile oppure, in questi ultimi mesi si è trasformata in qualcosa di altro?

A queste domande cercheremo di dare delle risposte in questo focus e, inevitabilmente, andremo a toccare "altre situazioni"; "altre questioni" perché, nonostante, la stanca, piatta copertura degli organi di informazioni italiani e, in generale occidentali; nel frattempo il quadro generale in Libia è mutato in modo drastico.


Il ricatto dell'acqua

"Nel paese del petrolio l'acqua non scorre più", scrivono i reporter del settimanale panafricano Jeune Afrique e proseguono : "Da maggio Tripoli, la capitale libica, ha dovuto affrontare almeno cinque (5) gravi interruzioni della fornitura  idrica. A queste si aggiungono i blackout. Anche se la linea del fronte è a decine di chilometri dal centro della città, che dal 4 aprile subisce l'assedio dell'autoproclamato Esercito nazionale libico comandato da Khalifa Haftar, la guerra per le risorse è entrata nelle case dei suoi abitanti".

E' questa dunque la fotografia della situazione nell'inferno libico.

I disservizi non derivano solo dai combattimenti e dal degrado delle infrastrutture : "A volte togliere l'acqua è un modo per punire gli abitanti di un certo quartiere . E' successo a maggio, quando una milizia affiliata ad Haftar ha chiuso la stazione di pompaggio di Jabal al Hasawna per ottenere la liberazione di un comandante che era stato catturato da un gruppo rivale".




A Tripoli, come altre città costiere, dipende per il 95 per cento dall'acqua pompata nel desertico del paese, dove c'è un vasto bacino sotterraneo. All'epoca del colonnello Muammar Gheddafi fu costruito un sistema di canali, chiamato Grande fiume artificiale, per portare l'acqua in tutto il paese. Il governo di accordo nazionale di Fayez al Serraj accusa Haftar, che controlla buona parte del Sud della Libia, di chiudere le condotte a suo piacimento, aggravando la crisi umanitaria nella capitale.


Bilancio di una geurra disumana : oltre mille morti e 120mila sfollati

"Sono cinque mesi da quando il generale Haftar ha lanciato la sua offensiva per prendere il controllo Tripoli, interrompendo un processo politico attivo e promettente e riportando la Libia in un rinnovato conflitto".

Sono le schiette e dure parole spese, dall'inviato ONU in Libia, Ghassan Salamè che, intervenendo in una conferenza di qualche giorno fa, ha fatto il punto della situazione nel paese Nordafricano in una riunione del Consiglio di sicurezza.  "Dal 4 aprile il conflitto si è diffuso con un pesante tributo di civili e combattenti. A oggi, i civili uccisi sono oltre 100 (in totale arrivano a mille) e i feriti sono almeno 300, mentre 120mila sono gli sfollati" ha ribadito Salamè.

Tutti convergono su un punto : la "Crisi libica" è il dossier che la riguarda è di difficile interpretazione e, sopratutto, a oggi, nessuno dei protagonisti sa trovare la chiave di volta per risolverlo. E mano a mano che passa il tempo c'è il rischio che si allarghi sempre più, finendo per somigliare, in modo inquietante allo "schema -  Siria".

A riprova che questa è la situazione c'è il punto di vista dell'ambasciatore russo all'ONU, Vassily Nebenzia "il dossier libico è molto difficile, più di quello siriano. La Libia è come un bicchiere rotto, raccogliere i pezzi e rimetterli insieme è complicato".





Dossier Libia

Mentre dalle parti di Roma le Istituzioni della Repubblica italiana erano tutte concentrate sulla crisi di governo, qualcuno in  Europa, ha capito che la situazione della "Crisi della Libia" deve essere risolta prima che diventi qualcosa di incontrollabile. Sia in Africa sia in Europa.

Ma non è solo un problema di migrazioni la catastrofica situazione del paese Nordafricano ha tutte le caratteristiche, ormai, di un conflitto sul larga scala. Una "guerra per procura" che ha diversi protagonisti.

A questo punto in Europa hanno capito che il "dossier - Libia" non può più attendere dato che, appunto, il conflitto si sta rapidamente tramutando in una nuova guerra per procura tra potenze estere - principalmente Turchia da una parte e Emirati dall'altra - : e va prendendo una forma, drammaticamente simile alla Siria.

Ora è arrivato il tempo della Germania : dopo il clamoroso e fragoroso fallimento di Italia e Francia, dalle parti di Berlino, hanno pensato bene di provare a mettere in piedi una "conferenza di pace" per bloccare la catastrofe di una guerra cruenta e disumana.

Non più tardi di ieri, la cancelliera Merkel, in un intervento al Bunsestag, la Camera bassa, pronunciando un articolato discorso di poltica estera dove, il punto e il nodo centrale, è stato l'annuncio dell'impegno della Germania in prima fila per stabilizzare la Libia.

"In Libia c'è la minaccia di una nuova guerra per procura come in Siria. ... E' indispensabile che facciamo di tutto per assicurarci che la Libia non si trasformi in una guerra per procura e la Germania farà la sua parte. L'intera regione africana potrebbe essere destabilizzata se la Libia non sarà stabilizzata".

In questa vera e propria impresa, tuttavia, dalle parti di Berlino possono contare su un vero e proprio asso della manica : i rapporti stretti che la Germania può vantare sia con la Turchia - che arma e appoggia Serraj - sia con l'Egitto del dittatore Al Sisi, che sostiene il generale Haftar.






Con queste premesse è impossibile prevedere cosa accrdrà : sicuramente a Berlino hanno capito che bisogna mettere ordine dalle parti di Tripoli ma, gli strumenti con i quali si vuole raggiungere tale obiettivo non promette nella di buono per lo stremato popolo libico, stanco di guerra.

Eppure, qualche giorno prima della presa di posizione tedesca dall'altra parte del mondo, la vera e unica superpotenza a livello globale, aveva provveduto a presentare un articolato "piano di investimenti per la Libia" all'ONU. Firmato, Cina.


La primessa di Pechino sulla Libia : "Contribuiremo a risolvere il conflitto"

A soprpresa sullo scacchiere affollato del dramma libico fa irruzione la Cina. A Pechino hanno studiato ad arte il momento migliore per prendersi la scena, sullo scenario, piuttosto in stallo della guerra che sta "rapidamente deteriorando le condizioni di vita dei libici e sopratutto dei più vulnerabili, i migranti" - come ha riferito alle Nazioni Unite, l'inviato Ghassan Salamè - dopo cinque mesi e più di combattimenti con oltre mille morti, di cui cento sono civili.

L'irrompere sulla "Crisi in Libia" della Cina può cambiare le carte in tavola : Pechino, è il più grande importatore di petrolio al mondo e con interessi crescenti in Africa. Nasce da qui l'idea cinese di consegnare un dettagliato dossier sulla Libia. Nel presentarlo all'ONU, i cinesi si sono fatti promotori di un "processo per contribuire al processo di risoluzione politica del conflitto e alla stabilizzazione del paese" a cominciare da un rispetto rigido dell'embargo di armi.

In un colpo solo, Pechino diventa il più convinto alleato di Salamè che, invano, ha cercato di chiedere aiuto alle potenze regionali che, a turno, hanno fallito miseramente impegnate come erano a farsi, a loro volta, una "guerra senza quartiere" sul piano diplomatico.

Che cosa propone la Cina?

Nel piatto della pace, Pechino, è pronta a mettere non solo un aumento delle importazioni di petrolio - prospettando un 2.1 milardi di barili entro il 2023 - ma anche investimenti e posti di lavoro (anche per i migranti n.d.r) per ristrutturare e modernizzare le infrastrutture e modernizzare le infrastrutture e i trasporti libici, attualmente al collasso.

Non è la prima volta che la Cina è presente a Tripoli : ai tempi di Gheddafi aveva un giro d'affari pari a 20 miliardi di dollari di progetti con 75 società cinesi coinvolte e 36 mila dipendenti forse è anche per questo che, nel 2011 si astenne dall'intervento Nato per far fuori il colonnello. Fino all'estate scorsa anche Pechino appoggiava e sosteneva Serraj a questo punto però, pur di tentare di evitare un disastro dificile da classificare, la Cina potrebbe dar man forte all'Europa e alla stessa Italia in un quadro di multilateralismo.




Certo a Roma però il governo deve capire che il tempo è scaduto e non si può continuare solo a restare schiacciati sull'ossessione dei migranti, arrivati a questo punto bisogna avere il coraggio di riprendere la complessa materia della "politica estera" e magari sfruttare la collaborazione della Cina per non perdere l'occasione di restare un interlocutore autorevole e credibile : magari andando anche oltre del solito impegno italiano; impegno che vede i militari attivi con l'ospedale di stanza a Misurata per poi sperare di avere una corsia preferenziale per le risorse energetiche.
(Fonte.:jeuneafrique;alwasat;alaraby;libyatimes;ilfattoquotidiano;ilmanifesto;repubblica;internazionale)
Bob Fabiani
Link
-https://www.jeuneafrique.com;
-en.alwasat.ly;
-https://www.alaraby.co.uk/english;
-https://www.libyatimes.net;
-https://www.ilfattoquotidiano.it;
-www.ilmanifesto.it;
-www.repubblica.it;
-www.internazionale.it
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