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lunedì 23 settembre 2019

"Ora basta,Sisi": Il ritorno della rabbia popolare a #PiazzaTahrir






Nella notte tra venerdì e sabato - a poche ore dalla partenza di Al-Sisi per partecipare all'Assemblea generale ONU a New York - è accaduto qualcosa di imponderabile in tutto l'Egitto.
Migliaia di persone sono scese in strada in diverse città del paese per protestare contro il presidente-dittatore.

Quello che è accaduto durante questo fine settimane era qualcoisa di inedito, almeno a partire dal doloroso colpo di stato del luglio 2013. Da quel giorno, l'esercito aveva imposto nuovamente il pugno di ferro, vietando qualsiasi tipo di manifestazione.

"Il muro della paura si è infranto di nuovo", questo è il commento dei molti manifestanti tornati in piazza a sorpresa.

Ma cosa realmente sta accadendo ora in Egitto? E cosa significa tornare a Piazza Tahrir?

"Sisi vattene!", "Noi non ce ne andiamo, al-Sisi deve andare", sono alcuni degli slogan che sono stati diffusi sui social media del paese africano.

Ma è tornato anche lo slogan classico "Il popolo vuole abbattere il regime", ossia, il simbolo dell'insurrezione di quello storico gennaio 2011 e della memorabile stagione delle rivolte arabe è tornato a risuonare, in modo vibrante, nelle strade del paese.

Le proteste hanno coinvolto varie zone del Cairo, compresa, appunto, Piazza Tahrir, ma anche Alessandria e le città operaie di Mahalla al-Kubra : epicentro di lotte sociali dal lontano 2007; Suez e Damietta dove, i manifestanti, esasperati dal regime di Al Sisi, hanno abbattuto un cartellone con il volto del presidente-dittatore.

Naturalmente la repressione è subito scattata da parte dei militari : le notizie che circolavano immediatamente sia nel cuore della paizza ribelle e nelle altre città parlavano di attacchi repentini (da parte delle forze militari e della polizia) a base di lacrimogeni non appena i numeri dei manifestanti iniziavano a crescere.

Diverse forze della sicurezza egiziana hanno iniziato a presidiare strade e piazze del Cairo e nelle altre città sia quelle insorte sia nelle altre. La scena era sempre la stessa : i militari sparavano lacrimogeni e poi, immediatamente dopo, provvedevano ai solti arresti di massa.

Si parla di decine e centinaia arresti.

Secondo dati raccolti da avvocati e centri per i diritti umani e immediatamente diffusi nella sarata di sabato, diffusi poi anche dal portale indipendente MadaMasr, ci sarebbero stati tra i 200 e i 300 arresti al Cairo, tra i 50 e i 100 ad Alessandria e, infine, un centinaio a Suez mentre nulla si sa della provincia di Gharbeya, dove si trova Mahalla.

Cosa ha fatto divampare la nuova scintilla della protetsta del popolo egiziano? 


La scintilla (che covava sotterranea da molto tempo) è divampata grazie a una oscura 'gola profonda' che nelle ultime settimane ha saputo riaccendere l'indignazione popolare svelando (con una serie di video pubblicati online) alcuni scandali che coinvolgono direttamente Al-Sisi e la cerchia militare (ai più alti livelli) a lui vicina.

L'accusa è pesante : milioni di dollari di denaro pubblico spesi per costruire palazzi presidenziali.

L'autore dei video è Mohammed Ali, 43 anni, costruttore, aspirante attore : per più di 15 anni ha ricevuto commesse e appalti dall'esercito. Di punto in bianco, ha smesso di essere pagato e, a quel punto, è passato al contrattacco. Prima però è esiliato in Spagna, a Barcellona e da qui di parlare.


La testimonianza di Bahey el-Din Hassan

"I viodeo di Mohammed Ali si sono diffusi in modo rapidissimo, riflettendo la portata della rabbia popolare contro al-Sisi e le sue politiche, sopratutto per quanto riguarda la povertà - spiega Bahey el-Din Hassan direttore del Cairo Institute for Human Rights Studies - Tutti sanno che las corruzione è dilagante ma qui viene accusato direttamente il presidente e la sua famiglia".

Un argomento molto sentito dalla cittadinanza : del resto i privilegi di Al-Sisi come dei militari sono uno schiaffo diretto e in faccia al 60% degli egiziani ridotti in povertà.

I video sono circolati sui social : Facebook e Whatsapp suscitando forte scalpore.

"Dimissioni o scendiamo in piazza" è stato l'hashtag lanciato in poche ore diventato primo in Egitto e chiamando tutti gli egiziani a scendere in piazza per manifestare in massa. Come poi è accaduto venerdì.

"Non possono arrestare un intero popolo", ha tuonato Mohammed Ali nei suoi ultimi video dove ha anche esortato Al-Sisi a lasciare la poltrona.

Mobilitazione popolare

Stavolta la mobilitazione è stata molto più partecipata : non solo gli attivisti ma è la gente comune a essere uscita di casa per far sentire la sua voce. E' indubbio che nell'opposizione egiziana si staiano vivendo ore d'entusiasmo tuttavia, bisognerà usare molto cautela.
Nessuno in Egitto, può ignorare il fatto che la piazza è un rischio che può costare sacrifici se poi, non esiste un vero movimento e un chiaro progetto politico.

"Non sappiamo esattamente cosa stia succedendo", scrivevano sabato sera i Socialisti Rivoluzionari addirittura prima che divampassero le proteste tuttavia riconoscono che la "pressione sociale è ai massimi".

Ora il compito degli attivisti è "sfruttare questo momento  e ampliare uno spazio da cui poter ricominciare a fare lotta politica".

Il punto di vista di Mustafa Bassiouny

"Le dimensioni reali di questa rabbia sono molto più grandi anche delle manifestazioni di venerdi e sabato", scrive Mostafa Bassiouny, giornalista e militante di sinistra.

Ma allora come interpretare quanto avviene in Egitto? Cosa sta accadendo per esempio dentro il regime dopo il ricatto di Ali?

Bisognerà capire cosa farà Al-Sisi al ritorno da New York e quello accadrà nei prossimi giorni al Cairo e al resto dell'Egitto.
E' in atto un conflitto interno al regime e sta avvenendo pressoché in modo continuo e Al-Sisi non ha interesse alla stabilità del paese.

Tuttavia, appare chiaro che Mohammed Ali  è in contatto con chi si ritrova all'opposizione di Al-Sisi ma sempre dentro agli apparati dell'esercito di sicurezza per cui bisogna ben distinguere da quanto accadde nel gennaio 2011.

Sullo sfondo esiste anche un altr fattore del tutto inquuietante per il popolo egiziano : qualunque saranno le implicazioni su ciò che sta accadendo non potranno essere limitate solo all'Egitto, al contrario porteranno ripercussioni su Europa, Medio Oriente e quindi in Nord Africa.

Probabilmente seguiranno altri "Venerdì della rabbia" nelle prossime settimane - un pò come è accaduto in Algeria - ma non si può escludere che siano in atto manovre di palazzo.
Tuttavia, nessuno può discutere sul fatto che ciò che accade in Egitto non sia una mobilitazione popolare genuina - dai nuimeri modesti -  come però, non si può non riconoscere che siamo di fronte a uno scontro (senza esclusioni di colpi?) tra pezzi dello Stato.
(Fonte.:jeuneafrique;ilmanifesto)
Bob Fabiani
Link
-www.jeuneafrique.com;
-www.ilmanifesto.it   

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