TAG - AfricaLand Storie e Culture africane

AFRICA - Anc - DIASPORA - Segregazione razziale - - DIRITTI UMANI - migrazioni - TORTURE - RAZZISMO - Lotte anti-Apartheid - AFRIKANER - Afroamerican - LIBIA - lager libici - Libertà - Rwanda - genocidio rwandese - Namibia - genocidio dimenticato - Donald Trump - trumpismo - NELSON MANDELA - APARTHEID - SUD AFRICA - THOMAS SANKARA - Burkina Faso - rivoluzione burkinabé - STEVE BIKO - MARTIN LUTHER KING - i have a dream - slavers 2017-2018 - schiavitù - SCRITTORI D'AFRICA - Negritudine - PANAFRICANISMO - AFROBEAT - FELA KUTI - NIGERIA - BLACK MUSIC - BLACK POWER - BLACK LIVES MATTER - SELMA - Burundi - referendum costituzionale - Pierre Nkurunziza - presidente onnipotente - Madagascar - Place du 13 Mai - Antananarivo - Madagascar crisis - Tana Riot -Free Wael Abbas - Egitto- Piazza Tahir- Rivoluzione2011- Al Sisi - Italia - Esecutivo Giallo-Verde - osservatorio-permanente - Storie-di-Senza-Diritti-Umani - Barack Obama - Obama Years- Dakar2021 - World Water Forum - ChinAfrica - Brics - ambiente - Climate Change - FOTO DEL GIORNO - REGGAE -#mdg2018 - #MadagascarDecide - 'AL DI LA' DI OGNI RAGIONEVOLE DUBBIO' - IL ROMANZO - #GiletsJaunes - Afroitalian - Walter Rodney - Brexit - Coronavirus - #LEDITORIALE - News For Africa - I Can't Breathe - #USA2020

mercoledì 8 aprile 2020

Sudan Uprising, un anno dopo: storia e caduta di un dittatore. Pt.1







L'11 aprile 2019 cadeva il dittatore Omar al Bashir dopo una dittatura durata 30 anni grazie alla tenace rivolta del popolo sudanese che aspirava al cambiamento radicale del Sudan.
Un anno dopo cosa sta succedendo nel paese africano? E come sta procedendo la transizione del governo tra civili e militari?

In questo reportage cercheremo di dare risposte a questi quesiti.
(Bob Fabiani)


-Caduta di un dittatore


A un anno dalla rivoluzione sudanese, gli spiriti dei morti infestano la capitale. Dopo il drammatico rovesciamento del ptresidente Omar al Bashir nellìaprile 2019 e il successivo, violento sgombero del principale luogo di ritrovo dei manifestanti a Khartoum, sulla città è calata un'inquietante normalità. I luoghi dello spargimento di sangue hanno un'apparenza ordinaria.

Sopravvivono alcuni pezzi di nurales e delle scritte di protesta, ma tutto il resto è stato ridipinto o è sbiadito. La brezza, che fino a qualche mese fa diffondeva gli slogan dei manifestanti e i lamenti dei funerali, ora trasporta le note di un canto nuziale.

Tutto questo è disorientante.

La rivoluzione era cominciata alla fine del 2018, quando la crisi economica aveva portato a lunghe file per rifornirsi di carburante, a forti limiti sui prelievi di contante e alla goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso : l'aumento del prezzo del pane. All'inizio del 2019 le proteste, che si erano diffuse in tutto il paese, avevano trovato un centro nell'enorme sit - in formato davanti al quartier generale delle forze armate. I tentativi di reprimere la rivolta con la forza erano riusciti solo a infiammarla ancora di più.

Quando le forze di sicurezza di Al Bashir avevano sparato contro i manifestanti uccidendone molti, le persone non avevano ceduto ed erano rimaste in strade. A quel punto era chiaro che c'erano solo due alternative : il massacro o la caduta di Al Bashir.

L'11 aprile il regime ha ceduto.

Al Bashir era sempre stato molto abile a fare continui rimpasti all'interno della sua cerchia ristretta per renderla il più possibile stabile. I suoi collaboratori l'avevano sostenuto durante la spietata guerra civile nella regione del Darfur e in quella contro la secessione del Sud Sudan, e quando era stato incriminato dalla Corte penale internazionale (Cpi) per crimini di guerra e contro l'umanità. Ma di fronte all'ampliarsi della protesta, lo hanno abbandonato. E' stato per istinto di sopravvivenza più che per patriottismo.
La speranza era di calmare i manifestanti e conservare la struttura di potere per portare avanti il "bashirismo" senza Al Bashir. Ma ben presto è stato evidente che il popolo sudanese non avrebbe tollerato un altro regime militare o paramilitare.

Dopo il violento sgombero del  sit - in, i militari hanno accettato di formare un governo di transizione insieme a esponenti della società civile e di organizzare nuove elezioni entro la fine del 2022.

I periodi successivi a una rivoluzione sono spazi strani : il senso di perdita si mescola al sollievo e a un'esitante esplorazione della nuova libertà. La cosa più sconvolgente è il sentimento di giustizia negata. I morti e i dispersi si contano a migliaia, ma quando un paese passa da un regime autoritario a una fase di transizione, a dettare le priorità è un pragmatismo brutale.
Al primo posto c'è la stabilità, la tenuta del centro. L'economia va sostenuta e bisogna fermare l'inflazione. I conti non si possono ancora saldare, l'atmosfera è ancora troppo febbrile. Così chi ha rischiato la vita per protestare è costretto ad accettare una forma di pacificazione. Ma tornare alla normalità, mentre chi ha stuprato e ucciso i manifestanti, gettandone i cadaveri nel Nilo, è ancora al suo posto, ha il sapore di una resa.

La puzza di complicità è ovunque.

Ma non è una novità. L'incredibile durata del regime di Al Bashir non è solo una storia di dittatura e oppressione, è anche una storia di complicità. Di aiuti e connivenze della borghesia, dei ricchi, di chi appartiene ai gruppi etnici privilegiati.


- Gli anni della dittatura (testimonianza di Nesrine Malik) 









Nel 1989 il governo civile del Sudan, eletto dai cittadini ma drammaticamente incompetente, fu rovesciato da un golpe guidato dal generale Omar al Bashir. Il colpo di stato era appoggiato da Hassan al Turabi, leader del Fronte nazionale islamico (Fni), un partito di intellettuali e attivisti scaltri che da tempo cercavano di salire sul carro dei militari per arrivare al potere. Il primo bersaglio del nuovo regime furno le classi medie : vennero presi di mira ed epurati colletti bianchi, leader dei sindacati e della società civile, e perfino esponenti delle gerarchie militari.

Per il Sudan furono anni di tortura.

"All'epoca andavo alle scuole medie - racconta Nesrine Malik - a Khartoum e fuio costretta a crescere molto in fretta. Le telefonate nel cuore della notte significavano l'arresto di un familiare. I farmaci salvavita venivano recapitati a parenti e amici in carcere, ma a volte tornavano indietro se l'agente di turno non cedeva alle suppliche o alla tentazione di una bustarella. Fu approvata una legge che prevedeva la pena capitale per chiunque avesse danaro straniero. Sei mesi dopo il colpo di stato tre giovani trovati in possesso di dollari statunitensi furono condannati a morte, un fatto che sconvolse il paese e lo ridusse alla sottomissione. Il giorno dopo la conferma di una delle esecuzioni, un bambino della mia scuola scoppiò a piangere istericamente durante il raduno generale del mattino e dovettero portarlo via. A bassa voce gli insegnanti dicevano che era un parente del condannato.
Nel 1990 un controgolpe fallito costò altre vite, perché tutti gli ufficiali ribelli furono uccisi. Tra loro c'era un cugino di mio padre".

Il governo aveva dato al suo colpo di stato il nome idealistico di rivoluzione della salvezza ma poi seguì una campagna spietata, ribattezzata al tamkin, il consolidamento.

Le organizzazioni della società civile furono sistematicamente smantellate e chiunque si opponeva ideologicamente al nuovo governo fu allontanato. Molti posti di lavoro scomparvero perché perché alcune istituzioni furono chiuse o perrché il personale in servizio fu sostituito da lealisti incompetenti. Le banche si svuotarono, le facoltà universitarie persero i docenti, chi aveva fatto ricorso in appello si presentava in tribunale senza sapere che nel frattempo il suo avvocato era stato arrestato. Le accuse erano sempre vaghe e arbitrarie, e tutte rimandavano al fatto di non appartenere al popolo fedele al governo, di non essere un militante del Fronte nazionale islamico o di non avere amici nel partito.


-Le case fantasma


Sono pochi i sudanesi che hanno vissuto quegli anni e non hanno una storia di violenze da raccontare. C'erano le "case fantasma", edifici di zone residenziali destinati alla tortura e alle minaccie.

"Il discendente di una famiglia di giuristi  - spiega Nesrine Malik - mi ha raccontato che decise di rifiutare un invito del governo a una conferenza, perché partecipare sarebbe stato come giurare fedeltà. Dopo il suo rifiuto fu trascinato via dal suo studio e portato in una casa fantasma per settimane. Per tutta la prigionia gli furono sottratti i farmaci per il ndiabete e perse metà del suo peso. Negli intervalli tra le immersioni nell'acqua gelata gli venivano date da mangiare solo fave lesse. Quando le guardie erano scontente, rovesciavano le fave per terra e gli legavano le mani dietro la schiena costringendolo a mangiare dal pavimento. Qualche giorno dopo essere stato rilasciato chiuse lo studio legale. Il messaggio era chiaro : nessuno poteva vivere in pace senza sottomettersi ad Al Bashir".

Chi potè lasciò il paese.
*Nesrine Malik è una scrittrice ed editorialista. Scrive per The Guardian
- Fine Prima parte -  
(Fonte prospectmagazine)
Bob Fabiani
Link
-www.prospectivemagazine.co.uk

Nessun commento:

Posta un commento