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lunedì 27 aprile 2020

L'egoismo dei paesi ricchi condanno l'Africa a piani strutturali 'lacrima e sangue' a causa della pandemia






Che fine hanno fatto i buoni propositi dei leader dei paesi più ricchi di aiutare l'Africa al tempo del Covid-19 e di cancellare i debiti del Continente?
Erano parole al vento. Macron aveva parlato di cancellazione per aiutare gli Stati africani deboli ad affrontare l'emergenza, come del resto chiedono Ong e associazioni. Probabilmente erano solo buone intenzione che non si sono tradotte in pratica, sopratutto con la marcia indietro dell'inquilino dell'Eliseo, si è capito che non ci sarà nessuna cancellazione: "Solo una sospensione".

-Dati allarmanti

In Africa il virus è arrivato in 54 paesi praticamente l'intero continente: l'ultimo dato, aggiornato al 27 aprile 2020 parla di 31,000 casi di contagio mentre i decessi sono 1,400. I paesi più colpiti sono Sudafrica, Egitto, Marocco, Algeria, Camerun e Ghana seguite da Nigeria, Costa d'Avorio e Gibuti. Tuttavia, la situazione è allarmante con il picco previsto per giugno, i governi sono impegnati a trovare un modo per farsi carico dei malati.
Sullo sfondo però si addensano nuvole grige: per molte nazioni africane si preparano anni di piani strutturali "lacrime e sangue".

-L'Africa in crisi e la pandemia del debito con i paesi forti

Nel "discorso ai francesi" del 13 aprile, Emmanuel Macron ha pronunciato questa frase "Dobbiamo aiutare i nostri vicini d'Africa sul piano economico cancellando in modo massiccio i loro debiti". Poi, in un'intervista alla radio Rfi, ha fatto marcia indietro e parlato solo di moratoria: "Il G20 deve agire a favore di una moratoria di debiti dell'Africa - ha detto Macron -. Moratoria che, per la prima volta, implichi anche i membri del club di Parigi, la Cina, la Russia, le economie del Golfo e i principali donatori multilaterali".
Il presidente francese non è stato il primo a sollevare la questione del debito dei paesi in via di sviluppo. Nelle ultime settimane ha anzi rappresentato una delle principali preoccupazioni per gli Stati interessati, gli economisti e le Ong, per il Fondo monetario internazionale (Fmi) e la Banca mondiale. Più di 200 organizzazioni nel mondo hanno chiesto di "cancellare tutti i pagamenti del debito estero nel 2020" per aiutare i paesi in via di sviluppo nella crisi del Covid-19.

In Africa il virus è stato identificato in 54 paesi su 55 e la sfida è immensa. Molti di questi paesi sono già economicamente in crisi, poiché risentono degli effetti del calo dei prezzi e del volume delle esportazioni di materie prime. Il prezzo del cacao è sceso del 12% quello del cotone del 22%, quello del rame del 21%.
Il crollo dei prezzi del petrolio, più del 50%, è un grave colpo per i paesi produttori. Le risorse legate al turismo precipitano. Il continente subisce anche i danni dei flussi in uscita di capitali. I numeri sono senza precedenti: gli investitori hanno già ritirato 83 miliardi di dollari dai paesi emergenti per riportarli nei paesi ricchi. "Questa pandemia avrà ripercussioni economiche notevoli in Africa subsahariana", prevede il Fmi. Stando ai calcoli della società di consulenza strategica americana McKinsey, la crescita del Pil del continente potrebbe perdere da 3 a 8 punti percentuali.
Secondo la Commissione dell'Unione Africana (AU), circa 20 milioni di posti di lavoro sono a rischio. Per mitigare lo shock, la Nigeria e l'Etiopia hanno iniettato denaro nelle loro economie. Altri paesi, come il Burkina Faso e la Costa d'Avorio, hanno rinviato gli oneri fiscali delle imprese. La Tunisia ha sospeso il pagamento dei crediti bancari per le famiglie più modeste e creato un fondo di sostegno alle aziende. Ma il margine di manovra per alcuni paesi è minimo. Il Benin ha già comunicato di non avere le risorse per gestire un lockdown né il dopo crisi. "Non avendo la sovranità monetaria, molti stati africani non possono scavare nel loro deficit come fanno i paesi ricchi - osserva l'economista senegalese Ndongo Samba Sylla - Devono quindi rivedere il proprio bilancio e sperare nei prestiti della comunità internazionale". Di qui i numerosi appelli a sospendere i pagamenti ai creditori. E' l'opzioni "più immediata per permettere ai paesi africani di conservare loquidità", ha detto Tim Jones della British Jubilee Debt Campaign. Il debito incide pesantemente sui bilanci nazionali: negli ultimi anni diversi paesi hanno contratto debiti importanti, e a volte in modo incauto, in particolare emettendo degli "eurobond". Il debito in Africa subsahariana è passato da 236 miliardi di dollari nel 2008 a 583 miliardi nel 2018, secondo la Banca mondiale. Il debito pubblico medio è cresciuto dal 40% al 59% del Pil. Per alcuni Stati i pagamenti a servizio del debito rappresentano più del 25% dei rispettivi introiti (42% per l'Angola, 39,1% per il Ghana).
La grande maggioranza dei paesi spende più per il debito che per la sanità. Il Camerun, per esempio, spende il 23,8% delle sue entrate a servizio del debito e 6,9% per la sanità, secondo Jubilee Debt Campaign. Quest'anno il continente dovrebbe pagare 44 miliardi di dollari di interessi ai suoi creditori esteri. "I partner per lo sviluppo dovranno prendere in considerazione un alleggerimento del debito e una sospensione dei pagamenti degli interessi su un periodo da due a tre anni", hanno affermato i ministri delle finanze africani, per i quali serve un piano di rilancio da 100 miliardi di euro, di cui 44 miliardi per la riduzione del debito. Il loro appello è sostenuto dalla Conferenza delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo (Unctad) che chiede "il gelo immediato dei pagamenti del debito sovrano" dei paesi in via di sviluppo.
"La cancellazione del debito senza condizioni sarebbe la soluzione ideale. Ma i creditori si opporranno", afferma Ndongo Samba Sylla.

Il debito dell'Africa è attualmente detenuto per circa il 35% da istituzioni multilaterali come il Fmi, per il 20% dalla Cina e per il 32% da privati, tra cui banche, società di commercio di materie prime e società di gestione degli attivi. Nel 2018, il 55% dei pagamenti di interessi esterni era dovuto a creditori privati, il 28% ai bilaterali e il 17% ai multilaterali, secondo lo Jubilee Debt Compaign. Negli anni '90 e 2000 la situazione era diversa, poiché il debito era principalmente pubblico e dovuto ai paesi occidentali e alle istituzioni finanziarie internazionali. "Date le difficoltà dei paesi  più avanzati e del profilo diverso dei creditori degli ultimi 10 anni, è improbabile che i creditori privati rinuncino a recuperare i loro crediti. La priorità degli occidentali  - analizza l'economista camerunense Eugène Nyambal, ex dirigente del Fmi - è proteggere le loro istituzioni finanziarie, i loro mercati finanziari, il settore privato".
La cancellazione del debito appare appare difficile da realizzare per la Banca Mondiale, che ha accesso ai mercati finanziari. Ecco perché la moratoria sul pagamento del debito pubblico estero appare a questo stadio la soluzione più probabile. I paesi del G20 potrebbero annunciare un accordo in questo senso nelle prossime ore (l'accordo "per una sospensione temporanea dei pagamenti a servizio del debito per i paesi più poveri", è stato del resto siglato il 15 aprile scorso dai ministri delle finanze del G20, a cui ha aderito il Club di Parigi. Il G20 ha invitato a partecipare a questa operazione anche altri creditori privati. Lo stop dei pagamenti inizierà il primo maggio e riguarda 76 paesi, di cui 40 dell'Africa subsaharia, n.d.t).





Non essendo disposti a cancellare i debiti, il Fmi e la Banca mondiale hanno scelto la stessa soluzione e lanciato un appello il 25 marzo a "tutti i creditori bilaterali ufficiali di sospendere i rimborsi del debito reclamati" ai paesi a basso reddito "che chiedono una proroga". Il Fmi ha potenziato un fondo fiduciario che dovrebbe consentire agli Stati più poveri di rimborsare parte dei loro debiti. Un fondo che non è costituito a partire dal suo capitale, ma è alimentato dai doni dei paesi ricchi. Il denaro che il Fmi ha raccolto negli ultimi giorni per alimentare quel fondo gli ha permesso di annunciare il 13 aprile, in pompa magna, la concessione a 25 paesi, di cui 19 africani, di uno sgravio del debito per 6 mesi per un totale di 215 milioni di dollari. Una misura che di fatto non gli costa nulla e che è stata ritenuta insufficiente dalle Ong e dagli economisti. "Il Fmi ha riserve per 27 miliardi di dollari e 135 miliardi di dollari in oro. Può permettersi di annullare altri debiti ed è il momento di farlo", ha insistito la Jubilee Debt Compaign.

Per compilare la lista dei 25 paesi beneficiari, il Fmi si è basato esclusivamente sul reddito lordo pro capite e non sulla vulnerabilità del debito, né sull'esposizione a shock esogeni come il calo dei prezzi delle materie prime. D'altro canto le istituzioni finanziarie internazionali spalancano le porte a nuovi prestiti. Il Fmi ha messo a disposizione 50 miliardi di dollari per i paesi a basso reddito e paesi emergenti. Da qualche giorno ha moltiplicato le erogazioni: ha già concesso  prestiti a Gabon, Ghana, Madagascar, Ruanda, Senegal, Tunisia, Togo. I beneficiari sono tenuti a attuare delle riforme per "favorire la ripresa", ha avvertito la Banca mondiale, confermando la sua vocazione liberale. "Il Fmi e la Banca mondiale stanno aumentando il volume del debito", denuncia Eugène Nyambal. Ciò non deve sorprendere: "Prima della crisi finanziaria del 2008, che ha contribuito a ripristinare la salute finanziaria del Fmi, l'istituzione ha vissuto una crisi senza precedenti quando i paesi emergenti, invece di rivolgersi a lei, hanno contratto prestiti sui mercati finanziari. Ne era seguita una perdita di profitti importante per il Fmi, che fu costretto a licenziare un centinaio di persone. Da allora, il Fondo monetario internazionale ha modificato i suoi strumenti per massimizzare il suo volume di prestiti, anche tra i paesi più poveri. E' pronto a qualsiasi mossa pur di garantirsi un volume di crediti sufficienti ad assicurarsi, con gli interessi, benefici tali da coprire le sue spese di funzionamento per i prossimi vent'anni".
L'economista confronta l'ammontare della cancellazione del debito annunciata il 13 aprile dal Fmi per 25 paesi, cioè 215 milioni di dollari (8,6 milioni in media a paese), con quello del "credito d'emergenza" concesso lo stesso giorno al Senegal, 442 milioni di dollari che vanno incrementare il debito già elevato del paese. Nyambal teme che la priorità attuale, quella di ridurre il debito dei paesi poveri, venga occultata da questo tipo di annunci clamorosi.
Per molti paesi africani e non solo si prepara dunque un futuro di debiti e di piani strutturati lacrime e sangue. Eppure un'alternativa per evitare loro di scavare ancora di più il debito e di ritrovarsi ancora più prigionieri del Fmi esiste: riorganizzare la spesa pubblica e il portafoglio dei debiti già esistenti con i principali finanziatori, per poter riorientare i crediti sulla priorità attuale, la lotta contro il Covid-19.
(Fonte.:mediapart)
Bob Fabiani
Link
-www.mediapart.fr      

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