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mercoledì 22 aprile 2020

L'Africa schiacciata dalla pandemia e dal "contagio cinese"






Nel giorno in cui si celebra il 50° anniversario della Giornata mondiale della Terra, l'Africa, si interroga quale futuro avrà di fronte dopo la drammatica epidemia da coronavirus.
La situazione è in continuo e costante peggioramento: i casi di contagio sono arrivati a 24,137 e i decessi 1,171. Il continente rischia di pagare un conto molto salato. Nel 2019 il numero delle persone uscite dalla povertà era aumentato: l'epidemia rischia di vanificare tutto.
Come se tutto questo non bastasse, Pechino - il principale partner commerciale - sta annullando gli ordini delle materie prime. In tutta l'Africa iniziano a scarseggiare i prodotti "made in China" che sostengono il piccolo ma fondamentale commercio locale in Kenya, Nigeria e nel resto del continente.


-Emergenza africana*

Come dappertutto, più o meno nelle ultime tre settimane in molte capitali africane è emersa una tendenza comune.
Chi aveva prenotato viaggi, per lavoro o per svago annulla i voli; le aziende chiedono ai lavoratori di rimanere a casa e, in alcuni casi, riducono i contratti di lavoro.

E' in atto una crisi sanitaria globale, che in apparenza ha colpito meno l'Africa meno che la Cina e i Paesi del Nord, si sta trasformando per questo continente e per molte altre nazioni a medio e basso reddito in una crisi sociale ed economica.

L'economia africana è stata "contagiata".

La perdita di reddito, causata da una pandemia come quella del Covid-19, può tradursi rapidamente in picchi di povertà, in cibo carente per i bambini, in un limitato accesso a servizi fondamentali per l'esistenza, come l'assistenza sanitaria, l'acqua e la casa.
Sul versante della domanda, le conseguenze più immediate per l'Africa, in seguito all'impatto economico del Covid-19, riguardano il commercio. Ne ha subito risentito la domanda delle materie prime africane. Gli importatori cinesi stanno annullando gli ordinativi in seguito alla chiusura dei porti e in conseguenza della riduzione dei consumi in Cina. Oltre tre quarti delle esportazioni africane verso la Cina e verso il resto del mondo riguardano le risorse naturali: qualsiasi riduzione della si ripercuote sulle economie di gran parte del continente, dal momento che la principale fonte di valuta estera di alcuni paesi è costituita dalle loro esportazioni verso la Cina. Stati come l'Angola, la Repubblica Democratica del Congo, lo Zambia, lo Zimbabwe, la Nigeria e il Ghana sono significativamente messi a rischio del crollo delle esportazioni di materie prime industriali, come il petrolio, il ferro e il rame. I detentori di questi prodotti sono costretti a venderli altrove a un prezzo scontato. Adesso che il Covid-19 si è diffuso anche nei Paesi del nord, in particolare bloccando quelli europei - che per l'Africa sono partner commerciali essenziali -, gli Stati africani hanno subito un secondo contraccolpo.

Sul versante dell'offerta, un rapido sguardo alle importazioni africane rivela che i macchinari industriali, le manifatture e i mezzi di trasporto rappresentano oltre il 50% del fabbisogno combinato dell'Africa. Attualmente le importazioni dall'estero costituiscono più della metà del volume totale delle importazioni nei Paesi africani: i fornitori più importanti sono in Europa (35%), in Cina (16%) e nel resto dell'Asia, in particolare l'India (14%). Ne consegue che il lockdown causato dal Covid-19 porterà a una diminuzione della disponibilità di manufatti importati in Africa non soltanto dalla Cina, ma anche dall'Asia e dall'Europa. Sul versante della domanda, le esportazioni africane verso l'Europa si sono ridotte.
Lo Standard Newspaper, un quotidiano del Kenya, ha riferito che al 12 marzo le vendite di prodotti dal Kenya hanno subito una pesante battuta d'arresto dopo le improvvise cancellazioni dei voli: una di queste ha lasciato marcire dieci tonnellate di fiori.  Il giornale informava che quella singola spedizione valeva circa 12 milioni di scellini kenioti (120.000 dollari americani). Per il Kenya, dopo le rimesse in denaro, i fiori sono la più grande fonte di valuta estera, con un introito, lo scorso anno, di oltre 120 miliardi di scellini (1,2 miliardi di dollari).

In Africa l'impatto globale del virus si risolve in un contraccolpo diretto sulle economie locali, ovvero su quel bacino di microimprese che ne costituisce la componente più ampia, popolarmente nota come "settore informale". Le merci importate dalla Cina e rivendute da piccoli dettaglianti dominano i mercati informali africani. Nel continente, questo genere di attività è una fonte di sostentamento per molti.
Molti commercianti sono preoccupati del fatto che i prodotti provenienti dalla Cina, che già scarseggiano, presto si esauriranno completamente. "Potremmo riuscire a reperire le nostre forniture da altri paesi, per esempio da Dubai", ha detto Catherine Wachira, imprenditore di Nairobi. Ma alcuni prodotti non si possono trovare a prezzi ragionevoli né a Dubai né altrove.
L'imprenditrice di Nairobi va in Cina più volte all'anno per comprare apparecchi elettronici, cosmetici e prodotti di bellezza per capelli. Ora questo non è più possibile. "A Nairobi e in diverse città africane, le scorte di alcuni prodotti provenienti dalla Cina, compresi i generi alimentari, sono già state decimate, facendo lievitare i prezzi", ha affermato Waweru, presidente della Nairobi Traders Association. Scarseggiano sempre di più i prodotti elettronici. "E' molto difficile rimpiazzare i cinesi", ha osservato un imprenditore locale. Le piccole imprese nigeriane sono a loro volta tra le più colpite. Si dice che nessun paese africano consumi tante merci cinesi quanto la Nigeria.
Ma non è la sola, per esempio, anche dallo Zimbabwe arrivano racconti e testimonianze simili.

Le ripercussioni più gravi  - come detto - riguardano l'economia informale, che è la principale fonte di sostentamento per la maggior parte degli africani. Finora le analisi si sono per lo più concentrate sull'impatto della crisi sull'economia tradizionale: compagnie aeree, commercio, infrastrutture, energia, assicurazioni, industrie e così via. Ma in Africa l'economia informale è un enorme serbatoio di reddito. L'Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) stima nella percentuale del 41% del Pil la dimensione media dell'economia sommersa nell'Africa subsahariana. Essa va da meno del 30% in Sudafrica fino al 60% in Nigeria, Tanzania e Zimbabwe. Dà lavoro a moltissime persone. Rappresenta circa i tre quarti dell'occupazione non agricola e circa il 72% dell'occupazione totale subsahariana.

Questa situazione sta aggravando il problema della povertà in Africa. Oggi un africano su tre, cioè 422 milioni di persone, vive sotto la soglia globale di povertà. Desta preoccupazione anche il rischio che l'impatto economico di Covid-19 possa rapidamente invertire il corso dei progressi compiuti negli ultimi 10 anni nella lotta alla riduzione della povertà. Secondo  le proiezioni del World Data Lab, alla fine del 2019 il numero degli africani uscito dalla povertà estrema era cresciuto. Tuttavia il ritmo di questa tendenza era stato ritenuto ancora minimo. Le previsioni dicevano che sarebbe aumentato, ma con la crisi attuale la tendenza dovrebbe ridursi ulteriormente, se non invertirsi. Che cosa dovrebbero fare i paesi africani pere ridurre l'impatto economico del Covid-19? In primo luogo, affrontare la pandemia. Contenere la malattia è il primo passo per mitigarne non soltanto le conseguenze sulla salute, ma anche i riflessi economici. Le popolazioni devono essere sensibilizzate sul da farsi. Le immagini televisive del presidente Kagame che mostra come disinfettarsi le mani ne sono un ottimo esempio. Il fatto che la diffusione del virus in Africa sia ritardata e più lenta che altrove è una benedizione di cui i governanti africani dovrebbero approfittare. E' un dato positivo che la Banca mondiale abbia già messo a disposizione circa 12 miliardi di dollari, e che il Fondo monetario internazionale abbia stanziato un prestito di 50 miliardi. In secondo luogo, si dovrebbe rafforzare la rete del welfare. Pertanto i governi devono assicurarsi di approntare una rete di sicurezza economica: trasferimenti diretti di denaro, malattia retribuita, copertura sanitaria agevolata. E devono aggiungervi adeguati supporti per aiutare a sopravvivere i più vulnerabili e le piccole imprese messe in ginocchio dalla carenza di forniture provenienti dalla Cina. In terzo luogo, va promossa la raccolta dei dati. C'è chi ha suggerito di organizzare una raccolta di dati essenziali, come venne fatto durante l'epidemia di Ebola del 2014-15. In Sierra Leone e in Liberia i ricercatori utilizzarono inchieste telefoniche per raccogliere in tempo reale informazioni riguardanti le ripercussioni della malattia. Sarà possibile aiutare i più vulnerabili soltanto se l'acquisizione dei dati necessari riuscirà a quantificare attendibilmente gli effetti della pandemia.
*Charlie Chilufya è un padre gesuita zambiano membro della conferenza gesuita africana.
(Fonte.:civiltacattolica; standardmedia)
Bob Fabiani
Link
-www.civiltacattolica.it
-www.standardmedia.co.ke     

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