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mercoledì 1 aprile 2020

La pandemia e il ritorno di uno stato forte







Le pubblicazioni e gli approfondimenti di questo blog su tutto ciò che ruota attorno alla grave pandemia da coronavirus continuano : oggi, allarghiamo ancora un po' il campo e la lente di ingrandimento sul "dopo quarantena"

La domanda di fondo è una soltanto : dopo che le varie autorità, in tutto il mondo - a partire dal Continente Nero - hanno adottato misure severe e restrittive che vanno dalla quarantena, il lockdown e il coprifuoco nel tentativo di sconfiggere il COVID-19, cosa dobbiamo aspettarci per il "dopo epidemia"?

Indubbiamente è ancora presto per capire quali saranno gli effetti politici ed economici a lungo termini della pandemia. Tuttavia, ci sono già alcuni insegnamenti da trarre.

Scopriamoli insieme in questo post.
(Bob Fabiani)


-Il ritorno di uno stato forte*


Viviamo giorni strani. Non sappiamo né quando né come finirà la pandemia di COVID-19. In questo momento possiamo solo immaginare  gli effetti che avrà in termini politici ed economici sul lungo periodo. La posizione degli storici è chiara : le epidemie sono eventi, non tendenze. Come ha sottolineato lo storico della medicina Charles Rosenberg, "le epidemie cominciano in un dato momento, si sviluppano in una porzione di tempo e spazio limitata, seguono un percorso fatto di tensioni e rivelazioni crescenti, innescano una crisi collettiva e individuale e poi si avviano alla conclusione".

Secondo Rosenberg le epidemie esercitano sulle società colpite una forte pressione, che porta alla luce strutture nascoste.
Dunque rappresentano un campione per l'analisi sociale, perché rilevano quali sono le priorità e i valori reali della popolazione.
Ogni epidemia conosciuta è stata inquadrata e spiegata non solo come una crisi sanitaria, ma anche come una crisi morale. Alcuni gruppi sociali sono stati incolpati per la comparsa e la diffusione delle malattie. Lo stesso è accaduto con il COVID-19 in tutto il mondo, in Europa come in Africa e, prima ancora in Cina - dove tutto è iniziato alla fine del 2019 - senza tralasciare l'America.

Al momento è presto per trarre conclusioni sulle conseguenze durature di una crisi globale appena cominciata, ma ci sono già sette lezioni che possiamo imparare.

La prima è che la pandemia porterà al ritorno di uno stato forte. Dopo la crisi finanziaria del 2008, molti osservatori credevano che la diffidenza nel mercato avrebbe rafforzato la fiducia nel governo. L'idea non era nuova : nel 1929, dopo l'inizio della grande depressione, la popolazione aveva chiesto un maggiore intervento dello stato nper bilanciare le perdite del mercato. Negli anni settanta accadde il contrario : la popolazione, delusa dal governo, cominciò a credere di nuovo nel mercato. Il paradosso della recessione del 2008 è che la sfiducia nel mercato non ha portato alla richiesta di una maggiore presenza dello stato. Oggi con il COVID-19 c'è un grande ritorno dello stato. La gente si è affidata allo stato per organizzare una difesa collettiva contro la pandemia e salvare l'economia. L'efficacia dei governi si misura in base alla loro capacità di cambiare il comportamento quotidiano delle persone. E in questa crisi, l'inattività delle persone è l'azione più visibile.

La seconda lezione è che il virus fornisce l'ennesima dimostrazione della mistica dei confini e contribuirà a rafforzare il ruolo dello stato-nazione dentro l'Unione Europea e, da questo punto di vista è emblematico il "caso dell'Ungheria".




I governi europei stanno già chiudendo le frontiere  tra loro e si stanno concentrando sui propri cittadini. In circostanze normali gli stati dell'Unione non farebbero distinzione tra le nazionalità dei pazienti all'interno dei sistemi sanitari, ma in questa crisi presumibilmente daranno la priorità ai propri cittadini rispetto agli altri (non mi riferisco ai migranti di altre regioni del pianeta, ma ai cittadini di altri paesi dell'Unione Europea n.d.t).

Il virus rafforzerà il nazionalismo, non quello etnico, ma un tipo di nazionalismo territoriale. Le persone che all'interno di un paese si spostano dalle aeree più colpite dal virus sono sgradite come qualunque straniero. Il governo chiederà di costruire muri non solo tra gli stati, ma anche tra gli individui : il pericolo maggiore non è rappresentato dallo straniero, ma dal vicino di casa.

La terza lezione del coronavirus è legata alla fiducia degli esperti. La crisi finanziaria del 2008 e quella migratoria del 2015 avevano generato una forte ostilità verso gli esperti, e il grido vincente dei populisti era "Non ci fidiamo di loro". Ma le persone tendono a fidarsi degli esperti e della scienza quando è in gioco la vita. Possiamo già notare la crescente legittimità conferita ai professionisti che guidano la battaglia contro il virus. Il ritorno dello stato è reso possibile dal ritorno della fiducia negli esperti.

La quarta lezione è aperta all'interpretazione, ma è comunque molto importante.
Il coronavirus potrebbe alimentare il fascino del tipo di autoritarismo tecnologico adottato dal governo cinese. Si può criticare Pechino per la mancanza di trasparenza che l'ha fatta reagire lentamente alla diffusione del virus nel dicembre del 2019, ma l'efficienza della sua risposta e la sua capacità di controllare i movimenti e i comportamenti delle persone sono state impressionanti. I cittadini paragonano le azioni dei loro governi a quelle degli altri governi. Non dovremo stupirci se alla fine dell'emergenza la Cina sarà percepita come vincitrice e gli Stati Uniti come perdenti. La crisi, inoltre, provocherà un'escalation dello scontro tra Pechino e Washington. I mezzi d'informazione statunitensi danno la colpa alla Cina (e, in verità non solo quelli statunitensi n.d.t) per la diffusione del coronavirus, mentre Pechino cerca di sfruttare i fallimenti delle democrazie occidentali per rivendicare la superiorità del suo modello.


-Farsi prendere dal panico

La quinta lezione riguarda la gestione della crisi. Gli attentati terroristicila crisi economica e quella migratoria hanno convinto i governi che il panico è il loro maggior nemico. Se dopo un attentato la gente evitava di uscire di casa, faceva il gioco dei terroristi.
E in molti casi un cambiamento nelle abitudini ha aumentato il costo della crisi finanziaria del 2008. Per questo nella fase iniziale dell'epidemia le autorità e i cittadini hanno regito con messaggi che puntavano a "mantenere la calma", "continuare a vivere come prima", "ignorare il rischio" e "non esagerare". Ora i governi devono dire ai cittadini di cambiare atteggiamento e restare a casa. Il successo dei governi dipende dalla loro capacità di spaventare la popolazione per convincerla a rispettare le nuove regole.

"Non fatevi prendere dal panico" è un messaggio sbagliato per la crisi del COVID-19.

Per contenere la pandemia, la gente deve farsi prendere dal panico e cambiare drasticamente il proprio stile di vita (ma ci sono aree nel mondo dove la quarantena e il cosiddetto lockdown non è possibile applicarlo come abbiamo scritto ieri in questo blog dopo, il grido di dolore del Premio Nobel 2018 Denis Mukwege; a proposito delle bidonville nelle metropoli africane n.d.t). Mentre tutte le altre crisi del ventunesimo secolo - l'11 settembre 2001, la grande recessione, le migrazioni - sono state guidate dall'angoscia, quella attuale è guidata dalla paura. Le persone temono per la propria vita e per quella dei loro familiari. Ma fino a quando potranno restare a casa?

La sesta lezione è che questa crisi avrà grandi conseguenze sulle dinamiche tra le generazioni. Nel dibattito sul cambiamento climatico le nuove generazioni criticano quelle precedenti accusandole di non preoccuparsi abbastanza del futuro.





Il virus ha ribaltato la dinamica : gli esponenti più anziani della società sono più vulnerabili e si sentono minacciati dalla scarsa disponibilità dei millennial a cambiare abitudini. Il conflitto generazionale potrebbe intensificarsi se la crisi durerà a lungo. Il classico incubo del ventesimo secolo era una guerra nucleare che minacciava di uccidere quasi tutti simultaneamente. Nel caso del COVID-19, invece, i giovani che vanno a una festa rischiano di ammalarsi per una settimana, mentre i genitori rischiano di morire (anche se questa fase un po' ovunque, seppure con differenti tempistiche è ormai una questione superata ... ma come dire ... potrebbe facilmente ripresentarsi in una ipotetica prossima ripresa ... e, in questo senso appare emblematico l'esempio di Hong Kong che crederva di aver sconfitto la pandemia aprendo nuovamente la città e l'isola e, immediata è ripresa la curva dei contagi ben 80 in un giorno).

L'ultima lezione è che a un certo punto i governi saranno costretti a scegliere tra contenere la malattia al prezzo di una distruzione totale dell'economia o tollerare un maggior costo umano per salvare l'economia. Qualcuno potrebbe pensare che a lungo termine i danni di un'economia paralizzata sarebbero peggiori del rischio di un più ampio contagio.

E' ancora presto per prevedere le conseguenze politiche a lungo termine. Ma è già chiaro che questo è un virus antiglobalizzazione e che l'apertura dei confini e l'interazione tra le persone saranno considerate una delle cause della catastrofe. Storicamente un aspetto drammatico delle epidemie è il desiderio di assegnare le responsabilità. Dagli ebrei nell'Europa medievale ai venditori di carne nei mercati cinesi, bisogna sempre incolpare qualcuno, sfruttando le divisioni sociali esistenti basate su religione, etnia, classe e idenmtità di genere.

La crisi del COVID-19 ha giustificato i timori di chi si oppone alla globalizzazione : gli aeroporti chiusi e l'autoisolamento appaiono come il punto zero della globalizzazione. Paradossalmente il modo migliore di contenere la crisi delle società individualistiche è chiedere alle persone di chiudersi in casa. Il distanziamento sociale è una nuova forma di solidarietà. Ma la spinta antiglobalista potrebbe indebolire i popolusti, cher anche quando cologono il problema non hanno una soluzione. Donald Trump potrebbe perdere le presidenziali 2020 (di novembre) proprio a causa dell'ondata contro la globalizzazione che lui stesso ha sostenuto, sconfitto da un virus che viene dalla Cina e ha il nome di una birra messicana (informiamo i lettori che nei prossimi giorni pubblicheremo una lunga inchiesta sulla totale inadeguatezza e impreparazione di #TheDonald sulla crisi da coronavirus n.d.t).

Resta da capire in che modo la crisi influirà sul futuro del progetto europeo. La pandemia ha rimodellato la risposta usata dall'Unione in tutte le crisi affrontate nell'ultimo decennio. La disciplina fiscale non è più un imperativo economico e al momento non c'è un governo europeo favorevole all'apertura delle frontiere ai profughi.
Ma è chiaro che, alla fine, il coronavirus metterà in discussione alcuni presupposti su cui è stata fondata l'Unione Europea.
Ciò cche non avevamo previsto, come scrisse il poeta Stephen Spender tanto tempo fa, è "l'usura del tempo/e il passaggio di storpi/con arti a forma di domanda".
*Ivan Krastev dirige il Centre for liberal strategies di Sofia.
(Fonte.:newstesman)
Bob Fabiani
Link
-www.newstatesman.com             

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