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martedì 28 aprile 2020

Le maledizioni del Mozambico (Gas, Covid-19,Jihad)










Questa è una storia africana infarcita di sfruttamento delle risorse e delle materie prime che non si fermano neanche al tempo del coronavirus.
Quello che sta accadendo in Mozambico è emblematico: nel nord l'epidemia non ferma gli impianti di estrazione del gas né l'aumento esponenziale dei conflitti armati della jihad con centinaia di morti.
Sono gli ingredienti di questa storia e sono anche le maledizioni attuali che affliggono il Mozambico.

Entriamo negli ingranaggi di questa storia.


-Gas, Covid-19 e jihad tre maledizioni per il Mozambico

La pandemia Covid-19 sta costringendo buona parte della popolazione mondiale a restare a casa, mentre decine di milioni di persone si sono ritrovate senza lavoro da un giorno all'altro. Eppure, nel Nord del Mozambico, l'industria del gas non sembra intenzionata a fermarsi.

La compagnia petrolifera francese Total non si è bloccata neppure dopo che, a inizio di aprile, si è registrata la conferma di un caso di coronavirus tra il suo staff.

Com'era prevedibile.

Il contagio si è diffuso, tanto da trasformare i suoi impianti in veri e propri focolai, con circa la metà dei casi confermati nel paese (in totale 76, dato aggiornato al 28 aprile). Solo a quel punto, quando era già troppo tardi, Total ha deciso di rudurre le attività, senza peraltro chiudere tutto.
Da quando nel 2010 l'americana Anadarko e l'italiana Eni hanno annunciato la scoperta di enormi giacimenti di gas nel Nord del paese, il Mozambico si è trasformato in una delle principali frontiere estrattive. Attualmente, tre dei maggiori progetti di gas naturale liquefatto al mondo sono in fase di realizzazione nella provincia di Cabo Delgado, con un investimento complessivo che arriverebbe a superare i 50 miliardi di dollari. Due di questi, Coral South e Rovuma LNG, vedono Eni tra le dirette interessate.
Progetti come questi richiedono la manodopera di migliaia di lavoratori, i quali vivono assembrati in accampamenti collocati a ridosso di comunità rurali. Il rischio di contagio è altissimo sia per gli uni che per altre. Con un sistema sanitario inadeguato a far fronte a una emergenza di tali proporzioni e la difficoltà oggettiva di rispettare le norme di distanziamento sociale da parte di famiglie numerose che vivono in pochi metri quadri, la miscela è altamente esplosiva.
Ma se non è la tutela della salute a rallentare l'industria del gas, lo è certamente la crisi del petrolio. Diverse compagnie, incluse l'Eni, hanno recentemente rivisto al ribasso le stime degli investimenti futuri, tagliandole del 20-30%, a seconda dei casi. Uno dei progetti più ambiziosi, l'impianto di liquefazione Rovuma LNG, controllato da una joint-venture tra Exxon, Eni e la compagnia di stato cinese, sembrerebbe tra quelli più a rischio. Fonti interne di Exxon riportano che la compagnia americana voglia rimandare la decisione finale sull'investimento, prevista inizialmente nei prossimi mesi. L'impatto sarebbe rovinoso per l'intera industria del gas mozambicana.
Chi finora ha pagato il prezzo più alto sono però le comunità della provincia di Cabo Delgado. Quelle scoperte che avrebbero dovuto portare benessere e ricchezza, si sono trasformate, come spesso accade, in una vera e propria maledizione.
Molte famiglie sono già state costrette ad abbandonare la propria terra per far spazio alle operazioni e tante altre altre dovranno farlo, per un totale di circa 1.500 famiglie, in base alle stime delle stesse compagnie. Saranno poi oltre 3 mila i pescatori che perderanno accesso alle loro zone di pesca, ormai diventate l'habitat di enormi impianti galleggianti da decine di tonnellate.
I piani di ricollocamento e le compensazioni promesse sembrano aver scontentato tutti. A diverse famiglie sono state assegnati pezzi di terra già occupati da altre comunità, causando dei conflitti. Pochi però ne vogliono parlare, per paura che gli venga tolto anche quel poco che sono riusciti ad ottenere. Negli scorsi anni, diversi giornalisti locali che si sono occupati della questione sono state arrestati.
Poi c'è l'aumento esponenziale dei conflitti armati. Dal 2017, gli attacchi da parte dei gruppi islamisti hanno causato la morte di 700 persone e più di 100 mila rifugiati interni. Ciò ha innescato una reazione a catena che ha portato a una totale militarizzazione dell'area, su esplicita richiesta dalle compagnie petrolifere che vi operano.
A fianco dell'esercito locale sono schierati circa 200 mercenari russi della compagnia Wagner (la stessa già presente in Repubblica Centroafricana n.d.t), alla quale è andato un appalto per la fornitura di servizi di sicurezza nella regione.

La sicurezza di chi?

Certamente non quella delle comunità, che si ritrovano ora impossibilitate a lavorare nei campi poiché ogni spostamento rischia di essere fatale. Di fatto, queste famiglie sono schiacciate dalle trivelle da un lato e dalle milizie dall'altro. Il rischio è quello di centinaia di persone costrette alla fame.
L'ultima mattanza risale a qualche giorno fa, quando i miliziani di al-Shabab hanno massacrato 52 persone nel villaggio di Xitaxi, poco distante dai giacimenti. Sorprendentemente, gli impianti sembrano essere immuni da questa violenza.





-La zona rossa di Cabo Delgado








Il rientro dal Sudafrica (il paese africano più colpito dalla pandemia) di circa 20 mila lavoratori migranti crea preoccupazioni sanitarie nelle province meridionali del Mozambico e nella capitale Maputo.
Tuttavia, resta il fatto che la maggior parte dei 76 casi di Covid-19 confermati nel paese si registrano nell'estrema provincia settentrionale di Cabo Delgado, dove le popolazioni ancora in difficoltà per gli effetti del Ciclone Kenneth di un anno fa si trovano ora strette tra l'impatto crescente degli impianti di estrazione del gas e la violenza di matrice jihadista.
L'ultimo episodio di sangue, all'inizio della scorsa settimana, ha colpito il distretto di Muidumbe e in particolare quattro villaggi da cui venivano le vittime, 52 ragazzi che secondo le autorità e i media locali sarebbero stati uccisi per essersi rifiutati di unirsi ai miliziani. Il gruppo armato in questione, che esordì nel 2017 con uno spettacolare assalto alla città di Mocimboa da Praia, al centro della zona interessata dal boom estrattivista, è noto come al Shabab ma non avrebbe legami diretti con l'omonima guerriglia islamista somala, di fede qaedista (Al Qaeda).
Le ultime conclusioni a cui è giunto il Consiglio nazionale di difesa e sicurezza (Cnds) puntano il dito contro lo Stato islamico dell'Africa Centrale (Iscap) organizzazione affiliata a Daesh (Isis come viene chiamato in occidente) che ha rivendicato per la prima volta un'azione in territorio mozambicano nel maggio dell'anno scorso ed è tornata nei giorni scorsi a intestarsi l'abbattimento di un elicottero dell'esercito mozambicano. L'obiettivo del gruppo sarebbe quello di fare proseliti e intensificare gli attacchi con il fine di creare nella zona di confine con la Tanzania un califfato islamico.
Oltre a centinaia di vittime, in questi due anni le violenze hanno provocato anche migliaia di sfollati, intensificando gli spostamenti di civili verso Pemba e altre località più a Sud. Sui battelli che collegano Pemba e Palma e all'isola di Ibo sarebbero state uccise inoltre 14 persone in tre diversi episodi. In questo caso la Resistenza nazionale del Mozambico (Renamo), ex guerriglia anti marxista e principale opposizione nel paese, accusa l'esercito.
(Fonte.: re:common; jeuneafrique;ilmanifesto)
Bob Fabiani
Link
-www.jeuneafrique.com
-www.ilmanifesto.it      

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