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martedì 21 aprile 2020

Dossier Covid-19: Come sarà il 'dopo-pandemia'?







La pandemia di Covid-19 ha trasformato il mondo. Passeggiare con un amico è ormai impensabile tanto quanto rispettare le regole di bilancio europeo: il banale diventa l'eccezione; l'inimmaginabile, il quotidiano.
Mentre alcuni colgono l'occasione per fare dei buoni affari, altri si chiedono: salvare delle vite umane è un buon motivo per mettere a rischio il libero scambio?
Una domanda straziante aleggia nei pronto soccorso come nei salotti: il virus sarebbe stato altrettanto letale se le politiche di austerity non avessero smantellato la sanità pubblica?

Sono solo alcuni dei quesiti che milioni di cittadini  - in tutto il mondo - si pongono nelle lunghe giornate di confinamento sociale.

AfricaLand Storie e Culture africane continua le pubblicazioni sul coronavirus oggi, poniamo l'accento e la riflessione sul "dopo": che cosa dobbiamo aspettarci? Che cosa accadrà alle nostre vite? Quale democrazia verrà fuori dopo il lockdown e la drammatica crisi sanitaria globale?
(Bob Fabiani)


-Dossier Covid-19, E la vita cambiò*

Questo blog da alcune settimane sta cercando di allargare quanto più possibile la discussione e la riflessione che, una pandemia mondiale come quella che ha investito tutto il mondo e tutte le contrade, finanche la più sperduta; è necessario fare.
Proseguendo in questa direzione oggi ci concentriamo sulle cose da fare "fin da subito".

Quando questa tragedia sarà finita, ricomincerà tutto come prima? Per 30 anni, ogni crisi ha alimentato l'irragionevole speranza di un ritorno alla ragione, di una presa di coscienza, di una battuta d'arresto.  Abbiamo immaginato il rallentamento e poi l'inversione di una dinamica socio-politica di cui tutti avrebbero finalmente compreso le impasse  e le minacce (1).
Il crollo delle borse del 1987 avrebbe dovuto contenere il boom delle privatizzazioni; le crisi finanziarie del 1997 e del 2007-2008 avrebbero dovuto mettere in questione la globalizzazione felice.
Non è andata così.

Gli attacchi dell'11 settembre 2001 hanno a loro volta suscitato delle riflessioni critiche sulle hybris statunitense e delle domande sconsolate come "Perché ci odiano?". Neanche questo è durato. Il movimento delle idee, anche quando va nella giusta direzione, non è mai abbastanza forte da innescare un grande cambiamento. Devono entrare in gioco anche le mani. Ed è meglio allora non dipendere dai governanti responsabili della catastrofe, anche se questi piromani sanno come civettare e come fingere di essere cambiati per salvare il salvabile. Sopratutto quando è in gioco la loro stessa vita, oltre alla nostra.

La maggior parte di noi non ha vissuto direttamente guerre, colpi di stato militari o coprifuoco. Alla fine di marzo, però, quasi 3 miliardi di persone erano già confinate, spesso in condizioni estremamente difficili; per la maggior parte non si trattava di scrittori che guardavano la camelia in fiore fuori della loro casa di campagna.
Qualunque cosa accada nelle prossime settimane, la crisi del coronavirus sarà stata la prima angoscia planetaria della nostra vita: una cosa del genere non si dimentica. I politici sono costretti a tenere conto, almeno in parte.

L'Unione Europea ha appena annunciato la "sospensione generale" delle sue regole di bilancio; il presidente Emmanuel Macron sta rinviando una riforma delle pensioni che avrebbero penalizzato il personale ospedaliero; il Congresso degli Stati Uniti ha votato l'invio di un assegno alla maggior parte dei cittadini statunitensi e, in Italia, pur tra enormi difficoltà, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e l'esecutivo da lui guidato, a più riprese, hanno cercato di immettere denaro fresco per far fronte alla crisi sanitaria che poi si è trasformata in crisi economica.
Ma già poco più di un decennio fa, per salvare il loro sistema in difficoltà, i liberisti avevano acconsentito a un significativo aumento del debito, a uno stimolo fiscale, alla nazionalizzazione delle banche e al parziale ripristino del controllo sul capitale. Poi l'austerity ha permesso loro di riprendersi ciò che avevano lasciato andare nel salvataggio planetario.
E anche di fare qualche "passo avanti": i dipendenti, con l'aumento della precarietà, hanno lavorato di più e più a lungo; gli "investitori" e i redditieri hanno pagato meno tasse. A pagare il prezzo più alto per questa inversione di tendenza sono stati i greci, che in difficoltà finanziarie e a corto di farmaci, hanno visto il ritorno nei loro ospedali pubblici di malattie che pensavano scomparse per sempre.

Quello che all'inizio sembra far sperare in una conversione sulla via di Damasco può sfociare in una "strategia dello shock".
Nel 2001, subito dopo l'attacco al World Trade Center, la consigliera di un ministro britannico aveva scritto agli alti funzionari del suo ministero: "Questo è un ottimo momento per attuare tutte le misure di cui abbiamo bisogno senza dare nell'occhio".
In quel momento non stava pensando necessariamente alle continue restrizioni delle libertà civili che sarebbero state imposte con il pretesto della lotta al terrorismo o alla guerra in Iraq e agli innumerevoli disastri che questa decisione angloamericana avrebbe provocato. Ma una ventina di anni dopo, non bisogna essere un poeta o un profeta per immaginare la "strategia dello shock" che sta prendendo forma.

Corollario dello "stare a casa" e del "mantenere le distanze", la nostra vita sociale nel suo insieme rischia di essere sconvolta dalla digitalizzazione accelerata delle nostre società. L'emergenza sanitaria renderà ancora più pressante, o del tutto sorpassata, la questione se sia ancora possibile vivere senza internet(2).
Tutti devono già portare con sé dei documenti d'identità; presto un cellulare non solo sarà utile, ma sarà anche necessario a fini di controllo. E poiché le monete e le banconote sono una potenziale fonte di contaminazione, le carte di debito e di credito, divenute ormai una garanzia di salute pubblica, permetteranno che ogni acquisto sia repertoriato, registrato e archiviato.
"Credito sociale" cinese o "capitalismo della sorveglianza", la perdita epocale del diritto inalienabile di non lasciare traccia del proprio passaggio quando non si infrange alcuna legge si insedia nella nostra mente e nella nostra vita senza incontrare alcuna reazione se non uno stordimento da adolescenti immaturi. Prima del coronavirus era già diventato impossibile prendere un treno senza dichiarare il proprio stato civile; utilizzare il proprio conto bancario online comportava la comunicazione del proprio numero di cellulare; andare a fare una passeggiata implicava essere filmati da qualche telecamera. Con la crisi sanitaria è stato fatto un nuovo passo avanti. A Parigi, dei droni sorvegliano le zone rese inaccessibili; in Corea del Sud, dei sensori allertano le autorità quando la temperatura di un abitante rappresenta un pericolo per la comunità; in Polonia, gli abitanti devono scegliere tra l'installazione sul proprio cellulare di un'applicazione in grado di verificare il loro confinamento e delle visite senza preavviso della polizia presso il loro domicilio (3). In Italia, il governo ha deciso di utilizzare un'app chiamata "Immuni" che servirà nella cosiddetta "fase 2" - quella della cosiddetta "ripartenza" e servirà a tracciare i cittadini se saranno stati a contatto con un potenziale "portatore del virus".
In tempi di catastrofe, simili dispositivi di sorveglianza sono molto popolari. Ma sopravvivono alle condizioni che li hanno generati.

Anche gli sconvolgimenti economici che si delineano all'orizzonte stanno consolidando un mondo dalle libertà sempre più limitate: dall'Africa passando per il Vecchio Continente fino all'America Latina senza tralasciare gli Stati Uniti e il resto del mondo.
Non disponendo di un servizio di consegna a domicilio e non potendo vendere contenuti virtuali, ovunque milioni di negozi di alimentari, bar, cinema e librerie hanno chiuso per evitare la contaminazione. Quando la crisi sarà passata, quanti di loro riapriranno? E in quali condizioni? Al contrario, gli affari andranno ancora più a gonfie vele per i giganti della distribuzione come Amazon, che sta per creare centinaia di migliaia di posti di lavoro da corrieri e magazzinieri, o Walmart, che ha annunciato l'assunzione di altri "150.000" "associati". E chi meglio di loro conosce i nostri gusti e le nostre scelte? In questo senso, la crisi del coronavirus potrebbe costituire una prova generale che prefigura la dissoluzione degli ultimi focolai di resistenza al capitalismo digitale e all'avvento di una società senza contatto (4).

A meno che... A meno che delle voci, dei gesti, dei partiti, dei popoli, degli Stati non disturbino questo scenario scritto in anticipo. Si sente spesso dire: "La politica non mi riguarda". Ma cosa accadrà quando sarà chiaro a tutti che sono state delle decisioni politiche a costringere i medici a scegliere quali pazienti salvare e quali dover sacrificare?
E' quanto sta accadendo in questi giorni.
Il problema è ancora più evidente nei paesi dell'Europa centrale, dei Balcani e dell'Africa, che da anni vedono il loro personale sanitario migrare verso regioni meno rischiose o verso posti di lavoro più redditizi. Anche in questo caso, non si trattava di scelte dettate da leggi di natura. Oggi, senza dubbio, lo si comprende meglio. Il confinamento è anche un momento in cui ciascuno può fermarsi a riflettere...

Con l'intenzione di agire. Fin da subito. Perché, contrariamente a quanto ha suggerito il presidente francese, non si tratta più di "mettere in discussione il modello di sviluppo che il nostro mondo ha seguito per decenni". La risposta è nota: dobbiamo trasformarlo. Fin da subito. E siccome "delegare agli altri la nostra protezione è una follia", smettiamo di subire delle dipendenze strategiche per preservare un "mercato libero non falsato".
Macron ha annunciato "decisioni di rottura". Ma non prenderà mai quelle giuste. Non solo la sospensione temporanea, ma la denuncia definitiva dei trattati europei e degli accordi di libero scambio che hanno sacrificato le sovranità nazionali ed eretto la concorrenza a valore assoluto.

Fin da subito.

Tutti ormai sanno quanto costa affidare a delle categorie logistiche sparse per il mondo e prive di scorte di magazzino il compito di fornire a un paese in difficoltà milioni di mascherine sanitarie e di prodotti farmaceutici da cui dipende la vita dei pazienti, del personale ospedaliero, dei corrieri, dei cassieri. Tutti conoscono anche il prezzo che il pianeta sta pagando per le deforestazioni, le delocalizzazioni, l'accumulo di rifiuti, la mobilità permanente - Parigi accoglie 38 milioni di turisti ogni anno, vale a dire più di diciassette volte la sua popolazione, e se ne compiace...

Ormai protezionismo, ecologia, giustizia sociale e salute vanno di pari passo e possono costituire gli elementi chiave di una coalizione politica anticapitalista abbastanza potente da imporre, fin da subito, un programma di rottura.
*Serge Halmi, presidente, direttore pubblicazione e di redazione de Le Monde diplomatique

Note

(1) Si legga Sege Halimi, "Il naufragio dei dogmi liberali" e Frédéric London, "Il giorno in cui Wall Street diventò socialista", Le Monde diplomatique/il manifesto, rispettivamente ottobre 1988 e ottobre 2008.

(2) Si legga Julien Byrgo, "Peut-on encore sans Internet?", Le Monde diplomatique, agosto 2020.

(3) Cfr. Samuel Kahn, "Les Polonais en quarantaine doivent se prendre en selfie pour prouver qu'ils sont chez eux", Le Figaro, 24 marzo 2020.

(4) Craig Timberg, Drew Harwell, Laura Reiley e Abha Bhattarai, "The new coronavirus economy: A gigantic experiment reshaping how we work and live", The Washington Post, 22 marzo 2020. Si legga anche Eric Klinenberg, "Facebook contro i luoghi pubblici", Le Monde diplomatique/il manifesto, aprile 2019.

(Fonte.:monde-diplomatique)
Bob Fabiani
Link
-www.monde-diplomatique.fr
   

   
   

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